Vomito

Non ho voglia di leggere narrativa. Avrei voglia di leggere qualcosa di saggistico. Ho appena letto Lʼanima russa di Virginia Woolf, critica letteraria da parte di uno che a sua volta è scrittore. La narrativa, quando non è pura invenzione, è falso intrecciato al vero (cf. Platone, Repubblica). Anche quando è pura invenzione, resta la verità dei sentimenti, dei comportamenti... cʼè sempre qualcosa di verisimile... la vita. Se è solo vero, non è più narrativa, è memorialistica, storia.

La memorialistica mi piace, la storia non mi piace. Come è possibile, se appartengono alla stessa categoria? Secondo me è perché chi fa storia poche volte ha idee chiare. Qualcuno che dica: “Napoleone era un mascalzone!”, invece di: “Ci sono interpretazioni diverse sul ruolo di Napoleone nella storia...”, oppure: “San Bernardo ha fatto bruciare decine di eretici!”, o: “Sono tre secoli, se non di più, che gli occidentali cercano di addomesticare le popolazioni dellʼAfghanistan. Cʼè stato un periodo di pace con lʼultimo re Mohammed Zahir Shah, spodestato, ovviamente. Tutti hanno fallito. Gli USA, che hanno il delirio di onnipotenza, pensavano di averla vinta, invece sono scappati con la coda tra le gambe. Lettura consigliata: Il grande gioco, Peter Hopkirk”.
I romanzi storici mi piacciono. Appena avrò finito Guerra e pace passerò a ‘93 di Victor Hugo. Cosa non mi piace in Guerra e pace? Proprio le parti in cui Tolstoj fa lo storico. “Inseguiti dai centomila uomini dellʼarmata francese al comando di Bonaparte, accolti con ostilità dalle popolazioni, senza più alcuna fiducia nei loro alleati, provati dallʼinsufficienza degli approvvigionamenti e costretti a operare al di fuori di tutte le prevedibili condizioni di guerra, i trentacinquemila uomini dellʼarmata russa al comando di Kutuzov si ritiravano in fretta lungo il Danubio, arrestandosi quando venivano raggiunti dal nemico e disimpegnandosi con operazioni di retroguardia soltanto nella misura in cui era necessario per ritirarsi senza perdere le salmerie. Ci furono scaramucce a Lambach, ad Amstetten e a Melk; ma nonostante il valore e la fermezza, riconosciuti dallo stesso nemico, con cui i russi si batterono, queste azioni portarono soltanto a una ritirata ancor più veloce. Le truppe austriache che erano sfuggite alla cattura davanti a Ulm si erano ricongiunte a Kutuzov presso Braunau; in seguito, però, si erano nuovamente staccate dallʼarmata russa, e Kutuzov poteva contare solo sui suoi uomini deboli ed esausti. Difendere ancora Vienna non era nemmeno possibile. Invece dellʼoffensiva, che era stata studiata in ogni particolare secondo i principi della nuova dottrina chiamata «strategia», e il cui piano era stato trasmesso a Kutuzov nel corso della sua permanenza a Vienna dallʼHofskriegsrat austriaco, ora Kutuzov aveva dinanzi a sé unʼunica, quasi remota possibilità: evitare di perdere lʼarmata come era accaduto a Mack sotto Ulm, e ricongiungersi alle truppe che arrivavano dalla Russia.
Il ventotto ottobre Kutuzov passò con lʼarmata sulla sponda sinistra del Danubio e per la prima volta si fermò, avendo messo il Danubio fra sé e il grosso delle forze francesi. Il tredici attaccò la divisione di Mortier che si trovava sulla riva sinistra del Danubio e la sbaragliò. In questʼoperazione per la prima volta vennero conquistati dei trofei (una bandiera, qualche cannone) e due generali nemici furono fatti prigionieri. Per la prima volta dopo una ritirata di due settimane le truppe russe si erano arrestate e, dopo il combattimento, non soltanto avevano tenuto il campo, ma avevano respinto i francesi. Sebbene le truppe fossero lacere, esauste, depauperate di un terzo degli uomini, tra dispersi, feriti, malati e uccisi, sebbene gli ammalati e i feriti fossero stati abbandonati sullʼaltra sponda del Danubio, con una lettera di Kutuzov che li affidava al senso di umanità del nemico; sebbene i principali ospedali e le case di Krems, trasformate in lazzaretti, non riuscissero più a contenere tutti gli ammalati e i feriti; nonostante questo la sosta a Krems e la vittoria su Mortier valsero a rialzare sensibilmente il morale delle truppe. In tutta lʼarmata e nel quartier generale circolavano le voci più ottimistiche, anche se non vere, su un preteso avvicinarsi di colonne di rinforzo dalla Russia, su una pretesa vittoria riportata dagli austriaci e sulla ritirata di Bonaparte in preda al panico”.
Questo passo non è particolarmente complicato, ma mi sembra che quando ci sono dati storici Tolstoj corra, finendo per non essere totalmente chiaro. Ha fretta di scrivere un romanzo imponente e non si sofferma. Lo vedi che si sente più in pace quando descrive ciò che accade nelle stanze delle famiglie aristocratiche, o tra commilitoni attorno al fuoco di un bivacco, in sostanza quando racconta sentimenti e sfumature della vita quotidiana. I paragrafi storici sembrano, in effetti, non un libro ma la lezione di storia di un professore che deve sbrigarsi col programma. Ci vorrebbero molte più pagine per descrivere ciò che in effetti abbisogna di note a piè di pagina del traduttore.

Ma perché mi metto a pontificare? Chi credo di essere? Mi piacerebbe avere il tono di Virginia Woolf. Lei riesce a essere umile. Come Edith Stein in Scientia crucis. Entrambe, dal basso, manifestano sincera ammirazione per le personalità di cui parlano, Dostoevskij, Čhecov, Tolstoj e San Giovanni della Croce. A me viene subito un tono da professore che pensa di saper tutto.
Una volta mi piacerebbe fare anche un post tutto così, se riuscissi a mantenere il tono dallʼinizio alla fine. Verrebbe qualcosa di disgustoso. Ma sarebbe lʼintento del post. Pochi capirebbero che lʼho fatto apposta, e aumenterebbero il senso di vomito nei miei confronti.

No, seriamente.
Il fatto è che lʼunica persona che rispetto è Gesù. Ci vuole poco, Gesù è Dio. In tutti gli altri noto putroppo difetti. “Diceva che, fra tutti, i librai sono i più degni di compassione, perché su di loro grava come su nientʼaltro lʼintera atrocità e volgarità della storia umana e lʼintera inettitudine e miserabilità dellʼarte ed essi devono sempre temere di venire schiacciati da questo peso antiumano. Un libraio che prenda sul serio il proprio mestiere è, di tutto il genere umano, la persona più degna di compassionie, perché ogni giorno si trova immancabilmente di fronte allʼassoluta insensatezza di tutto ciò che sia mai stato scritto e vede più di ogni altro il mondo come un inferno”, Thomas Bernhard, I mangia a poco. Qui si vede come, ad esempio, un passo di Bernhard perda il 70% della sua forza quando estrapolato dal contesto, non soltanto contenutistico, ma stilistico, ossia quando estratto dal consueto flusso di assenze di accapo.
Dopo Gesù, da adorare è Maria, la più perfetta di tutte le creature. Tutti gli altri santi hanno sì dato tutto loro stessi a Dio e agli altri – questa infatti è la santità, indipendentemente da grandezza o piccolezza – ma anche loro sono umani e pieni di difetti. Basta guardare gli apostoli, tutti fuggiti, a parte Giovanni di Zebedeo, di fronte alla prospettiva della croce.

Ma anche Thomas Bernhard... non è disgustoso? Ciò che ammiro in Bernhard è lo stile, qualcosa di insuperabile... ma come persona lo trovo vomitevole. Chi di noi non lo è?
Ecco, così sembra che voglia portare con me tutti. Invece non è ciò che voglio fare. Le persone hanno lati positivi. Perché sono fatto così, incline a individuare le bassezze nella gente? Secondo me è per difendermi dalla bassezza che trovo nella mia persona. Allora dico: “Anche tu, però! Anche tu!”.
Socrate, in Simposio, insegna a fare soprattutto elogi. Cioè dire bene. Di ciascuno si può dire sia male sia bene. Se dico il vero e dico bene, sto facendo lʼelogio. Se dico il vero e dico male, sto facendo il biasimo. Se dico il falso e dico bene, sto facendo lʼadulazione. Se dico il falso e dico male, sto facendo lʼinsulto.

Ho bisogno di prendere le distanze da Bernhard, perché è uno scrittore che ho adorato e adoro ma che ha impattato in modo decisivo sulla mia visione della vita e degli uomini, trasformandomi quasi in misantropo. Menomale che Gesù mi ha salvato. 

Si è fermata unʼambulanza davanti al mio portone. 

11 commenti:

  1. Ottimo post, almeno fino al "No, seriamente".

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  2. Un autore deve far riflettere, proporre la sua visione del mondo e della vita. Poi sta a noi accettarla o meno. Se la sua visione è moralmente spiacevole, eppure in qualche modo ci sembra di condividerla... il problema siamo noi, non l'autore ;-)

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    1. Certo, però trovo che possa esserci qualcuno in grado di 'convincerti' solo con la forza dello stile, indipendentemente dal contenuto. Penso anche al libro "I persuasori occulti" di Vance Packard e a tutto il problema della pubblicità e dei mass-media, di cui parlava spesso anche Eco. Per anni sono stato 'soggiogato' anche dall'ateo Paolo Nori, autore che col tempo ho riconsiderato. Oggi penso di poter dire di essere a un grado di maturità tale da poter apprezzare la sua arte (leggo sempre il suo blog) senza farmi influenzare dalle sue scelte morali. Con ciò non voglio dire che il suo ateismo me lo fa disprezzare, inoltre mi sembrano evidenti certi suoi lati positivi, tipo l'assiduità lavorativa o l'amore per la figlia.

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  3. un conto sono gli scritti, altro le persone, seneca ad esempio scriveva contro i leccaculi dei caporioni con cui lui invece campava egregiamente

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    1. In effetti se uno scrittore mira a rappresentare il vero (v. ad es. Čhecov, Leopardi nello Zibaldone) ciò che rappresenterà sarà la vita com'è, senza dare giudizi. Quindi nell'opera di un vero artista troveremo sia altezze sia bassezze morali. Il giudizio spetta al lettore. Adesso mi viene in mente Shakespeare, con la sua distinzione in prosa per personaggi bassi e poesia per personaggi alti. E naturalmente mi viene in mente Aristotele nell'Arte poetica, dove dice che è il tipo di personaggio a determinare il genere letterario, ad esempio personaggi bassi: commedia; personaggi alti: tragedia.
      Questa di Seneca non la sapevo. Potresti dire un personaggio contro cui ha scritto?

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    2. ha scritto sempre bene di nerone, tra un matricidio ed un omicidio, ricavandone ampio sostentamento, lo accontentò poi suicidandosi per adempiere la volontà del suo nome se-necans
      Quintilianus in particolare lo trovava «corrotto e aperto a tutti i vizi».

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    3. Ma come aperto a tutti i vizi? Ma non era stoico? Ah, Seneca. Per me è tutto da conoscere e da leggere.

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    4. si non beveva vino, non mangiava ostriche, però chi può esser certo che non si tratta solo di chiacchiere tra comari o fake news, solo dopo morti sapremo

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  4. Platone è un filosofo che mi è sempre piaciuto, però in questo caso la penso all'opposto di lui... Per me, vince sempre la narrativa, che almeno mi permette di evadere un po' dalla realtà... Cosa quantomai più utile al giorno d'oggi, in questo gran vociare di guru e professoroni gonfi di opinioni su tutto...

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    1. Non so, è un periodo in cui mal sopporto tutto ciò che è invenzione, anche se mi piace contemplare un genio creatore all'opera. Nella narrativa amo quando è ritratta la vita, quelle pennellate sui comportamenti, sull'anima, sulla psicologia. Però quando ho scritto questo post avevo bisogno di qualcos'altro. L'ho trovato nel saggio di Virginia Woolf e in quello di Edith Stein. Se trovi il saggista giusto l'esperienza può essere gratificante.

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