Ci sono momenti in cui mi sembra che tutte le relazioni umane siano basate sullʼidea dello scontro fisico. In certo momenti, cioè, camminando per la strada, ho la sensazione che tutti guardino tutti gli altri, guardandosi in giro, con questa idea per la testa: “Quello riuscirei a batterlo”, “Quello non riuscirei a batterlo”.
Oltre al fatto, cioè, che le persone per strada giudicano gli uni gli altri in base ai soldi – vestiti (poco) automobile (massimo grado) – cʼè la tendenza anche a misurarsi in base alla stazza fisica. Posso batterlo, non posso batterlo. È più grosso di me, è più piccolo di me. È bravo a combattere, non è bravo a combattere.
Perché anche questo, soprattutto, conta. Siccome un uomo può essere piccolo ma coraggioso oppure grande ma pauroso, asseverare la forza fisica non è tutto. Bisogna anche vedere se una persona è grossa ma non allenata. Ci può essere una persona piccola che corre o va in bici o fa sport tutte le settimane. Ci può essere una persona piccola che si allena al combattimento tutti i giorni. Ci sono persone che non pensano ad altro che al combattimento, e sono pronte ad arrivare allo scontro in qualsiasi momento.
Se non fosse così non si leggerebbero tutte le notizie sui fatti di violenza e di malavita.
Io, ad esempio, non ho mai fatto a botte con nessuno. Una volta ho fatto un corso di boxe per sei mesi. Avevo 26 anni, avevo smesso di studiare e non lavoravo. Andavo a correre o a nuotare tutti i giorni. Ero parecchio in forma. Al termine dei sei mesi ho vinto il torneino interno di fine anno. Per forza, ero molto più allenato dei miei compagni. Poi mi sono disinteressato. Forse avevo paura che lʼallenatore volesse portarmi a fare agonismo.
Oggi, in uno scontro fisico, penso avrei la peggio. Più che altro perché non sono preparato. E non vedo la mia giornata come un ambito in cui potrebbe capitarmi uno scontro fisico. Sono mite ed evito lo scontro. Lavoro sulla strada e ho imparato che gli animi si infiammano facilmente sulla strada. Perciò ho imparato a passare sopra a molte cose.
In effetti, il secondo anno che lavoravo come corriere, raccogliendo lo spirito principalmente dai miei colleghi, i quali erano tutti principianti e perciò pronti a tutto, ho avuto un litigio in cui sono scappate le mani.
In una via del centro molto stretta dove ci sono pochissimi parcheggi trovo per la prima volta in vita mia un parcheggio carico/scarico libero. Non lʼavevo mai visto libero prima. Mi ci fiondo in accelerazione. Mentre arrivo lì, uno a piedi si china proprio davanti al furgone per raccogliere qualcosa. Nella mia paranoia ho pensato facesse apposta. Verrà fuori poi che si era chinato per raccogliere una mezza sigaretta e che lui era un mezzo barbone. Apro il finestrino e gli urlo di spostarsi. Lui risponde cose tipo: “Cosa vuoi?“. Scendo dal furgone, la discussione continua – non ricordo cosa ci siamo detti – poi, nella mia malvagità, progetto in mezzo istante un piano. Gli faccio una finta per provocarlo a mettermi le mani addosso e avere così il pretesto per colpirlo. Dopo la finta lui mi dà uno spintone. Rispondo con un ceffone, che, se proprio devo dirlo, ammettendo la mia malvagità, mi ha dato gran soddisfazione. Lui chiama la polizia. Faccio le mie consegne nella via, nel frattempo la polizia arriva. Prendono i nostri nomi e dicono che se vogliamo possiamo andare, quando vogliamo, in caserma a sporgere denuncia. Ed eventualmente, poi, rivolgerci ai nostri avvocati. Ma la cosa finisce lì. Ogni tanto lo rivedo il giovane barbone... giovane... avrà la mia età. Faccio sempre il centro e lui gira per il centro. Verso le 12,00 lo puoi trovare nella zona della mensa dei poveri. Quando mi vede, si nota che la mia presenza lo tocca, a volte gonfia un poʼ il petto. Ma a me non me frega più niente. Mi fa pena. Da allora non ho mai più litigato per strada. Sono sulla strada nove ore al giorno e sto lavorando, non posso perdere la pazienza tutti i momenti. Nonostante ci sia gente che mi suona, ciclisti che mi urlano, vecchie che mi argomentano la loro posizione sul fatto che sono in divieto di sosta, ecc. Sto zitto, faccio il mio lavoro, e me ne vado.
Però ecco, nei momenti bui della vita, nelle giornate nere, quelle in cui vedo tutto negativamente e il mondo mi sembra un inferno, e la vita un inferno sulla terra, girando per le strade mi sembra che tutti si giudichino a vicenda in base alla ricchezza o in base alla stazza e alla prontezza allo scontro fisico.
I colleghi di lavoro mi chiamano: “Il gigante buono”. Non sono un gigante, sono alto 182 cm. Non sono neanche buono, anche se vorrei esserlo. Molto spesso ho sentito fare lʼargomentazione che quelli come me sono i più pericolosi. Dico sempre che non è vero, che la stazza non fa la forza, e che ciò che conta sono lʼabilità a combattere e il coraggio. Ma ogni tanto lʼargomentazione si ripresenta. Sul lavoro non si ha molto altro di cui parlare. Quello è forte, quello è cattivo, quello è irascibile, quello le dà, quello le darebbe, quello ha fatto a botte una sera ed è tornato con un occhio nero ma: “Devi vedere come è messo lʼaltro!”, ecc.
In ogni caso noi corrieri non chiaccheriamo tanto. Se uno arriva puntuale allʼorario di lavoro, e va a casa subito dopo aver timbrato la sera, non gli resta molto tempo da passare coi colleghi. La giornata la passiamo in solitudine. Cʼè il furgone, ci sono i pacchi, e ci sono i clienti coi quali abbiamo contatto per un secondo ciascuno.