Stringere la mano fino a far male

Prima non si accettavano gli omosessuali. Adesso si invitano i bambini a scegliersi il sesso. 

Questa esagerazione dal lato opposto sa di isteria. 

Non bastava accettare gay e lesbiche? Non perseguitarli più, lasciarli essere? 

Come quando ti presentano una persona che non ti piace ed esageri in affabilità e cordialità, tanto che si sente che sono forzati. Stringi la mano fino a far male.

Sa anche di senso di colpa, come verso le persone di colore, alle quali si concede troppo, più della semplice uguaglianza, per compensare i torti del passato tipo la schiavitù, o i torti del presente tipo lo sfruttamento delle risorse naturali africane da parte di nazioni ricche.

Le tre sofferenze

Se uno legge la filosofia antica, il cui culmine sono Platone e Aristotele, tutto ciò che ne ricava, al massimo, è che l’uomo è composto di corpo e anima.

Poi uno va a leggere la Sacra Scrittura, che è Parola di Dio, e trova San Paolo che al capitolo cinque della prima lettera ai Tessalonicesi fa questo augurio ai destinatari: “Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”.

Quindi non ci sono solo corpo e anima, c’è anche lo spirito...

Ora, San Paolo conosceva alla lettera la cultura del tempo, era perfettamente preparato in tutto ciò che possiamo definire filosofia antica.

Da dove ha tirato fuori San Paolo questa cosa dello spirito?
Secondo me è un insegnamento di Gesù, arrivato, attraverso i discepoli, a San Paolo. Gesù ha parlato di Agios Pneumatos, Spirito Santo, che è lo Spirito di Dio. Ma di Spirito di Dio si parlava già nell’Antico Testamento.
Da dove ha tirato fuori San Paolo che c’è uno spirito anche nell’uomo? Altra ipotesi: era una teoria giudaica.

Mi sono sempre immaginato lo spirito come una parte dell’anima, non come una cosa al di fuori di essa. Come il tuorlo di un uovo, o il buco di una ciambella. È qualcosa che ha natura diversa dall’anima, e di certo ne è superiore, ma superiore non vuol dire per forza più in alto, può voler dire più in centro...

Ad ogni modo, ciò di cui volevo parlare facendo questa premessa non è tanto il come gli insegnamenti del Signore o la cultura giudaica siano arrivati all’aggiunta dello spirito oltre al corpo e all’anima quale terzo costituente dell’uomo. Da quando ho scoperto che in San Paolo c’è tale suddivisione, dato che è Parola di Dio, l’ho presa per assodata, vera, scontata. Più di ciò non so dire.

Da allora, anche dopo aver letto il libro Notte oscura di San Giovanni della Croce, ho elaborato una teoria della sofferenza che si basa appunto sulla suddivisione dell’uomo che si trova in San Paolo. Avendo l’uomo tre parti, spirito, anima e corpo, ha anche tre tipi di sofferenza, a seconda che la sofferenza sia dello spirito, dell’anima o del corpo.

Era sufficiente la filosofia greca, in particolare Platone, per dire che l’anima è più importante del corpo. L’anima comanda sul corpo, perciò è superiore.
Se l’anima è più importante del corpo, la sofferenza dell’anima è più importante della sofferenza del corpo, è quindi maggiore. Figuriamoci, dunque, la sofferenza dello spirito, che, secondo la gerarchia in cui lo troviamo collocato nella lettera di San Paolo, è superiore sia all’anima sia al corpo.

Ci sono quindi tre sofferenze, la sofferenza del corpo, la sofferenza fisica, che è la minore. La sofferenza dell’anima, la sofferenza morale, che è la mediana. Infine la sofferenza dello spirito, la più grande.

Lo spirito, per quanto posso dire io, è la parte dellʼuomo attraverso cui entra in contatto con Dio.

Gesù, che sulla Croce ha vissuto la più grande sofferenza che è mai stata, la sintesi di tutte le sofferenze, la sofferenza perfetta, ha vissuto tutte e tre le sofferenze. È facile vedere come la sofferenza dello spirito sia il culmine della Croce. Dopo essa c’è la morte.

Sofferenza fisica. Conosciamo tutti le sofferenze fisiche che Gesù ha sofferto il giorno della Passione. Si parte da schiaffi e percosse, per passare da flagelli e corona di spine, fino alla salita al calvario con la Croce sulle spalle legato a due criminali, all’essere inchiodato alla Croce e sollevato su essa. Basta vedere The passion of the Christ di Mel Gibson per farsi un’idea.

Le altre due sofferenze, morale e spirituale, sono un po’ più sottili da afferrare.

Sofferenza dell’anima. Sono convinto di essere nel giusto. Sono convinto di essere in missione per conto di Dio. So di non aver peccato, so di non aver mai fatto nulla di male. So di aver sempre fatto la volontà del Padre.
Ciò che ne ricavo è rifiuto da parte degli uomini. L’annuncio che faccio, dichiarando di essere il Figlio di Dio, insieme a tutti gli altri insegnamenti che do, alle guarigioni e ai miracoli che opero, sono la parte più importante della mia vita, del mio essere. Sono le cose più preziose per me. Non sono solo parole di insegnamento che poi non vivo. No, conformo la mia vita totalmente alle parole che dico.
Ciò che sono, che dico e che faccio diventa oggetto di rifiuto. Ma come, se faccio cose buone dovrei ricevere apprezzamento... Se vengo nel nome del Signore dovrei ricevere giusto riconoscimento... Eppure non vengo riconosciuto.
Vengo rifiutato, non vengo creduto, c’è chi crede che magari lo faccia per soldi, o per il potere. C’è chi addirittura mi prende in giro. “Salva te stesso”, “Salve, re dei giudei!”. Sono sbeffeggiato, preso in giro nelle cose che rappresentano nel mio intimo ciò che nella mia esistenza è più importante. Quale dolore devo provare per questo rifiuto! È come quando faccio sentire la mia canzone preferita alla mia ragazza e lei dice: “Tesoro, non ti arrabbiare, ma fa schifo! Ahahahah!”. O quando i miei compagni di classe mi prendono in giro perché gioco a Magic: The Gathering, che per me è il non plus ultra
Questo chiamo dolore morale.

C’è una sofferenza ancora più grande.
Sofferenza dello spirito. Prima ero convinto di essere unito a Dio. Di fare tutto per conto di lui. Ero convinto di essere nel giusto, e che gli altri sbagliassero nel prendersela con me. Dicevo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Non avevo nessun dubbio di aver fatto tutto bene nella vita, di aver seguito sempre la volontà del Padre e di non essermi mai discostato dalla giustizia, dai buoni costumi, dalle opere buone.
Di colpo tutto questo viene meno. “E se avessi sbagliato?”. “E se tutto ciò che credevo di far giusto in realtà era sbagliato?”. “Padre, perché tutti mi danno contro? Non è che hanno ragione loro?”. “Perché sono qui, condannato a morte, legato a criminali che non hanno fatto altro che male nella vita?”.
Ecco il punto culmine della Croce, quando Gesù si sente separato dal Padre. È proprio qui che pronuncia la famosa frase, citando il Salmo 21: “Elì, Elì, lemà sebactàni?”, “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.
Ebbene sì, anche Gesù ha provato la notte oscura, la notte dello spirito. In questa condizione ci si sente come i più grandi peccatori, abbandonati da Dio. Dio non rifiuta, forse, i più grandi peccatori, e non li abbandona a se stessi, quando sono impenitenti e rifiutano di pentirsi, di riconoscere i propri peccati e di chiedere perdono?
Nei salmi ci sono eventi di questo tipo in cui Davide, parlando per il popolo, lamenta l’abbandono da parte di Dio. “Dio, ci hai castigati per nostri peccati!”, “Dio, quando ritornerai a noi?”, “Fino a quando, Signore, fino a quando ci guarderai con sdegno a causa dei nostri peccati, e tornerai a essere nostro alleato e a schierarti col nostro esercito, invece di continuare a lasciarci nelle mani dei nemici?”.
È questa la sofferenza più grande che si possa provare, la lontananza da Dio. È la sofferenza che provano i grandi peccatori, i quali sentono Dio come nemico.

Gesù ha provato questa sofferenza al culmine della Croce. Anche i santi possono provare questa sofferenza. San Giovanni della Croce ha descritto bene questo fenomeno in Notte oscura, dove dice che Dio fa attraversare ai perfetti questa tenebra per purificarli e perfezionarli ancora di più.
Dopo il culmine della Croce, infatti, c’è la morte, e dopo la morte la Risurrezione.

Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!». E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

Santità è dare tutto

ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce (Col 1, 12)

Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? (Gc 2, 5)

Ci sono varie persone non credenti che, quando vengono a sapere che sono credente, storcono il naso.
Il fatto è che sono un po’ in sovrappeso, sono pigro e ciò si vede dalla mia casa, a volte ho delle arrabbiature, sul lavoro non sono tra i migliori ma nella media, mi piacciono le donne e, specialmente tra colleghi, per fare gruppo mi lascio andare a commenti, nonché a qualche parolaccia.
A periodi perdo il gusto per le cose religiose. Certe volte mi trascino a messa la domenica perché è di precetto, ma non andrei alla messa feriale e soprattutto non vado più, come facevo, a fare Adorazione nel giorno libero.
L’unica cosa costante in me è la preghiera. Prego tutte le mattine in ginocchio perché siccome devo stare nove ore sulla strada ho paura di andare a schiantarmi. Già che ci sono prego per le varie intenzioni che mi hanno affidato. Mi metto sul letto e pratico l’orazione mentale. Durante la giornata invoco mentalmente Dio con giaculatorie tipo: “Gesù, aiutami”, “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”, che so anche in greco: “Kyrie Jesu Christe, theu yie, eleison eme amartholon”, dico delle Ave Maria, dico anche solo: “Maria!”, come consigliava San Massimiliano Kolbe. Questa l’ho inventata io, da dire specialmente nei momenti avversi: “Signore Gesù Cristo, ti ringrazio per tutto ciò che mi hai dato nella mia vita e per tutto ciò che mi stai dando”. O quella inventata da suor Maria Consolata Betrone: “Gesù, Maria, vi amo, salvate anime”. Però non spendo, ecco, più di tre quarti d’ora quotidiani in preghiera. Non so da quanto tempo non riesco a finire un rosario, perché lo dico a letto e mi addormento.
Dico queste cose per dire che non sono certo perfetto, cioè non sono un perfetto esempio di virtù. In particolare non sono perseverante. Ciò non impedisce che io sia credente e che provi a invocare l’aiuto divino. Sarà poi Dio a decidere se esaudirmi. Ma in quanto uomo, piccolo o grande, ho questa prerogativa, di poter provare a chieder grazie.

Le persone, in genere, più che altro perché non ci hanno mai pensato, non distinguono tra santità e virtù.

Santità e virtù sono cose diverse.

Per quanto riguarda la santità, consiglio di leggere il dialogo platonico Eutìfrone, breve ma non facilissimo. Però aiuta a capire che la santità è la caratteristica della divinità di dare gratuitamente, cioè senza chiedere nulla in cambio. Avendo letto Eutìfrone, e poi vedendo l’esperienza di Gesù, ci si rende conto di come Dio sia abituato a dare tutto, solo che Dio Padre ha risorse infinite, mentre Dio incarnato ha risorse finite... a un certo punto dare tutto di sé, se si partecipa dell’umanità, significa morire.

Per quanto riguarda la virtù, si può ricordare ciò che diceva Aristotele, cioè che è un abito. Più fai una cosa, più la farai. Non mi dilungo su cos'è la virtù perché credo sia facile. Ricordo solo che le quattro virtù cardinali sono giustizia, saggezza, temperanza e coraggio, e che il discorso su grandezza e piccolezza delle persone è legato al discorso sulle virtù.

Ciò che mi interessa comunicare è che santità e virtù sono cose diverse. Si consideri questa sentenza: “Una persona piccola (dal punto di vista della virtù) può raggiungere la santità a patto che dia tutto se stessa”. Questa è la buona notizia, cioè che tutti possono salvarsi.
Un tempo si pensava che in Paradiso ci fosse solo chi aveva grandi doti, chi faceva grandi cose, chi otteneva grandi risultati, chi riusciva ad aderire alla lettera ai precetti di giustizia, chi non si lasciava andare al minimo vizio, chi si distingueva per sapienza, ecc.
La buona notizia che Gesù è venuto a dare è che tutti siamo candidati al Paradiso. L’importante è dare tutto. Se si ha poco, l’importante è dare tutto il poco che si ha.

Si vede, tra l’altro che per un piccolo è più facile andare in Paradiso che per un grande. Un piccolo soffre più facilmente, ha poco da dare, fa presto ad arrivare al limite. Infatti fa parte della buona notizia l’idea che Dio è per i piccoli. Se uno ha di che sfamarsi, che bisogno ha di chiedere aiuto alla Provvidenza? Dio va prima ad aiutare chi ha veramente bisogno. Poi pensa agli altri. Santa Teresina parlava di: "Amore alla propria nullità", proprio perché la piccolezza, i limiti sono luogo e motivo d’incontro con Dio.

Questo, ovviamente, non deve essere pretesto per stare ammollo nei peccati e nei vizi. Ciascuno è chiamato a dare il meglio di sé. L'importante è sapere che non sono i risultati che contano, specialmente non conta il paragone con gli altri, ciò che conta è essersi spesi totalmente, aver dato tutto agli occhi di Dio.

Alle Fontanelle

La macchina di Filocamo è una Ford Fiesta del 2002 pagata 1.200 euro nel marzo 2019 quando aveva 89.000 Km. È sufficiente per fare casa-lavoro, ma Filocamo l’ha usata anche tre anni consecutivi per andare in Liguria con l’amico padre Teodonio, un francescano 72enne. Filocamo e padre Teodonio sono diventati amici nell’inverno 2018, quando, al termine di una confessione, padre Teodonio ha chiesto a Filocamo di scambiarsi i numeri per andare a cena. Tolti i periodi di quarantena, Filocamo e padre Teodonio sono andati all’Old Wild West una volta a settimana. È sempre stato la sera prima del giorno di riposo di Filocamo, per poter andare, dopo cena, al cinema. Filocamo e padre Teodonio si telefonano ogni giorno, è un’amicizia dono della Provvidenza. Filocamo è stato frate quattro anni e mezzo, adesso, nonostante cerchi di voler bene a uomini e donne, fatica a farsi amici intimi tra chi non è intimo con Dio. Questo modo di intendere l’amicizia è frutto delle letture di santa Teresa d’Avila, che dice che può esserci vera amicizia solo tra due persone che, anzitutto, cercano Dio. Alipio una domenica ha chiesto a Filocamo se voleva andare con lui, il figlio Florido e il nipote Alipietto alle Fontanelle di Montichiari. Se Filocamo non fosse andato con loro non sarebbero potuti andare, perché Alipio e famigliari, tranne il figlio Radulfo, non hanno la macchina. La macchina di Radulfo ha problemi, o Radulfo non aveva voglia di andare alle Fontanelle, invece è andato al lago con l’amica rumena. Alipietto, nove anni, è fissato con le lavatrici, quando sono spente fa girare il cestello, quando sono in funzione guarda estasiato la centrifuga. Quando non è davanti a una lavatrice parla di lavatrici, chiede se sono vive, chiede se hai una lavatrice, se ne hai comprata nuova e in caso dove hai buttato la vecchia. Alipietto è fissato con il Big Ben e coi campanili, o piuttosto, in particolare, con le campane, anche se ha paura del suono delle più grandi, se dici che tra cinque minuti, a mezzogiorno, suonano, entra in agitazione, e quando le sente si tappa le orecchie. Alipietto ha la fissazione dell’organo, il suono possente degli organi più grandi lo spaventa, anche se non si sa dove l’abbia sentito, forse nella chiesa parrocchiale. Alle Fontanelle di Montichiari hanno un organetto che fa il suo lavoro nell’accompagnare i canti della messa. Lì non c’è una vera chiesa, più che altro un capannone aperto su un lato. Alle quattro c’è l’esposizione dell’Ostia, alle quattro e mezza il rosario, alle cinque l’Ostia viene riposta e inizia la messa. Filocamo e comitiva sono arrivati in tempo per l’inizio del rosario, dato che il capannone era pieno, Filocamo si è seduto sulle sedie di plastica, all’aperto, e ha pregato con l’assemblea. Alipio, Florido e Alipietto hanno girato un po’, non era pensabile far stare fermo Alipietto tutto il rosario, poi, a inizio messa, si sono seduti. Alipietto, metà tenuto da Alipio, è stato calmo tutta la messa. Florido a un certo punto è andato a fumare lungo la strada alberata che porta allo svincolo, poi è tornato. Alla fine della messa Filocamo ha detto ad Alipietto: “Hai visto che c’era l’organetto piccolo?”. Alipietto ha risposto: “E le canne dov’erano?”. “Dentro”. “Erano delle canne piccole, nascoste dentro?”. “Sì”. “Come si fa a vederle?”. “Bisogna aprire l’organo”. Questa conversazione e queste domande si sono ripetute, finché Alipio, con la sua autorità di nonno, ha intimato ad Alipietto di non parlar più di organi. Prima della messa Filocamo ha portato Alipietto a vedere la statua di Maria con tre rose sul petto, una bianca, una rossa e una d’oro, come Pierina Gilli l’ha vista il 13 luglio 1947.

La fotocopia gay

A un mio amico piacevano le fotocopie gay, fotografava situazioni gay, tipo due gay che si abbracciano o si baciano o si danno la mano, o trovava foto già pronte, e faceva la fotocopia alla foto. Non si sa cosa ne facesse, delle fotocopie, uno dice: “Magari le appende in casa”, o magari: “Le mette in un cassetto”, non si sa, sta di fatto che faceva sempre delle gran fotocopie gay.

Chi è chi

Mezz’ora di pausa era troppo poco, Filocamo non era soddisfatto dell’incontro con Nicodema davanti a un caffè, avevano potuto aggiornarsi quasi su nulla. Due giorni dopo – giovedì – Filocamo aveva poche consegne, si organizzò in modo da non fare pausa e lasciarla alla fine. Correndo, come riusciva a fare solo una volta al mese, finì alle 15,45, non sarebbe dovuto rientrare prima delle 18,05, decise di non avvisare i capi – anche se loro, grazie alla geolocalizzazione satellitare, potevano sapere... Siccome nel metodo Amazon ci sono i cosiddetti salvataggi – ossia se uno finisce presto va ad aiutare i colleghi che non hanno ancora finito – Filocamo decise di non chiamare i capi per poter avere tempo di andare da Nicodema e poter parlare un po’ di più. Passò a prendere 750g di gelato e si presentò a casa sua. Ora, bisogna dire che Amalio, compagno di Nicodema, è cagliaritano, militare, ha fatto varie missioni e adesso lavora per il Ministero della Difesa, a contatto col ministro. “Vieni pure, c’è anche Amalio!”. Amalio era appena tornato dalla Sardegna e sedeva di spalle all’entrata, a torso nudo, rivolto verso la televisione dove c’era un Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri con Mario Draghi che parlava su La7. Alla frase: “Vieni pure, c’è anche Amalio!” Filocamo cercò di non sobbalzare, ma forse si notò. Voleva conoscere Amalio, ma era impreparato a sorprese. Il suo sguardo cercò quello di lui. Lo trovò subito perché Amalio si era voltato e l’aveva fissato. Durò una frazione di secondo, ma fu sufficiente a capire chi era chi, in quale posto ciascuno doveva stare. “Ciao!”, “Ciao!”. “Piacere, Filocamo!”. “Amalio”. Stretta di mano. Amalio tornò a guardare la televisione. Filocamo fu invitato da Nicodema a sedersi mentre serviva il gelato, mentre era in cucina, a due passi da loro, Filocamo cercò di conversare. “E così sei della zona di Cagliari...?”, “Di Cagliari, proprio”, Amalio sorrise. Per il resto della conversazione Amalio, se interpellato, rispondeva affabilmente – ormai il chi era chi era stabilito – ma più che altro continuò a guardare la televisione. Nicodema e Filocamo ricordarono i vecchi tempi e si aggiornarono vicendevolmente sui destini delle persone che avevano conosciuto. Amalio era a Roma dal lunedì al venerdì e andava a Peschiera del Garda nel fine settimana con Italo, tre ore e mezza. Erano gli ultimi giorni di vacanza. Filocamo lasciò casa di Nicodema alle 17,30, rientrò con dieci minuti di ritardo e rischiò di esser ripreso dai capi. Ne era valsa la pena, Filocamo parlò con un sottocapo, addetto a ricevere i corrieri rientranti, e, senza che gli fosse chiesto – di fatto quel giorno nessuno si era accorto di nulla, perché Filocamo non era controllato – spiegò la situazione. “A Peschiera abita una vecchia amica che non vedo da sei anni ecc., ho cercato di finire presto per poter andare a trovarla ecc.”. Il sottocapo rise e spiegò che anche lui una volta si era fermato in trattoria un’ora. “Una volta ci può stare, l’importante è che non lo fai tutti i giorni, come certuni...”. Filocamo era contento di aver conosciuto Amalio, si era piaciuto, era stato sufficientemente umile accettando velocemente la posizione che Amalio pretendeva da lui, se avesse voluto continuare ad avere rapporti con la sua compagna. Filocamo era contento che fosse stato stabilito il chi era chi. Col tempo, forse, Amalio si sarebbe anche aperto e si sarebbe lasciato conoscere, Filocamo amava il genere di uomini come Amalio, era come un cagnolino scodinzolante davanti a lui, d’altronde non poteva essere altrimenti. Rimasero che qualche volta Filocamo avrebbe potuto whatsappare Nicodema, se faceva le consegne a Peschiera del Garda, e lei, se poteva, sarebbe volentieri andata a prendere un caffè o un gelato durante la pausa, inoltre che un fine settimana sarebbero andati a Madonna di Campiglio a trovare il fratello di Nicodema, che Filocamo conosceva bene ma che non si muoveva da Madonna di Campiglio e che aveva due figli di tre anni, e Filocamo poteva salutare anche la mamma di Nicodema, che voleva bene a tutti e che sarebbe stata contenta di rivedere Filocamo.