L’ingiustizia buona

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 5, 20)


La definizione platonica di giustizia è: “a ciascuno il suo”. Quando ciascuno ha ciò che gli spetta vige la giustizia.

Il cielo è il luogo dove regna la giustizia. In cielo tutto è perfetto. Nessuno, in cielo, svolge un compito che non gli spetta. A ciascun angelo è assegnato un compito e il compito è svolto con gioia, così come ogni comando di Dio. Il regno di Dio, o regno dei cieli, è il regno dove la Volontà di Dio è sempre portata a compimento.

La terra, ossia la creazione è, al contrario, il luogo dell’imperfezione e dove regna l’ingiustizia. L’uomo è immerso in un ambiente in cui tutto ciò che incontra è ingiusto. Sono rarissimi i casi in cui la giustizia è riscontrata sulla terra. In tali casi ovviamente agisce Dio, poiché è Dio l’unico a poter applicare la vera giustizia, Dio è l’unico giusto. Nessun uomo, per quanto denominato: “giusto”, può eguagliare la giustizia divina. “Nessun vivente davanti a te è giusto” (Sal 143, 2b).

L’uomo tenta di applicare la giustizia, ma la giustizia applicata dall’uomo altro non è che una nuova ingiustizia, quasi che l’uomo non sia capace di compiere azioni giuste.
Un poliziotto non deve forse usare violenza per catturare un malvivente? Deve far male all’altro e a se stesso. Le forme di pena non sono forse azioni di male? Non è possibile, sulla terra, applicare la giustizia – a meno che non sia Dio a farlo – senza mettere in atto una nuova ingiustizia. È la condizione umana.

Quale via ha mostrato Gesù per riportare la giustizia perduta anche sulla terra? La carità. Le uniche opere giuste sono in realtà le opere cosiddette buone, ossia le opere di carità; in altre parole dare.

Un ladro ruba un’auto. La cosiddetta opera di giustizia, applicare la legge e la giustizia, sarebbe recuperare l’auto, privare del maltolto il malvivente e restituirlo al legittimo proprietario. Come si è visto, un corso di azioni di questo tipo non sarebbe altro che una nuova ingiustizia.
Cosa si può fare allora? Lasciare il maltolto al malvivente. La misercordia è carità. Perdono significa dono.
Perdonare significa trasformare un originario gesto ingiusto in un gesto legittimo, facendone un regalo, un dono. A chi dà non va nulla, chi dà resta senza il maltolto, chi è destinatario di misericordia resta invece con qualcosa.

Se: “a ciascuno il suo” è la definizione di giustizia, lasciare tutto per vivere di elemosina è una forma di ingiustizia. Un esempio su tutti, San Francesco. San Francesco aveva un patrimonio, proprietà privata. Ha deciso di abbandonarlo per vivere di elemosina. Non è forse ingiustizia? Trovarsi a pesare sulla società... in certi stati l’accattonaggio non è reato?
All’uomo immerso nella materia non resta che commettere ingiustizie. Ma ci sono un’ingiustizia cattiva e un’ingiustizia buona. L’ingiustizia cattiva equivale a fare male, cioè prendere; l’ingiustizia buona equivale a fare bene, cioè dare.

È l’unico modo, per l’uomo, di operare affinché anche sulla terra – come in cielo – sia instaurata la giustizia. Non è certo la cosiddetta applicazione della giustizia, quella demandata al potere esecutivo.
Sono testimone di un’ingiustizia, ad esempio vedo un povero che non ha abbastanza da mangiare? Do del mio, faccio un sacrificio, mi privo di qualcosa che mi spetta – compiendo un’apparente ingiustizia – per riparare la circostanza ingiusta.
La misericordia, cioè il perdono, è dono. Mi hai preso qualcosa: ingiustizia. Te lo lascio, privandomi di qualcosa di mio: trasformo l’ingiustizia cattiva (prendere) in ingiustizia buona (dare).

Da non confondere, dunque, le opere della legge con le opere buone. Le opere della legge sono proprio ciò che nel Nuovo Testamento è deprecato. San Paolo parla apertamente di opere della legge. Altrove, nelle lettere cattoliche, si parla più genericamente di opere; si intende le opere buone, le opere di carità. Le opere buone sono ciò di cui parla San Giacomo nella lettera quando dice: “mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2, 18b).