L’arte dell’accenno

Morire a volte può essere preferibile a vivere. È il messaggio che si ricava dal dialogo Fedone di Platone. Può capitare; ad esempio, se uno fosse affetto da S.L.A., la malattia degenerativa che porta a paralisi completa. Vivere senza potersi muovere, in un letto d’ospedale, attaccati alle macchine, in balia di chiunque passi che può trattarti come vuole e tu non puoi controbattere o scappare, non poter parlare, è una delle cose peggiori che possono capitare all’essere umano. Così morire sotto le macerie di un terremoto, o annegati, o con gli arti divelti, schiacciati dalle lamiere in un incidente stradale. Oggi Blinken va in Cina in missione di pace, c’è da sperare che le due superpotenze trovino il modo di andar d'accordo. Leggo il primo capitolo di Don Chisciotte e trovo una prosa fatta di lunghi periodi. Ora, Cervantes ha una statua a Madrid, come ha mostrato Mirtillo... si vede dunque che per essere un bravo scrittore bisogna scrivere periodi lunghi? Mi è piaciuto leggere il primo capitolo di Don Chisciotte, sono sicuro che mi piacerebbe anche il resto. È una prosa davvero bella, leggibile, piacevole. La lunghezza dei periodi non inficia la facilità di lettura. Come in Bernhard, d’altronde. I miei periodi sono brevi perché brevi sono le frasi che mi vengono in mente. Sarà un ulteriore segno della mia pigrizia? La verità è che faccio così: se mi viene in mente un periodo lungo lo spezzo in frasi brevi. Non mi piace usare tante virgole come fa Bernhard, anche perché è il suo tratto distintivo e non voglio copiarlo. Preferisco usare tanti punti. La sinfonia 35, Haffner, di Mozart è davvero eccezionale. Non l’ascoltavo da tempo solo perché l’avevo ascoltata troppo. Bernhard è così drammatico sul fatto che se si fruisce un’opera troppo la si rovina...! Non ricordo in che libro parla della Haffner, ma veramente tira fuori una tiritera disperata sul fatto che ha ascoltato troppo la Haffner e ora non gli dà più le stesse sensazioni che gli dava all’inizio... Nello stesso libro dice che a volte per calmarsi deve mettersi con le mani attaccate alla parete gelida e stare lì un po’. Visto che stava tanto da solo aveva il terrore di diventare pazzo. In effetti è vero che parlare con qualcuno di tanto in tanto riporta sulla terra. Ad esempio mi rendo conto che parlare con qualcuno, o scrivere nel blog qualche idea che ho in testa mi fa capire se l’idea è valida o strampalata. Ascolto le Variazioni Diabelli di Beethoven interpretate da Mizuko Uchida. Le Variazioni Diabelli sono una delle mie ultime scoperte, pare che nel mondo musicale vadano di moda, o perlomeno siano tornate alla ribalta. Forse dipende anche da chi sceglie di interpretarle. Ho un bel po’ di musica scaricata con uTorrent, formati mp3, flac, wma, ecc. Quando accendo il computer posso rovistare in questo repertorio. Quando il computer è spento collego gli auricolari bluetooth al telefono e uso Youtube. Certe volte riesco ad ascoltare un pezzo intero senza interruzioni pubblicitarie. Mi piacciono i brani che durano da 20 a 40 minuti. Le sinfonie di Mozart sono perfette. Se si tratta di sonate per pianoforte, che durano pochi minuti, devo ascoltarne tante assieme. Ho ascoltato, a suo tempo, anche le Variazioni Goldberg, i Concerti brandeburghesi, il Clavicembalo ben temperato, l’Arte della fuga, le Suites francesi. In Antichi maestri di Bernhard il protagonista, si dice, fa lunghe dissertazioni sull’arte della fuga passeggiando o a tavola con un suo conoscente. Ma di tali dissertazioni neanche l’ombra. Se si vuole imparare qualcosa sull’arte della fuga non serve a niente leggere Bernhard. A meno che Bernhard stesso non la metta in atto in scrittura, cosa possibile, dato che Bernhard usa idee musicali per la sua prosa. Bernhard parla spesso di un personaggio che si occupa per la vita di un tema, ma non illustra mai minimamente il tema. La sua è una letteratura di accenni, come lui stesso dice spesso: “Questo può essere solo un accenno”. Per capire cos’è l’arte della fuga sono dovuto andare su Wikipedia. Un libro intero sull’arte della fuga non so se lo leggerei, non me ne frega poi così tanto. Ho capito a grandi linee cos’è. È un’invenzione compositiva, è un’idea compositiva, bene, grazie. Possibile, però, che debba essere considerata la migliore idea compositiva mai nata nella storia? Secondo me tutte le forme compositive sono gabbie. Bisogna essere liberi di muoversi. È il contenuto che determina la forma, l’ho sempre detto, non il contrario. Non bisogna imporsi una forma e cercare di infilarci il contenuto. La libertà ha sempre la meglio sulla costrizione. Parafraso un passo della Lettera di Giacomo: “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2, 12-13). Le parole greche che qui si traducono con: “misericordia” sono “eleutherias” (v. 12) e “eleos” (v. 13). Ora, eleutheria significa semplicemente: ‘libertà’, mentre eleos significa già ‘compassione’, ‘pietà’. Ciò che conta è la radice: “ele”, che c’è anche nella parola: “eleemosyne”, ‘elemosina’, e: “eleison”, ‘liberaci’. Nel Padre Nostro i peccati non sono chiamati: “debiti”? Quando si ha un debito si è legati. Ripagare il debito significa scioglierlo e andarsene liberati. Dire: “Va’, non mi devi più niente” è la stessa cosa che sciogliere il debito e liberare. Un mendicante non è forse appeso, legato a causa della povertà, finché non gli si dà qualcosa? Fare l’elemosina è liberare, dire: “Va’”. Non parlo dei due euro, che liberano solo in parte. Il principio è che l’elemosina e la misericordia liberano il beneficiato da un legame, sono una forma di liberazione. È a questo che si riferisce la radice greca: “ele”. Dare è un modo per liberare. Benedire è un modo per dare. Cerchiamo sempre di agire secondo una legge di libertà, dice San Giacomo, perché la libertà ha sempre la meglio sul giudizio. Facciamo di noi stessi dei liberatori. Lasciamo che la gente vada in pace. Avere meno gente che ha legami costrittivi con noi è un beneficio anche per noi. Quando qualcuno ha un legame con noi, anche noi siamo meno liberi. Perdonare fa sentire meglio. Finché non perdoniamo, portiamo dentro rancore. Il rancore è meglio non averlo.

L’imitazione

Mi affascina il cielo, soprattutto quando è pieno di nubi. Ma è solo perché porta il ricordo del Creatore, e dico: “Quanto sei bravo, Signore, sei un maestro!”. Nessun pittore potrebbe creare certi panorami, anche perché quelli sono fatti con la materia prima, vera, mentre il pittore al massimo usa qualche olio, qualche acquerello... E non è vero che l’effetto sull’occhio è lo stesso, semmai è illusione ottica. Come dice Platone, già la realtà è copia dell’archetipo, ogni elemento ha un archetipo, ad esempio un pezzo di legno è tale perché in esso c’è il legno, o la legnità; una cosa bella è tale perché in esso c’è la bellezza o il bello. In ogni cosa visibile è presente la cosa invisibile che la rende tale. Le cose visibili sono ciò che sono grazie alla presenza di quelle invisibili che risiedono in esse. Per dirlo in linguaggio tecnico, la cosa visibile partecipa (μετέχω) della cosa invisibile che le dà anche il nome. Ad esempio una cosa bella è bella perché partecipa del bello in sé, un legno è tale perché partecipa del legno in sé e per sé. Ogni cosa creata partecipa di più archetipi o idee. Un uomo, ad esempio, partecipa dell’uomo o uomità o umanità, ma anche dell’unità, dell’uno, dell’altezza se è alto, o della bassezza in sé se è basso, poi partecipa della mortalità o del mortale in sé e per sé, ecc. Gli archetipi o idee che entrano nelle cose di quaggiù sono invisibili e precedono, esistono cioè prima, sono state generate, in ordine gerarchico, prima delle cose materiali con cui noi abbiamo a che fare e nelle quali ci muoviamo. Le idee sono invisibili ma intelligibili, non sono cioè percepibili dai sensi ma coglibili dall’intelletto. Le cose create, al contrario, sono percepibili dai sensi, visibili, udibili, toccabili, odorabili e gustabili. Cogliere un’idea con l’intelletto significa saper dire cos’è (τί ἐστί) . Il cos’è è la cosiddetta realtà ontologica di un ente, di un’idea. L’essere è la prima idea. Tutte le cose sono perché partecipano dell’essere. Ciò che non partecipa dell’essere non è. Per cogliere il cos’è di ciascuna cosa è necessario il lavoro dialettico. Per avere un esempio del lavoro dialettico occorre leggere il dialogo socratico Parmenide, dove tale lavoro è svolto sulle due idee di essere e di uno. “L’uno è” e “l’essere è uno” sono due affermazioni prese in considerazione e analizzate. Per cogliere il cos’è di ciascuna idea occorre esaminarla con la ragione in se stessa e in rapporto alle altre idee. Questo è il lavoro dialettico. A volte dire cosa una cosa non è aiuta a capire cosa è. Il dia della parola: “dialettica” significa lo spazio di separazione tra un’idea e l’altra. In Repubblica sono date definizioni di sapienza, giustizia, coraggio e temperanza, che dalla tradizione cristiana saranno poi chiamate: “quattro virtù cardinali”. Le definizioni di Repubblica sono frutto di un lavoro dialettico. Ma gli enti più importanti da analizzare sono i primi, essere, uno, molti, identico, diverso, simile, dissimile, ecc. Tutto questo per dire che ci sono realtà invisibili generate (non create, “create” è termine che si riferisce alle realtà visibili) prima di quelle visibili. Già quelle visibili, partecipando di quelle invisibili, ne sono copia, nel senso che le portano in sé ma non sono loro in sé e per sé. Già la realtà creata, dunque, è una copia. Quanto grande sarà la distanza della copia della copia dall’originale? Due gradi. Il lavoro di qualsiasi artista è lavoro di imitazione (cf. Repubblica), l’artista, pittore, poeta (in Platone la parola: “poeta” vale sia per gli scrittori in versi sia in prosa), scultore, musicista (che imita le eterne realtà matematiche) o che dir si voglia sta sempre facendo imitazione. L’imitazione degli artisti, seppur cerchino di imitare la realtà, è lontana due gradi dalle realtà vere rispetto alle realtà del mondo stesso, le quali almeno sono lontane da esse un grado, e partecipando di esse almeno partecipano dell’essere in sé (“in sé e per sé” significa ‘prima della partecipazione’), presente in ogni archetipo o idea. Godiamo il mondo così com’è, perché è creazione del sommo Creatore, e se proprio dobbiamo creare imitazioni, cerchiamo di avvicinarci il più possibile al vero e alla vita.

Quattro concerti per pianoforte e uno per violino

Dopo varie considerazioni sono giunto alla conclusione che voglio proporre l’ascolto di cinque brani di Mozart, frutto di un peregrinare che ha avuto luogo negli ultimi mesi.

Cominciamo dal Concerto per pianoforte 24, K. 491, al piano Glenn Gould e alla conduzione Walter Susskind. Come non menzionare questo concerto che anni fa in una rivista musicale trovai, assieme alla Sinfonia Concertante, K. 364, all’Eine Kleine Nacthmusik, K. 525 e alla Sinfonia 40, K. 550, menzionato come opera imprescindibile di Mozart? Il problema è che la rivista poi lasciava intendere che considerava il resto di Mozart trascurabile. Invece secondo me non c’è nota di Mozart trascurabile. Anzi, Mozart è l’unico musicista, l’unico compositore, l’unico che sa davvero, per tutto il tempo, ciò che sta facendo. La sua padronanza della materia musicale è totale. Gli altri sono dilettanti. Mi correggo: gli altri posteriori. Bach sapeva ciò che faceva, così Haydn che ha composto 104 sinfonie e forse altri. Non sono un musicologo, porto impressioni personali.

L’inizio del Concerto per pianoforte 24 è maestoso, quasi cupo, ma non dimentichiamo che è Mozart, e Mozart sa usare qualsiasi cosa per trasmettere allegria. Forse con l’età è divenuto più serio, ciò non toglie che anche il Concerto per pianoforte 24, nonostante l’inizio, sia un tripudio di gioia. Ho scelto come interprete Gould – anche se lui stesso in parte disprezzava le idee musicali di Mozart, considerandole troppo semplici – perché di fatto, finché ha calcato i palcoscenici, ha sempre regalato musica di qualità. Su Youtube si trova una registrazione con alla direzione Leonard Bernstein, ma trovo che Bernstein non sia un buon interprete di Mozart, e in ogni caso la registrazione è del 1959 e non troppo ascoltabile. La registrazione con alla direzione Susskind è del 1962 e migliore. Il Concerto per pianoforte 24, ascoltato una o due volte, resterà in testa tutta la vita. Mi dispiace solo che Gould, con un po’ di puzza sotto il naso, abbia registrato solo questo di Mozart, oltre alla totalità delle Sonate per pianoforte (che ho in cofanetto) quasi per gioco.

Quando lessi Il soccombente di Bernhard, anni e anni fa, non avevo nessuna conoscenza musicale, è ovvio che mi aggrappai a Glenn Gould come punto di riferimento per la musica classica. Oggi, leggendo tanti commenti su Youtube, spesso di gente competente, mi sono fatto l’idea che Gould non è il miglior interprete di Mozart, né di Bach se è per questo. Gould è compositore. Gould suona Gould. Prende gli spartiti a pretesto per proporre la propria musica. Secondo molti, tuttavia, i migliori interpreti sono quelli che sono capaci di sottomettersi all’autore originale e restituirlo.

Ed eccoci a Mizuko Uchida, la migliore interprete di Mozart che ho trovato finora (almeno per quanto riguarda i Concerti per pianoforte, in quanto ella è pianista).
Interpretati da lei propongo il Concerto per pianoforte 21, K. 467, il Concerto per pianoforte 9, K. 271 e il Concerto per pianoforte 18, K. 456. Quest’ultimo ha un terzo movimento strepitoso e sembra passato sotto silenzio rispetto agli altri più conosciuti, ma è adorabile.

Cosa dire di Mizuko Uchida, la leggera, alabastrica Mizuko Uchida? Consiglio di ascoltare qualsiasi cosa di suo si trovi su Youtube, compresa la totalità di Sonate per pianoforte di Mozart che anche lei ha registrato. È un’interprete che si cala completamente nel personaggio, studia il compositore fino a capirne intenzioni e modalità (finché è possibile). Secondo me Mozart è più soddisfatto, dall’aldilà, di come rende le sue opere Mizuko Uchida piuttosto di Glenn Gould. E poi Mizuko Uchida ha un’umiltà e una dolcezza che Glenn Gould non ha.

Per anni sono stato un avido consumatore di sinfonie, ma da quando ho scoperto la forma concerto la prediligo. Nella forma concerto c’è il continuo palleggio tra orchestra e strumento solista. Si può dire che la maggior parte della musica suonata dallo strumento solista sia la trascrizione della musica orchestrale. Quante volte pianisti, specialmente contemporanei, trascrivono una sinfonia in modo che possa essere suonata da un singolo? Nei concerti c’è questo. Di solito si inizia con l’orchestra che espone il tema principale. Finita l’esposizione, entra lo stumento solista, che ripropone il tema. Questa è la caratteristica principale della forma concerto. (Tranne, ad esempio, nel Concerto per pianoforte 9, in cui Mozart innova la forma e fa entrare subito il solista). Naturalmente il tutto non si esaurisce qui. Dopo il tema, specialmente in Mozart, ci sono altre idee melodiche esposte dall’orchestra e ripetute dal solista. E neanche qui è finita. Il solista può fare mille cose diverse, interagendo con l’orchestra in rimandi musicali sempre nuovi. Ci sono poi momenti (vicino alla fine del primo movimento) in cui il solista improvvisa. Non ho ancora capito se questi momenti sono lasciati totalmente all’inventiva del solista o se sono comunque scritti. In tali momenti si assiste a un allontanamento dai temi principali anche consistente. Prediligo, tranne in casi particolari, i primi e terzi movimenti, che hanno un tempo veloce. I secondi movimenti li trovo un po’ noiosi, e trovo che non siano il campo in cui Mozart si muove più agilmente, specialmente in giovane età. Ma temo sia perché sono un ascoltatore di musica classica della domenica. Tuttavia, sicuramente nel Concerto per pianoforte 24, nel secondo movimento Mozart è capace di strappare emozioni anche profonde.

Concludo col Concerto per violino 3, K. 216. Propongo questa versione con al violino Izak Perlman, che ho scoperto, a dispetto delle sue grasse dita, essere delicato come un bambino. In realtà non me ne intendo, ma mi è sembrata la migliore tra quelle che ho trovato. (Si potrebbe ascoltare anche la Mutter, violinista che a 14 anni suonava con Karajan). Per me il migliore è quello che meglio sa restituire Mozart. Il Concerto per violino 3 è pura benedizione musicale. Per chi vuole capire chi è Mozart, è un ottimo esempio.

Quando nessuno è in casa

Spesso, nei paesi di campagna, dove tutti si conoscono, i clienti lasciano il cancellino del giardino aperto per permettere al corriere di entrare e depositare il pacco vicino alla porta. Di solito le porte sono riparate da un portichetto, o in ogni caso c’è un’area riparata, da qualche parte nel giardino; il pacco, così, non si bagnerebbe in caso di pioggia e non prenderebbe caldo in caso di sole. I più attenti lasciano un biglietto con lo scotch, i più tecnologici scrivono nelle Note dell’indirizzo: “Per corriere Amazon. Il cancellino è aperto, entra e lascia il pacco vicino alla porta, poi richiudi il cancellino. Grazie”. È il messaggio ideale, non tutti sono così chiari o gentili. Alcuni mettono nelle Note i codici di accesso di serrature a combinazione. A Peschiera del Garda, ricordo, uno metteva la combinazione del garage. Spiegava: “È l’ultimo a destra, quello con la striscia verde”, ecc. Mettevo il pacco dentro e richiudevo. Che bravi, clienti come questi. Che soddisfazioni! 
Un pomeriggio, in un paese dell’Alto Mantovano, trovo una situazione simile. Il cancellino è aperto ma non c’è scritto niente. Suono. Il cliente non è in casa. Risuono, niente. Guardo a destra e a sinistra. Ci sono vicini che potrebbero interpretare il mio ingresso nel giardino come intrusione? Mi toccherebbe spiegare: “Sono il corriere, ho un pacco per Mariuccia Quaresmini, probabilmente hanno lasciato il cancellino aperto apposta perché sapevano di non essere in casa, in modo da permettermi di lasciare il pacco in giardino e andarmene richiudendo il cancellino!”. “Lo dia a me! Glielo do io!”. Impiccioni! Fatevi gli affari vostri! Quando si tratta di fare un favore richiesto: “No, non lo conosco”, “Non ritiro niente per nessuno”, “Guardi, non siamo in buoni rapporti”, ecc. Per far capire che sono stati disturbati senza diritto. Ma quando c’è da farsi gli affari degli altri... “Prendo io!”, “Do io!”, “Lasci a me!”, “Siamo buoni amici, siamo parenti! È mia cognata!”, ecc.
In ogni caso quella volta, nell’Alto Mantovano, decido infine di entrare e lasciare il pacco in giardino. L’intenzione era fare pochi passi sul vialetto e poggiare il pacco sull’erba, non invadere più di così lo spazio privato. Ma c’era il sole e picchiava. Penso: “Magari è un iPhone da 1.400 euro, non sarebbero contenti se glielo lascio sotto il sole”. È anche vero che se uno ordina un iPhone da 1.400 euro si fa trovare in casa, anzi, sta tutto il giorno ad aspettare... ma magari era un sapone liquido, o qualcosa con una batteria, o qualcosa di plastica... tutte cose che non avrebbero fatto bella vita sotto il sole. Decido, così, a dispetto di qualcuno che può osservare e disapprovare, di arrivare fino alla porta riparata da un portichetto e poggiare il pacco sul tavolino.
Arrivato a quattro passi dalla casa, noto un movimento attraverso la tenda della finestra: “Allora c’è qualcuno!”. Torno in fretta al cancellino e suono di nuovo. “Chissà, magari li ho svegliati e stanno solo ora rendendosi conto che hanno suonato alla porta, o è un anziano che non sente”. Sono tanti, quante volte telefono e il figlio-genero-figlia-nuora-nipote mi dicono di lasciare il pacco anche fuori che i genitori-suoceri-nonni sono un po’ sordi, ci penseranno loro a chiamare per telefono e ad avvisare che il pacco è arrivato...
Insomma suono, ancora niente. “Fatti loro”, dico, “entro e glielo lascio sul tavolino, mi chiudo il cancellino alle spalle e me ne vado”. Deciso, stavolta, a non perdere tempo, mi muovo verso il tavolino a passo spedito, col pacco sollevato in bella vista, pronto a dire, se qualcuno sbucasse dalla porta o dalla finestra: “Corriere! C’è un pacco per Mariuccia Quaresmini”!
Appoggio il pacco fissando la finestra. Stavolta niente movimenti.
Faccio per andarmene, sento: “Stomp!” da dentro. Mi giro e guardo la finestra. Attraverso le tende non intravedo alcun movimento. Mi sposto lateralmente fino ad arrivare davanti alla porta. Busso e strillo: “Buongiorno, sono il corriere Amazon! C’è un pacco per Quaresmini!”.
La porta si apre, penso: “Finalmente”, ma c’è un uomo con una pistola e me la sta puntanto contro. “Dentro!”, dice a bassa voce.
Capisco subito. Sono ladri. Piego le ginocchia per uscire dal range della pistola e, facendo leva sulle gambe, mi fiondo in avanti. Abbraccio il malvivente alla vita e finiamo tutti e due a terra.
Un calcio da destra nel costato mi conferma che sono in due. Il calcio mi fa fare una giravolta e mi scaraventa accanto al mio aggredito a pancia all’aria. Il complice si abbassa su di me e mi punta una lama alla gola: “Se tu muove, ti taglio gola!”.
Con un rapido movimento del braccio colpisco il suo, il coltello finisce a terra dall’altra parte della stanza. Appoggio le mani accanto alle spalle, sollevo le gambe in aria, mi spingo con le braccia e con una veloce acrobazia sono in piedi.
L’uomo, ormai disarmato dal coltello, mi arriva addosso con una gragnuola di pugni. Faccio in tempo a mettere gli avambracci vicino alla testa per difendermi dai colpi. Appena vedo uno spazio libero, parto con un jab sinistro al mento, poi un altro, poi un altro ancora, vedo che non è esperto e tiene le mani giù, allora faccio partire un montante destro dal basso e lo colpisco sotto il mento facendolo sollevare da terra un paio di centimetri. Il colpo è da knockout, le gambe molli, l’uomo si accascia a terra.
Torno al primo aggredito e, prima che abbia finito di alzarsi, con un calcio alla Roberto Carlos lo colpisco in piena testa. Cade indietro tramortito. 
Esco di corsa gridando: “Aiuto! Aiuto! Ci sono i ladri!”. La gente esce dalle case. “Chiamate la polizia! Ci sono i ladri dai Quaresmini!”.
Salgo sul furgone e mi chiudo dentro. Chiamo il 112 e spiego la situazione.
Faccio in tempo a vedere, nel campo retrostante la casa, i ladri che si allontanano, uno col braccio al collo dell’altro.

Ho aspettato che arrivassero i Carabinieri. Ho raccontato l’avvenuto, così come ora l’ho raccontato a voi. Hanno chiesto le generalità.
Ho chiamato in ufficio, hanno mandato tre corrieri a prendere i pacchi che dovevo ancora consegnare e sono potuto andare a casa.
Il ladri sono stati presi.
La signora Quaresmini è stata trovata legata col marito in camera da letto.