Come venni alla fede

Verso i 23 sono stato con una studentessa di fotografia dell’Istituto Europeo di Design. La poveretta – dico così perché stava con me – aveva fatto il liceo artistico. Non era particolarmente portata per il disegno, lo era per la scultura. Creava figure umane piuttosto riuscite. Era cerebrale, elucubrava sui progetti artistici che pianificava. Ero iscritto a Scienze della Comunicazione ed ero cerebrale anch'io. Avevamo dialoghi artistici, filosofici, letterari, musicali. Sono un pessimo elemento, ciò mi condusse a un’emulazione non sana, piena di invidia. Comprai una macchina fotografica. Su suo consiglio mi iscrissi a un corso di scrittura narrativa. Col senno di poi realizzo che il corso era una cialtronata, ma ebbe la funzione di farmi iniziare a scrivere. A Scienze della Comunicazione avevo fatto due corsi di Composizione Testi, in italiano e in inglese. Mi avevano familiarizzato con la scrittura facendomi capire che non era un dono per pochi eletti, un’ispirazione, bensì un metodo che si può imparare. Dalla scrittura accademica alla scrittura artistica il passo era lungo. Per emulazione invidiosa, tuttavia, se stavo con un’artista dovevo essere artista anch’io. I primi scritti non erano male, ero puntiglioso, ripulivo. Non ho mai avuto il dono della parola peregrina, scelsi sempre la via della semplicità.

Nel 2004 avevo 24 anni. Il corso di scrittura narrativa era finito da un anno. La fotografa – oggi affermata – non c’era più. La cialtr... ehm... la promotrice del corso di narrativa mi mandò un’e-mail con la quale mi invitava a prender parte a un concorso di racconti brevi. Il racconto che ho scritto era una discussione a colazione tra una coppia su temi filosofici. Per trovare le argomentazioni contrarie aprii l’Abbagnano, che conservavo dagli anni di liceo, e pescai due pensatori contrapposti.
Mi resi conto che mediante la scrittura si poteva scrivere tutto e il contrario di tutto e rimasi bloccato. Non spedii il racconto.

Cominciai a leggere. Non l’avevo mai veramente fatto. Ora avevo qualcosa da cercare. Volevo capire dov’era la verità. Mi buttai sui classici. Scoprii che i più grandi altro non erano che impianti narrativi usati dallo scrittore per esprimere una verità. Vuoi comunicare qualcosa? Inventati personaggi, una trama e in tale apparato prima o poi troverai il buco dove infilare ciò che vuoi affermare, ciò che credi vero. Questi libri, trovavo, erano spesso strumenti di dialogo con altri scrittori. Chi in un libro sosteneva una tesi, chi rispondeva con un libro nel quale sosteneva il contrario. Discussioni a colpi di romanzi. Gli scrittori volevano trasmettere le loro idee politiche, le loro idee di società attraverso le opere. Mi rendo conto solo oggi che i più onesti sono gli scrittori che cercano solo di rappresentare il vero senza voler comunicare una morale.

Ma se gli scrittori con le opere narrative non facevano altro che cercare di esprimere una qualche verità, perché non andare direttamente alla fonte, perché, cioè, non affidarsi a chi non si maschera dietro la forma narrativa ma cerca di esprimere la verità com’è?

Mi buttai sui filosofi. Il primo fu Nietzsche. Ne ero attratto dai tempi della scuola. Ancora oggi trovo sia un pensatore formidabile, uno di quelli talmente forti che creano ragionamenti apparentemente inattaccabili, che però li portano fuori strada. Una volontà superiore volle che incappassi presto in una sua pagina in cui il filosofo tedesco chiama Platone: “Il divino Platone”. Ci doveva essere qualcosa in me che cercava la divinità, perché fui attratto proprio dalla parola: “divino”. Lasciai perdere tutto, intendo tutta la filosofia moderna e contemporanea, e feci un salto indietro che mi portò a Fedro. In Fedro trovai questo passo:

Chiamarlo sapiente, Fedro, mi pare troppo, e che tale nome convenga solo a un dio; ma chiamarlo filosofo, ossia amante di sapienza, o con qualche altro nome di questo tipo, gli si adatte­rebbe meglio e sarebbe più adeguato. (278d)

Una nota a pie’ pagina riportava al primo versetto del primo libro del Siracide (nelle vecchie traduzioni della Bibbia, Ecclesiastico): “Ogni sapienza viene dal Signore / ed è sempre con lui” (Sir 1, 1).

Et voila! Avevo ormai 27 anni. In tre anni avevo letto di tutto, specialmente letteratura italiana contemporanea (Paolo Nori, Daniele Benati, Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Vitaliano Trevisan) perché volevo capire come si usa letterariamente l’italiano. A quell’età si ha uno stomaco che digerisce tutto. Avevo letto dalle vette agli abissi, dal sublime all’infimo. Non mi fu difficile scoprire nella Bibbia una parola che non esiste da nessun’altra parte. Neanche i Veda sono così alti, così perfetti e allo stesso tempo così misteriosi.

Da quegli anni in poi Bibbia e Platone sono divenuti i miei punti di riferimento. Di Platone ho letto quasi tutto, alcuni testi come Repubblica li ho studiati a fondo, di alcuni ho fatto una mia traduzione mischiando altre traduzioni. In tal modo ho semi-imparato il greco da autodidatta. Con un testo a fronte oggi riesco a leggere il Vangelo in originale.

A 28 anni mi trovavo in condizioni pessime. Mio padre era morto quando ne avevo 25, la rottura di due relazioni sentimentali consecutive intense – tra cui quella con la fotografa – mi aveva lasciato straccio che vagava pazzo e non era capace di studiare. A 24 anni avevo lasciato sia l’università sia il lavoretto di commesso e mi ero chiuso in casa a esplorare le cose letterarie e filosofiche che ho detto. Mantenuto da mia madre, passavo il tempo correndo, girando per biblioteche, scrivendo su un blog e facendo psicanalisi. Una volta arrivato alla Bibbia, con tutti i riferimenti alla divinità che si trovano nei dialoghi socratici, la cosa più sensata era provare a pregare.

Una notte – dormivo di giorno e vivevo di notte – dissi questa frase: “Se ci sei, ascolti tutto; quindi ascolterai anche ciò che sto per dire”. Iniziai a pregare regolarmente. Dopo un po’ iniziai a entrare nelle chiese e a pregare lì, anche se ancora non osavo accostarmi alla messa. Pregando, facevo sempre più l’esperienza di un cambiamento tra il prima e il dopo. Dopo la preghiera mi sentivo pacificato, serio. All’inizio pensavo fosse la preghiera stessa a compiere l’effetto, col tempo mi resi conto che era Dio, che ascoltava la preghiera.

La preghiera era varia. Non pregavo con preghiere già pronte, dialogavo con Dio. Mi ero abituato con uno psicanalista woodyalleniano, che stava sempre zitto... mi abituai a presentare i miei problemi a Dio. Mi arrivavano sempre più luci sulla divinità, capivo sempre di più. Ero sempre più gioioso, specie dopo la preghiera. Fui talmente felice di questo ingresso di Dio nella mia vita che mi convinsi dietro ci fosse una chiamata. L’andare della vita da nessuna parte si tramutò in un percorso pieno di senso. Ero chiamato a fare il monaco!

Felicità spezzata

Milena era seduta sulla poltroncina del locale Grande Valle Verde e beveva un cocktail. Aveva appena finito di ballare una salsa. Doveva riposarsi perché aveva una forma acuta di fibromialgia. La fibromialgia causava dolori muscolari e faceva stancare velocemente. Il moto faceva bene, ma Milena poteva ballare solo tre salse in una serata, la spossatezza la costringeva a sedersi. Ballava solo con Mirko, un ragazzo di sette anni più giovane. Quando la vedevano sedersi, gli uomini si avvicinavano per chiederle di ballare, lei diceva: “No, grazie, per ora mi fermo un po’”. Andavano via stizziti, arrabbiati per essere stati rifiutati. “Chi si crede di essere, quella?”. Nei locali di ballo latino-americano si usa ballare con tutti, non a preferenza. Milena non poteva spiegare la sua malattia. Una volta aveva provato a dire: “Ho una malattia che mi fa affaticare. Si chiama fibromialgia”, si era sentita rispondere: “Ma allora stai a casa, no?”. Era dura accettare ci fossero persone capaci di tale insensibilità. Ma dopo la separazione dal marito, e la fine dell’ultimo rapporto, il ballo era l’unica cosa che faceva felice Milena, e anche l’unica speranza di poter incontrare un altro uomo. Da due anni non aveva rapporti sessuali con l’uomo attuale. La cosa era finita, lei lo aveva detto, i due abitavano pure in case separate. Milena, quarantacinquenne, abitava col figlio ventenne, avuto dal marito. L’uomo con cui stava non accettava la separazione, continuava a telefonare, tanto che Milena stava per convincersi ad andare dai Carabinieri. Mirko fu una boccata d’aria. Mirko era un bravo ragazzo, non troppo avvenente, ma con un bisogno estremo di sesso e di una compagna. Non pensava ad altro, pur vivendo nella casa famiglia della parrocchia e avendo un lavoro precario. Il suo sogno era sposarsi e avere figli, come suo fratello e le sue sorelle maggiori. Il bisogno di sesso lo aveva spinto, in passato, ad andare con escort e trans. Il lavoro era secondario, la casa era secondaria. Mirko aveva bisogno di sesso. Nei suoi anni più felici, 15 anni prima, era stato con una brasiliana cocainomane che gli faceva: “tutto, più che una prostituta”. Milena e Mirko andarono in una zona della spiaggia lontana da quella in cui andavano il fratello e le sorelle di Mirko con le loro famiglie. Mirko voleva tenere per il momento nascosta la relazione, era ancora tutto da vedere, c’era ancora quell’uomo. In spiaggia Milena e Mirko si baciarono e stettero a lungo abbracciati. Erano come orsacchiotti amanti delle coccole. Poi Milena chiese a Mirko di portare la sua auto per andare al Gran Valle Verde. Mirko le aveva spiegato che dopo un incidente anni prima aveva smesso di guidare. Lo incoraggiò e quella sera Mirko si recò a casa di Milena in autobus, pronto a guidare fino al Gran Valle Verde, 40 minuti di superstrada. Citofonò. “Chi è?”. “Sono Mirko, ti aspetto qua sotto”. Mentre Mirko aspettava, vide un’ombra avvicinarsi. Capì subito. L’uomo gli andò troppo vicino, troppo velocemente, Mirko sentì una fitta a lato della pancia, guardò in basso e vide l’uomo sfilare un coltello. Si allontanò e Mirko sentì mancare i sensi. Le ginocchia si piegarono, sedette sull’asfalto. Non udì le urla di Milena. Non arrivò vivo all’ospedale.

Calpurnio

A Corabili negli anni ‘50 c’era il problema dei topi. Erano ovunque in giro per il paese. Nunzio Gironelli venne eletto sindaco nel 1955. Nunzio Gironelli è stato allattato dalla mamma fino a tre anni. Le elezioni non erano state prive di brogli. Nunzio Gironelli andava a pesca. A causa dei brogli elettorali il Cielo era adirato con lui. Per mesi non prese pesci. “C’è chi va a pescare, e chi va a prendere pesci”, gli diceva Tonello quando lo vedeva passare con la cesta vuota. Il suo pontificato durò solo 298 giorni. Calpurnio, cugino di Nunzio Gironelli, andava nelle case di Corabili e diceva: “Se non fate sindaco Nunzio vi ammazzo il gatto”. La canna da pesca pesava 300g al mattino ma 3Kg verso sera. Calpurnio era demente, lo sapevano tutti a Corabili. I 1.251 abitanti temevano una moria di gatti, perciò andavano dai carabinieri e raccontavano le minacce. Il maresciallo dei carabinieri era il papà di Calpurnio, sapeva che era demente, quindi lasciava perdere. Nel 1952 da Corabili erano andati tutti e 1.251 a Bari a comprarsi i gatti. A Nunzio Gironelli piacevano le maggiorate. Siccome passava tutto il tempo a pesca, in comune non c’era mai. Le pie donne del paese escogitarono un’invenzione. Mentre Nunzio pescava, mandarono Tonia, una maggiorata di Bitetto, a dire che il Cielo era adirato con lui per i brogli elettorali. Nunzio ci credette subito e diede le dimissioni. Al suo posto fu eletto Apollinare Morstabilini, il notaio. Calpurnio fu mandato in un istituto di Bari.

Libertà di perdere la creaturalità

Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più in suo nome!» (Ger 20, 9)

Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore (Gn 1, 1-3)


Il Vangelo di oggi, 19 luglio, affatica la mia meditazione.

In quel tempo, mentre Gesù parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli.
Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti».
Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».
Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,46-50).

La nozione che Dio che è un Padre del quale tutti siamo figli contrasta, pare, con la nozione di questa pagina di Vangelo, nella quale sono detti fratelli di Gesù, e dunque figli di Dio, solo coloro che ne fanno la volontà.
Chi dunque è figlio di Dio, tutti o solo coloro che ne fanno la volontà?

In primo luogo non si può non dire che ciascuna creatura di Dio è sua figlia. Dio è padre di qualsiasi cosa ha creato. Ne è creatore, ergo ne è padre.

Si può però vedere la cosa dal punto di vista del passo di Vangelo proposto il 19 luglio dalla Chiesa ai fedeli, Mt 12, 46-50.

Gesù è senza dubbio figlio di Dio, non si può non dire questo di lui. Gesù è il Figlio, l’unigenito. Il Figlio del Padre, seconda persona della Ss.ma Trinità, è nato prima di tutti i secoli di un parto unigenitale. Non c’è stato accoppiamento. Gesù è stato generato – “non creato” – dal Padre in solitudine.

Per comprendere il passo del Credo in cui si dice che Gesù è: “generato – non creato – della stessa sostanza del Padre”, occorre tener presente che la generazione riguarda gli enti invisibili, che nascono gli uni dagli altri mediante immacolata concezione; mentre la creazione riguarda la nascita delle cose visibili – create, appunto – da quelle invisibili, e in secondo luogo la riproduzione di cose visibili da cose visibili.

La seconda persona della Ss.ma Trinità, il Figlio unigenito di Dio, poi, alla pienezza dei tempi si è incarnata in Gesù di Nazareth, andando ad aggiungere alla già presente natura divina la natura umana.
Gesù, nella sua vita mortale, non si è discostato mai dalla volontà del Padre. Già era Figlio, in più lo ha confermato con la vita.

Mi è sempre piaciuta la bellezza della corrispondenza tra le profezie fatte su Gesù – e su San Giovanni Battista, se è per questo – e il perfetto compimento delle profezie. Credo infatti che la libertà di cui l’uomo è dotato dia la possibilità di contravvenire a ciò che è predetto. Gesù è l’esempio di come Dio, quando vuole fare una cosa, la fa. Se dice una parola, essendo la sua Parola verità, questa si avvererà, diverrà concreta, diverrà realtà. Quando Gesù era neonato già sapevano che era il Figlio di Dio. Però c’è stato sicuramente anche un processo attraverso il quale è divenuto tale. Pensiamo com’era quando aveva dodici anni.

I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole (Lc 2, 41-50).

In casa di Giuseppe e Maria si pregava parecchio e si osservava alla lettera tutto ciò che prescriveva la legge di Mosè. Aveva ampio spazio la Torà, la Sacra Scrittura. Ho sempre pensato che in una famiglia così la Torà non era solo un dovere religioso, da studiare e imparare a memoria per conoscere Dio... era anche una fonte di svago, il luogo da cui si prendevano i racconti, le storie con cui intrattenersi e distrarsi. Era la loro televisione. Per quanti secoli, prima di essere fissata su carta, la Sacra Scrittura è stata tramandata oralmente! Pensiamo a un bambino con un’intelligenza straordinaria che cresce in questo contesto, fatto anche di parenti religiosi e pii, nella teoria e nella pratica. Un bambino la cui unica passione è la Sacra Scrittura, che narra le gesta del Padre e le sue manifestazioni. Ecco che pian piano prende forma e ratio il passo del ritrovamento di Gesù nel tempio che dialoga coi dottori della legge.

Nel caso di Gesù la profezia sulla sua vita si è compiuta pienamente, perché il Padre aveva deciso, prima della creazione del mondo, che così dovesse accadere alla pienezza dei tempi.

Ma nel nostro caso? La libertà, che pure ci è stata data dal Padre come parte della nostra natura, non permette che ci discostiamo dalle profezie fatte alla nostra nascita? Quante promesse, quante aspirazioni, quanti obiettivi mancati! A volte è stato per colpa di altri, ma a volte per colpa nostra. È facile capire che fare la volontà del Padre è l’opzione migliore, poiché egli è la più perfetta di tutte le entità esistenti. Tuttavia capita che manchiamo il bersaglio anche se ci proviamo con tutte le forze. La ricerca di cosa vuole Dio da noi termina nei dieci comandamenti, nel comandamento nuovo dato da Gesù e in generale negli insegnamenti del Vangelo, dove Gesù insegna come fare la volontà del Padre. Inoltre ci si può affidare alla preghiera e ai pastori della Chiesa, i quali possono essere in grado di far discernimento per individuare come attuare la volontà di Dio nelle varie decisioni della vita.

Ciò che mi chiedo è questo. Dato che gli uomini, tra tutte le creature, hanno la libertà e possono dunque contrastare la volontà del Padre, non è forse possibile che, pur essendo creature di Dio, quando contrastano la sua volontà cadano per così dire fuori dalla condizione di figli di Dio? Mi pare sia questo il messaggio dato da Gesù in Mt 12,46-50. Se “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre”, ergo chiunque non fa la volontà del Padre che è nei cieli non è per Gesù fratello, sorella e madre. In questo caso, quindi, non si è più figli di Dio, creature di Dio. E questo può succedere solo all’uomo in quanto dotato di libertà.
L’uomo, quindi, può perdere la dignità di creatura di Dio. Mi viene il pensiero, allora, che coloro che non seguono la volontà di Dio, i cosiddetti impenitenti incalliti, coloro cioè che in un modo o nell’altro guadagnano l’inferno, perdono la dignità di creature di Dio. Quelli che vanno all’inferno non sono più creature