Non sapere di cosa parlare.
In realtà le cose di cui parlare sono tante.
Non sapere da dove iniziare.
Scrivere dovrebbe essere un piacere. Invece è una grande fatica. Se non fosse stato così faticoso, forse avrei scritto nella vita.
La realtà è che sono sempre fuggito da tutto ciò che è faticoso. Mi manca la disciplina, come dice Joey. Però scrivere mi piace. Mi piace rileggere, editare, sistemare, tagliare, rivedere.
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A me piace scrivere, ma il pensiero di farlo come lavoro me lo fa diventare una cosa spiacevole.
Appena inizio a scrivere inizio anche a sbadigliare. Non capisco se è perché mi annoio da solo, con le cose stesse che dico, oppure se è perché quando inizio a scrivere sono obbligato a pensare e perciò a faticare.
Quanti sono quelli che pensano che la scrittura, così come la preghiera, non sia faticosa!
Lʼumanità le pensa di tutti i colori.
Certo, cʼè una scrittura più faticosa di unʼaltra. Cʼè la scrittura creativa, cʼè la scrittura che parla di cose dolorose per la persona che scrive, cʼè la scrittura che parla di cose estranee alla persona che scrive (come il giornalismo). Questi modi di scrivere sono davvero faticosi.
E poi cʼè la scrittura come la pratico io, che consiste nel dire le cose come vengono in mente. Tale tipo di scrittura è liberatorio anche se pressoché inutile per chi legge.
Eppure credo che quando qualcuno riesce a toccare i punti dolorosi della propria anima e a metterli a nudo, tale trasferimento sia fruttuoso sia per chi scrive sia per chi legge.
Le profondità dellʼanima vanno sempre scandagliate, questa è una cosa di cui sono convinto. “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi…” (
Mc 7, 21). Si esorcizza il buio dellʼanima portandolo alla luce.
Però un conto è concentrarsi troppo su se stessi, in modo psicanalitico. Un conto è guardare se stessi confrontandosi con Dio e mettendosi davanti a lui. È ciò che dicono i maestri di spirito. Santa Teresa dʼAvila, ad esempio, afferma che nel cammino dellʼorazione è fondamentale agli inizi conoscere se stessi, avere unʼidea chiara di chi si è e di quali sono i propri peccati. Allo stesso tempo, gli studiosi di Santa Teresa venuti in seguito si sono sempre premurati di specificare che non bisogna cadere nellʼerrore di concentrarsi
troppo su se stessi, o di farlo fine a se stesso, dimenticando il resto. Lo scopo è pur sempre quello di arrivare a guardare Dio. A
vedere Dio. Ciò comporta anche il passare attraverso le creature. Non esiste contemplazione senza carità. Avere lo sguardo su Dio significa anche essere passati attraverso lo sguardo su ciò che Dio fa, ossia il creato. Lʼattenzione verso le creature e lʼessere pronti al servizio dove si vede un bisogno è vera carità. E non fa differenza che si tratti di creature umane o non umane.
Čhecov dice di scrivere qualsiasi cosa, senza trama e senza finale. Come mi piacerebbe. Poi, alla fine, potrei trarne un post. È così che, ormai, faccio di solito.
Il pensiero di andare a lavorare, domani, mi ammazza. Il problema non è fare le consegne, ma guidare il furgone. Parcheggiarlo, fare le manovre, non sapere mai dove lasciarlo. Questo è ciò che mi uccide del mio lavoro. Per il resto la consegna è pure bella. È bello essere gentili col cliente. Il mio furgone ideale era quello che usavo con Rpost, il mio FM168FJ, n. 371. E nella mia idiozia sono riuscito a spaccarlo. Che babbo. Adesso mi tocca fare le consegne col Talento che non ha nemmeno i sensori. Come faccio a essere così cretino?
Ho lasciato la L. Adesso sono davvero solo. Non sarò mai in grado di trovare una donna. Il fatto è che io una donna nemmeno la voglio. Ogni volta che guardo il mio corpo mi vergogno. Se poi penso a come vivo, col modo di mangiare e coi regimi di pulizia della casa, penso che da un lato non voglio cambiare, dallʼaltro non vorrei che una donna vedesse queste cose. Lʼunica, davvero, che sarebbe stata capace di affrontarle era la L. Ma solo perché è un
nutcase lei stessa. E con la sua bruttezza e la sua malattia mentale anche lei non può aspettarsi di trovare chissà cosa, nella vita. È per questo che a persone come noi conviene stare soli.
Che cose brutte che dico. E poverina la L. Spero che adesso che non sono più costretto a starci insieme possano rinascere sentimenti positivi verso di lei. Nellʼultimo periodo davvero non la potevo sopportare.
Va però anche detto che ho seguito ciò che mi ha consigliato il direttore spirituale più di un anno fa. “Tu sei una persona debole e hai bisogno di una persona forte. Non puoi metterti con una conosciuta nellʼambiente della psichiatria”. In effetti quando ho constatato quanto in effetti fosse fuori la L., non sono stato in grado di gestire la cosa. Ho già i miei problemi, come si dice. O forse, semplicemente, sono un uomo privo di carità.
Se un uomo vuole davvero fare del bene, non occorre che sia a posto e pronto per farlo. Non è vero ciò che si dice, e cioè che
bisogna essere felici per fare felici gli altri. Gesù è con le sue piaghe che ci ha salvati; “per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (
Is 53, 5). Quando stiamo male, è in quel momento che diveniamo
destinatari della grazia. Lo Spirito Santo infatti è il primo dispensatore di carità. Il suo lavoro è girare tutto lʼuniverso, costantemente, tutto il giorno, andando a cercare ciò che sta male per farlo star bene. Questo è Dio:
fonte di ogni bene. Ora, se io sto male, è in quel momento che attiro su di me la grazia. La Provvidenza funziona così. “Hai una dispensa piena di cibo? Intanto mangia quello. Poi vediamo”. “Non hai niente? Vengo in tuo soccorso”. È quando sto male che attiro su di me la grazia. Ora, quella grazia, che ho attirato su di me, non è che devo tenerla tutta per me, ma posso
donarla a mia volta. Quante volte chiediamo a Dio: “Donami la tua grazia, perché io possa donarla agli altri?”. Ma la grazia non viene da noi se stiamo già bene. “Stai già bene. Cosa vuoi ancora?”. Invece se stiamo male diveniamo i
destinatari privilegiati della grazia. Se poi abbiamo lʼintenzione di
donare a nostra volta la grazia che abbiamo ricevuto, ci trasformiamo in una sorta di
canale. Questo dobbiamo essere. Un canale. Come una specie di valle. Qualcuno ha mai sentito parlare di Maria come di una valle, come di una sorta di “V”? Ecco. Possiamo amare col nostro amore umano. Ma il nostro amore umano è limitato e finito, a un certo punto finisce. Allora ciò che possiamo fare è invocare lʼamore divino. “Dio, permettimi di amare con lo stesso amore con cui ami tu”. In questa preghiera stiamo
chiedendo grazia per
dare grazia. Però, appunto, come ho detto e ribadito, per essere
destinatari della grazia è meglio stare male. Dio infatti soccorre i deboli, i poveri, gli ammalati, ecc. I forti, i ricchi, i sani che bisogno hanno di essere soccorsi da Dio? È per questo che Santa Teresa di Lisieux parlava di: “amore alla propria nullità”. È nelle nostre debolezze che diveniamo
destinatari della grazia. La debolezza è proprio il punto di incontro con Dio. Dio ci sceglie perché deboli e piccoli. Poi va dagli altri, in ordine, prima dai più bisognosi, poi dai meno bisognosi e così via.
Ormai 40 anni sono passati. Non ho più la possibilità di diventare scrittore. Sto provando adesso a stare seduto al tavolo. Nei momenti in cui non ho niente da scrivere mi giro e guardo fuori dalla finestra. Questa è la vita dello scrittore. Stare fermo, non muoversi dal luogo in cui si è, avere sempre la stessa visuale. In questo caso la cucina. Lʼarmadio col frigo. Il letto se mi giro a destra. Tutto il contrario del lavoro che faccio adesso. Come vorrei aver fatto questa vita tutta la vita. Come ho bisogno di pace. Di silenzio. Di cose ferme. Di pochi contatti con la gente. Sarebbe stata la mia vita ideale. Invece a causa dei miei peccati Dio mi ha dato una vita in cui soffro tantissimo. La fatica, lʼumiliazione, il sentirsi non adatti, non avere la possibilità di coltivare altre cose, come la scrittura o la preghiera.
La mia teoria è questa.
Non è che se si sbaglia vocazione si è finiti e non si può più andare in Paradiso.
Dio dà una Vocazione 1, una Vocazione 2, ecc. Secondo la mia teoria, li ho sempre chiamati Piano A, Piano B e via dicendo.
La Vocazione 1 è la strada più veloce che Dio dà per andare in Paradiso. Ovviamente la Vocazione 1 ha coinnestato in sé un grado di sofferenza, ovvero di Croce che bisogna patire, che è poi la cosa che porta in Paradiso.
Ammettiamo che uno abbia azzeccato la Vocazione 1. Tutte le volte che uno evita le sofferenze coinnestate con essa, perde unʼoccasione. Dio darà nuove sofferenze, che però la volta successiva saranno maggiori.
Se uno esce completamente dalla Vocazione 1 e passa alla Vocazione 2, ha allungato la strada per andare in Paradiso. Beninteso, può ancora andarci. Solo che questa volta le sofferenze, ossia le Croci, che dovrà affrontare saranno maggiori di quelle che avrebbe dovuto affrontare se avesse azzeccato la Vocazione 1.
E via dicendo. Vocazione 3, 4, 5, ecc. La Vocazione 1 è una specie di segmento.
Più uno si allontana dalla Vocazione originale, più dovrà patire sofferenze, più cioè la strada sarà tortuosa.