Eccetera

Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura
(Fil 3, 7-8)


In autostrada, la rapina al portavalori era andata storta, certo, i malviventi morti o feriti o arrestati, certo, ma gli addetti alla conta, un ragazzo fresco di Ragioneria e il prossimo-alla-pensione avevano detto: “Basta”, era troppo, si sapeva da tempo, certo, era pericoloso, ma era giunta anche l’ora di dare un taglio. Lo studio di un rinomato commercialista e la pacchia a vita li attendevano. L’ultimo giorno di lavoro coincise, portarono paste, salatini, bibite.

Domenica e Ludovica avevano risposto all’annuncio: “Addetto/a sala conta” contrassegnato: “Urgente” qualche giorno prima; già erano operative. Festeggiarono con gli altri poi si recarono in sala conta. C’era un tavolaccio rigato, sottratto, pareva, a una bettola. In mostra, nell’angolo in alto, la videosorveglianza in veste di telecamera bianca sfoggiava una lucetta verde. Non ci si poteva aspettare di meglio dalla sala Bingo “New Slot World 2000” di Alessandria.

Alfio era la guardia generale, gli spettava spostarsi tra l’ingresso e la sala giochi. Fares aveva un ruolo apparentemente meno oneroso, stare fisso sulla soglia della sala conta mentre le ragazze erano all’opera e poi aiutare il portavalori a caricare. Alfio e Fares si conoscevano ormai, uno era Guardia Particolare Giurata da sei anni, l’altro due. Li separava l’età, 28 anni uno, 22 l’altro. Fu Alfio a fare la proposta, suggerita dalla succulenta circostanza: “Le portiamo fuori?”. Fares: “Magari! Io però non so cosa dire”. “Faccio io”, dice Alfio. 

Le ragazze arrivavano alle 21,00 e si chiudevano in sala conta, il tempo era poco, ma si salutavano con gli altri dipendenti, c’era famigliarità. Alfio impiegò due settimane a trovare la frase giusta. “Sai cosa mi ha detto Alfio mentre passavo?”, dice Mimma. “Spero una porcheria!”, dice Ludo. “Ma no, è un ragazzo caro. Non hai notato?”. “Sinceramente, no”. “Be’, mi fa: ‘Andate a casa, tu e la Ludo, quando staccate?”. “Non ci credo!”. “Sì!”. “Da me cosa vuole, scusa?”. “Senti il resto: ‘Fares e io andiamo a bere una cosa...’”. “Fares? Ma ha due anni!”. “Aspetta, Ludo, senti il resto”.

“‘Andiamo a casa’, ho detto. Stavo per entrare in sala conta: ‘Volevo solo dirti che penso che sei carina’, dice”. Alfio aveva optato per la sincerità. “Un po’ sfigato! Alla sua età poteva inventare un approccio più articolato”. “Te l’ho detto che è un caro ragazzo”. “Vogliono solo trombare”. “Dici?”. “Certo!”. Mimma è pensierosa: “Infatti ho detto: ‘Io, invece, penso di essere brutta’”, dice, “e ho troncato. Non la do a uno di passaggio, mi fa solo perdere tempo e dignità. Un conto è se s’innamora e vuole sposarsi”. “Mimma, scusa se te lo dico, ma dovresti mollarla un po’”, dice Ludo.

“Il mio sogno è il doppiaggio, lo sai”, dice Mimma. “Se inizio a fare la scecca in giro, magari con qualcuno che mi fa perdere la testa, il mio sogno è finito. Non posso permettermelo”. “Okay, okay”, dice Ludo. “Non so se mi piacerebbe avere un’ambizione come la tua”. “Tu non hai problemi”, dice Mimma, “sei di famiglia ricca. Non vuoi realizzarti?”. “Non farmene una colpa, Mimma”. Ludo, al contrario della palermitana Mimma, era di famiglia alessandrina benestante, poteva studiare e sistemarsi ma a motivo della libertà aveva considerato tutto spazzatura. I suoi modelli erano Carola Rackete e Greta Thunberg; da qui, a 31 anni, il ruolo di addetta alla sala conta.

Le bastava avere un lavoro per mantenersi da sola. “Ultima Generazione domenica occupa l’autostrada, vieni?”, dice Ludo. “Te l’ho detto che ho un’audizione tra un mese! Devo fare le prove!”, dice Mimma. “Mimma, dai! Un po’ di vita, hai 26 anni! Non credi sia importante l’attivismo?”. “Con tutto il rispetto, Ludo, ne abbiamo parlato, sono d’accordo con le tue idee, l’ambiente va rispettato eccetera, ma non sono fanatica”. “Va bene. Almeno stasera vieni?”. “Ma se hai detto: ‘Fares ha due anni’!”. “E allora? Mica me la tengo stretta!”. “Ma scusa, poi, con un algerino? Così magrolino...”. “Anche razzista? Non vedi che è quasi bianco? E poi è nato in Italia...”.

A fine turno, sul piazzale, Alfio e Fares aspettano. Ludo va verso Fares, gli prende la mano e senza dire parola lo trae alla gialla Peugeot 208. Il ricciolino è sollevato poiché non saprebbe cosa dire. Una volta in auto: “D-Dove si va?”. “A casa mia”, dice Ludo, “vivo sola”. Mimma passa davanti ad Alfio senza guardarlo. “Buonanotte”, dice. “Buonanotte”, dice Alfio. Ma gli fa pena; tira un sospiro e ruota: “Guarda, non so i tuoi progetti, ma io devo studiare, tra un mese ho un’audizione, te l’ho detto che il mio sogno è lavorare nel doppiaggio, se ricordi...”. “Ricordo...”, dice Alfio. “Non preoccuparti, capisco...”. “Non ho tempo per avventure”, dice Mimma; si allontana.

“Troppo peloso per una notte e via, è un belloccio, non un bello...  e quelle basette a punta, che terronata!”, sono i pensieri di Mimma alla fermata. “Che ragazza seria! Com’è determinata! Se avessi il coraggio di parlare apertamente dei miei sogni... invece mi limito a comporre poesie in segreto. Forse dovrei dirlo a Mimma... che aspiro a divenire poeta... lei mi capirebbe. Ma cosa se ne fa, una ragazza così ambiziosa, di una Guardia Particolare Giurata barra poeta fallito di Sannicandro di Bari?”, sono i pensieri di Alfio mentre osserva la Peugeot 208 allontanarsi sulla statale.

Condanna e ammonizione

Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. (1Cor 11, 28-29)

Perché San Paolo dice che se non si esamina se stessi prima di fare la Comunione si mangia la propria condanna?

Esaminare se stessi significa confessarsi. Lasciamo stare, per il momento, che al tempo di San Paolo non c’era l’assoluzione sacramentale mediante i ministri della Chiesa che è poi divenuta uso. Mediante l’esame di se stessi, la confessione, l’ammissione della propria colpa, oggi come allora, si ottiene il perdono dei peccati.

Se si mangia il Corpo del Signore senza essersi confessati e aver ricevuto l’assoluzione, i peccati ci sono ancora. La comunione con Dio (chiamiamola pure: “unione”) diventa, allora, condanna.

È da tener presente che l’unione con Dio è il massimo beneficio a cui l’uomo possa aspirare. L’unione con Dio porta grazie.

Se si è trovati pronti, ossia privi di peccato e puri, all’unione con Dio, non ci sono problemi, si è ammessi alle nozze con lo sposo, la somma unione.

Se non si è trovati puri, ossia privi di peccato?
Qual è la maggior grazia che Dio fa a una persona in stato di peccato?
Dio elimina il peccato, è la sua funzione.

Dio può però eliminare il peccato in due modi.
Se ammettiamo noi per primi il peccato, Dio elimina il peccato perdonando.
Se non ammettiamo il peccato, Dio elimina il peccato correggendo.

“Quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo” (1Cor 11, 32). La correzione può apparire punizione, a volte appare una sfortuna che capita, una perdita, un’umiliazione.

(Al lato pratico, come dicono i preti, la Confessione si può fare anche subito dopo aver fatto la Comunione o appena si ha tempo e possibilità, l’importante è fare la Comunione con l’intenzione di confessarsi).

L’importante è ammettere i propri peccati di propria spontanea volontà davanti a Dio. Questo genera assoluzione, perdono, misericordia da parte di Dio.

Qualora, invece, ci si ostina a non ammettere i peccati, si incorre in ciò che può apparire punizione, condanna. Dio vuole comunque rimuovere i peccati, ma senza la nostra previa umile ammissione è costretto a contestare il fatto che sosteniamo di non esser peccatori, è costretto cioè a rimproverare, ammonire, a evidenziare, far notare il peccato.

Chi ha mai subito un rimprovero sa che può far male. Una sfortuna che capita, incidente, malattia, contrarietà, può essere un modo che Dio ha per rimproverare e correggere, come, per dire, una bastonata.

Ecco la condanna di cui parla San Paolo in cui si incorre facendo la Comunione senza essersi confessati. Se Dio trova puri e pronti, si unisce; se trova con peccati, prima purifica, poi si unisce.

La pompa di benzina

Mogli e buoi dei paesi tuoi
(proverbio)


Un ragazzo riccio, biondo, alto, magro, che regge una cassetta di cartone originariamente contenente dodici cartoni di latte, ora piena di prodotti, si mette in coda; il ragazzo davanti, tarchiato, coi capelli rasati, in mano due tavolette di cioccolato da 750g, si gira.

“Uè, Vince’!”
“Oh! Ciao Artur”.
“Facciamo la spesa?”.
“Eh, sì”, dice Vincenzo. “Anche tu?”.
“Vengo sempre al Lidl quando ho finito”.
“Era impossibile... ho dovuto andarmene”.
“Cosa? Dove?”.
“Non lavoro più da Gianbattista. Non sapevi?”.
“Come?”, Artur guarda a sinistra e resta sospeso, corrucciando le sopracciglia e subito spalancandole. “È vero! Adesso che ci penso è un po’ che non ti vedo!”.
“Era sfruttamento. Mi faceva iniziare alle cinque quando non va un cazzo di nessuno a far benzina, e alla sera, anche se staccavo alle sette, mi faceva stare mezz’ora in più per pulire il cazzo di ufficetto!”.
“Ma dai!”, dice Artur, “non ci credo”.
“Sì, sono aguzzini”.
“Ti facevi il culo a lavare tutte quelle auto. E ora?”.
“Sto cercando altro”.
“Vieni da Bartolini! Lo dico al responsabile”.
“Sei matto? Vi ammazzate per due soldi, poi il traffico, il freddo d’inverno, il caldo d’estate...”.
“Hai ragione. Ti conviene andare al Centro per l’impiego”.
“Sì, ci ho pensato...”.
“Tocca a te. Ci vediamo!”.
“Ci becchiamo in giro!”. 

Il giorno dopo, Artur, come sempre, col cassonato rosso va a far gasolio. Trova, come una volta, Gianbattista magro e abbronzato, spazzolino brizzolato in testa, giacca tecnica gialla.

“Gianbattista! A cosa dobbiamo l’onorevole presenza?”.
“Ciao moldavo! Sono venuto per te, mi mancava la tua brutta faccia!".
“Ha parlato Brad Pitt!”.
“Sono solo passato, Imeria se la cava, anche se avrebbe bisogno di uno con le braccia forti”.

Gianbattista Pesenti è della Val Brembana, come il fu Aristide Pesenti, primo proprietario della pompa di benzina.

“Ho incontrato Vincenzo al Lidl. Dice che se n’è andato, non ce la faceva più”.
“L’abbiamo cacciato, quel napoletano, perché grattava”. Fa il gesto con la mano.
“Rubava?”.
“Nelle auto...”.
“Quelle da lavare?”.
“Sì”.
“Oh, piano con le parole”, dice Imeria; arriva asciugando le mani nello straccio, rossetto fin sulla carne e sedere abbondante nell’uniforme Eni, argento e gialla. “Hai qualcosa coi napoletani?”.

Solo dopo aver sposato Imeria, Gianbattista ha iniziato con l’agonismo, appassionato di arrampicata sin da ragazzo. Per un po’, dopo il matrimonio, hanno gestito assieme la pompa di benzina. C’era ancora Aristide a dare una mano, per passare il tempo. Quando la A.S.D. Climbing ha manifestato interesse, Gianbattista si è unito alla squadra per gareggiare da professionista, lasciando la pompa di benzina alla moglie.

“Quanti anni hai, Artur?”, dice Imeria. “Vincenzo ne aveva 26. Abbiamo dovuto licenziarlo. Più di un cliente si è lamentato perché sparivano telefoni. Ci siamo confrontati e ha negato. Ho detto: ‘Se te ne vai, non ti denuncio’. Abbiamo rimborsato i clienti sotto banco, quasi 2.000 euro m’è costato”.
“Stavo dicendo a Gianbattista che l’ho incontrato al Lidl, dice che è andato di sua volontà perché lo sfruttavate”.
“Cosa dice? Se si permette di mettere ancora piede qua lo strangolo, mariuolo!”.
“Ora come fate?”, dice Artur.
“Stiamo cercando. Per questo chiedevo quanti anni hai”.
“33”.
“Non sei stufo di Bartolini?”.
“Non ce la faccio più! Per arrivare a 1.500 euro devo lavorare fino alle sei. È così quando sei padroncino”.
“Con noi saresti dipendente, basta partita Iva. Ti diamo 2.500 euro, tredicesima, quattordicesima, ferie pagate... Qui, sulla provinciale, il lavoro non manca. C’è solo da farsi il culo a lavare le auto, servire i clienti, pulire...”.
“Ti faccio sapere!”.

***

Pochi fanno il Servito, più che altro si sta all’autolavaggio. I clienti di case e aziende vicine lasciano le auto e ripassano. Dopo le spazzole c’è da fare gli interni e lucidare. Mentre Artur è chino nel Mercedes nero, Imeria osserva il didietro.

“Così, vai a correre?”.
“Tre, quattro volte a settimana”.
“Che bel culo ti è venuto”.
“Grazie”.
“Se te lo fai toccare ti do l’aumento”.
“Certo, subito!”

Artur e Imeria fanno risate. Di fatto, Imeria inizia a non risparmiare pizzicotti e manate. Mentre lavano le auto assieme, volano doppi sensi.

“Passami lo straccio”.
“Ok”.

Imeria allunga la mano.

“Mettimelo in mano”.
“Ok...”.

Una sera, in ufficetto, dopo aver ricevuto una manata sul sedere, Artur si volta e spinge il bacino in fuori.

“Tocca ora, se hai coraggio”.

Imeria non se lo fa dire due volte. La mano si muove lentamente, facendo registrare alle due menti la durata del movimento e i momenti in cui si trova nello spazio tra il fianco di Imeria e l’inguine di Artur. Infine, arriva. Imeria prova una sensazione di morbido. Afferra ma non stringe, piuttosto fa un movimento circolare.

“Mmmh”, dice Imeria.
“Cosa facciamo, ora?”, dice Artur.

Imeria mette le mani sulle spalle di Artur e spinge, dolcemente. Artur fa due passi indietro. Arrivati a fine scrivania, manovrando sulle spalle lo fa girare attorno, due angoli, poi la sedia a ruote di pelle nera. Una spinta accentuata fa finire Artur a gambe spalancate.
Imeria abbassa la saracinesca.

“Gianbattista è sempre ad allenarsi e in trasferta...”.

Sono le penultime parole di Imeria, prima di tornare tra le gambe di Artur, inginocchiarsi e afferrare l’orlo della tuta.

“Il boss è stanco, ha bisogno di alleviare lo stress?”. 

***

“Cosa ha da dire al pubblico?”.
“Sono soddisfatto del risultato. Sono partito dal nulla, facevo il benzinaio e ora mi ritrovo a vincere un campionato nazionale. Chissà cosa mi riserva il futuro!”.
“È partito come scudiero di A.S.D. Climbing e ora gareggia addirittura per North Face. Come ha fatto a trasformare la sua vita e compiere una vera e propria scalata in pochi anni?”.
“Merito di mia moglie. Se non ci fosse stata lei a prendere le redini della pompa di benzina di famiglia non avrei potuto dedicarmi all’arrampicata a tempo pieno. È lei a occuparsi di tutto, il managment, le assunzioni...! Sa palpare le situazioni, una scopritrice e una sostenitrice! La A.S.D. Climbing, poi, ha avuto un ruolo fondamentale. Sono loro che mi hanno permesso di arrampicare da professionista. È stato con Riva che ho fatto i passi decisivi, le vittorie tra 2017 e 2019 le devo a lui. Poi c’è stato il Covid, che ha fermato tutto... gran batosta, ma anche gran tempo di riflessione e maturazione. Ho potuto perfezionarmi anche se non c’era lo stimolo della gara. Il rapporto con la montagna ha alimentato nel mio carattere la passione per la roccia e la libertà interiore. Abbiamo ripreso nel ‘22 coi campionati indoor e lì mi sono distinto tanto da essere scelto da North Face per rappresentarli. Un onore e una conferma. Da lì in poi ho iniziato a credere, credere di poter essere numero uno. Ringrazio tutti ma in particolare Dennis Ruzzenenti, AD di North Face, e naturalmente mia moglie Imeria!”. 

La giornalista lavora sola. Ha una telecamera digitale che gestisce in autonomia. Ha messo microfoni che si collegano via bluetooth uno alla propria camicetta e uno alla maglietta di Gianbattista. Avvicinandosi per staccarlo, sente l’odore. Gianbattista è inebriato dal profumo.

“Ti piacerebbe farmi l’autografo?”. 
“Dove?”.
“Sulla foto!”, dallo zaino estrae una foto di Gianbattista in allungo.
“Wow, che allungo, non ho mai visto questa foto! Che figo!”.
“L’ho scattata io... dove credevi volessi l’autografo?”.
“Da come l’hai detto, sulla chiappa!”.
“Ti piacerebbe farmi l’autografo sulla chiappa?”. Porge a Gianbattista un pennarello.
“Pare un trabocchetto... sai che sono sposato?”.
“Purtroppo, sì. So tutto...”.
“Ti informi, per i campionati...”.
“Non proprio... sono una fan! Anch’io arrampico, da dilettante. Ti seguo dai tempi di A.S.D. Climbing”.
“Come ti chiami?”.
“Gregoria...”.
“Gregoria, di dove sei?”.
“Pinzolo, Trentino”.
“Conosco... ‘A Gregoria di Pinzolo, gran arrampicatrice, un abbraccio roccioso. Gianbattista Pesenti’”.
“Ti stimo, sai?”.
“Vuoi stimarmi mentre andiamo a pranzo?”.
“Con il mitico Gianba Pesenti? Non dirlo due volte!”.

Gianbattista apre la portiera, Gregoria entra; fa il giro, entra, infila e gira la chiave.

“Aspetta”, la mano di Gregoria è sulla gamba di Gianba. “Sarai stressato dopo una lunga gara...”.
“A proposito di allunghi...”, Gianbattista slaccia il cordino dei pantaloni tecnici...

***

Gianbattista Pesenti e Imeria Capuzzi firmano il divorzio addì 22 febbraio 2024, Imeria col rossetto sulla carne e Gianbattista con la giacca tecnica gialla. Un nuvolone nero copre il cielo, intemperia sferza la terra. Non trapelano notizie sulla divisione dei beni. 

Commento a Cammino di perfezione, capp. 10-16

p. 58 (cap. 10): “chi perviene a questo grado”, “per belli che siano (…) dilettino la vista”.

S. Teresa riconosce che ci può essere bellezza nei corpi e il senso attraverso cui questa bellezza è percepita (vista). Riconosce poi che la bellezza delle cose create è: “motivo per lodare il Creatore”. Il creato, cioè, è bello nel complesso per il fatto di essere opera di Dio; inoltre, nel creato ci sono cose che partecipano della bellezza (bello in sé) più di altre. I corpi umani sono solo alcuni corpi, corpi particolari, ma qualsiasi oggetto della natura può essere ammirato dalla vista se dotato di bellezza (armonioso, proporzionato, ordinato, ecc.). S. Teresa mostra di essere consapevole, anche se non si sa quanto formalmente, dell’esistenza di una scala del bello, della quale i corpi materiali, terreni, creati, fisici, ecc. con la loro possibilità di essere belli non rappresentano che i gradini iniziali. Così come le cose spirituali sono più importanti di quelle materiali (l’anima del corpo), così i belli a esse relativi. Sulla scala del bello i posti più alti sono occupati da belli generali più che particolari e da belli relativi all’anima più che al corpo.

Così, un’anima bella è più amabile, ossia più degna di amore, di un corpo bello. S. Teresa passa poi a descrivere cosa significa avere un’anima bella, per mettere le monache in condizioni di riconoscere tale anima e sapere così come comportarsi con le persone, quali sono degne di un certo tipo di amore (devozionale) quali di altro (caritatevole).
Naturalmente le caratterizzazioni della santa sono tentativi di scienza in cui tutti possono e dovrebbero cimentarsi, in quanto la ricerca di ciò che è bello nel campo delle anime, delle azioni umane e dell’invisibile è l’impresa più ardua e allo stesso tempo più elevata. Passare tutta la vita a indagare sul bello, in tutte le sue forme, è la migliore delle occupazioni e una strada che porta a Dio, ossia a vedere (contemplare, perché “conoscere” è termine qui inappropriato) il bello in sé, il Creatore di tutti i belli, ciò che fa bella ciascuna cosa bella, Colui senza il quale niente di ciò che è bello è bello, ecc.

§2. Coloro che amano il bello terreno (dei corpi) sono spesso accusati di meschinità. Ma non vanno accusati superficialmente. L’impulso che li porta ad amare il bello è buono. È pur sempre: “il grande e astuto Eros” (Simposio). Tutte le persone sono amanti del bello. Quelle che lo sono in modo più intenso ne sono i più grandi seguaci e sono colmi di doti che dovranno portarli a grandi risultati, a cose felici e all’amore per Dio, il Bello per eccellenza. Con altra terminologia potremmo dire che i seguaci del bello sono cari agli dèi.
Il problema, però, sorge quando si fermano al bello materiale, terreno, corporeo, ecc. Bisogna educarli a salire sulla scala del bello, cosa che comporta imparare a riconoscere e ammirare il bello dell’anima e quindi innanzitutto le belle scienze e ciò che da esse discende, come le belle attività umane.
Coloro che sono portati al bello e tendono al bello sono infatti coloro che per natura sono dotati della condizione più favorevole per arrivare a contemplare, dopo un’adeguata e faticosa ricerca su tutte le forme di bello, materiali e spirituali, il bello in sé, che è Dio.
È errato quindi accusare categoricamente coloro che amano la bellezza dei corpi. Bisogna riconoscere che il loro amore per il bello ha radici più profonde e obiettivi più alti e che loro sono semplicemente, più o meno consapevolmente, a uno stadio precoce della contemplazione del bello. Semmai vanno commiserati e sollecitati a non fermarsi al bello percepibile, terreno, come uno, ad esempio, che intraprende la carriera di critico d’arte, ma a proseguire sulla scala e a spingersi nella ricerca e nella determinazione di altri belli. Istruiti in primo luogo sulla differenza tra anima e corpo e sulla preminenza di questa su quello, giungeranno a occuparsi soprattutto di belli spirituali.

p. 59, S. Teresa ha grande scienza e in ciò è davvero persona divina, lo si capisce quando dice cose come “vanno al di là del corpo”. Sa che ciò che è amabile nell’anima è più importante di ciò che è amabile nel corpo; capisce la predisposizione per il bello di coloro che “restano turbati” (Simposio) dalle bellezze terrene e invece di accusarli di meschinità li commisera e li esorta a concentrarsi su ciò che di amabile si può trovare nell’anima piuttosto che nel corpo e in base a ciò eleggere amici, favoriti e congiunti. Loda coloro che hanno capito ciò e, seguendo le tracce del bello, “vanno al di là del corpo”.
“scavando, troveranno oro”: quando si trova un’anima bella per natura, ovvero “non priva di doti” (Simposio), cosa può e deve fare colui che l’ha riconosciuta per incrementarla e migliorarla, per mettere a frutto le doti? Amare un’anima siffatta in modo degno consiste nel contribuire alla sua crescita, portando a compimento i beni di cui è dotata.

§3 (p. 59): “stabili”: carenza di S. Teresa (mi perdoni! E Dio mi aiuti a non dire empietà): chiama “stabili” le cose solide, cioè suppongo il termine “stabili” le venga proprio dalla consistenza concreta del mondo fisico, per cui si è anche portati a pensare che una cosa che si può toccare è certa e sicura (ad es. la bellezza di una persona, la ricchezza, ecc.). Ma la verità è che la realtà materiale, in quanto generata ha nascita e avendo nascita ha anche morte e tra nascita e morte ha corruzione, ossia degenerazione, ossia costante cambiamento. Il mondo fisico, fenomenico, materiale, terreno, ecc. è quello soggetto a divenire e pertanto instabile (e inconoscibile). Tutto ciò che si percepisce coi sensi non è in realtà né stabile né conoscibile. Solo ciò che è eterno può essere veramente bello sempre, e perfetto, quindi amabile e conoscibile. Qui S. Teresa usa il termine: “stabile” in modo, direi, filosoficamente non rigoroso. Vuole dire che si è illusi dalle cose che si toccano (“ciò che vedono (…), ciò che odono”) che proprio in quanto tali sembrano stabili perché più concrete e anche più evidenti, pertanto si tende ad attaccarsi a esse e si è portati ad amarle non sapendo che in realtà sono effimere, mentre le cose più degne d’amore sono quelle relative all’invisibile (che è fuori dalla presa della percezione).

Seconda parte di §3; §4: quando un’anima pur dotata non ha come obiettivo finale Dio. Discorso specificamente teresiano in quanto fatto a monache, le quali per la scelta che hanno fatto sono vincolate ad abbandonare un amore anche per un’anima molto cara se questa non mostra di avere come fine il loro stesso fine che è Dio. Qui S. Teresa dà una sorta di consiglio personale alle monache che trovano un’anima che seppur ben dotata non ha amore esclusivo per Dio. Con costoro, a meno che non si riesca a istigare in loro tale amore, suggerisce di non allacciare quel tipo di rapporto e di non perseverare, dato che i componenti di questo tipo di amore alla lunga: “dovranno andare in parti diverse”. In tali rapporti non si può arrivare all’amore perfetto.

Cap. 11, sottotitolo: “L’essere amati di tale amore è cosa sublime”; “tale amore”: l’amore perfetto, quello che innanzituto è passato dal corpo all’anima e che inoltre è per un’anima che ama Dio; “è cosa sublime”: per i beni che porta all’amato per via che coloro che amano in tal modo: “non tralasciano di far nulla per il profitto di chi amano; sarebbero pronte a sacrificare mille volte la vita per un minimo vantaggio dell’altra anima” (p. 59); in sostanza per tirar fuori quell’oro che si può tirar fuori scavando (§3).

[Ecco perché ultimamente mi viene da lasciar perdere amicizie e rapporti con coloro che magari ho amato o riconosco essere meritevoli quando vedo che non hanno passione per Dio. Non che voglia dimenticarle; verso di loro però mi viene da assumere un atteggiamento di distacco, non di amicizia devota, sottomessa; mi sento verso di loro benevolente ma in senso paterno. È probabilmente perché capisco che: “dovranno andare in parti diverse” e: “sanno di doverla abbandonare” (p. 59); “non ci si vuole attaccare a qualcosa che in un soffio sfugge di tra le mani senza che si possa trattenerla” (p. 60); ciò che capita quando l’amicizia non è fondata su Dio. Soprattutto pensando a quest’ultima frase, mi rendo conto che probabilmente ho sempre avuto questo atteggiamento verso coloro che chiamavo amici. Ciò è cambiato da quando ho conosciuto Dio, che è come dire che solo Dio permette di avere amici veri.]

Cap. 11, §1 (p. 60): fin qui, S. Teresa ha presentato tre tipi di amore:

1. amore cattivo (“Da questi ci liberi Dio”: §2).“disastrosi e insignificanti amoruzzi della terra”: indirizzati al corpo e: “alle cose del mondo, piaceri, delizie, onori, ricchezze, avrà qualche valore il fatto che uno sia ricco o possa offrire passatempi e distrazioni” (cap. 10, §4).
2. o a qualcuno che “non ama molto Dio” e da cui perciò ci si dovrà separare (cap. 10, §3).
3. amore perfetto: diretto a un’anima ricca di doti e che ama Dio sopra tutto e finalizzato alla crescita della stessa, al “vedere quell’anima ricca di beni celesti” (p. 60).

§2, amore cattivo: “temere che la persona amata muoia”. Egoistico. Si ha paura della mancanza che se ne avrebbe. (Ad es. amici di Socrate che il giorno dell’esecuzione piangono pensando sopratutto alla propria perdita e lui li rimprovera benevolmente; v. Fedone). Per questo ci si preoccupa delle sofferenze della persona.

Invece nell’amore perfetto, essendo la preoccupazione solo il raggiungimento della virtù da parte dell’altra anima, le sofferenze della persona si vedono come prove e pertanto non fanno soffrire, ma rallegrano perché le si sa cariche di frutti.
Le pene che ci si dà per il raggiungimento della virtù da parte dell’altra anima sono buone, vedi cap. 11, §1: “quante lacrime costa, quante penitenze e preghiere, quante [sollecitudini] nel raccomandare la persona amata a tutti coloro che si pensa possano giovarle. È una preoccupazione continua e un tormento assillante. Quando poi, nonostante sia parso di notare un miglioramento, la si vede tornare indietro, sembra che non si possa godere più di alcuna gioia in questa vita; non si mangia più né si dorme con questa preoccupazione”).

(19-10-2011)