Fa sempre bene ricordarsi di essere un pessimo elemento

Filocamo è un corriere di 41 anni non sposato e non fidanzato. Filocamo, al posto del corriere, avrebbe voluto fare altro nella vita. Dopo le superiori provò a fare lʼuniversità, Scienze della Comunicazione, ma, benché gli piacesse studiare, non aveva la perserveranza per portare a termine un corso di studi. La prima e unica storia dʼamore di Filocamo è stata a 21 anni, proprio durante i primi anni di università. La storia dʼamore è durata un anno e mezzo, poi lʼamata di Filocamo lʼha lasciato per un ragazzo ricco; ereditiero, alla fine degli studi bocconiani, dellʼazienda paterna. Negli anni dʼuniversità Filocamo ha avuto a che fare con la malattia di cinque anni e con la morte del padre. Inoltre con una sorellastra che gli ha rinfacciato che lei a 21 anni già lavorava. Secondo la sorellastra, Filocamo avrebbe dovuto lasciare lʼuniversità e darsi da fare per contribuire con soldi alle cure del padre malato, come facevano lei e il fratellastro di Filocamo. Alla sorellastra e al fratellastro di Filocamo, negli anni della malattia del padre, erano nati figli. Filocamo aveva sempre avuto la sensazione che dal momento in cui il padre si era ammalato tutti coloro che lo conoscevano avessero fretta che morisse. Filocamo, dato che gli sembrava che tutto e tutti ce lʼavessero col fatto che faceva lʼuniversità, alla fine aveva sfanculato tutto e tutti e aveva lasciato lʼuniversità a metà. Erano passati alcuni anni in cui non si sa bene cosa Filocamo facesse, come Gesù. Filocamo a un certo punto aveva ricevuto la chiamata da Dio a entrare nella vita religiosa, ma, con disappunto di Filocamo, era una chiamata a fare il frate in parrocchia, mentre Filocamo avrebbe preferito chiudersi in monastero in silenzio. Con disappunto di Dio, Filocamo, dopo quattro anni e mezzo e 14 esami in Seminario, lasciò la vita religiosa. Dio era infastidito ma era sempre Dio e non abbandonò Filocamo, bensì lo aiutò a trovare lavoro prima come giardiniere, poi come corriere. Fare il giardiniere non piaceva a Filocamo, il tempo non passava mai, invece facendo il corriere quattro anni volarono come un soffio. Filocamo aveva finito per essere mandato a fare le consegne a Peschiera del Garda, dove abitava una sua amica di Madonna di Campiglio, Nicodema, che Filocamo aveva conosciuto a 18 anni, quando sia lui che Nicodema avevano fatto un programma di scambio interculturale con AFS e per sei mesi avevano vissuto in due famiglie della Nuova Zelanda, Filocamo a Christchurch (isola del sud) e Nicodema a Palmerston North (isola del nord). Essere mandato proprio a Peschiera del Garda a fare le consegne tutti i giorni fece pensare a Filocamo che era un chiaro segno che doveva rimettersi in contatto con Nicodema. Filocamo a metà agosto mandò un whatsapp a Nicodema, chiedendole se era sposata e se era incinta. Filocamo voleva essere sicuro di conoscere la situazione sentimentale, di vita, di Nicodema prima di incontrarla. Essendo infatti Filocamo single a 41 anni gli veniva quasi da pensare a un incontro con la vecchia amica Nicodema come a un incontro con una potenziale fidanzata. Nicodema rispose al whatsapp dicendo che era in Sardegna col suo compagno, Amalio, e non disse nulla sul fatto se era incinta o meno. Filocamo, realizzando che Nicodema aveva un compagno, sul momento rimase leggermente scornato, ma presto, soprattutto attraverso la preghiera, poté mettersi lʼanima in pace e accettare lʼamicizia con una Nicodema vicina al matrimonio. Filocamo aveva pochi amici ed era sinceramente felice di rivederne una di vecchia data, con la quale ne aveva passata più di qualcuna, ed era sinceramente convinto che fosse un segno di Dio essere mandato a fare le consegne tutti i giorni a Peschiera del Garda, e non voleva rovinare tutto per il semplice fatto che era single e rischiava perciò di interpretare la relazione con Nicodema come potenzialmente sentimentale. Nicodema aveva avuto tanto successo nella vita, che Filocamo ogni volta che leggeva le notizie o vedeva in televisione Federica Pellegrini pensava a Nicodema. Nicodema aveva studiato Lingue a Milano, lavorava mentre studiava, a 24 anni aveva iniziato a lavorare come receptionist in un hotel di Peschiera del Garda, poi un tizio aveva aperto un nuovo hotel a Peschiera del Garda e lʼaveva chiamata a farle fare la responsabile, poi, negli anni in cui Filocamo era frate, un altro tizio aveva proposto a Nicodema di fare lʼorganizzatrice di eventi e lei aveva accettato. Nicodema era andata nelle Marche a trovare Filocamo frate nel 2015 con una Audi Q4, lasciando sbalordito Filocamo. Sebbene il lavoro di corriere era pesante e non era quello che Filocamo desiderava nella vita, aveva procurato a Filocamo un minimo benessere monetario, tanto che Filocamo con lʼaiuto di sua mamma aveva comprato casa e stava pagando il mutuo. Nicodema scrisse via whatsapp a Filocamo il 30 agosto dicendo che sarebbe tornata dalla Sardegna la sera stessa, perciò se il giorno dopo Filocamo era sempre a fare le consegne a Peschiera del Garda avrebbero finalmente potuto incontrarsi. Filocamo era felice, aspettava con gioia lʼincontro con Nicodema, pur sapendo della sua situazione sentimentale, ci teneva a essere un buon amico e avrebbe voluto presto conoscere Amalio. Lʼultimo periodo di consegne a Peschiera del Garda era stato più lieve, proprio grazie al pensiero che presto avrebbe rivisto Nicodema. Filocamo, essendo un corriere Amazon, aveva solo mezzʼora di pausa. Il 31 agosto Filocamo e Nicodema sʼincontrarono per un caffè e in poco tempo cercarono di aggiornarsi sulle rispettive situazioni di vita. Nicodema e Amalio stavano provando a restare incinti ma non riuscivano, dopotutto Nicodema aveva pur sempre 41 anni. Il viaggio di ritorno da Peschiera del Garda, la sera, Filocamo nel furgone lo passò sentendosi in colpa per aver provato un senso di contentezza allʼudire che il lavoro di organizzatrice di eventi non andava bene causa covid e che Nicodema era costretta a cercare lavoro. Filocamo nella sua stoltezza aveva persino consigliato a Nicodema di imitare lui e cercare lavoro in Amazon, dove di sicuro, pensava, coi suoi requisiti lʼavrebbero fatta responsabile. Ma Nicodema non pensava a tali bassezze; piuttosto, parlava di far parte dellʼorganizzazione delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026. Non le interessava lʼAmazon-rifugio-per-quelli-che-non-trovano-lavoro; lei aveva i controcazzi e poteva scegliere. Parlando con Gesù, Filocamo gli mise davanti la propria piccolezza e non ci mise molto a realizzare che era sempre stato invidioso del successo di Nicodema, soprattutto perché Nicodema non si era mai interessata a Dio e attribuiva lʼintero proprio successo a se stessa, cosa che a Filocamo, abituato a essere incapace e a ricevere tutto da Dio, non andava giù. Filocamo chiese in preghiera che Nicodema trovasse presto un lavoro e restasse presto incinta, e che lui potesse essere per lei e Amalio un buon amico.

Quando mancano le parole giuste al momento giusto

Il 26 agosto devo consegnare un pacco al ristorante Il Cantinone di Peschiera del Garda. Arrivo alle 10,30, è ancora chiuso. Chiamo, sullʼapplicazione Amazon cʼè un tasto per chiamare il cliente che non fa vedere il numero. Risponde una donna: “Tra due minuti sono lì, può aspettarmi?”. “Va bene, lʼaspetto!”.
Di fronte al ristorante, che è in un vicolo in pieno centro storico a Peschiera, cʼè un corriere indiano o pakistano appoggiato al muro. È sicuramente uno di quelli col camion frigo che consegnano le forniture da ristorante. Appena aprirà, andrà a prendere scatoloni di roba congelata e li trasporterà con un carrellino. Dice, indicando la finestra aperta sopra il ristorante: “Abitano sopra”. Guardo i citofoni sul portoncino, su quello più in basso cʼè scritto: “Il Cantinone”. Suono. Nessuno risponde. Suono una seconda volta. Dopo un poʼ, dalla finestra aperta, si sente: “Ma chi cazzo è che staʼ a suonaʼ, Dio ****!”. Si affaccia un ragazzo a torso nudo e subito torna dentro. “Non bestemmiare!”, dico a voce alta. “Cosa?”, si sente da dentro. Si affaccia: “Io faccio quel cazzo che voglio! Hai suonato quattro volte!”. “Due volte, ho suonato!”. “Quattro!”. “Due!”, faccio con le dita. Torna dentro.
Mi giro verso il corriere appoggiato al muro: “Romani di merda!”. Faccio partire la chiamata allʼAssistenza Conducenti, avevo già chiuso la consegna come effettuata, ho intenzione di farla riaprire per chiuderla come: “Cliente non disponibile” e andarmene senza consegnare. Mentre squilla, la signora arriva, poggia la borsa davanti alla porta, infila le chiavi, riaggancio, do il pacco: “Ecco a lei!”, sorridendo forzatamente, e me ne vado.
Il problema non era che era romano, ma che era un bestemmiatore. Solo i bestemmiatori sono capaci di atti di pura perfidia gratuita. I bestemmiatori non sono capaci di umanità, dignità e buon senso.
Il giorno precedente lʼavevo passato in piena leggerezza, sorridendo di cuore a tutti i clienti. Il 26 agosto non ci sono riuscito, mi è rimasta la rabbia dentro. Ero convinto che tutti i clienti lʼavessero con me.
Avrei dovuto dire: “Sei un dipendente del ristorante. Ti pagano. Quindi vedi di alzarti, muovere il culo e venire a ritirare questo pacco indirizzato al ristorante! Sta per aprire!”.

Vomito

Non ho voglia di leggere narrativa. Avrei voglia di leggere qualcosa di saggistico. Ho appena letto Lʼanima russa di Virginia Woolf, critica letteraria da parte di uno che a sua volta è scrittore. La narrativa, quando non è pura invenzione, è falso intrecciato al vero (cf. Platone, Repubblica). Anche quando è pura invenzione, resta la verità dei sentimenti, dei comportamenti... cʼè sempre qualcosa di verisimile... la vita. Se è solo vero, non è più narrativa, è memorialistica, storia.

La memorialistica mi piace, la storia non mi piace. Come è possibile, se appartengono alla stessa categoria? Secondo me è perché chi fa storia poche volte ha idee chiare. Qualcuno che dica: “Napoleone era un mascalzone!”, invece di: “Ci sono interpretazioni diverse sul ruolo di Napoleone nella storia...”, oppure: “San Bernardo ha fatto bruciare decine di eretici!”, o: “Sono tre secoli, se non di più, che gli occidentali cercano di addomesticare le popolazioni dellʼAfghanistan. Cʼè stato un periodo di pace con lʼultimo re Mohammed Zahir Shah, spodestato, ovviamente. Tutti hanno fallito. Gli USA, che hanno il delirio di onnipotenza, pensavano di averla vinta, invece sono scappati con la coda tra le gambe. Lettura consigliata: Il grande gioco, Peter Hopkirk”.
I romanzi storici mi piacciono. Appena avrò finito Guerra e pace passerò a ‘93 di Victor Hugo. Cosa non mi piace in Guerra e pace? Proprio le parti in cui Tolstoj fa lo storico. “Inseguiti dai centomila uomini dellʼarmata francese al comando di Bonaparte, accolti con ostilità dalle popolazioni, senza più alcuna fiducia nei loro alleati, provati dallʼinsufficienza degli approvvigionamenti e costretti a operare al di fuori di tutte le prevedibili condizioni di guerra, i trentacinquemila uomini dellʼarmata russa al comando di Kutuzov si ritiravano in fretta lungo il Danubio, arrestandosi quando venivano raggiunti dal nemico e disimpegnandosi con operazioni di retroguardia soltanto nella misura in cui era necessario per ritirarsi senza perdere le salmerie. Ci furono scaramucce a Lambach, ad Amstetten e a Melk; ma nonostante il valore e la fermezza, riconosciuti dallo stesso nemico, con cui i russi si batterono, queste azioni portarono soltanto a una ritirata ancor più veloce. Le truppe austriache che erano sfuggite alla cattura davanti a Ulm si erano ricongiunte a Kutuzov presso Braunau; in seguito, però, si erano nuovamente staccate dallʼarmata russa, e Kutuzov poteva contare solo sui suoi uomini deboli ed esausti. Difendere ancora Vienna non era nemmeno possibile. Invece dellʼoffensiva, che era stata studiata in ogni particolare secondo i principi della nuova dottrina chiamata «strategia», e il cui piano era stato trasmesso a Kutuzov nel corso della sua permanenza a Vienna dallʼHofskriegsrat austriaco, ora Kutuzov aveva dinanzi a sé unʼunica, quasi remota possibilità: evitare di perdere lʼarmata come era accaduto a Mack sotto Ulm, e ricongiungersi alle truppe che arrivavano dalla Russia.
Il ventotto ottobre Kutuzov passò con lʼarmata sulla sponda sinistra del Danubio e per la prima volta si fermò, avendo messo il Danubio fra sé e il grosso delle forze francesi. Il tredici attaccò la divisione di Mortier che si trovava sulla riva sinistra del Danubio e la sbaragliò. In questʼoperazione per la prima volta vennero conquistati dei trofei (una bandiera, qualche cannone) e due generali nemici furono fatti prigionieri. Per la prima volta dopo una ritirata di due settimane le truppe russe si erano arrestate e, dopo il combattimento, non soltanto avevano tenuto il campo, ma avevano respinto i francesi. Sebbene le truppe fossero lacere, esauste, depauperate di un terzo degli uomini, tra dispersi, feriti, malati e uccisi, sebbene gli ammalati e i feriti fossero stati abbandonati sullʼaltra sponda del Danubio, con una lettera di Kutuzov che li affidava al senso di umanità del nemico; sebbene i principali ospedali e le case di Krems, trasformate in lazzaretti, non riuscissero più a contenere tutti gli ammalati e i feriti; nonostante questo la sosta a Krems e la vittoria su Mortier valsero a rialzare sensibilmente il morale delle truppe. In tutta lʼarmata e nel quartier generale circolavano le voci più ottimistiche, anche se non vere, su un preteso avvicinarsi di colonne di rinforzo dalla Russia, su una pretesa vittoria riportata dagli austriaci e sulla ritirata di Bonaparte in preda al panico”.
Questo passo non è particolarmente complicato, ma mi sembra che quando ci sono dati storici Tolstoj corra, finendo per non essere totalmente chiaro. Ha fretta di scrivere un romanzo imponente e non si sofferma. Lo vedi che si sente più in pace quando descrive ciò che accade nelle stanze delle famiglie aristocratiche, o tra commilitoni attorno al fuoco di un bivacco, in sostanza quando racconta sentimenti e sfumature della vita quotidiana. I paragrafi storici sembrano, in effetti, non un libro ma la lezione di storia di un professore che deve sbrigarsi col programma. Ci vorrebbero molte più pagine per descrivere ciò che in effetti abbisogna di note a piè di pagina del traduttore.

Ma perché mi metto a pontificare? Chi credo di essere? Mi piacerebbe avere il tono di Virginia Woolf. Lei riesce a essere umile. Come Edith Stein in Scientia crucis. Entrambe, dal basso, manifestano sincera ammirazione per le personalità di cui parlano, Dostoevskij, Čhecov, Tolstoj e San Giovanni della Croce. A me viene subito un tono da professore che pensa di saper tutto.
Una volta mi piacerebbe fare anche un post tutto così, se riuscissi a mantenere il tono dallʼinizio alla fine. Verrebbe qualcosa di disgustoso. Ma sarebbe lʼintento del post. Pochi capirebbero che lʼho fatto apposta, e aumenterebbero il senso di vomito nei miei confronti.

No, seriamente.
Il fatto è che lʼunica persona che rispetto è Gesù. Ci vuole poco, Gesù è Dio. In tutti gli altri noto putroppo difetti. “Diceva che, fra tutti, i librai sono i più degni di compassione, perché su di loro grava come su nientʼaltro lʼintera atrocità e volgarità della storia umana e lʼintera inettitudine e miserabilità dellʼarte ed essi devono sempre temere di venire schiacciati da questo peso antiumano. Un libraio che prenda sul serio il proprio mestiere è, di tutto il genere umano, la persona più degna di compassionie, perché ogni giorno si trova immancabilmente di fronte allʼassoluta insensatezza di tutto ciò che sia mai stato scritto e vede più di ogni altro il mondo come un inferno”, Thomas Bernhard, I mangia a poco. Qui si vede come, ad esempio, un passo di Bernhard perda il 70% della sua forza quando estrapolato dal contesto, non soltanto contenutistico, ma stilistico, ossia quando estratto dal consueto flusso di assenze di accapo.
Dopo Gesù, da adorare è Maria, la più perfetta di tutte le creature. Tutti gli altri santi hanno sì dato tutto loro stessi a Dio e agli altri – questa infatti è la santità, indipendentemente da grandezza o piccolezza – ma anche loro sono umani e pieni di difetti. Basta guardare gli apostoli, tutti fuggiti, a parte Giovanni di Zebedeo, di fronte alla prospettiva della croce.

Ma anche Thomas Bernhard... non è disgustoso? Ciò che ammiro in Bernhard è lo stile, qualcosa di insuperabile... ma come persona lo trovo vomitevole. Chi di noi non lo è?
Ecco, così sembra che voglia portare con me tutti. Invece non è ciò che voglio fare. Le persone hanno lati positivi. Perché sono fatto così, incline a individuare le bassezze nella gente? Secondo me è per difendermi dalla bassezza che trovo nella mia persona. Allora dico: “Anche tu, però! Anche tu!”.
Socrate, in Simposio, insegna a fare soprattutto elogi. Cioè dire bene. Di ciascuno si può dire sia male sia bene. Se dico il vero e dico bene, sto facendo lʼelogio. Se dico il vero e dico male, sto facendo il biasimo. Se dico il falso e dico bene, sto facendo lʼadulazione. Se dico il falso e dico male, sto facendo lʼinsulto.

Ho bisogno di prendere le distanze da Bernhard, perché è uno scrittore che ho adorato e adoro ma che ha impattato in modo decisivo sulla mia visione della vita e degli uomini, trasformandomi quasi in misantropo. Menomale che Gesù mi ha salvato. 

Si è fermata unʼambulanza davanti al mio portone. 

Domino

Vorrei che in questo momento non facesse così caldo. Per il resto, il caldo non mi ha dato fastidio, né oggi né nei giorni passati. 

La mia casa ha quattro stanze, ciascuna con unʼunica finestra che dà a est. Entrando cʼè un disimpegno con, a sinistra, la porta della camera, a destra, quella della sala. Di fronte, le porte di bagno e cucina.

Le stanze sono disposte a domino, una dopo lʼaltra, per il lungo, distese. Ciascuna finestra di ciascuna stanza, una per stanza, dà sulla strada, ossia sulla facciata del palazzo.

La strada non è larga. Di fronte cʼè un edificio della stessa altezza.
Il sole fa presto a innalzarsi al di sopra di esso, la mattina, così che le mie finestre, che sono al terzo piano di quattro, sono presto battute dal sole.

Dʼinverno è lʼideale, perché lasciando alzate le tapparelle per mezza giornata si incamera abbastanza calore da durare fino a sera.
Bisogna anche dire che i due appartamenti che abbracciano il mio, ossia quello che confina, a sinistra, con la camera, e quello che confina, a destra, con la sala, sono trilocali abitati da famiglie, che dʼinverno accendono il riscaldamento. Ciò consente a me di trovare, la sera, quando torno dal lavoro, la casa abbastanza calda così da non dover accendere il riscaldamento.

Dʼestate la faccenda è un poʼ più complicata. Anche tenendo giù le tapparelle, il sole batte e scalda le stanze, rendendole forni. A nulla serve aprire le finestre, perché entra aria calda.
Ad ogni modo, come detto, i pochi giorni che sono rimasto a casa tutto il giorno, cioè oggi, non ho sofferto il caldo.
Mi ci sono abituato e ci sono stato dentro.

Tre casi di scaramanzia

Antonio Conte è stato un giocatore della Juventus e della nazionale italiana e oggi è un allenatore di fama. Pochi sanno che è sempre stato scaramantico fino allʼinverosimile. Una volta, quando la Juve giocava a Roma, si recò allʼOlimpico nottetempo e, di nascosto, fece cambiare il manto erboso con uno che aveva portato lui, e che aveva fatto affatturare da un fattucchiera.

Alipietto crebbe e fece la scuola calcio. I suoi famigliari, il nonno Alipio, il padre Florido, lo zio Radulfo e la madre Frambalda andavano in gruppo a vedere le partite. Alipietto insisteva perché stessero seduti vicini alla panchina, dove lui stava sempre. Una volta, addirittura, Alipietto non giocava perché era stato squalificato, ma siccome aveva costretto i suoi famigliari a sedersi vicino alla panchina, in tribuna, dato che non aveva trovato posto, era più in alto di loro.

Lo zio di Alipietto, quello taciturno che andava al centro diurno, si chiamava Placido. Non voleva andare al mare per scaramanzia, perché pensava che avrebbe portato sfortuna fare il bagno vicino a quegli scogli bagnati col sangue degli stranieri morti in mare. E gli faceva impressione il sangue viscido.

Lʼoboe incantato

SOCRATE Ebbene, puoi dirmi, a proposito, Pericle chi ha reso saggio, a iniziare dai suoi figli?
ALCIBIADE Che devo dire, Socrate, visto che i figli di Pericle sono nati sciocchi?
(Platone, Alcibiade I)


Da giovane Alipio aveva fatto unʼesperienza in un monastero, ma la vita, lì, gli era sembrata troppo dura; e unʼesperienza coi Comboniani. Dopo qualche settimana lontano da casa aveva provato tristezza, perciò il padre che lo seguiva gli aveva detto: “Vai a casa e fatti una famiglia”.

Nonostante Alipio fosse retto e pio, la sua famiglia non era riuscita dʼoro. Ci si sarebbe aspettati che anche i suoi sei figli fossero cresciuti tutti retti e pii, invece due, nel corso della loro vita, erano addirittura finiti in prigione.

Uno si era innamorato di una ragazza tossicodipendente, e per amore di lei, che gli chiedeva in continuazione soldi per drogarsi, a ventʼanni aveva fatto una rapina in banca e una in farmacia.

Lʼaltro, già più che trentenne, un giorno, ubriaco assieme a un amico, aveva fatto apprezzamenti a una ragazza su un autobus. La ragazza aveva denunciato i due, e gli avvocati erano riusciti a rigirare la cosa fino a farla sembrare: “Molestie sessuali”. Al figlio di Alipio avevano dato quattro anni di prigione, convertiti poi a due più due di domiciliari per buona condotta.

Un altro figlio di Alipio era così introverso che non parlava mai. Prendeva farmaci e andava al centro diurno, ma per il resto passava il tempo in camera a casa dellʼormai settantasettene Alipio.

Anche gli altri due figli di Alipio, quelli che erano stati in prigione, vivevano con lui e con lʼanziana madre. Uno, quello delle molestie sessuali, era stato tutta la vita camionista ma ormai nessuno lo assumeva più per via dellʼetà e dei precedenti penali. Lʼaltro, quello che si era rovinato da giovane, aveva sempre avuto problemi di apprendimento e aveva fatto delle scuole di seconda categoria e non aveva mai trovato un lavoro serio.

Alipio aveva altri tre figli, riusciti meglio. Erano i più giovani, per così dire la seconda nidiata. Uno faceva il direttore di supermercato, uno lavorava in una fabbrica di farinacei, e lʼultima, unica femmina, viveva in unʼaltra regione e aveva un maneggio con cavalli da gara.

La carità, dicono, se cominci a farla ti rende dipendente. Alipio era dipendente dalle opere di carità. Nonostante avesse moglie anziana e cieca e tre figli da mantenere in casa, dava gran parte della pensione a stranieri e rom che gli andavano a chiedere soldi alla porta.

Quandʼera ancora giovane, padre di pochi figli, aveva manifestato, al vescovo della sua diocesi, il desiderio di vivere una vita cristiana intensa, dato che non era potuto entrare in un ordine religioso, facendo cospicue opere di carità verso gli stranieri provenienti in Italia dallʼestero, e il vescovo gli aveva detto: “Faʼ pure come ti ispira il cuore”.

La famiglia di Alipio, a parte i figli che erano riusciti a trovare lavoro e ad andare via di casa, era povera. Quasi nessuno riusciva a fare ferie, ma andavano a passare la domenica al lago, o in qualche valle verso nord dove i boschi e i ruscelli rendevano lʼambiente gradevole.

Il giorno dellʼAssunta andarono al Santuario della Misericordia di Soler. Si portarono dietro anche il nipotino di Alipio, Alipietto, che era il figlio del figlio di Alipio che era stato con la tossicodipendente. Alipietto era un bambino simpaticissimo però iperattivo e difficile da gestire, perché dopo poco si stufava e voleva cambiare gioco o posto, ed era difficile farlo mangiare. 

Il Santuario della Misericordia era stato costruito sul luogo dove nel 1527 era apparsa Maria a una ragazza di ventidue anni. Cʼera un piazzale anteriore e, a lato, un porticato che faceva ombra e dove cʼerano tavolini, e pure una fontana da cui sgorgava acqua di montagna.

La sera prima di partire, allʼultimo momento, sembrava che la moglie di Alipio avesse cambiato idea e deciso di non andare più, per non dover sopportare il caldo del viaggio. Anche il figlio taciturno di Alipio manifestò la mattina stessa il desiderio di non andare più a fare la gita, facendo capire, a mugugni, che avrebbe preferito starsene in camera. Alipio, nel tentativo di sollevare la moglie dal letto e farle scendere le scale, aveva avuto uno strappo alla schiena.

Il cibo era pronto, e Alipio convinse tutti a partire. La sua famiglia aveva pur sempre vissuto parecchie avventure vacanziere, nella povertà e nella semplicità dello stare insieme.

Cʼera però qualcosa che serpeggiava, come in tutte le famiglie di vecchia data. Incomprensioni, recriminazioni, invidie, competizioni, battute, prepotenze, lamentele, stigmi…
Alipio pregava, ma non era mai riuscito a rendere la sua famiglia perfettamente compatta. Era una famiglia povera da ogni punto di vista.

Di solito si trovava poca gente, e anche quel giorno, pur essendo lʼAssunta, non cʼera quasi nessuno. Cʼera solo un oboista che suonava. Appena furono arrivati sul piazzale, Alipio e i suoi famigliari furono catturati dalla musica. Era soave, conciliante. Entrarono in chiesa, fecero inchini, segni della croce,  preghiere mentali, su proposta di Alipio dissero unʼAve Maria tutti insieme, pagarono insomma tributo alla Signora del luogo, tutto questo continuando ad ascoltare lʼoboista che suonava fuori. Alipietto quando diceva lʼAve Maria diceva, allʼinizio della seconda parte: “Santa Maria, padre di Dio, prega per noi peccatori ecc.”. Tutti ridevano.

Al suono della musica dellʼoboista si sentirono rappacificati, come se non ci fossero più incomprensioni, recriminazioni, invidie, competizioni, battute, prepotenze, lamentele, stigmi… Di colpo la famiglia di Alipio si riscopriva una famiglia i cui membri si amavano. I loro pensieri andavano ai membri mancanti, al direttore di supermercato, a quello che lavorava per la fabbrica di farinacei, allʼunica femmina che aveva il maneggio in unʼaltra regione. Erano poveri, anche per colpa di Alipio, ma grazie al suo patriarcato morbido e al suo esempio erano in fondo uniti e tutti amavano Dio.

Alipio si avvicinò allʼoboista. Gli chiese: “Come fai a fare una musica così bella?". Rispose: “Merito dellʼoboe. Vedi, è un oboe che non vale nulla”. “Come?”, chiese Alipio. “Mi chiamo Ludovico Puricelli, sono argentino. Vengo da una famiglia nobile. Quando avevo quattordici anni trovai, nella soffitta della villa di mio padre a Buenos Aires, un oboe dorato. Chiesi a mio padre se potevo prendere lezioni. Nel giro di poche settimane diventai bravissimo, o almeno così sembrava, perché riuscivo a trarre dallʼoboe una musica assai bella. Mio padre non credeva alle sue orecchie. Un giorno prese lʼoboe e lo esaminò. Trovò, inciso sulla campana, un simbolo a forma di triangolo con un occhio in mezzo. “Questo oboe appartiene alla massoneria. Di sicuro gli è stato fatto un incantesimo per poter essere suonato così bene anche da un principiante”. Spezzò lʼoboe dorato sul ginocchio. Da quel giorno mi restò la malinconia della musica che ero riuscito a produrre in così breve tempo. Non volevo più mangiare né dormire. “È colpa dellʼoboe incantato, sei vittima del suo incantesimo. Cʼè un solo modo per spezzare l'incantesimo. Sacrificio e preghiera”. Il giorno dopo arrivò a casa con questʼoboe, che era il peggiore che era riuscito a trovare. “Ecco”, disse, “tieni questʼoboe scassato. Quando avrai imparato a produrre una musica bella come quella che producevi con lʼoboe massone, sarai salvato dallʼincantesimo. Però ricorda, lʼunico modo in cui riuscirai a imparare a suonare lʼoboe sarà mediante il sacrificio e la preghiera. Il Beato Angelico pregava un'ora, prima di mettersi a dipingere gli affreschi di San Marco a Firenze. Anche tu dovrai fare così”. Amavo mio padre e lo ascoltai. Cambiai numerosi maestri, perché nessuno accettava di continuare a insegnare a uno studente dotato di uno strumento di poco valore. Dicevano che era impossibile produrre buona musica così, e che in ogni caso ci sarebbe voluto troppo tempo, e che la mia ostinazione era folle. Ho sessantasette anni, e ancora oggi cerco di tirare fuori da questʼoboe, dopo aver pregato unʼora, il meglio che posso”.

Si alzò unʼaria fresca. La famiglia di Alipio sedette al tavolo e consumò il cibo che aveva portato. Per dissetarsi usarono lʼacqua gelida della fontana del Santuario della Misericordia.

Gita a Genova più sinistri sul lavoro

Il mio compagno di ferie, un padre francescano di 72 anni, è di Genova. Così martedì 27 luglio, mentre eravamo a Diano Marina, abbiamo approfittato per fare una gita a Genova, in modo da far visita ai suoi conoscenti. Alle 8,00 siamo partiti, alle 9,30 abbiamo superato Genova e ci siamo spinti fino a Recco. Al convento dei francescani di Recco abbiamo salutato p. C., un 95enne più in forma di me che ne ho 41. P. C. ci ha offerto il caffè, ci ha fatto vedere il panorama dalle finestre del convento che è a picco sul mare e ci ha invitati a fare le ferie lì lʼanno prossimo, dato che il convento è semivuoto.
A Genova, dopo avere speso il resto della mattina alla libreria delle Paoline, siamo stati a pranzo con S. S. ha 45 anni ed è amico di vecchia data di p. F. P. F., infatti, prima che lo mandassero nella città del nord-Italia dove vivo ora, dove ci siamo conosciuti, ha vissuto tutta la sua vita giovanile a Genova ed è rimasto a Genova anche un poʼ di anni da frate.
Alle Paoline abbiamo preso un regalo per S., che compiva gli anni il 25 luglio e che lʼanno prossimo sarà ordinato sacerdote. Gli abbiamo preso un messale aggiornato secondo le ultime disposizioni CEI, e un libro di Papa Francesco.
Io mi sono comprato i Libri sapienzali della Bibbia con la traduzione interlineare. Invece che esserci il testo a fronte cʼè il testo originale riga per riga. Così posso leggerli sia in italiano, sia in ebraico (quelli il cui originale è in ebraico), sia in greco (quelli il cui originale è in greco).





A pranzo eravamo con S., ma di fatto siamo stati invitati da un suo amico, un notaio che S. ha conosciuto lʼanno scorso quando è morto suo padre. Il notaio ci ha portato al ristorante Ippogrifo, piuttosto esclusivo e, immagino, costoso. Ho mangiato il besugo, un pesce che non conoscevo e che mi è sembrato saporitissimo. Il notaio ha detto che il besugo è un pesce un poʼ scemo, che si fa pescare facilmente, perciò la parola: “besugo” viene usata dai liguri per dire che qualcuno è un poʼ scemo.
Nel pomeriggio io e p. F. ci siamo riposati su panchine in un parco. Poi siamo incappati nel Libraccio, dove ho trovato, usati, un paio di dialoghi di Platone che mi mancavano e un libricino intitolato: “A piedi nudi. Testimonianze dal Carmelo”. È la raccolta delle testimonianze di cinque monache di clausura carmelitane, Suor Maria Teresa del Divino Amore, Suor Maria Claudia dellʼEucarestia, Suor Maria Emanuela della Trinità, Suor Giovanna della Croce e Suor Maria Eugenia del Crocifisso. Per me che sono nei due anni di formazione per entrare nellʼOrdine Secolare dei Carmelitani Scalzi è un ottimo strumento per approfondire la spiritualità carmelitana.



Di sera, a cena, abbiamo incontrato un altro amico di p. F., D. D. è un ragazzo poco più giovane di me amante dellʼesercizio fisico, si è costruito una piccola palestra in casa. Qualche anno fa è andato a convivere con una ragazza e con lei ha avuto un figlio, D., che ora ha tre anni. La ragazza poi lʼha tradito. Adesso tengono il figlio una settimana a testa. D. è in cerca di unʼaltra ragazza. Con D. siamo andati in un ristorante più a portata delle nostre finanze. Ma anche lì siamo stati ospiti di D., che ha insistito per pagare lui.
Subito dopo cena (21,00) siamo partiti e alle 22,30 eravamo nel letto nella nostra camera dʼalbergo a Diano Marina.

Un mio collega ha fatto un incidente a Padenghe del Garda, mentre stava facendo le consegne. Lʼhanno portato dʼurgenza allʼOspedale Civile di Brescia con lʼeliambulanza. Per fortuna lʼhanno dimesso già il giorno dopo. Ha avuto un malore mentre guidava, da qui lʼincidente. Però martedì torna già al lavoro.

Sono riuscito a fare un danno al furgone dentro il magazzino Amazon, dove il limite di velocità è 15 allʼora. Proprio perché andavo così piano, mi sono messo a fare il Van Audit, una funzione dellʼapplicazione Amazon che permette di dire se il proprio furgone ha qualcosa che non va. Mentre facevo il Van Audit, e guardavo quindi il telefono, il furgone è andato un poʼ verso destra e ha grattato contro la parete di cemento. Ho rotto lo specchietto e graffiato la carrozzeria. Mi toccherà pagare una franchigia di 250 euro.
Sì, è vero, sono un besugo

Avere nipoti appassionati di cinema ma privi di blog

Ho visto finalmente A quiet place II e ti confermo le buone impressioni relative al primo capitolo di una sicuramente minima trilogia (e questo è un elemento di cui tenere conto).
È chiaro che se sei contrario preventivamente all'esistenza aliena non puoi che pensarne male di un film così, però permettimi di elencarti qualche pregio che secondo me il film ha.
1. La scommessa di fondo del film: quella di promuovere, attraverso lo spunto della trama, una fruizione visiva al livello del muto e un'attenzione uditiva che allevia la direzione intrapresa da tanto cinema americano blockbuster. E questo è un merito da sottolineare.
2. Dal punto di vista della messa in scena fa un buonissimo lavoro, senza cercare l'originalità, ma ricalca perfettamente il meglio del cinema thriller di oggi.
3. Promuove valori e discorsi molto importanti.
Per "valori" intendo quello della famiglia, inteso qui come valore supremo, mai messo in discussione ma anzi scopo ultimo di ogni azione.
Per "discorsi" intendo quelli sulla questione di genere (maschio-femmina) e quello sul ruolo paterno.
Si vedono personaggi femminili che illuminano per coraggio e intelligenza, si vedono personaggi maschili di grande sensibilità.
E pensa al personaggio di Cillian Murphy, inizialmente isolato e solo, ma che si assume piano piano il ruolo paterno.

The extra mile

La carità è lʼunico modo per attuare la giustizia sulla terra.

Il cielo, ossia il regno delle cose invisibili, è perfetto. Sulla terra, ossia il mondo creato, nulla è perfetto.

Per un uomo fare qualcosa alla perfezione significa avvicinarsi al massimo grado a un limite senza toccarlo mai, il quale resta sempre irraggiungibile – si pensi al concetto matematico.

Gli angeli hanno tutti una funzione, portano a compimento immediatamente qualsiasi cosa Dio comandi.

Non cʼè scarto, non cʼè esitazione nei cieli. Tutto ruota costantemente come una macchina oliata.

Il cielo è la Gerusalemme celeste, la città di Dio, dove ciascuno svolge alla perfezione la funzione assegnata.

Sulla terra ciò avverrebbe se ciascuno, grazie a efficaci sistemi di orientamento, scoprisse da piccolo per cosa è stato creato, quali sono i talenti, qual è il lavoro per cui è portato. Ma anche negli stati meglio funzionanti, quante volte ciò si verifica? Quanti laureati in Lettere lavorano al casello autostradale? Quanti svolgono, spesso non per loro colpa, mansioni non consone?

In cielo non cʼè infelicità, perché ciascuna entità è perfettamente contenta di svolgere la propria mansione. Sulla terra il 99% delle persone si lamentano del lavoro e vorrebbero fare altro.

In cielo regna la giustizia, semplicemente perché nessuno si sognerebbe mai di trasgredire la legge vigente, legge divina.

Sulla terra, oltre alla legge divina, frutto di rivelazione dallʼalto, si sono aggiunte miriadi di leggi umane, frutto dellʼerrore proprio della natura umana, che opina mediante i sensi e non conosce la verità mediante ragionamento.

Nei cieli non esiste ingiustizia. Sulla terra sono perpetrati miliardi di torti ogni istante. Basta poco, commettere un torto significa fare del male; invece di dare, prendere. Non occorre uccidere per far male. Basta un insulto, unʼocchiata storta, una precedenza non data, una qualsiasi disobbedienza alla legge. Le leggi sono fatte per il bene comune. Ogni volta che disobbedisco a una legge faccio male alla comunità, non solo al singolo. Se faccio il notaio perché figlio di notaio, ma per essenza, per volontà di Dio, ero nato per fare il benzinaio, trascorro lʼintera vita nellʼingiustizia. Se mia madre, che – gerarchicamente – è un mio superiore, mi dice di fare i compiti, ma io passo lʼintero pomeriggio su Whatsapp, sto commettendo ingiustizia, sto facendo male allʼuniverso e a ciò che Dio aveva pensato per me.

Come riparare alla condizione di endemica ingiustizia che regna sulla terra? Non certo mediante lʼapplicazione della giustizia.

Certo, si può riparare a un torto. Se rubo e poi restituisco, giustizia è fatta. Di solito una cosa del genere si verifica quando vengo beccato, perché poche volte uno che ruba vuole restituire. Esistono istituzioni, sulla terra, demandate al ripristino della giustizia. Ma quante volte queste, di fatto, funzionano? La mala giustizia esiste ovunque ed è sempre esistita.

La città di Dio è ideale, esistente solo nei cieli. Si può farne discorso, descriverla, dipingerla col ragionamento, ma non si potrà mai vederla attuata (cf. Platone, Repubblica), a meno che il regno dei cieli non scenda sulla terra.

Come è possibile, dunque, vedere attuata la giustizia? Non è possibile. Applicare la giustizia, di fatto, significa compiere un nuovo male, quindi aggiungere ingiustizia a ingiustizia.

C'è bisogno di qualcuno che si sacrifichi.

Lʼunico modo per riportare la giustizia sulla terra è la carità.

Per capire la differenza tra giustiza e carità si può pensare al pari e al dispari. Pari è rendere cosa uguale a cosa uguale. Occhio per occhio, dente per dente. Lʼessenza del dispari, invece, dato il pari, è il più uno. È sufficiente, infatti, aggiungere una unità a un qualsiasi numero pari per ottenere un numero dispari.

Pari: uguale.
Dispari: più uno.

Ecco lʼextra mile, il miglio in più che uno fa, rimettendoci del proprio, per attuare la carità.

Carità infatti è dare senza volere nulla in cambio. Se ottengo il contraccambio, non è forse giustizia?

Primo esempio di attuazione della carità, il regalo. Do qualcosa, perdendoci qualcosa di mio, non aspettandomi nulla indietro. O il nonno aspetta il contraccambio quando regala qualcosa al nipotino?
Altro esempio principe di carità, lʼamore genitoriale. Non possiamo sapere se i figli si prenderanno cura di noi quando saremo anziani, contraccambiando così alle cure che noi gli abbiamo dato quando erano piccoli e impotenti, eppure doniamo loro a piene mani, gratuitamente.
Un altro esempio di attuazione della carità è la misericordia. Uno mi ruba la macchina, gli dico: “Tienla”. Trasformo il furto in regalo.

My extra mile