Cose di cui mi interessa davvero parlare

Una persona appena conosciuta in un gruppo di preghiera – sulla quale quindi hai la massima fiducia – che dopo averti invitato a casa ti confessa di avere unʼattrazione morbosa per i piedi e infine ti chiede di vedere i tuoi piedi. Se almeno la persona fosse di sesso opposto…

La difficoltà che incontro ogni giorno sul lavoro, in particolare la paura di essere picchiato da qualche automobilista che non approva uno dei miei parcheggi selvaggi, necessari per fare il corriere. Si sa, sulla strada si incontra di tutto…

La paura di essere picchiato in generale. Non ho mai fatto a botte con nessuno in vita mia, tranne una volta a 19 anni in cui ero formidabilmente ubriaco – 10 euro per quanta birra volevi. Il non sentirmi uomo per questa mia paura dello scontro fisico

Una ragazza che credo mi abbia mandato Dio da sposare – molto devota di p. Pio – ma che evito per pigrizia e per lʼabitudine ormai a vivere da solo e per la voglia di scrivere e per la non voglia di cambiare stile di vita. Dopo che tutti gli insegnamenti che ho ricevuto da frate mi hanno convinto che il matrimonio è necessario e che inoltre è sacrificio. La mia scusa è che questa ragazza non mi piace fisicamente, ma chi mi credo di essere, che sono un panzone

Il mio desiderio struggente di scrivere mai riconosciuto da nessuno delle persone che hanno affermato di volermi bene – anzi sempre minimizzato, cambiando discorso appena ne accennavo…

La mia decisione di essere uno scrittore anche se sono un cattivo scrittore – il parlare della mia vita per mancanza di idee. Ma alla fine tutti si nutrono come di qualcosa di indispensabile quando uno parla di sé…

La mattina quando mi ingozzo di pane a fette e marmellata fino a consumare quasi una confezione intera di Pan bauletto perché ho paura di non avere abbastanza energie per affrontare la giornata lavorativa – più due uova crude alla Rocky. Menomale che è solo per cinque giorni a settimana. In ogni caso è uno stile alimentare che vanifica i tentativi coi beveroni di Herbalife…

Il mio essere troppo tardo, il mio – davvero, davvero – non riuscire a capire come creare qualcosa di comico, come se per me si trattasse di studiare la teoria quantistica. Semplicemente non sono abbastanza intelligente…

Giovedì 26 inizio un corso di due ore settimanali di improvvisazione teatrale. Desidero farlo più di ogni altra cosa – anche per conoscere gente – ma sarà una gran debacle perché verrà fuori in maniera evidente la mia mancanza totale di creatività per quanto riguarda lʼimmaginazione e la capacità di creare trame di avvenimenti. Ma almeno voglio cercare di divertirmi…

Il mio leggere Čechov, racconti e consigli di scrittura, il mio guardare The office stagione ottava, il mio aver finalmente, grazie a un consiglio di Paolo Nori, trovato la miglior traduzione di Guerra e pace – Pietro Zveteremich – e lʼaverlo comprato e iniziato a leggere. E la volontà di leggere le decine di libri di cui vedo consigli di lettura sui blog, ma il non avere tempo, tempo, tempo…

Il mio incessante lamentarmi e la mia pigrizia che sono ormai i miei tratti distintivi – dai quali non credo mi libererò mai. Il tutto condito da John Frusciante che non mi abbandona mai. Specie quando ascoltare musica classica sembra una cosa troppo seria per me…

Effetti della festa dellʼEsaltazione della Santa Croce

Questa è probabilmente una delle peggiori settimane della mia vita.

Avrei pensato la settimana peggiore dovesse essere quella in preparazione alla festa dellʼEsaltazione della Santa Croce, 14 settembre.

In genere si fa una novena in preparazione a una qualsiasi festa.
Cosʼè una novena?
Novena significa preghiera della durata di nove giorni.

Per dirne una a caso, il 16 agosto è San Rocco – cioè si fa memoria di San Rocco da Montpellier – perciò nove giorni prima, ossia il 7 o lʼ8 agosto, si entra nella cosiddetta novena di San Rocco.
(Ci sono due scuole di pensiero, secondo una la novena dovrebbe terminare il giorno prima del giorno in cui si celebra il santo, secondo altri la novena dovrebbe terminare il giorno stesso in cui si celebra il santo. Ecco perché, nel caso di S. Rocco, si può iniziare il 7 o lʼ8).
La novena in genere è caratterizzata da una preghiera fissa che si fa ogni giorno, più una serie di pratiche preparatorie. Non è infrequente fare letture sulla vita del santo per conoscere lui e la sua spiritualità, il suo carisma, per così dire, ciò che lo distingue dagli altri santi.

Ad esempio San Rocco era un pellegrino e un guaritore. Altri elementi sono il cane che lo sfamava quando era ammalato e la ferita alla gamba dovuta a un bubbone di peste.

Si potrebbe dire che se uno volesse spingere al massimo la devozione a un dato santo, durante la sua novena cercherebbe di vivere elementi della sua spiritualità. Sempre per restare su San Rocco, durante la sua novena si potrebbe fare un pellegrinaggio a piedi, dato che lui era pellegrino. O si potrebbe visitare ammalati, dato che lui lo faceva con gli appestati.

Ogni novena ha le sue caratteristiche, in base alla festa che precede. Novene famose e importanti, sentite, sono quella del Natale, ossia i nove giorni che precedono il 25 dicembre, la novena dellʼImmacolata Concezione (8 dicembre), in cui si fa memoria del fatto che Maria è stata concepita senza peccato originale, ecc.

La mia idea, che è anche unʼidea diffusa nella Chiesa, è che in ogni festa liturgica si dovrebbero vivere aspetti che riguardano quella festa. Nel giorno in cui si fa memoria di San Basilio Magno (2 gennaio), che è un dottore della Chiesa, ad esempio, si dovrebbe studiare un poʼ la Bibbia, o si dovrebbero ricevere luci particolari, per intercessione di tale santo, sui misteri della fede.

Non solo nel giorno particolare, ma in tutti i nove giorni precedenti, nella novena, come si è detto.

Il 14 settembre, festa dellʼEsaltazione della Santa Croce, si dovrebbe vivere una croce particolare, si dovrebbe insomma soffrire, così come in tutti i nove giorni che precedono la festa.

A me è capitata sì una croce il 14 settembre, però, per il resto, nei nove giorni precendenti non ho sofferto particolarmente. Almeno non ho sofferto come sto soffrendo ora, nei giorni seguenti.

Il 13, 14 e 15 avevo preso ferie per partecipare a Esercizi Spirituali, che consistono in un ritiro con giornata scandita da preghiera comunitaria, preghiera personale, messa, e lezioni, mattina e pomeriggio, da parte di un prete o frate su alcuni aspetti della Bibbia o di qualche testo spirituale importante.

Il 13, primo giorno, è andata bene. Seguendo alcuni consigli di Santa Teresa dʼAvila su come praticare lʼorazione mentale, ricordatici dal predicatore, ho avuto ottimi frutti praticando proprio lʼorazione mentale. Ho vissuto un particolare rapporto con Gesù e con la sua umanità, la sua crocifissione. Era da tanto che non praticavo lʼorazione mentale, che è una sorta di meditazione con lʼaggiunta di preghiera, e sono stato contento.

Il 14 la giornata doveva ripetersi con lo stesso schema, preghiera e insegnamenti.
La mattina mi squilla il telefono, e una voce dal lavoro mi dice che devo andare a lavorare per sostituire ben quattro persone che non si sono presentate. Andiamo. Buona festa dellʼEsaltazione della Santa Croce. Mi strappano dalle ferie e da un ritiro annuale, ossia che faccio una volta lʼanno, per andare a lavorare. Benissimo. Grazie Gesù.

15 settembre. Torno al ritiro, lʼultimo giorno dura solo mezza giornata, con condivisione e pranzo conclusivi. Tutto bene.

Questa settimana, a partire dal 16, vorrei morire.
Faccio il corriere in una città lombarda a nord-est di Milano. Questa settimana, a causa di alcune circostanze, sono costretto ad andare in trasferta a Milano. Mi alzo alle 4,30 e torno a casa alle 20,30. Quattordici ore di lavoro. Per me è un delirio. Devo farlo a giorni alterni, lunedì, mercoledì e venerdì, per avere tempo di recuperare.
A Milano mi assegnano una zona che non conosco, un furgone che non ho mai guidato, procedure di carico completamente nuove. Per non parlare del traffico milanese. Un delirio.

A. G., uno che conosco, mi ha suggerito di scrivere racconti comici dato che amo la commedia. Dio lo benedica.
Non ho tempo, non ho idee, non ho più lʼetà. Ho deciso che proverò a farlo, ma qualcosa deve cambiare nella mia vita, perché così non riesco nemmeno a scrivere, e ciò mi fa davvero soffrire.

Droghe

Sono già le otto. Leggo tante cose, ma mi sembra non valga la pena leggere nulla.

Lʼunica cosa che dovrei fare, mi dico, è scrivere. Anche scrivere di nulla.

Penso agli scrittori, specialmente gli atei, che si appassionano tanto di letteratura, come Paolo Nori, come Bernhard che si appassiona di pensiero e di filosofia, e penso: “Questa gente, se non ha indirizzato i propri sforzi a Dio, è come se non avesse fatto nulla”. Possono anche essere bravi, possono anche essere geniali, nel modo di scrivere, e per lo più lo sono, ed è per questo che li si legge, per osservare il loro geniale modo di scrivere, la loro genialità artistica. Ma per lo più le cose che scrivono non valgono nulla.

In cosa è geniale il loro modo di scrivere? Nel fatto che genera una scrittura che trascina. Puoi andare avanti ore a leggere quelle cose per il semplice fatto che sono leggibili. Questi scrittori sono stati capaci di trovare un modo di scrivere che genera una scrittura leggibile che trascina. Ma quanto è significativo ciò che scrivono?

Preferisco leggere una blogger emotiva che parla della sua giornata lavorativa e dei vestiti che ha dovuto scegliere la mattina. Dici: “Chi se ne frega”. Invece sono le cose più importanti. La vita di tutti i giorni. Come viviamo i gesti più semplici. Cosa pensiamo quando li compiamo.
È tutto. Per me è tutto ciò che conta.

È per questo che per leggere un blog mi prendo del tempo. Non lo faccio così a caso. Anzitutto spesso la scrittura non è così semplice, non è così scorrevole. Ma non è questo. Il fatto è che gli argomenti sono impegnativi perché sono veri.
Quando uno parla di se stesso, sono cose preziose. Quando uno inventa storie per parlare di se stesso o per parlare di Dio. Sono queste le cose che contano.

Gli scrittori bravi a scrivere li leggo quando non ho voglia di fare altro, in particolare quando non ho voglia di scrivere ma nemmeno di leggere. Gli scrittori bravi a scrivere sono facili da leggere. Ciò che hanno fatto nella loro vita è stato mettere insieme, trovare, diciamo, un modo di scrittura che trascina, è facile leggere gli scrittori bravi.

Ma uno scrittore bravo molte volte non ha niente da dire. È diventato bravo a scrivere apposta perché non aveva niente da dire. Allora ha trovato un modo di dire le cose che le rende leggibili.

Meglio a questo punto un consiglio di Čechov: “Non forbire, non limare troppo, sii sgraziato e audace” (ad ad Aleksandr Čechov, Mosca, 11 aprile 1889). Čechov inoltre spesso dà il consiglio di ritrarre la vita così comʼè.

La vita così comʼè, il più possibile, è come la vede Dio. Shemà Israel! Ascolta, Israele! Amerai il tuo Dio con tutto il cuore, con tutta lʼanima e con tutte le forze. Se uno fa qualcosa al cui centro non cʼè Dio, per me quel qualcosa vale nulla.

Perché assumo tanta commedia? Probabilmente perché la risata mi aiuta a tirare avanti la giornata, probabilmente perché la risata libera endorfine o cose del genere. La commedia per me è un guilty pleasure, un piacere colpevole. Come mangiare un dolce. È buono, ma non necessariamente fa bene. Non elevo la risata ad alto rango. È qualcosa di facile da assumere e qualcosa che alleggerisce.

Ma in Larry David (Curb your enthusiasm), ad esempio, più che le singole battute o le situazioni comiche apprezzo i concatenamenti di trama che riesce a creare. Difficile da spiegare a chi non ha mai visto una puntata di Curb your enthusiasm, ma dal punto di vista letterario tali concatenamenti di trama secondo me valgono più di una singola battuta, o anche di una situazione comica, che fa ridere. Ciò che fa ridere è come un dolce. Le tecniche narrative, letterariamente parlando, sono più alte. Così come i modi di scrivere di cui parlavo sopra, che rendono un testo leggibile e che trascina.

Quando ho forze per fare qualcosa di serio scrivo qualcosa su me stesso. O leggo un blog in cui qualcuno parla di se stesso. O leggo qualcosa su Dio.
I libri più importanti che ho in casa sono il Diario di S. Gemma Galgani, Il cammino di perfezione e Il castello interiore di S. Teresa dʼAvila, La salita al monte Carmelo di S. Giovanni della Croce, un libro sulle tecniche narrative di S. Luca (autore dellʼomonimo Vangelo e di Atti degli apostoli), i libri di Anna Katharina Emmerick e simili, come anche riviste di argomento religioso.
Non li leggo mai. Sono le cose più impegnative e importanti che ho.

Ma la prassi costante è che dopo una giornata di lavoro metto su un dvd di qualche serie televisiva comica americana e mi drogo con quello.

E non abbandonarci alla tentazione

Tutto, nellʼesperienza umana, può riassumersi in pensiero. Tutto si riconduce al pensiero. I gesti sono pensieri perché possono essere pensierizzati.
Una tentazione è sempre un pensiero, ed è un pensiero falso. Ad esempio: “Fare la tal cosa va bene, è buono”. Avere una qualsiasi tentazione significa avere un pensiero erroneo in testa. La sconfitta, la scacciata di tale tentazione è la confutazione di tale pensiero erroneo. La confutazione è il pensiero corretto, che sostituisce quello erroneo.
Cʼè di più. Il pensiero erroneo, la tentazione, è un demonio. È come se ci fosse un demonio che parla dicendo cose false, scorrette. La confutazione, invece, il pensiero corretto che sconfigge il pensiero erroneo prendendone il posto, è un angelo.
Diciamo che non occorre nemmeno un pensiero corretto che sostituisca quello erroneo. È sufficiente che la confutazione proceda a far riconoscere che il pensiero erroneo è, appunto, erroneo. Già solo questo costituisce la sconfitta del pensiero erroneo, della sentenza erronea, della tentazione. Quando una sentenza erronea, una tentazione, è sconfitta si ha nellʼanima una purificazione. Poi può anche esserci la sostituzione della sentenza erronea con una sentenza corretta, ma non è necessario questo per la purificazione.

Ammettiamo che uno abbia ingerito un cibo velenoso, o comunque dannoso. Fa star male lʼorganismo. Già somministrando un farmaco che fa vomitare si può far star meglio la persona.
Il cibo cattivo è la tentazione, ed è un demonio. Il farmaco che scaccia il cibo cattivo è la confutazione di un pensiero scorretto, ed è un angelo.
Tutte le argomentazioni che confutano idee sbagliate, false, che abbiamo in testa, sono angeli. Sono angeli anche tutti i pensieri corretti, veri, che possono venire a occupare lʼanima.
Possiamo trovare da noi stessi confutazioni di pensieri scorretti, e pensieri corretti. In tal caso siamo forti. Siamo per così dire produttori di angeli, in tal caso siamo per così dire esseri divini, produttori di esseri divini. Da noi, in tal caso, scaturiscono esseri divini.
Ma non sempre abbiamo queste capacità, non sempre siamo così forti, sani, retti nel pensiero, capaci di vincere la tentazione che è falsità.
Nei casi in cui non ce la facciamo da soli, occorre che ci rivolgiamo a Dio, che è onnipotente. Sarà lui, in tal caso, a mandarci gli angeli. A volte possiamo esseri liberati da un demonio, da una tentazione, senza nemmeno vedere come ciò avvenga. È come se la confutazione avvenisse in background. Non occorre che vediamo sempre il processo con cui Dio opera in noi una purificazione. Però molte volte il risultato lo sentiamo. Ci sentiamo più leggeri, più liberi, più contenti. Siamo stati oggetto di un vero e proprio esorcismo.

Quando chiediamo a Dio di non abbandonarci alla tentazione, nel Padre nostro, gli stiamo chiedendo di mandarci gli angeli a sconfiggere le tentazioni del demonio che operano in noi, su noi, contro di noi. Gli angeli sono araldi della verità, sentenze vere, che combattono per distruggere la falsità. La falsità ci affligge e ci fa star male. “Sei un disgraziato, destinato allʼinferno. Non hai mai fatto nulla di buono”. E lʼangelo: “Sei figlio di Dio, amato, pieno di qualità e talenti, nella vita hai fatto un sacco di opere buone e se hai peccato sarai perdonato”. La tentazione: “Dio non cʼè”. Lʼangelo: “Chi ha creato i fiumi, i mari, il cielo e le montagne?”.

Tra lʼaltro diciamo: “Non abbandonarci” invece di: “Non indurci” in tentazione per lo stesso motivo per cui per fare un augurio diciamo: “In bocca al lupo”.
Dovremmo anzi quasi dire: “Inducici pure nella tentazione – lʼimportante è che poi ci aiuti a venirne fuori se vedi che non ce la facciamo da soli”.
Finire in bocca al lupo – il demonio – fa bene. Passare per il fuoco, cadere nel fango, rompersi la testa fa bene. È una forma di purificazione. La sofferenza tempra. La Croce santifica, migliora, fa crescere. Chiunque sa che passare attraverso difficoltà, vivere il dolore, avere disgrazie nella vita lascia cambiati, più maturi, più forti, più consapevoli, più vicini a Dio. Anzi, sul fondo della botte si incontra Dio. A quanti è capitato...

“In bocca al lupo... e che Dio ti aiuti a uscirne se non ce la fai da solo”.

Speriamo di vincere!

Tramite Google News ho scoperto che un sito offre il dream job, il lavoro dei sogni: 1000 dollari per guardare 25 puntate di Friends.

Ho riempito il form e mi sono iscritto. Oltre a fornire qualche informazione anagrafica, era possibile incollare il link a un video. Ho fatto un video in cui spiego che ho il dvd box di Friends per cui ho già visto tutte le puntate più di una volta. Lʼho caricato su Google Drive e lʼho linkato.

Inoltre bisognava scrivere chi si pensa abbia ragione nella controversia tra Ross e Rachel e spiegare il perché con almeno 100 parole.

Questo è ciò che ho scritto, con traduzione:
Obviously Ross was right. They were on a break. He didnʼt think he was cheating when he slept with the girl from the photocopy shop (Chloe) with a piercing in her belly, because he thought he and Rachel had split up.
Rachel should never have said the words: “Maybe we need a break... from us”. There was no need for that. She and Ross could have worked things out within the relationship. She was stressed out because she was beginning a new job and this means a new life. But saying to Ross that she wanted to break up meant that she really didnʼt want him to be part of that new life. That hurt him. He was very hurt.
Plus, he didnʼt go out and seek consolation in a woman. He was practically seduced by the girl from the photocopy place (Chloe). He had to do nothing, just say yes... It was very easy for him to fall into the trap. Surely cheating was the last thought he had in mind. And I want to stress this one more time: he couldnʼt have thought he was cheating, because he thought he and Rachel had split up.
But I honestly think they werenʼt such a good couple in the first place anyway. In my humble opinion Chandler and Monica are much better. I love Chandler and Monica! I love Ross and Rachel only so-and-so.

Ovviamente Ross aveva ragione. I due avevano rotto. Lui non pensava di star tradendo quando è andato a letto con la ragazza del negozio di fotocopie (Chloe) col piercing allʼombelico, perché era convinto che lui e Rachel avessero rotto.
Rachel non avrebbe mai dovuto dire le parole: “Forse abbiamo bisogno di una pausa... da noi due”. Non cʼera bisogno di questo. Lei e Ross avrebbero potuto sistemare le cose dallʼinterno della relazione. Lei era stressata perché stava iniziando un nuovo lavoro e questo significa una nuova vita. Ma dire a Ross che voleva rompere significava che voleva che lui non facesse parte di quella nuova vita. Ciò lo ha ferito. Era tanto ferito.
In più, non è uscito a cercare consolazione in una donna. È stato praticamente sedotto dalla ragazza del negozio di fotocopie (Chloe). Non ha dovuto far nulla, solo dire sì... È stato molto facile per lui cadere nella trappola. Sicuramente tradire era lʼultimo pensiero che aveva in mente. E voglio ripeterlo ancora una volta: non avrebbe potuto pensare che stava tradendo, perché era convinto che lui e Rachel avessero rotto.
Ma onestamente non ho mai pensato fossero una bella coppia sin dallʼinizio. Nella mia onesta opinione Chandler e Monica sono molto meglio. Amo Chandler e Monica! Amo Ross e Rachel solo così così.

Giorno libero

A ovest della città lombarda di *** cʼè il monte S. Rosa, coperto a bosco tranne il versante ovest coperto di vigneti. In cima cʼè un masso dal quale si vede tutta la città. Ai piedi, a est cʼè la città (quartiere S. Rosa), e a ovest, finiti i vigneti, ci sono campi coltivati. Cʼè una strada sterrata che gira tuttʼintorno, e sentieri che permettono di scalarlo. È perfetto per chi vuole camminare, correre o andare in bici.
Quel giorno Simone aveva il giorno libero dal lavoro, prese la macchina per andare a fare una camminata attorno al monte S. Rosa. Dalla macchina, era quasi arrivato, su un marciapiede vide camminare due adolescenti di colore. Uno era vestito come un giocatore di basket, col completo pantaloncini-canottiera. Lʼamico con cui camminava invece si sarebbe detto che era vestito da giocatore di golf, maglietta polo infilata nei calzoni; ovviamente non lʼaveva fatto apposta, non era vestito alla moda, aveva semplicemente preso alcuni vestiti e li aveva indossati, però in contrasto col ragazzo vestito da giocatore di basket sembrava un golfista. Il ragazzo vestito da giocatore di basket si vedeva che ci teneva a far vedere che apparteneva a una certa cultura, sono nero e i neri giocano a basket. Simone malignò dentro sé: “Secondo me non sa nemmeno giocare bene. In Italia non è come in America, dove anche se non sei nessuno ma hai talento puoi arrivare ai massimi livelli. Poveretto, i suoi vestiti gridano bisogno di senso di appartenenza! Ma sicuramente è troppo povero per entrare in una squadra!”.
Arrivato al monte S. Rosa, Simone si mise in cammino sulla strada sterrata. Presto si trovò a camminare alle spalle di due amiche cinquantenni con una bambina. La bambina era certamente la nipote di una delle due signore. Si vedeva che erano parenti perché da dietro erano uguali. Erano culone tutte e due, da sotto il seno a sotto la vita sembravano due vasi di terracotta rovesciati. Naturalmente Simone non aveva nessun diritto di giudicare, dato che era sovrappeso. Lo colpì però la forma identica di due persone di età così differente. Lʼamica si vedeva che era unʼamica. Con loro cʼera un cagnolino batuffoloso di colore grigio scuro.
Appena il cagnolino batuffoloso vide Simone, si mise ad abbaiare. Le donne gli dissero di stare buono, ma quello partì in direzione di Simone. Simone, convinto che volesse morderlo, si preparò, si mise in posizione e, non appena il cagnolino fu a portata, partì con un calcio. Siccome aveva preso bene le misure, colpì in pieno il cane. Il cane fece un ampio volo e finì nel fosso che costeggiava la strada. Nel fosso cʼera lʼacqua, quindi il cane finì direttamente nellʼacqua.
Una delle due donne urlò contro Simone: “Cosa hai fatto? Disgraziato! Non cʼera bisogno di dargli un calcio! Non ti avrebbe morso!”.
Il cane guaiva e cercava di arrampicarsi, ma non riusciva perché il fosso era troppo ripido. Saliva un pezzo e ricadeva in acqua.
La bambina parlava al cane: “Pretty! Pretty! Arrampicati, dai! Zia, Pretty non ce la fa a salire!”. Poi, rivolta a Simone: “Tu sei un mostro!”.
“Guarda che a me è sembrato proprio che stesse per mordermi, altrimenti non gli avrei dato un calcio! I cani si tengono al guinzaglio!”.
E la zia: “Come minimo adesso vai tu a prenderlo! Io in quel fosso così profondo non posso andarci, come faccio a risalire! Tocca a te! Tu lʼhai fatto cadere lì, tu lo vai a riprendere! Potrebbe anche essersi rotto qualcosa, bisogna portarlo dal veterinario! Ti faccio causa!”.
“Sono io che faccio causa a lei! I cani vanno tenuti al guinzaglio! E infatti stava per mordermi”.
“Cosʼè, hai paura di un cagnettino così piccolo? Sei proprio un deficiente! Pretty! Pretty! Vieni su, dai! Dai, che ce la fai! Vieni, Pretty! Dai!”.
“Non posso andare giù nel fosso”, disse Simone, “mi bagno tutto... e se mi morde? Pretty, dai, vieni su, dai che ce la fai! Pretty! Pretty!”.
Alle spalle del gruppetto arrivarono i due adolescenti di colore che Simone aveva visto per strada. Quello vestito da giocatore di basket vide il cane nel fosso e subito scese senza preoccuparsi di nulla. Finì coi piedi nellʼacqua. Prese il cane e, col gesto atletico del giocatore di basket, ossia reggendolo con una mano sul lato e spingedolo da sotto con lʼaltra mano, lo lanciò verso il gruppetto di persone.
Il cane Pretty atterrò ai piedi della bambina, la quale si schifò dal fatto che era tutto bagnato e si rifiutò di prenderlo in braccio. Lo prese in braccio la zia. “Adesso lo portiamo dal veterinario!”, disse.
Simone moriva dʼinvidia per il senso altruistico dimostrato dal ragazzo di colore sul quale poco prima aveva internamente malignato. Aveva anche dimostrato una certa destrezza nei tiri, anche se aveva tirato un cane e non aveva dovuto fare centro in nessun canestro.
Le donne se ne andarono portando via il cane. Simone rimase a guardare il ragazzo di colore vestito da golfista che aiutava, porgendogli il braccio, lʼamico vestito da giocatore di basket a uscire dal fosso.
La brutta figura lʼaveva fatta lui, il giovane italiano.

Questo voleva essere un racconto comico su un ragazzo di colore vestito da basket che non sa giocare a basket, ma che si veste così solo per senso di appartenenza e per farsi vedere. Chi ha scritto evidentemente non è stato in grado di scrivere il racconto che avrebbe voluto scrivere, ma solo questa pagliacciata su un cane salvato dalle acque con un gesto baskettistico.
Alcuni di noi amano talmente tanto lʼidea di essere scrittori che scrivono di qualsiasi cosa pur di scrivere, e accettano di essere cattivi scrittori pur di potere continuare a farlo.
Evidentemente queste persone sono troppo pigre per perseguire la loro passione o sono troppo stanche.

Il regno dei cieli è dei piccoli

Perché per i piccoli è più facile andare in Paradiso?
Perché a un piccolo basta niente per soffrire.

Per capire cosʼè un piccolo occorre sempre tornare alla definizione del grande per eccellenza da parte di Gesù. “In verità vi dico: «Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista»” (Mt 11, 11).

Giovanni il Battista si è recato nel deserto quando era ancora giovane. Si nutriva di miele selvatico e cavallette. Vestiva pelle di cammello. Lo vedo come un campione di austerità. Come quegli uomini forti che resistono al freddo, o al caldo, o che sono semplicemente forti. Lo immagino alto, magrissimo per i digiuni.
Ma soprattutto Giovanni il Battista era uomo della Parola. Non solo avrà trascorso tutto il tempo pregando, ma, come dʼaltronde Gesù, conosceva la Torà, ossia la Bibbia di allora (lʼAntico Testamento, per capirci) a memoria.
Cosa fa uno che conosce la Bibbia a memoria? Non solo può citarti un passo in qualsiasi momento, ma si esprime per citazioni, si esprime usando le espressioni della Bibbia.

Capita a chiunque di star leggendo un romanzo e di assumere automaticamente il modo di parlare di quel romanzo. Magari a me adesso capita meno, perché sono avanzato in età e ho il mio modo di parlare. Ma ricordo quando ero ventenne. Leggevo Tolstoj o Dostoevskij e, soprattutto quando mi prendevano e stavo giorni a non far altro che leggere Tolstoj o Dostoevskij, poi finivo per parlare o scrivere con il loro linguaggio. Era il mio modo per fare esercizi di scrittura alla Queneau. Leggere tanto uno scrittore. Il suo linguaggio entrava nelle ossa automaticamente.

Ecco, tenendo presente questo, si pensi a uno che come unica lettura a disposizione ha la Bibbia.
Lʼho provato quando ho fatto il frate – infatti per cinque anni sono stato frate, anche se alla fine ho deciso di non fare i voti perpetui. Quando sei frate, ogni giorno leggi la Bibbia, perché usi i salmi per pregare la Preghiera delle ore, quella che si fa la mattina, a metà giornata e alla sera, per capirci. Inoltre, ogni giorno vai a messa, e in ogni messa cʼè una lettura dallʼAntico Testamento, una dai salmi e una dal Vangelo; di domenica ce nʼè una anche dalle lettere di S. Paolo. Questo per dire che chi fa il frate ha la Bibbia nelle orecchie tutti i giorni, per più ore al giorno. Dopo un poʼ ti viene automatico fare citazioni.
Non solo, alcuni iniziano pure a parlare con lo stesso stile della Bibbia. Questo è il massimo, perché significa parlare la Parola di Dio. Ma questo accade dopo molti anni e solo se alle spalle cʼè una vera santità di vita. Chi vive una vita santa può realmente essere ispirato dallo Spirito Santo quando parla.

Ma torniamo ai piccoli. Abbiamo definito a grandi linee cosʼè un grande. Un grande è anche uno pieno di virtù. È giusto, è saggio (e la saggezza, ossia il sapere di non sapere, è la base per la sapienza, quella vera, non quella falsa, che è un credere di sapere), è temperante (cioè non eccede nei piaceri), è coraggioso. Queste sono le quattro virtù base, ma poi ce ne sono molte altre. Un grande è intelligente, capace, resistente, perseverante, laborioso, ha grandi idee e tanti talenti; un grande è perfettamente padrone di sé e in quanto tale può anche comandare su altre persone.

Prendiamo ora un piccolo. Un piccolo non sa fare nulla, è pauroso, è ingiusto (prendiamo ad esempio uno che non è in grado di guadagnarsi il pane da solo, non sarà forse costretto a indebitarsi vivendo alle spalle di altri, e non è questo un poʼ come rubare, anche se gli altri lo aiutano volentieri e gli fanno la carità?), è intemperante (mangia troppo, fuma, ha vizi tipo il gioco, magari beve o si droga). Un piccolo non si domina, magari si arrabbia per nulla e tratta male i suoi pari. Dice parolacce, in generale parla male. Un piccolo non riesce a sollevare grandi pesi, fa fatica a svegliarsi la mattina, camminare gli pesa, muore di freddo dʼinverno e non sopporta il caldo dʼestate.
Insomma, la piccolezza è una forma di assenza di qualità.

Ciò su cui voglio attirare lʼattenzione è questo. Un piccolo soffre facilmente. Tutto per lui nella vita è difficoltà, dallʼalzarsi la mattina a giungere a fine giornata. Magari anche parlare con le persone. Pensiamo a chi ha problemi psicologici. Tutto, per costoro, è dramma. O non riescono ad amare i genitori, o sono asociali, o hanno pensieri di suicidio perché per loro la vita è invivibile...
Per un piccolo ci vuole niente a soffrire. Un piccolo non deve fare molto per guadagnarsi il Paradiso. Ha la sofferenza a portata di mano più di un grande. Un grande ci mette tanto a soffrire. Per un piccolo soffrire è uno scherzo. Prendiamo quelli che si ammalano nel corpo, quelli che hanno mille acciacchi, quelli che non hanno un corpo sano. Pure questi, che vita piena di croci dovranno mai vivere?
E siccome la croce è la strada maestra per il Paradiso – “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano” (Mt 6, 19-20) – chi ha facilità a vivere la croce nella vita ha sicuramente una via preferenziale per raggiungere il cielo. È per questo che Dio ama tanto i piccoli. Certo, anche i piccoli devono dare il meglio di sé, cercare di non peccare, ecc. Ma possono star certi che dolore, umiliazione, angosciasconfitta coglieranno molto più velocemente loro che i grandi.

La ricchezza fa male

Una cosa che ho notato ultimamente è che forse la cosa più brutta dell'essere poveri è sopportare l'arroganza e il sopracciglio alzato della gente ricca.

La povertà in sé non sarebbe neanche male. Chiaramente parlo di povertà, non di miseria. La miseria è invivibile e degradante.

Ma la povertà non deruba necessariamente una persona della sua dignità. Una persona può essere povera e vivere dignitosamente.

Per non dire che San Francesco la chiamava addirittura santa povertà. Però, vabbè, San Francesco lʼha portata alle estreme conseguenze. Lui è riuscito a vivere dignitosamente anche la più nera miseria.

La povertà di cui parlo io è quella di chi fa una settimana di vacanza allʼanno, di chi non prende più di 1.000 euro al mese, di chi compra unʼautomobile usata o comunque da circa 7.000 euro, di chi fa la spesa al discount, di chi mangia sempre a casa, di chi è magro perché mangia poco, di chi si veste da Decathlon, ecc.

Tutte queste cose sarebbero sopportabili, come ho detto, dignitose.

Ma a volte capita che una persona ricca tratti con sufficienza una persona povera, come se volesse comunicare lʼidea che chi è povero è peggiore, uno che non ce lʼha fatta, uno che non ha capacità o che ha sprecato la vita perché non ha voluto o non è riuscito a mettere da parte grosse somme. Fa male il comportamento della persona ricca che tratta un povero come se lei fosse migliore. E non parlo nemmeno dei ricchi che hanno ereditato – il loro sopracciglio alzato è semplicemente disgustoso – ma proprio di quelli che hanno guadagnato. Quando questi guardano dallʼalto in basso fa male.

Sinceramente, penso faccia male perché credo che costoro non avrebbero potuto fare nulla se Dio non lʼavesse permesso. Perciò non hanno diritto di guardare dallʼalto in basso. Anche se hanno faticato. Sono tutti comunque doni di Dio. È così che la penso.

Ma se pure fosse che un ricco che ha guadagnato guarda dallʼalto in basso un povero che per propria colpa ha buttato via la vita ed è per questo che non ha guadagnato nulla, anche in questo caso fa male.