Paraparesi spastica (5) – Natale con Ursmara

Riassunto delle puntate precedenti. Dato che Ursmara deve curarsi, decide di rintracciare Braulio e lasciargli la figlia Galdina. Braulio è un poliziotto della sezione investigativa; da ragazzo aveva lasciato Ursmara appena saputo che era incinta. Galdina è nata con una malattia congenita chiamata paraparesi spastica, ma è molto intelligente e alla stazione di Polizia aiuta papà a risolvere i casi più complessi. Uccio, il cane di un donna investita da un pirata stradale, è ora parte della famiglia.

Ciao Ursmara, buon Natale, spero la tua malattia stia andando meglio...
In che senso...?
Intendevo... che il tuo seno stia andando meglio...
Di nuovo... in che senso?
Cioè, vorrei che tu avessi un seno... ehm... bello... ehm... come dire... sod... cioè... sano!
Grazie... me ne hanno tolto uno...
Per caso, come a Sansone, è venuta via anche la simpatia?
Senti, non ho voglia di scherzare. Sto facendo la chemioterapia, sto perdendo i capelli, sono senza il seno destro...
Hai ragione, scusami. Cercavo solo di rompere il ghiaccio.
Cambiamo argomento. Come sta Galdina?
Bene! Adesso arriva, è in bagno. Grazie a lei abbiamo arrestato una banda di cinque uomini, colpevoli di tentativi di estorsione nei confronti di alcune aziende vinicole del livornese. Le aziende avevano ricevuto le estorsioni in forma di email criptate. È stato il gruppo informatico a individuare da dove provenivano le connessioni anche se erano protette da VPN, ma è stata Galdina a suggerire di controllare tutte le ricerche fatte sul web relativamente ad aziende agricole. Con questo trucchetto siamo risaliti al colpevole!
Ci credo, stava sempre al computer quand’era a casa! Come va a scuola?
Ehm...
Braulio...
Cosa posso dire? Di pomeriggio è sempre qua alla stazione di polizia! Preferisce interessarsi ai casi che fare i compiti!
Preferisce lei interessarsi ai casi o sei tu che glieli metti sotto il naso?
È lo stesso, ha un fiuto innato, capisce subito quando c’è qualcosa che non va... tutti le vogliono bene!
Braulio, anche se Galdina da grande volesse fare la poliziotta, o l’investigatrice, dovrebbe comunque studiare, non credi?
Cercherò di farle fare i compiti. Ma perché non glielo dici tu stessa? Eccola.
Ciao mamma! Buon Natale!
Ciao piccola, buon Natale! Sai che se vuoi diventare poliziotta e risolvere i casi con papà, devi studiare, vero?
Certo, mamma!
Allora perché non fai i compiti?
Mamma, devo dirti una cosa... papà non è molto sveglio, sai? Fa parte del nucleo investigativo, ma se non lo aiuto non capisce niente! Per non parlare della totale ignoranza in fatto di computer!
Va bene, puoi aiutarlo, l’importante è che non resti indietro coi compiti.
Dì ciao a Uccio.
Ciao, Uccio. Buon Natale.
Bau, bau!

Giovanni, incarnazione del fiume Giordano

La seconda lettura intende la catarsi in senso allopatico, come purificazione subita dalle passioni stesse, in quanto “bellamente” rappresentate e viste da lontano come passioni degli altri, attraverso lo sguardo freddo di uno spettatore che diventa occhio puro e disincarnato. (U. Eco, “La Poetica e noi”, in Sulla letteratura, 2002)


Da dove partire per scrivere quando non si ha niente da scrivere? Dallo scrivere che non si ha niente da scrivere.

Il tentativo di trovare qualcosa da scrivere dev’essere una specie di attesa (ispirazione) o una specie di ricerca?

C’era quell’insegnante di scrittura, un certo White, studiato nelle università americane, che in un libricino diceva che la scrittura è simile alla caccia. “Bisogna sparare a molti bersagli di cartapesta prima di cogliere un uccello in carne e ossa”.

È una mia parafrasi. Significa che lo scrittore non scrive solo quando ha l’ispirazione, scrive sempre. Quando l’ispirazione arriva, ci sarà quel fuoco, quel trascinamento, quella forza che porta avanti, quel fluire di idee, quello sciorinare parole come fiume.

A proposito di fiume. Un argomento che mi interessa. Il battesimo di San Giovanni Battista. Non è un caso che si dica, nella Scrittura, che Giovanni battezzava presso il fiume Giordano. Giovanni è il fiume Giordano. Il suo battesimo è un fiume di parole attraverso il quale si deve passare. Mai provato a leggere i Proverbi della Bibbia? O la Sapienza? O il Siracide? Sono serie di ammonimenti, liste di comportamenti... In molti di essi ci si ritrova, in molti no. Quelli in cui ci si ritrova, per così dire, toccano. Ad esempio, un comportamento condannato come negativo. Se trovo che lo commetto, subito mi tocca. Naturalmente bisogna riconoscere autorità alla Parola di Dio. Da dove ricavava Giovanni la sua autorità? Dalla sua vita austera e ascetica. 

Prendiamo, ad esempio, per non far riferimento sempre alla Bibbia, qualcuno che parla di azioni riprovevoli. Cosa deve fare per avere autorità e far sentire in colpa al nominare una data azione? Deve non commetterla lui per primo. “Mangiate troppo”. Ma se è un panzone, l’accusa non avrà forza e nessuno vi darà peso. Se, invece, a dire: “Mangiate troppo” è Pannella dopo sei mesi di sciopero della fame, o Ghandi, allora il monito risuonerà nelle anime. “Non avrà mica ragione? Se lo fa lui, perché non posso farlo anch’io?”.

Ecco il cosiddetto: “battesimo di penitenza per la remissione dei peccati” di Giovanni (cf. Mc 1, 4). Ascoltare uno così, uno cioè che ha autorità, uno che per primo non fa le cose che condanna, è come fare la doccia. Le sue parole avranno forza. Le sue parole toccheranno.

Ho sperimentato spesso l’effetto purificatore dell’ascolto di una persona del genere. In più Giovanni era un fiume, aveva una capacità di parlare pari a migliaia di parole al secondo. Dico per dire, è un’iperbole. Si immagini uno che parla, parla, parla. E in più ha autorità. E in più conosce a memoria la Scrittura, quindi le leggi, i comportamenti, che propone e promulga; e che nel parlare ha fatto suo il modo di parlare della Scrittura, ad esempio le Lamentazioni, o le imprecazioni profetiche, o il linguaggio apocalittico. Ecco uno capace di scuotere le coscienze della gente. Ecco chi andavano a trovare, al fiume Giordano, gli israeliti.

Prendiamo il Vangelo di oggi. Dice: “Avete fatto tutto ciò che dovevate fare. Siete servi inutili”. Per dire: “Siete utili solo se fate qualcosa in più. Ma se fate semplicemente il vostro dovere, state semplicemente applicando la giustizia. Se non fate neanche il vostro dovere, quello è il problema grosso. Se fate il vostro dovere, siete servi inutili. Se fate qualcosa in più, oltre ad aver fatto il vostro dovere, state praticando la carità, siete cioè servi utili” (cf. Lc 17, 10).
All’ascoltare questo Vangelo, dico: “Il mio dovere è il mio lavoro, più tenere pulita la casa, più farmi da mangiare. Il lavoro lo svolgo ma non con gran voglia, la casa necessita di una passata ai pavimenti da settimane, che non riesco a trovare la voglia di fare, prepararmi da mangiare… be’, compro spesso roba pronta, formaggi, salumi, ecc.”. Ecco come una parola che ha autorità risuona nella vita. Fa pensare: “Ma io queste cose le faccio? Sono un servo inutile o utile?”. C’è da dire che qualche opera di carità l’ho fatta. E a causa di ciò giro su un’auto di vent’anni. Gesù dice che un gesto di carità sincero cancella molti peccati. Questo per dire che a volte uso l’utilità (fare la carità) per coprire la mia neanche-inutilità (il fatto che non arrivo nemmeno a compiere bene il mio dovere, che pecco).

Le parole sono acque. Le parole sono cibo, quindi sono anche bevanda. La bevanda non è forse un alimento? Se è alimento, è una forma di cibo. “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4).

Ascoltare uno come Giovanni Battista è come fare la doccia. Mi è capitato, dopo discorsi del genere, di sentirmi più leggero, purificato. Tutte le parole che toccano, in qualche modo rimuovono il peccato commesso. Mai provato a parlare con un amico, o con uno psicologo, di un problema che si ha, magari di un vizio che non si riesce a superare, e di sentirsi, alla fine, più leggeri? Secondo me ogni volta che si porta una problematica alla luce mediante la parola si fa il primo passo per rimuoverla.

Il problema che resta a questo punto è come distinguere questa remissione dei peccati da quella operata da Gesù.
In un caso abbiamo un uomo che, per quanto santo, è pur sempre uomo e non può perdonare i peccati.

L’unico che può perdonare i peccati è Dio. Perché? “Contro di te, contro te solo ho peccato” (Sal 51, 6). Se faccio male a un uomo faccio male a tutti gli uomini. Se faccio male a tutti gli uomini faccio male a tutte le creature. Se faccio male a tutte le creature faccio male al creato. Se faccio male al creato faccio male a qualcosa che ha fatto Dio. Se faccio male a qualcosa che ha fatto Dio faccio male a Dio. Non si può far male a Dio, però è certo che se parcheggio sul posto degli handicappati non faccio male solo all’handicappato che lì non potrà parcheggiare, né alla categoria degli handicappati presa nell’insieme, ma alla società intera, perché violo una legge. Violando una legge faccio male allo stato. Siccome il principio della legge viene da Dio, se violo la legge sto facendo qualcosa contro Dio. Il peccato, non importa contro chi lo commettiamo, è sempre contro Dio. Ecco perché Dio è anche l’unico che ha il diritto di perdonare.

Resta qualcosa di problematico. Dio è l’unico che ha il diritto di perdonare, o è l’unico che ha il potere di perdonare? Non mi riferisco al problema del Sacramento della Confessione affidato ai sacerdoti, i sacerdoti sono estensione di Gesù, agiscono: “In persona Christi”, sono Gesù quando danno l’assoluzione; mi riferisco al fatto che se un uomo commette un peccato contro un altro uomo e quest’ultimo lo perdona, secondo me, mi viene da dire, il peccato è perdonato e chi l’ha commesso non merita più il castigo. Ma questa è un’idea di cui parla Socrate in un dialogo, non ricordo quale. Forse alla fine di Fedone, dove c’è uno dei più importanti miti escatologici mai messi su carta, una rappresentazione dell’aldilà mediante immagini in cui, se non ricordo male, si dice che coloro che giacciono nelle parti più basse, a causa di un delitto commesso contro qualcuno, non possono risalire se quel qualcuno non li perdona.

Il Vangelo è chiaro su questo punto. Solo Dio può perdonare i peccati. Perché, perché, perché? Cosa faceva, allora, Giovanni Battista? Cosa credeva di fare?

Sono in aporia. Aiuto. 

Lo scontro fisico

Qualche giorno fa ho fatto un errore con un collega bestemmiatore e ne ho pagate le conseguenze.
Chi è il più grande bestemmiatore? Il diavolo. Il diavolo è colui che odia più di tutti Dio, lo insulta e dice le più grandi falsità su di lui. Il bestemmiatore si fa portavoce del diavolo; dice, cioè, le stesse cose del diavolo; facendosi portavoce del diavolo, si fa suo servo.
Il diavolo, “principe di questo mondo” (cf. Gv 12, 31; 16, 11), promette e dà ai suoi servi grandi doni.

Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai» (Mt 4, 8-9)

Nel mio ambiente di lavoro c’è forte competizione, è sempre stato così.
La cosa più rattristevole è che la competizione non la vedi solo nell’effettivo svolgimento del lavoro. A causa del sistema degli aiuti, cioè del fatto che se non riesci a chiudere la rotta ricevi aiuti dai colleghi che l’hanno chiusa, le prestazioni quotidiane sono presto conosciute.
È importante anche l’orario di rientro. I cancelli aprono alle 18,30: sei uno di quelli che sono fuori mezz’ora in anticipo e aspetti in coda prima che aprano, o rientri dopo le 18,30, magari non una sola volta ma sempre?
Le voci girano. Se sono già rientrato, ho già fatto il debrief (restituzione pacchi non consegnati) e ho già parcheggiato, guardo in faccia, attraverso il parabrezza, tutti quelli che arrivano, anche se per pochi minuti, dopo di me. È un modo per dire: “Sono arrivato prima io”.
La cosa decisiva è la timbratura serale. Chi timbra per primo? Chi, per primo, è pronto a partire con la macchina per andare a casa? Sei uno di quelli che tengono il responsabile furgoni che ritira le chiavi ad aspettarti fino alle 19,00, 19,30, o alle 18,35 hai già timbrato e mentre te ne vai con la macchina guardi negli occhi, attraverso il parabrezza, i colleghi che rientrano col furgone?
Pur di far vedere che si è arrivati prima, si fa a gara persino nella coda per il debrief o nella coda per timbrare.

Il collega bestemmiatore, V., è uno, per dire il tipo, che una mattina mi ha spostato la mano mentre stavo per timbrare, primo arrivato, per timbrare prima di me.
È uno che, la sera incriminata, siccome ero davanti a lui al rientro, con la scusa implicita che vuole timbrare prima di tutti per andare a casa, mi camminava dietro e metteva pressione mentre andavo piano perché stavo parlando con una collega. Ci mancava solo che mi facesse i fari, da dietro, peccato che eravamo a piedi.
Sta di fatto che, sentendo la pressione che metteva alle spalle, ho dovuto scansarmi per farlo passare. Non importa che quella sera era rientrato dopo di me, lui deve timbrare prima.

Volendo, coi colleghi non c’è neanche necessità di parlare.
Quando arrivo sul posto di lavoro consegnano le chiavi e bisogna sbrigare una serie di attività per la cosiddetta presa in carico del furgone. Controllare i danni, segnare tutto su un apposito foglio, compilare il giornale di bordo, data, nome, cognome, numero di rotta, targa, chilometri alla partenza, firme qua e là... Quattro foto al furgone, davanti, dietro, lato destro, lato sinistro.
In un quarto d’ora si è pronti a partire, cioè, quando si è chiamati col megafono, si esce dal parcheggio e si entra nella zona di carico. In dieci minuti si caricano dai 150 ai 200 pacchi, già preparati in borse numerate, e 40 minuti dopo aver timbrato si sta già uscendo verso la prima consegna.
Per parlare davvero coi colleghi bisogna fermarsi la sera o organizzare la classica pizzata.

Sono anni che sopporto colleghi convinti di essere più bravi che mettono pressione nel magazzino e nel parcheggio se per caso si trovano dietro.
Non si tratta solo di competizione. Secondo me c’è malattia mentale. Forse tutto si spiega tenendo presente che uno è un bestemmiatore
Etichettano un collega con l’etichetta scarso e da quel momento non accettano rietichetizzazioni. Sono loro i più bravi. Non sopportano di vedere rientrare uno scarso prima di loro. Per cui, anche se lo scarso è rientrato prima, fanno di tutto per passargli davanti al debrief o nel parcheggio sorpassandolo (sic!) o alla macchinetta della timbratura.

La sera incriminata, quando ho lasciato passare V. che metteva pressione alle spalle, al momento di timbrare è lì che si lamenta col responsabile furgoni del fatto che deve scrocchiarsi la schiena o che gli si scrocchia la schiena o qualcosa del genere: “Sai cosa dovresti farti scrocchiare, tu?”, mi esce mentre timbro.
“Ma vaaaffanculo!”, dice puntadomi contro la mano, probabilmente sentendosi attaccato davanti a tutti. Poi prende il mio braccio molle, dato che non oppongo resistenza, e lo mostra a tutti: “To’, guarda qui!”, come per dire: “Non sarebbe in grado di fare male a nessuno”. In effetti non ho mai fatto a botte né partecipato a risse. Non facendo ginnastica né pesi, sono piuttosto debole.

Ecco la reazione, ecco le cattiverie di cui è capace un bestemmiatore. Mi sono sentito ferito e umiliato. Ha toccato a perfezione i punti deboli. Naturalmente ho sbagliato a iniziare.
Oltre a essere un bestemmiatore è ultraquarantenne single, ex-tossicodipendente, ha sempre fatto l’operaio e ora fa il corriere. È un uomo che non può sopportare che gli si metta i piedi in testa. Non può sopportare un’umiliazione, ha spesso attacchi d’ira. Non ha niente, non può permettersi che gli si tolga anche il niente che ha, ossia la rabbia e la certezza che in uno scontro fisico avrebbe la meglio. 

Intervista doppia

EDMONDO: Mia madre, Augustine Mbewe, è dello Zambia, suo padre è giornalista, in casa c’era un pianoforte, a 16 anni vagheggiava le sale da concerto, si impegnava nello studio sperando di essere accettata in una università occidentale, a 18 anni perse la madre per tumore, a 20, a causa del colpo di stato, le incarcerarono padre e fratello, non le restò che mettersi in viaggio. Attraversare l’Africa fu facile. Passando per la Siria riuscì, usando tutti i soldi che aveva, a imbarcarsi per l’Italia. Durante il viaggio fu violentata. Approdò in Italia. Fuggendo dal centro di raccolta, riuscì a raggiungere il nord dove trovò lavoro come addetta alle pulizie nella provincia di Treviso.

ANSANO: Dopo quasi 15 anni, quando ormai era un’istituzione nell’azienda, la mandarono a fare pulizie industriali presso la Casali Marmi Srl di Casaloldo sul Brenta. Era una pulizia straordinaria, bisognava rimuovere la polvere di marmo dai macchinari, dalle pareti, dai soffitti. Rassegnata, come al solito, al proprio destino, Augustine si mise a lavorare di buona lena assieme a cinque colleghi e in un giorno finirono tutto. Elvio Casali, figlio del fondatore, fu soddisfatto del lavoro, rimase colpito da come lavorava di lena quella donna di colore che aveva sotto di sé cinque persone. Era un po’ in carne, un po’ culona... ma fu colpito proprio dall’etica lavorativa. Per gli uomini della bassa come mio padre la professionalità è tutto.

EDMONDO: Alle 20,00 Elvio decretò che poteva andar bene. Chiese alla squadra se gradisse un aperitivo. Accettarono tutti, tranne Augustine che doveva guidare. Ordinò una Coca Cola e non rifiutò focaccine e tartine portate con gli aperitivi. “Complimenti! Fate un ottimo lavoro. Sono soddisfatto di voi! Facciamo questo tipo di pulizie ogni due anni, non è proprio necessario, siamo abituati a vivere nella polvere. Serve più che altro per i macchinari... Però vi assicuro che la prossima volta chiamo voi!”. “Grazie, troppo gentile!”, disse Augustine in un italiano perfetto. “Lo diremo al nostro capo”.
“Vi assumerei a fare i marmisti nella mia azienda, se potessi, ma credo non accettereste”. “E perché dovresti assumerci?”, chiese incuriosita Augustine. Elvio si fece rosso... “Mah, così... lavorate sodo...!”.

ANSANO: Augustine e il gruppo rincasarono, quella sera, alle 22,00. Capitava, ogni tanto, a chi faceva le pulizie straordinarie. C’era il giorno in cui si lavorava dalle 8,00 alle 14,00 e il giorno in cui si lavorava dalle 6,00 alle 20,00. Lo stipendio era forfettario, non variava in base alle ore, però coloro che facevano le pulizie straordinarie dovevano essere pronti a tutto, ogni giorno. A volte, ad esempio, bastava una mezza giornata a una squadra di sei persone per pulire un centro scommesse; altre, per una piscina, occorrevano due giorni. Augustine si trovava bene a far la straordinaria, non aveva altro nella vita a parte il lavoro, e l’avanzamento di carriera le aveva permesso di mettere da parte abbastanza soldi per poter un giorno aiutare, come sperava, i suoi in Africa.


EDMONDO: La mamma con la sua utilitaria la domenica andava a fare la spesa al Bennet del centro commerciale Campo Grande fuori Treviso, dove faceva la spesa per l’intera settimana. Una domenica, verso le 10,30, al Bennet mia madre riconobbe mio padre, Elvio. Lo guardò un po’, mentre girava nel reparto casalinghi con una ragazza che avrebbe potuto essere sua figlia, per un attimo se ne disinteressò. Era solo un ex-committente, cosa importava? O forse avrebbe fatto meglio a scambiarci due chiaccherere, che so, per assicurare committenze future...? “Buongiorno, signor Casali!”. Elvio fece un salto. “Augustiiine! Non posso crederci, è lei? Allora è vero che abita a Treviso!”. “Abito in provincia, ma vengo sempre qui a fare la spesa, la domenica”. “Vai a immaginare...! Le presento mia figlia. Ilaria. Augustine”. “Piacere”.

ANSANO: “Sua figlia? Pensavo fosse la sua fidanzata!”. “Così giovane, ma no! Sono rimasto vedovo tre anni fa, la madre di Ilaria ha avuto un brutto male...”. “Oh, mi dispiace, doveva amare molto sua moglie!”. “È stata la donna della mia vita. Senta, Augustine... le andrebbe di pranzare con noi? Pensavamo di passare la giornata a Treviso...”. “Ma, veramente dovrei portare a casa la spesa, devo ancora finire di sistemare”. “Si prenda un giorno di riposo, lo so che lavora duro”. “Va bene, a una condizione”. “Dica pure...”. “Che la smettiamo di darci del lei”. “Ottima idea!”. Questa fu, più o meno, la conversazione che mio padre e mia madre ebbero al Bennet, secondo quando riportato da mia sorella Ilaria.

EDMONDO: Mio padre ebbe l’ardire di invitare a cena fuori Augustine ancora una volta. Questa volta a tu per tu. Poi un’altra volta. Poi un’altra ancora. Poi la invitò a casa, quando mia sorella era in gita scolastica. Mia madre rimase presto incinta, allora Elvio le fece la proposta. Pioveva, quel giorno, Elvio si inginocchiò davanti al camino. Fecero l’ecografia, gemelli. Ci chiamarono Edmondo e Ansano.

ANSANO: Non abbiamo mai avuto alcun dubbio. Sin da piccoli mio padre ci portava al capannone, dove ci mostrava i segreti di taglio e incisione del marmo. Abbiamo fatto entrambi il liceo artistico, ma appena finito siamo entrati in azienda con mio padre. Amiamo nostro padre, ha sempre fatto di tutto per includerci. Quando torniamo a casa con la nostra pelle scura coperta di polvere bianca la mamma si mette a ridere. “Siete neri o bianchi? O be’, cosa importa!”.