Vivo di espedienti

Nel supermercato dove ho fatto la scenata, dal quale mi hanno cacciato, vendono crespelle già pronte, al prosciutto, formaggio, funghi, radicchio o asparagi. Nella vaschetta c’è una porzione per una persona e mezza, più o meno, l’ho sempre fatta fuori da solo. Le prepara qualcuno fuori e le portano al supermercato. Le hanno solo loro.

Domenica sono a pranzo dai soliti amici, una cara famiglia conosciuta tramite il gruppo di preghiera, l’Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi. Siccome ho menzionato le crespelle mi hanno chiesto di portarle. Ma nel supermercato dove ho fatto la scenata e dal quale mi hanno cacciato non posso più andare.

Non è l’unico supermercato a Brescia di quella catena. Ne ho individuato un altro a sette minuti d’auto da casa. Ho chiamato, ho chiesto se avevano le crespelle. Ne avevano sette vaschette, tre al prosciutto e quattro ai funghi. Meglio di così, anche la scelta. “Se vengo tra dieci minuti, le tiene da parte?”. “Certo, lo dico alla ragazza del banco salumeria”.

Entro, vado al banco salumeria: “Salve, ho chiamato dieci minuti fa per...”. “Sì, certo! Ecco!”. “...crespelle”. “Si faccia dare un sacchetto in cassa”. Pago, le metto in frigo.

Domenica a tavola siamo in sette. Le mangiamo alla faccia di chi mi ha cacciato.

Vivo di Provvidenza

C’è sempre qualcosa che non va. Ho anche scritto un post intitolato: “Non mi lamento”. Bisogna farlo, bisogna cogliere l’occasione per scrivere un post così, per ringraziare... Chiunque abbia pensato un po’ a Dio si rende conto che: “Tutto è grazia”, come dice Santa Teresina. Tutto ciò che accade nella vita, o viene da Dio o è permesso da Dio, ergo nulla è male nell’universo. Si pensi al discorso che si fa quando si dice: “Sì, la malattia mi ha fatto soffrire, ma quanto sono cresciuto, quanto ho guadagnato in sapienza, consapevolezza, serietà, quanto sono maturato, migliorato”, ecc. Col senno di poi ogni male è messo al suo posto.

Si capisce che l’unico male è il peccato, la caduta con deliberato consenso in un comportamento contrario alla legge di Dio. Ma anche il peccato, se così si può dire, fa bene. “Felix culpa” recita il preconio pasquale, felice colpa che ci ha meritato di ricevere una così grande grazia di misericordia. Se non avessimo peccato, non saremmo nemmeno stati redenti. È un discorso un po’ rischioso. Naturalmente è meglio non peccare, così: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Vogliamo vedere, sapere, capire. Ma è sufficiente la fede. Non c’è bisogno della prova o di veder segni. 

“Tutto è grazia”... tale consapevolezza porta a ringraziare Gesù per tutto ciò che abbiamo ricevuto, gli amici, i nemici, le gioie, i dolori. Ecco perché la preghiera più alta del cristiano, l’Eucaristia, non è altro che rendimento di grazie. Dobbiamo sempre cogliere l’occasione, quando siamo ispirati, per rendere grazie al Creatore. Il solo fatto che ci ha portato all’essere è motivo di rendimento di grazie. Lui è l’essere e per suo volere ha comunicato a noi l’essenza, sé stesso, facendoci a sua immagine e somiglianza. Così, siamo.

Talvolta ci accostiamo all’Eucaristia per forza, meccanicamente, rendiamo grazie a parole e gesti senza sentirlo davvero. Va bene anche questo: un’Ave Maria recitata meccanicamente è meglio di un’Ave Maria non recitata. Anche se va detto: un’Ave Maria pregata col cuore è meglio di dieci Ave Maria recitate meccanicamente. E insomma, tutta una gerarchia di cose... dalle migliori alle peggiori e viceversa. Come quando si fa un trattato di morale. Ci sono comportamenti cattivi, come l’omicidio, alleggeriti dalle attenuanti, come, nel caso dell’omicidio, la passione. E via dicendo... solo per dirne una.

Di fatto, mi sento appeso a un filo. Va tutto bene perché ho un lavoro, una casa, un’auto, una famiglia, amici, un gruppo di preghiera, un blog, lettori, commentatori... cosa dovrei volere di più? Eppure, come al solito, voglio di più, ma non da altri, bensì da me stesso. Non mi piaccio, non mi piaccio, non mi piaccio. Perché non riesco a crescere in virtù? Perché non riesco ad avere abitudini migliori? Do colpa al lavoro, che succhia le energie. Però, poi, come ho detto, non posso lamentarmi del lavoro. Eppure proprio tale lavoro mi impedisce di vivere meglio il tempo che non è lavoro. Quando sono a casa dormire, dormire, dormire. Cercare di riprendersi per il giorno successivo, quando sarà di nuovo  un’estenuante, infinta giornata. Non sono solo io, anche i colleghi più giovani patiscono. Si vede dalle facce dopo cinque giorni. Le barbe sfatte, le spalle senza sostegno, i saluti accennati. Allora qualcuno, nonostante la gradasseria da testosterone, osa proferire: “Sono stanco”. Ti capisco, fratello. È estenuante. Sono giornate infinite, piene di imprevisti e problemi. 

Certo, sono un professionista della lamentela. Riesco ad andare al pelo nell’uovo di qualsiasi attività sia costretto a fare. Altro non è che mormorazione. Mormorazione è parlar male verso l’alto, i superiori, la gerarchia. Verticale. Calunnia è parlar male dei pari. Orizzontale. La mormorazione, passando attraverso i superiori, arriva dritta a Dio. Poiché tutto ciò che accade è volontà sua o è permesso da lui. Quindi, sempre bisogna far riferimento a lui. Non si scappa.

Torno alla vita. La vita che mi delude. Quante persone stimo enormemente e ho paura di frequentarle perché non mi sento all’altezza. Signore, tu solo mi ami come sono, ma anche tu vuoi che faccia di tutto per cambiare, no? Sei come le donne. Vuoi da me non dico il miglioramento ma il costante sforzo, la tensione verso il miglioramento. Il tentativo. “Almeno ci ho provato”. 

Vivo di Provvidenza. Sono sempre appeso a un filo. Mi sembra di essere sempre al limite. Mi sembra sempre manchino le energie. “Come farò?”, mi chiedo. Eppure devo farlo, comunque, sempre, qualsiasi siano le condizioni. Sei stanco? Lo fai da stanco. Che paura... Vuoi essere scrittore? Scrivi la sera, dopo il lavoro, mentre si chiudono gli occhi. Altrimenti ti svegli un’ora prima e porti un’ora in meno di sonno sul lavoro.

Ma poi, quanto è autoreferenziale questa scrittura? Potrei dedicare il tempo che ho in più a dimagrire, magari facendo esercizi in casa o al volontariato. Eppure lo dedico alla scrittura. È che la scrittura ha quel fascino, quel prestigio che ti fa sentire che sei qualcosa. Quando vado sul lavoro guardo i colleghi operai dall’alto perché: “Io scrivo”. Sono convinto: Dio mi ha tolto la possibilità di scrivere proprio per l’autoreferenzialità con cui ho sempre praticato tale attività. Cerco l’immortalità o la grandezza? Sono cose diverse... L’immortalità, quella vera, equivale alla santità, che è dono di sé... dono di sé equivale a mettersi in secondo piano per far risaltare altri. Come in un matrimonio, quando ci si rende conto che il coniuge è migliore, ha più probabilità di far carriera o non necessariamente, può anche essere che il coniuge sia ugualmente capace, alla stessa altezza, eppure per andare avanti un ego va sacrificato, perché due geni non riescono a convivere. Sofia Tolstaja correggeva le bozze del marito. Quante volte un marito non riesce a sopportare che la moglie guadagni di più. L’esempio dev’essere l’umiltà di San Giovanni Battista, che dice: “Egli deve crescere e io invece diminuire”, dimostrandosi figlio di sua madre, Santa Elisabetta, la quale dice: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Già sapevano, capivano... dalle profezie, dagli interventi angelici... chi era precursore e chi Signore...

La Provvidenza arriva quando non si hanno più mezzi umani. Sono costantemente allo stremo delle forze, al limite. Sento di non poter superare ciò che sono. Già do il massimo, tuttavia sono minore di altri uomini, ma non è questo... è la sensazione di non star realmente dando il massimo, di poter fare di più ma di non farlo per pigrizia... anche gli esempi che vedo e sento non aiutano... se è vero ciò che dice Platone, che la virtù non si può insegnare – ciò di cui sono esempio i figli di Pericle, figli di tanto padre ma, sebbene in più affidati ai migliori tutori, scaccioni –, neanche l’esempio delle persone grandi, forti, capaci, riuscite può aiutare, ecco perché i sofisti sono avversati da Socrate, i cosiddetti insegnanti di virtù che prosciugavano gli averi dei giovani di buona famiglia in cerca di successo, ossia di qualcuno che potesse insegnar loro come ottenerlo... se la virtù non si può insegnare anche l’esempio non serve... 

Datemi, amatemi anche se non vi piaccio, anche se sono sotto di voi. Non pretendete che cambi per poi, allora sì, amarmi. Sono così... desidero un po’ di pace...

Lost it

Giorno libero, aspetto le due per andare al supermercato, è l’ora più tranquilla, sono tutti a mangiare o riposare, a qualsiasi altra ora è pieno, specialmente tarda mattina e tardo pomeriggio. Già ho un senso di fastidio ad andare al supermercato, probabilmente dovuto a tutte le volte in cui sono stato vicino a perdere la pazienza che si sono inconsciamente sedimentate nell’anima. Mi farei mozzare un piede prima di metterlo in quel supermercato. È anche carissimo. Ma è il più vicino a casa e tra andare e tornare, con la spesa sempre uguale che faccio, ci metto meno di mezz’ora. Nonostante il senso di fastidio mi decido e vado.

Per andare all’altro supermercato vicino a casa devo prendere la macchina, e fuori c’è un ragazzo di colore al quale ho dato un bel po’ di soldi e che ho anche provato ad aiutare a ottenere il permesso di soggiorno portandolo a un centro aiuto migranti, che ogni volta mi ferma e mi tiene mezz’ora, con abbracci e baci, per ringraziare ma anche per ottenere qualche soldo, la verità è che quando ho provato ad aiutarlo non si è fidato di me, ha continuato a mentire al giudice dicendo che era gay perché così i suoi connazionali lo hanno consigliato, i gay in alcune nazioni africane sono proibiti quindi chi dice di essere gay ottiene lo stato di rifugiato. Ha provato questa menzogna: sono otto anni che aspetta il permesso di soggiorno. Sta davanti al supermercato tutto il giorno, parla solo inglese, l’italiano due parole, non ha mai fatto il minimo sforzo per trovare lavoro, si vede che riesce a campare così, però non è neanche giusto, ti aiuto per arrivare all’obiettivo di trovare lavoro e non farti più stare a rompere le palle alla gente fuori dal supermercato e tu te ne infischi? Solo i soldi vuoi, per il resto vuoi fare di testa tua, e allora vai a quel paese. Tra l’altro è nigeriano, cristiano, ha moglie e figli in Nigeria. I miei aiuti hanno fatto felice tutta la famiglia, che ora prega per me. Ma non ho più un soldo, questo mese ho tre appuntamenti dal dentista e un quarto a dicembre. Andare nel suo supermercato è un fastidio, per dovermi trovare ogni volta a chiaccherare dei suoi problemi, che è il primo a non voler risolvere. 

In quello in cui vado hanno solo tre casse vicine a una colonna, ciò fa sì che le persone non si mettono in coda ciascuno a una cassa, tutti si fermano dietro la colonna e la prima cassa che si libera si buttano. Non è giusto, devi scegliere una cassa e andare lì, non far formare un’unica coda dietro le casse. Già una volta ho litigato con un signore per questo motivo, secondo lui gli passavo davanti, invece stavo solo dirigendomi a una cassa mentre lui stava indietro aspettando la prima che si liberasse. “C’è una coda, c’è un’altra coda e un’altra coda. Ne scelga una e si metta lì. Non può stare qua a bloccare tutti”. Il supermercato è ricavato all’interno di un’ex fabbrica dismessa, ha i suoi problemi di spazio, d’altronde è in una zona relativamente centrale della città, non si può pretendere. Però bisogna anche dire che nessuno del supermercato ha mai fatto niente per aiutare i clienti a regolare le code. I clienti sono sempre stati abbandonati a loro stessi e ai loro litigi.

Ci sono solo due casse fai-da-te. Non c’è un addetto alle casse fai-da-te. Siccome le casse fai-da-te sono accanto a una delle casse normali, chi è in quella cassa deve anche occuparsi dei problemi che si verificano alle casse fai-da-te. Tutto rallenta. Uno dei problemi tipici delle casse fai-da-te è che se hai comprato un cestello da sei bottiglie d’acqua non puoi scansionare il codice a barre che c’è sul manico, devi scansionare il codice a barre sulla bottiglia e scrivere: “6” sul monitor. Nessuno lo sa fare. “Attendere l’arrivo di un addetto”. L’addetto però è in cassa. Se ne occupa da lontano, stando seduto, schiacciando un bottone su un palmare per sbloccare la cassa fai-da-te e dicendo al cliente come comportarsi. Naturalmente chi è in fila in quella cassa viene messo in secondo piano. 

Ho visto cose che voi umani...

Hanno dei POS coi pulsanti sensibilissimi, quando schiacci partono due o tre digitazioni. È capitato a me, che sono giovane e ho la mano ferma, di dover ricomporre il PIN più volte a causa di questo problema.

Quel giorno ero il terzo in coda e a pagare c’era una signora anziana. La signora non riusciva a digitare il PIN, ogni volta partivano due o tre numeri. La gente in coda iniziava a scaldarsi. Tutti davano la colpa alla signora.

Invece la colpa è del supermercato, che non provvede POS che funzionino a dovere.

La cassiera dice alla signora: “Vuole scrivere il suo PIN su un foglietto e glielo digito io?”.

Ho visto cose...

La signora a un certo punto legge: “Transazione eseguita”. Alucinazioni? Fatto sta che lo scontrino non esce. “No, signora, deve riprovare. Vede? Lo scontrino non è uscito”.

“Non sono mica scema, sa? C’era scritto: Transazione eseguita. Vuol dire che ho già pagato. Fatemi parlare col direttore”. 

Il direttore è una ragazza seduta lì vicino, in un box circondato da muretti a parapetto di legno.

Ho perso la pazienza, che devo dire? Non ho scusanti. In tutto questo va aggiunto che era aperta una sola cassa e nessuno ha pensato di aprirne un’altra per ovviare al disguido e far comunque scorrere la coda. Ho cominciato a dire a quella davanti a me: “Non è colpa della signora. È colpa del supermercato. Sono loro che hanno i POS che non funzionano”. A questo punto mi è partito l’embolo. Tutti, staff, compreso, se la prendevano con la vecchia nel supermercato più disfunzionale e caro di sempre, che ha come unico vantaggio la posizione. Ho alzato la voce. “La colpa è vostra! È sempre così! Siete voi che dovete mettere dei POS nuovi! Sono anni che va avanti questa situazione! Neanche un discount ha dei POS così scassati. È successo anche a me di dover digitare più volte il PIN, non è colpa della signora! Fate schifo! Siete gli unici! Fate schifo!”. Arrivato qui ho iniziato a vacillare, mi rendevo conto che stavo facendo una scenata, che stavo urlando a squarciagola e che tutto il supermercato stava ascoltando. La passione mi aveva fatto perdere pure il filo. Non avevo più argomenti. Continuavo a dire: “Fate schifo!”.

Un ragazzo dello staff, che di fronte alle donzelle doveva fare il coraggioso, mi ha fronteggiato. “Perché non va a fare la spesa in un discount, allora?”.

Ho versato la mia borsa a terra dov’ero e sono uscito. Sono anche contento di non dover più mettere piede in quel posto, dove sono sempre stato trattato con sufficienza e dal quale sono sempre uscito irritato.

Mi sono reso conto solo verso sera che avevo ignobilmente perso la pazienza e che non capivo neanche dov’ero né cosa dicevo. Quando ho visto tutta la gente prendersela con la vecchia non ci ho più visto. Ho perso il controllo. Probabilmente è venuta fuori tutta la rabbia che accumulo giorno dopo giorno giocando il ruolo del remissivo. Nessuno avrebbe potuto fermarmi o condurmi alla ragione. Capisco l’attenuante della passione d’ira momentanea che porta a certi delitti. In quei momenti non si capisce nulla.

Mi sono confessato. Ma soprattutto sono stato cacciato dal supermercato. Mi tocca riorganizzare la mia vita a causa di questo evento. Ho già individuato un supermercato non troppo lontano dove posso andare quando torno dal lavoro. Dovrei farcela. Se non ci si mettessero anche i colleghi che chiedono passaggi...

Faccia a faccia

Due parole sulla scena di Heat (Michael Mann) in cui Al Pacino e Robert De Niro sono uno di fronte all’altro.

È da tempo che cerco di decidere chi preferisco tra i due. Uno dei due è il mio attore preferito.

Conta il fatto che il mio film preferito sia Glengarry Glenn Ross (Americani) in cui Pacino è al massimo. Però tra i dieci miei film preferiti c’è sicuramente Taxi driver, in cui De Niro è giovane e meraviglioso. Nel solitario e paranoico Travis Bickle trovo anche più me stesso.

Entrambi sono mostri. Chi mi piace di più? L’equilibrio, diciamolo subito, è sempre stato sbilanciato verso De Niro. Non dico che mi piace di più come attore, ma come personalità, come uomo. Ricordo di aver letto che in The mission il suo carisma metteva in soggezione tutti nella crew. Ma questo anche perché cercava di stare il più possibile, sin dall’inizio, nella parte.

Pacino è diverso. Quando è fuori carattere è un amicone, un piacione. Eppure anche lui è capace di rabbia e durezza da far tremare.

Faccio una lista di film. Di Pacino mi viene in mente, a parte Glengarry Glenn Ross, Dog day afternoon, And justice for allScent of a woman, Frankie and Johnnie, Heat...

Di De Niro Mean streets, Taxi driver, Raging bull, The untouchables, Goodfellas, Casino, Analyze this, Meet the parents, The Irishman, Heat, Dirty grandpa, Awakenings, The deer hunter, The intern...

Insomma, penso di aver visto più cose di De Niro che di Pacino. Mi ha sempre attratto di più, perciò l’ho seguito di più. Come ho detto, è la persona che mi attrae, il suo nascondimento, il suo lavoro assiduo, il suo commitment a un personaggio o a un’opera.

Prendiamo i due film in cui Pacino e De Niro interpretano qualcosa di prodigioso mettendo alla prova al massimo le loro capacità di attore: Scent of a woman, in cui Pacino interpreta un cieco e Awakenings, in cui De Niro interpreta un uomo affetto da Parkinson. Direi che qui è sicuramente De Niro a battere Pacino. Basta guardare qualche scena su Youtube per capire il livello di impegno necessario per dare credibilità alla malattia, mentre la cecità di Scent of a woman, sebbene credibile, è meno faticosa da rendere e più affettata.

Ecco, direi questo. Pacino è più attore-attore, uno che affetta, uno che finge. Ha grandi capacità in quest’arte e grande espressività.

De Niro invece mi sembra meno capace da questo punto di vista. Ha meno range espressivo, però nella sua vita ha affrontato ogni parte, ogni personaggio, con una dedizione e una donazione di sé totale, cosa che Pacino non ha mai avuto bisogno di fare perché più dotato.

Prendiamo Raging bull... Oscar meritatissimo e operazione attoriale (ingrassare) fuori dal comune, allora all’avanguardia e insuperabile.

Poi, dalla scena di Heat, il face to face, secondo me emerge appunto che Pacino è più dotato e più espressivo. Se la si guarda bene, si vede che i movimenti facciali e del corpo di Pacino sono numerosi e superano parecchio quelli di De Niro. Però qui Pacino sta facendo Pacino, non ha creato un personaggio tanto diverso da ciò che ha fatto altre volte. Invece De Niro, nella sua immobilità e fissità, nella sua inespressività, sta interpretando un personaggio ben preciso che si inserisce perfettamente nella storia. Diciamo pure che De Niro non riuscirebbe a battere Pacino in un duello di espressività, ma sapendolo non ci prova neanche. Lascia Pacino fare il suo lavoro, mentre lui fa il suo.

L’attore più dotato dalla natura secondo me è Pacino, ma il più grande, considerati anche i risultati conseguiti con la dotazione di partenza, è De Niro. De Niro nella vita ha lavorato di più, ha fatto più fatica, ha usato il metodo Stanilawskij per entrare nei personaggi perché non avrebbe potuto intrattenere il pubblico con doti espressive o col linguaggio del corpo. Non è un intrattenitore. Si è sempre messo a servizio della storia, nascondendo, uccidendo se stesso, spersonalizzandosi per creare personaggi riconoscibili e definiti.

Sì, in definitiva direi che la mia scelta cade su De Niro, anche se Pacino è un attore formidabile.