Cambio di regime

Presso il villaggio di Albocásser, Yuste ed Erquicia erano contro il regime appena salito al potere, perciò temevano in ogni momento una rappresaglia. Yuste, per prima cosa, pensò a Ibanez, la sua cagna, che aveva appena avuto una cucciolata. Disse: “Se vengono a portarci via, devi sapere come sopravvivere!”. Le mostrò i luoghi dove c’erano acqua e cibo e dove poteva nascondersi. “Questo è il lavabo, basta tirare la leva ed esce l’acqua. Questa è la dispensa, qui c’è ogni sorta di carne essicata e in scatola, dovrai usare i tuoi denti per aprire le scatole. Inoltre ci sono pane di orzo e carrube in quantità. In questa botola, sollevando il coperchio e scendendo la scala di legno, potrai portare i tuoi cuccioli per nasconderli”. Ibanez seguiva scondinzolando, ma a ciascuna tappa e a ciascuna spiegazione abbaiava e guaiva, facendo due o tre passi all’indietro; si lamentava perché sarebbe dovuta restare sola in quella casa, non voleva che la famiglia che amava se ne andasse. Il 17 luglio, uomini del regime arrivarono a casa di Yuste ed Erquicia e portarono via loro e i figli Moles, Noguera e Molina. Li misero in un carcere dove Yuste ed Erquicia morirono di fame. I figli fecero ancora in tempo a vedere il cambio di regime e a tornare. Trovarono che la casa era stata occupata da una famiglia fedele al regime. Girando per il bosco a cercare cibo trovarono Ibanez coi suoi cuccioli ormai cresciuti. Da tempo avevano finito quanto c’era in dispensa, e infine erano stati mandati via dai nuovi inquilini. Ibanez aveva imparato a cacciare, e così i suoi quattro cuccioli ormai cresciuti. I cuccioli furono battezzati Benildo, Bustos, Juanmarti e Nadal. Presto i figli di Yuste trovarono lavoro presso le piantagioni, e si trasferirono nei tuguri con gli operai. Ibanez e i suoi cuccioli andavano sempre a trovarli, per far due salti e due scodinzolate.

L’ironia esistenziale in Jacob von Gunten

Il noto senatore italiano Umberto Bossi ha avuto un figlio, Riccardo, dalla prima moglie, Gigliola, e tre, Renzo, Roberto Libertà ed Eridano Sirio dalla seconda, Manuela. Fino a quando hanno vissuto assieme, più o meno fin dopo l’età dell’adolescenza, i tre figli di Bossi hanno dormito nel letto del padre e della madre, nelle posizioni più disparate, alcuni rannicchiati alla base, per questo il letto era di dimensioni superiori alla norma.

Che significato hanno gli applausi prima dei concerti, quando entra l’orchestra? Ricordano le precedenti imprese dei musicisti? Una continuazione degli applausi dell’ultima volta? Tipo: “Quella volta lì, nell’inverno del ’97, sei stato bravissimo. Ricordo!”.

Esiste l’app Kindle, si installa sullo smartphone e lo trasforma in Kindle. Sul telefono ho una biblioteca di una trentina di libri. Faccio fatica a trovare qualcosa da leggere. Non so che malattia ho, ma benché da giovane leggessi parecchio, ora trovo difficile digerire qualsiasi cosa. La narrativa, la cosiddetta fiction, in particolare, crea problemi. Ci vorrebbe un’analisi approfondita. Un problema è sicuramente le nove ore di lavoro. Ho messo da parte Guerra e pace (cartaceo) dopo averne letto un terzo; ero arrivato ad Austerlitz; ha influito l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Con Scientia Crucis di Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) vado avanti lento, è un compendio, con citazioni di ampi passi, di La salita al monte Carmelo di San Giovanni della Croce. Tanto vale leggere La salita al monte Carmelo. Ho appena riletto, dopo anni, A colpi d’ascia di Thomas Bernhard, secondo me il suo capolavoro, scritto di getto dopo essere tornato a casa dalla cena descritta. Di Bernhard posso leggere qualsiasi cosa (tranne il teatro e Amras) in qualsiasi momento senza stancarmi, è una sorta di salvezza. Nella biblioteca ho anche i lavori di Ariano Geta, di cui ho letto Aikawa High School (Volume 1) e parte di Storie di scrittori. Uno scrittore genuino e fresco. Scarico estratti a destra e a manca. Ho messo da parte Verga, Deledda, Woolf, Calvino (Lezioni americane, che in passato lessi con avidità). Ogni tanto riesco a leggere un racconto di Čhecov, giusto uno, poi chiudo. Čhecov lo reggo e amo. Tra le letture raccomandate ho trovato un certo Robert Walser, primi ‘900, svizzero; ho letto qualcosa su Wikipedia da cui ho ricavato che è stato sfigato in vita, l’anello di congiunzione tra Kleist e Kafka. Ho scaricato l’estratto di Jacob von Gunten. Una scoperta. Lo sto leggendo, un capitoletto alla volta, mi piace, non tanto per il contenuto, c’è poco ormai sotto il sole che mi interessi, ma per il modo di scrivere, sempre ironico.

Trovo il signor Benjamenta decisamente bello. Una magnifica barba bruna... che? Magnifica barba bruna? Sono un idiota. No, nel signor direttore non c’è niente di bello, niente di magnifico, ma si sente che quell’uomo ha dietro di sé lunghe vicissitudini, gravi colpi del destino; ed è questo elemento umano, questo elemento quasi divino a farlo bello. I veri uomini, gli esseri autentici, non sono mai belli. Un uomo che porti una barba veramente bella, o è un cantante d’opera, o un caporeparto ben pagato di qualche grande magazzino. Sono i finti uomini, di regola, a esser belli; possono però anche darsi eccezioni, possono esservi bellezze virili, piene di gagliardia.

Una signora camminava sul marciapiede. Un anziano inciampò e cadde davanti a lei. Non riusciva ad aiutarlo e altri accorsero, così pensò, almeno, di chiamare le forze dell’ordine. Che numero è? Il 112 o il 113? Forse il 118, per casi come questo? 112... 113... 118... computava in mente... Che confusione! Nel tempo che impiegò a pensarci, la polizia era già arrivata, assieme a un’ambulanza.

Quando si allineano le stelle

“Buon Natale! Ciao, Vincenza!”.
“Barto... hai tempo?”.
“Guarda, sto proprio iniziando a mangiare...”.
“Bartolomea... qui è un disastro...”.
“O Dio, cos’è successo? Scusa, papà, ti spiace se mi alzo un attimo? ”.
“Veramente stiamo iniziando a mangiare, dai, il pane va mangiato caldo!”.
Bartolomea copre lo speaker. “Vedo solo cosa c’è, un secondo!”.
Si alza, va verso la porta che dà sulla cucina, si ferma con le spalle al padre.
“Eccomi! Allora, Vincenza, dimmi tutto!”.
“Sei sicura che puoi parlare? Se no, ci sentiamo dopo”.
“Ma certo! Dimmi! C’è solo mio padre, che ha preparato un sacco di roba e ci tiene, lo sai com’è...”.
“...c’è un’altra... Tito...”.
“Come, c’è un altra? Un’altra donna?”.
“È arrivato un messaggio Whatsapp con gli auguri di Natale. Ha fatto finta di niente. Gli ho chiesto di chi è e ha detto: ‘Un collega, non lo conosci’... ed è andato di là”.
“Ma chi, Tito? Non ci posso credere! Sei sicura?”.
“Adesso mi stanno chiamando... vado, è pronto. Scusa, scusa, se ti ho disturbata. Torna pure da tuo padre. È che... è proprio un disastro. Poverino, ti starà aspettando, lì da solo! Qua sta andando tutto a rotoli, Barto...”.
“Non preoccuparti, dopo parliamo, ok? Chiamami appena puoi. Buon Natale”.
“...”.
Bartolomea si siede. “La Vince...”. 
“Qualche problema?”. 
“Lasciamo perdere, poi ti spiego...”. 
“Mangia il salmone, il pane va mangiato caldo”. 
“Mmmh, buono!”. 
“Buono pane-burro-e-salmone, eh? Tua madre lo faceva sempre, a Natale”.
“È buonissimo...”. 
“Cos’ha la Vince?”. 
“Non s'è capito niente, per me è fissata... Il problema è che da quando è nel nuovo ospedale, da sola, non si trova bene. C’è una collega più brava che la tormenta, non si capisce..”. 
“Perché, la Vince non è brava?”. 
“Ma sì, è brava, fa il suo lavoro, però... evidentemente, in un ambiente nuovo, senza amici, la competizione è alta...”. 
“Certo, non può esserci dappertutto il clima del Policlinico, nei piccoli ospedali...”. 
“Non doveva andare dietro al suo Tito. Cambiare città non è una barzelletta... eravamo una squadra...”. 
“Eh, l’amore è così, acceca!”. 
“Ottime queste acciughe, dove le hai prese?”. 
“Da Negrisoli, ho voluto provarle, di solito le prendo al mercato, queste costano il triplo...”. 
“Sono fantastiche!”. 
“Menomale, dai... Che effetto ti ha fatto quando la Vince è andata via?”. 
“Papà, non so, cosa vuoi che ti dica?”. 
“Le hai insegnato tutto”.
“Cosa vuoi che le abbia insegnato? Non le ho insegnato niente!”.
“Eravate inseparabili... e sappiamo che la bambina prodigio sei tu!”. 
“Dici così, solo perché sei mio padre”. 
“Non fare la finta modesta. I premi di scherma in quella stanza, le borse di studio parlano chiaro, per non parlare delle vite che hai salvato!”.
“Papà, è grazie a te se sono a questo punto”. 
“Sono pronti i gamberoni”.
“È che... me la sarei aspettata più forte”.
“Tua madre li faceva sempre”.
“Da quando è arrivata in ospedale ha fatto passi da gigante... Papà, quanti ne hai fatti?”.
“Un chilo”. 
“Ma sono troppi! Ce la facciamo a mangiarli?”. 
“Io non ne mangio, lo sai che non posso”.
“Devo mangiarli tutti io? Sei fuori!”.
“Non puoi lasciarli lì, stasera non sono più buoni”.
“Papà, non ce la faccio!”. 
“Inizia a mangiarli, che vanno mangiati caldi”.
“Mi scotto le dita!”. 
“Aspetta un attimo... poi c'è il vitel tonné”. 
“No, io non ce la faccio. Il vitel tonné lo mangio stasera”.
“Ma se stasera andiamo dai nonni!”. 
“Ah, già... La Vince è lì con tutta la famiglia. Sono un bel po’, loro”. 
“Dille di venire con noi, stasera. Così potete parlare”. 
“Non so, anche lei avrà parenti da cui andare”. 
“Il vitel tonné lo portiamo dai nonni, al massimo lo lasciamo a loro”. 
“Non capisco perché la Vincenza non riesca a sfondare. Buoni questi gamberoni. Quand’era qui, era la migliore neurologa dell’ospedale. Le sue diagnosi sono state fondamentali in tutti i miei interventi, per non parlare delle cure... Non ho salvato vite da sola, papà. È stato anche merito della Vincenza”.
“Sì, ma... buoni, eh? Le hai insegnato tutto tu... la vita in ospedale... quando era arrivata era poco più di una matricola...”. 
“Non penso di avere tutto questo peso”. 
“Ascolta tuo padre, che ti vuole bene e ha sempre sostenuto la sua bambina in tutti questi anni. Sei il miglior neurochirurgo che c’è oggi in Italia, e questo non è frutto solo del duro lavoro...”.
“Duro lavoro che hai fatto anche tu, papà, col sostegno, la pazienza...”. 
“Lascia perdere, il tuo è talento, genio, come vuoi chiamarlo...”.
“Papà...”. 
“Lasciami finire. La Vincenza non è come te, Bartolomea, non ha le tue doti, il tuo dono. Quando era al Policlinico si è attaccata a te e non ho niente da dire sul vostro rapporto... bellissimo... e oltre ad aver imparato tutto del mestiere, ha anche avuto la tua protezione, la protezione della tua anzianità... Le hai dato tutto... Vuoi che dica cosa penso? Lasciare tutto questo, per seguire un Tito qualsiasi a Perugia, è una mossa da cervello di gallina. Si credeva arrivata, e invece in un piccolo ospedale la stanno mettendo sotto i piedi. Un po’ di gorgonzola? Tua madre lo adorava!”.
“No, grazie, sono piena”. 
“Va be’, lo strudel lo mangi, l’ho fatto apposta. Se no, c’è il gelato”.
“Davvero, non ce la faccio più”. 
“Ma neanche due noci, ci sono i datteri, il torrone... la frutta? Neanche la frutta?”.
“Sto esplodendo! Voglio chiamare la Vincenza”. 
“Aspetta un po’, sarà a tavola”. 
“Ma sì... Spero solo che regga... Sembrava così tragica... Se davvero Tito l’ha tradita è la fine!”.
“Partitina?”.
“Dai!”.
“Bartolomea, figlia mia, ti voglio bene, è Natale, lasciatelo dire... sono orgoglioso di te... lo sarebbe anche tua madre!”.
“Papà... grazie, anch’io ti voglio bene, sei sempre stato il miglior papà che si possa avere. Dove sono arrivata è soprattutto merito tuo. Mi hai fatto da papà e da mamma!”. 
“Non mi far commuovere...”. 

“Ciao”. 
“Ciao...”. 
“Allora? Come sta la miglior neurologa di Perugia?”.
“La peggiore, vorrai dire...”.
“Dai, non buttarti giù! Devi solo ingranare...”. 
“Non riesco... qui è diverso dal Policlinico, un altro pianeta. E quella pazza ce l’ha con me, vuole annientarmi, è troppo competitiva...”. 
“Posso immaginare... ma voglio che ti renda conto che anche qui le cose non sono le stesse senza di te... eravamo una squadra... non so... le stelle si sono allineate...”. 
“La verità è che continui a macinare successi, mentre io sono regredita... è difficile spiegare... mi sto rendendo conto che senza te sono nulla... come se dovessi ricominciare da capo... mi hai insegnato tutto... vivevo alla tua ombra...”. 
“Non dire così... hai le tue capacità, la tua vocazione... devi sempre ripartire da lì...”. 
“Facile parlare, per la miglior neurochirurga d’Italia!”. 
“Vincenza... sai meglio di me che certi giudizi lasciano il tempo che trovano!”.
“Con Tito non va, Barto... sembra non più interessato a me... è fra le nuvole...". 
“Cos’è quella cosa che hai detto prima, del messaggio...?”. 
“Ma niente... alla fine l’ha mostrato, era un collega... appena arrivato... straniero... non so perché ci ha messo tanto...!”.
“Non sarai paranoica? I nostri discorsi sulla gelosia...?”.
“Non sono gelosa, è che... si è allontanato. Secondo me non mi rispetta più!”.
“O Dio... Vincenza, guarda che queste sono paranoie! Voglio che tu sappia una cosa, ascolta... Il Policlinico sarà un ambiente a sé, privilegiato, se vuoi, ma ciò che è successo nel periodo in cui sei arrivata tu non si è più ripetuto... eravamo davvero una squadra... Angelario primario, il pool di infermieri, il contorno... affiatatissimo! È stato un gruppo messo assieme dalle stelle... ha tirato fuori il meglio da ciascuno”.
“Sì, ma... io... tu...”. 
“Ascolta, Vince, fammi finire. Ciò che voglio farti capire è che oggi non è più così, il gruppo è disperso, tu non ci sei più... non è più come prima”. 
“Sì, ma è pur sempre il Policlinico, dove si fanno grandi cose...”. 
“Lascia perdere, Angelario è in Svizzera, il primario è Giuliazzi, ho tutti contro, non sai in che condizioni lavoro...”. 
“Tanto il successo non è mutato...!”.
“Ringrazio il cielo per questo!”. 
“Bartolomea, non credere sia invidia. Ti voglio troppo bene. Mi hai dato tutto. Sono quello che sono grazie a te. Gioisco con te e con l’intero mondo clinico per i tuoi miracoli. Il problema è che sto affondando! Non ho il tuo carattere e nemmeno i tuoi doni, sono una professionista di medio rango. Mi rendo conto ora che quando ho iniziato non sapevo neanche cosa facevo... sei stata il mio mentore. Da sola non ce la faccio a difendermi da quell'invasata della Mastroianni...! È troppo brava, e mi odia! Il resto del reparto mi ignora. È come se il mio curriculum valesse nulla! Tutto ciò che ho fatto al Policlinico è carta straccia!”.
“Non devi lasciarti abbattere! Fa’ il tuo dovere, e vedrai che tutto andrà a posto. Non dobbiamo sempre essere i migliori. Basta mandare avanti la baracca...”.
“Lo dici, ma non lo pensi, non fare la condiscendente con me, so che per te il lavoro è la vita, non c’è giorno in cui non dai il meglio...”.
“Perché non fai anche tu così? Da’ il meglio e non scoraggiarti per i salti indietro”.
“Hai ragione, hai ragione, so che hai ragione!”. 
“Vedrai che tutto andrà bene, continua a guardare avanti e non fermarti. A proposito... cosa fai stasera?”. 
“Cosa vuoi che faccia? Resto in famiglia, da noi usa così. Tra poco c’è la tombola”.
“Sono contenta tu sia sempre legata alla famiglia...”. 
“La mia famiglia è tutto. Lo sai. Anzi, ho fatto un errore ad allontanarmi da mia madre. Domani si va dagli zii di Tito, in serata si parte per Perugia”. 
“Mio padre ha suggerito di invitarti con noi dai nonni, stasera, ma l’ho detto che non ce la fai”. 
“Che tenero! Ringrazialo! Purtroppo non riesco, abbiamo tutto programmato”. 
“Vincenza... lo sai che ti stimo più di chiunque altro. Sei la mia migliore amica. Dopo mio padre, sei la persona più importante che ho. Non ti voglio bene, di più!”.
“Grazie, Bartolomea, le tue parole sono corroboranti. Anch’io ti voglio bene come alla mia anima. Le ragazze come me si attaccano a un uomo come Tito, sai che dev’essere così, non posso essere come te, sogno il principe azzurro, mi rendo conto di aver fatto un errore a lasciare ciò che avevamo, per Perugia... Bartolomea...”.
“Non occorre tu dica altro, ho capito tutto. Vincenza, nella vita occorre fare scelte. Non affliggerti. Continua a lavorare come sai. Se con Tito le cose non funzionano, non sarà un dramma. Ci sono milioni di Titi al mondo”.
“Hai ragione, hai ragione, so che hai ragione”.
“Buon Natale, Vince, goditi i tuoi e a presto”.
“Buon Natale, Barto!”.

***

“Ciao Vince!”.
“Ciao! Hai letto?”. 
“Cosa?”. 
“Non hai letto le notizie?”. 
“Non ancora...”.
“C'è un articolo sul Messaggero. Assalto a due gay a Roma”. 
“Assalto a due gay?”. 
“Sì!”. 
“A Roma?”. 
“Sì!”. 
“Da parte di chi?”. 
“Militanti di Forza Nuova. Li hanno arrestati; o meglio, due li hanno arrestati. Erano in gruppo”. 
“Non so niente...”. 
“Indovina chi è uno dei due?”. 
“Uno degli arrestati...?”. 
“No! Uno dei gay!”. 
“O Dio... chi?”.
“Non indovini?”. 
“Non so... qualcuno che conosco?”.
“Sì!”. 
“O Dio, chi?”. 
“Dai!”. 
“Non ne ho idea!”. 
“Lo dico?”. 
“Dillo!”.
“Tito!”.
“Tito?”. 
“Sì!”. 
“Eh?”.
“Tito!”. 
“Ho capito!”.
“Tito era a Roma con Horn!”. 
“Chi è Horn?”. 
“Un collega. Gay!”. 
“Ah! Forse ho capito!”. 
“Hai capito adesso?”.
“Credo di sì...”. 
“Sono andati a Roma per il congresso GA-GI. Li hanno trovati mentre si baciavano a Trastevere”.
“Quelli di Forza Nuova...”. 
“Sì, gliel’hanno date, 15 giorni di prognosi”. 
“Nooo!”. 
“Sì!”. 
“Non ci credo!”.
“Eppure...!”.
“Il tuo fidanzato non solo è gay, ma va a finire sul giornale...!”. 
“Tu pensa!”. 
“C’è poco da stare allegri!”. 
“Io lo sapevo!”. 
“Che era gay?”. 
“Certo!”. 
“Da quando?”.
“Da Natale! Ti ricordi?”. 
“Sì, ricordo!”. 
“Era lui. Era Horn!”. 
“Il famoso messaggio!”.
“Quello!”. 
“Pazzesco!”. 
“Me lo sentivo!”. 
“Eri convinta non ti rispettasse più come dottore!”. 
“Infatti!”. 
“Invece è solo dell’altra parrocchia!”. 
“Mi dispiace per lui. Davvero. Finire sui giornali...”.
“Quanto ha influito sulla tua autostima...”. 
“Già ero nei casini, ci mancava solo il fidanzato gay. Capisci perché era distratto?”. 
“Già...”.

***

“Ciao Vincenza, buon Natale!”.
“Buon Natale anche a te. Sai cosa? Corrado dice che vuole conoscerti”.
“Ma certo, volentieri! Anche a me farebbe piacere finalmente conoscerlo, questo Corrado”.
“Sai, Barto, mi sa che ci siamo!”.
“Sarei davvero felice per te, Vince. Ti considero una sorella, la tua felicità per me è importantissima”.
“Mi sto dando davvero da fare. Mi fermo in ospedale anche dopo l’orario di lavoro, se necessario. La Mastroianni è rimasta colpita. È vero che è lei l’indiscussa regina dell’ospedale, ma almeno i rapporti sembrano meno glaciali”.
“Menomale...”.
“Sto iniziando a ottenere un po’ di rispetto... Le mie diagnosi sono risultate infallibili al 90%. Mi sono davvero rimboccata le maniche”.
“Dormi, almeno?”.
“Quattro, cinque ore. Sono distrutta. Non so come faccio a reggermi in piedi”.
“Sta’ attenta, la mancanza di concentrazione può compromettere il lavoro”.
“Lo so, Barto, lo so. Al momento va bene così. È l’unica occasione che ho. È la mia vocazione, non l’ho dimenticato. Se è la mia vocazione, devo dare tutto. Non posso pensare di lavorare all’acqua di rose e che tutto mi venga dato in grazia. Devo metterci del mio. Quando ero al Policlinico, vivevo alla tua ombra. Qui ho davvero dovuto tirare fuori tutto ciò di cui sono capace”.
“Sono orgogliosa di te, Vince. Ma temo per la tua salute, non starai dando troppo? Non rovinarti”.
“Da che pulpito! So che non pensi ciò che dici. Ti preoccupi per me e mi consideri ancora una bambina. Ma sei la prima a dare tutto sul lavoro”.
“Dormo sette ore, Vince. Non mi esaurisco”.
“È perché non hai bisogno di esaurirti, ti riesce tutto facile”.
“Be’...”.
“Non volevo dire facile. So quanto ti spendi per il lavoro. Ciò che volevo dire è più facile. Sappiamo entrambe che hai doni che pochi hanno”.
“Grazie, Vincenza”.
“Niente ringraziamenti, è realismo. Sei un prodigio, mentre altri, anche solo per ottenere una parte di ciò che ottieni tu, devono sudare sette camicie”.
“Non so che dire... Voglio solo il tuo bene. Corrado è davvero quello giusto?”.
“Credo di sì, Barto, l’ho trovato! Insieme stiamo benissimo. In più, è di sostegno. In reparto è sempre presente e, anche se è solo caposala e non un dottore, ha autorevolezza. Lo rispettano. Poi, mi ama e crede in me! Non come Tito... mister Assicurazioni Generali aveva proprio la testa da un’altra parte...”.
“Sono così felice per te. Capisco che il compagno della vita per te è una componente decisiva. Con l’uomo giusto accanto, puoi fare miracoli”.
“È così! Davvero ormai sono rispettata e ascoltata. I risultati sono buoni. Come ho detto, ho lasciato una buona impressione sulla Mastroianni quando in occasione di un intervento di Craniofaringiomia, nel quale il mio apporto è stato fondamentale. Mi sta costando essere al livello della situazione, però questa è la mia vocazione, finalmente do risultati. Non è come quand’ero al Policlinico, però... Sono indipendente”.
“L’ho detto, le stelle si sono allineate...”.
“Hai ragione, hai ragione, so che hai ragione. Barto, ringrazio il cielo per aver trovato un’amica come te”.
“Anch’io Vince. All’inizio mi è sembrato di farti da mamma”.
“Ti è riuscito benissimo! Dev’essere perché la mamma non l’hai avuta, allora sei stata per me una speciale figura materna”.
“Da quando sei andata a Perugia non ho più potuto farti da mamma. Hai dovuto cavartela da sola. Finalmente...”.
“Finalmente!”.

I tedeschi rovina giornata

Filocamo telefonò alle 8,20, l’ora in cui sarebbe dovuto essere a casa di Alipio, e disse: “Sono un po’ in ritardo. Sto partendo adesso”. “Va bene, ti aspettiamo!”, rispose Polvorino, figlio di Alipio.
Filocamo, Polvorino e Solorzano, i figli maggiori di Alipio, quel giorno andavano al lago di Garda, Toscolano Maderno, Lido degli Ulivi.
Si chiama Lido degli Ulivi perché alle sue spalle c’è un appezzamento con una piantagione di ulivi. La piantagione separa la spiaggia dalle prime case o, sarebbe il caso di dire, dai primi residence. Toscolano Maderno: residence, hotel, case da villeggiatura, un benzinaio e un paio di supermercati.

Alle 8,30 Filocamo era a casa di Alipio. Pronti per partire.

Pranzi al sacco. Filocamo, a parte l’acqua che portava da casa, se l’era procurato alla forneria. Un pezzo di focaccia, un pezzo di pizza e una tortina di sfoglia ripiena al formaggio.
I fratelli fecero fermare Filocamo a Vallio Terme (metà strada) e si procurarono il pranzo in una salumeria di paese, economica. Comprarono una bottiglia d’acqua, due bottiglie di birra da 66cl, otto filoncini, salame, coppa.

Alle 10,00 prendevano possesso di una panchina alle spalle della spiaggia. La spiaggia è una striscia di sassi spalleggiata da un prato, panchine, strada, ulivi. Tra una panchina e l’altra, platano.
La panchina fu coperta da asciugamani e zaini. Solorzano aveva portato una sedia di plastica pieghevole a schienale alto. La sistemò a sinistra della panchina, il posto del boss.

Solorzano è stato camionista tutta la vita. Nel 2016, ubriaco con un amico al lago, non va a fare apprezzamenti a una ragazza su un pullman? Un testimone falsamente afferma di aver visto contatto fisico. Solorzano si becca molestie sessuali, due anni di prigione a Pavia e due ai domiciliari, scontati per la fine del 2021. Attualmente disoccupato.

Bagno, lettura di Gabriele Amorth, Racconti di un esorcista all’ombra di un ulivo, altro bagno, pranzo, gita al bar per gelato e caffè, pisolino all’ombra di un ulivo, finisce il pisolino e...

Filocamo torna alla panchina. Polvorino e Solorzano, un anno di differenza, stanno facendo il bagno. Due famiglie di tedeschi con due figli per famiglia, approfittando delle assenze hanno steso i loro pesanti teli, quasi coperte, sotto il platano e davanti alla panchina. L’erba, sotto i platani e presso le panchine, non c’è, c’è terra con sassolini, qualche radice platanica che fuoriesce, un telo da mare è troppo sottile, i tedeschi sono attrezzati, il lago è loro, sono loro i principali destinatari delle strutture turistiche del lago di Garda, i tedeschi... fanno ciò che vogliono.
Mentre Filocamo si accosta alla panchina, sonno ancora negli occhi, è costretto a vedere un gruppetto di bambini – intoccabili in quanto bambini – depositare braccioli e costumini bagnati sul suo lato della panchina. Ma anche se volesse sedersi non potrebbe nemmeno allungare le gambe, tanto i tedeschi si sono avvicinati coi teli spessi, perfetti per il tipo di terreno.

Filocamo resta in piedi dietro alla panchina. Come a dire: “Non mi vedete? Sono qui. Sono arrivato. Questo è il mio posto. Levate la vostra roba dalla panchina – non m’interessa sia di bambini”.

Polvorino è il figlio maggiore di Alipio. Qualche anno fa gli è stata riconosciuta un’invalidità psichiatrica dell’80% e ora percepisce una piccola pensione. Lavora come vigile urbano fuori dalle scuole per far attraversare i bambini. Da settembre andrà a lavare i pavimenti nei supermercati. Polvorino è il padre di Alipietto. Alipietto da aprile 2022 è stato tolto alla madre e dato a una comunità di suore in attesa che si trovi una famiglia affidataria.

Filocamo sperava che i tedeschi si accorgessero di lui e dicessero: “Oh, sorry!”, e togliessero in fretta le cose dei bambini. Invece un tedesco era spiaggiato tipo balena in mezzo al grezzo telo, l'altro, in piedi, guardava il lago e mangiava anguria, una donna era seduta nella posizione di Christina’s world, l’altra si occupava dei bambini. Nessuna attenzione, Filocamo totalmente ignorato.

Filocamo iniziò a ragionare che era colpa della sua pancia se non lo rispettavano. Come si permettevano? Avrebbe forse dovuto dire: “Can you move your stuff from the bench? I came here waaay before you. This is my place. You are not supposed to put your stuff there!”. Ma non diceva niente. Accantonate le frasi che poteva dire, restavano i gesti inconsulti. Si immaginava calciare la testa del tedesco spiaggiato come un pallone da calcio, in realtà si sarebbe fatto male al piede, era coi sandali. O gridare: “Fucking German assholes! Take off your fucking stuff from my bench!”.
Alla fine passò sul davanti, spostò le cose appoggiate fino all’orlo e si sedette, braccia allargate, pancia rivolta al cielo. I tedeschi guardarono con sguardo periferale ciò che avveniva. Non dissero nulla, sapevano che Filocamo era nella ragione, i briganti!

I fratelli tornarono. “Non fai il bagno?”. Che gusto c’è, seriamente, a fare il bagno nel lago? Puoi stare al massimo cinque metri da riva se no ci rimetti la pelle! “No, vado a fare un giro”. Non digeriva lo stare a contatto coi tedeschi rovina giornata. Fece un giro il più lungo possibile, stette via 45 minuti. Girò per il paese deserto. Erano tutti alle spiagge. Si comprò una bottiglia d’acqua e un gelato al chiosco, cosa che non avrebbe potuto fare di fronte ai fratelli poveri. Il gelato l’avevano già preso. L’acqua l’avevano portata da casa – ma ormai era calda. Tornò, fece un bagno veloce per accontentarli, provò a leggere ancora qualche riga di Racconti di un esorcista, ma dopo l’ultimo bagno dei fratelli decisero di andare.

Alle 17,00 partirono. A metà strada, in montagna, si fermarono per prendere acqua fresca da una fonte che si raggiunge via sentiero. La fonte era secca. “Il comune l’avrà fatta chiudere per la siccità!”. Arrivarono a casa per le 18,00, Filocamo entrò in casa, bevve un bicchiere di tè offerto, e partì.
Andò al locker Amazon a ritirare il Supradyn, un coprimaterasso matrimoniale per il divano-letto, To the lighouse di Virginia Woolf, il Rituale degli esorcismi, l’antenna nuova per l’auto – non era quello il problema, l’autoradio continua a non funzionare – e per le 19,00 fu a casa.