Gastroscopia

Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne (Fil 1, 23-24)


Che stupida! Mi sono preoccupata solo della mia vita e del mio futuro, adesso mi trovo a combattere coi pensieri sulla morte. Alla malora la forma del libro! È davvero un brutto scherzo della natura... natura... dell’universo... di Dio o di chi per esso, del diavolo, di chi non so! Tutta concentrata sul libro, non pensavo ad altro; è davvero strana la vita, che scherzo! Forse è proprio perché non ho mai pensato alla morte mi sta succedendo questo. Chiamalo karma... o come vuoi chiamarlo. Ho fretta di scrivere, non ho voglia di pensare alla malattia. Pensavo solo alla mia realizzazione. Come manager mi sono realizzata, pensavo di salire ancora più in alto con la pubblicazione di un libro; così pensavo di passare la vecchiaia. Come posso esser stata così stupida e non aver previsto che poteva accadermi? Parlo, penso, ma con chi parlo? Parlo con Dio? Se non parlo con Dio, cosa parlo a fare? Pensare mi è sempre servito a chiarire i pensieri. È così che ho costruito la mia fortuna. Una bella carriera. Mi sono sempre sentita intelligente, più intelligente di altri. D’altronde è vero, non sarei divenuta manager se non fossi stata intelligente. Solo che adesso mi sento stupida. Stupida per non aver previsto di potermi ammalare. Meglio che continui a pensare, è l’unico modo in cui sono sempre riuscita a venire a capo delle situazioni. Chiamala meditazione, dialogo con se stessi... sono capace. Ecco con chi parlo, con me stessa. Serve, chiarisce le idee. Tutto in una volta, com’è possibile? La gastroscopia è chiara, ci sono cellule tumorali nel pancreas. E io che pensavo di vivere una pensione felice. Ho scelto io di andare in pensione a 67 anni. Potevo andare a 64. Ho scelto io di continuare, la Delta Acciai aveva bisogno di me. Potrei andarmene ma resto: perché avete bisogno di me, dissi. Che orgoglio! Ma l’orgoglio è sbagliato? E cos’è sbagliato, se non c’è Dio? Sono brava e lo so, sapevo il bisogno che l’azienda aveva di me. Abbiamo fatto una bella festa, chissà se qualcuno si ricorderà di me. Alessio sicuramente sì... dopo quello che gli ho fatto... secondo me la giarrettiera se la ricorda! Montanari, il nuovo AD, farà affossare la Delta. Come mi piacerebbe. Così vedrebbero, capirebbero la mia bravura. I manager si avvicendano e nessuno li ricorda. Anzi, i sottoposti odiano i manager. Non sono odiata, almeno, non mi è sembrato, nessuno me l’ha mai detto o fatto capire. Cosa faccio adesso col libro? Lo inizio o no? Ma se non so nemmeno come farlo, in che forma scriverlo! Proprio mentre stavo ancora decidendo se fare un trattato o un romanzo... ecco i risultati della gastroscopia. Che jella! È jella o karma? Cos’è il karma? Se fai un’azione, l’universo ha una reazione... ciò che fai si ritorce contro di te. O meglio, non necessariamente. Se fai del male, torna indietro il male, se fai del bene, torna indietro il bene. Ecco il karma. Ci credo? Non è la stessa cosa dire giustizia divina? Se c’è Dio, ovviamente... Chissà se c’è Dio. Mi sono dimenticata di chiedermelo troppo a lungo. Mi sono completamente disinteressata della questione. E adesso, eccomi qua a non riuscire a pensare ad altro. Se ho un tumore, devo morire. Comunque devo morire. Non avevo pensato sarebbe stato così presto... tutto qui. Ero concentrata sul pensiero del libro, il mio libro sulla musica. Eunice, perché non ho seguito il tuo consiglio, perché non mi sono iscritta al Conservatorio? La fede della nonna mi è sempre sembrata scontata, non ci davo troppo pensiero. Cara Eunice, può essere che avessi ragione... magari un Dio c’è. Magari dopo la morte c’è vita. Qualcosa, semplicemente qualcosa. Cosa c’è dopo la morte? Se non ci fosse nulla? Cristo, un uomo che è Dio... ma davvero? Ho pensato tanto nella mia vita, ma tante cose le ho considerate tralasciabili. La mia generazione non pensa a Cristo, non pensa a Dio. Sono più le volte che lo si nomina per prenderlo in giro, lo si bestemmia, ma ci si crede? Se non ci si crede, ha senso bestemmiarlo? Ecco il violino... magari mi metto a suonare e smetto di pensare. Non ho ancora deciso se il libro sulla musica deve avere forma di trattato teorico o romanzo. Ma come faccio a pensare al libro con questi risultati delle analisi? Gastroscopia... adesso c’è da fare la TAC. Economia aziendale, una facoltà che porta al lavoro sicuro, poi mi sono fatta strada. Nonostante la nonna abbia consigliato di continuare a suonare il violino e iscrivermi al Conservatorio. Nel mio orgoglio avevo paura di non riuscire a divenire virtuosa. Sarebbe andato bene anche essere normale orchestrale, non per forza solista. L’intelligenza per essere orchestrale ce l’ho. D’altronde, sono manager. Centomila euro l’anno non sono uno scherzo. Che scherzo! Dio, mi hai fatto proprio un bello scherzo. Filiberto sarà contento di sapere che ho un tumore... mi odia... non credo si sia ravveduto dopo il divorzio... ma non voglio saperne di lui; Giuliana, Elvio e Caterina... ormai grandi, ciascuno in una nazione diversa, Londra, Madrid, Copenhagen; Caterina finirà l’università, è l’unica che ha avuto il coraggio di fare Filosofia... ce la faranno anche senza di me. Se non fosse per loro potrei anche spararmi un colpo! Se aveva ragione la nonna? Magari ora è in Paradiso. La verità è che non mi fa nessuna differenza chiedere aiuto a Cristo o a Schwarzenegger... Barbie, vedrai, questo tumore non ti farà niente, sei indistruttibile, ha detto il dottor Ghidini... Barbara, non lasciarti sopraffare dalla morte. Sei stata stupida, hai mostrato di avere il cervello grande quanto una capocchia di spillo, il giorno dopo la pensione è arrivata la gastroscopia, ma ora non ti resta altro da fare che applicarti al libro sulla musica, pensa... in che forma? Giuliana, Elvio e Caterina, ecco un pensiero che deve occupare i tuoi giorni...

L’ingiustizia buona

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 5, 20)


La definizione platonica di giustizia è: “a ciascuno il suo”. Quando ciascuno ha ciò che gli spetta vige la giustizia.

Il cielo è il luogo dove regna la giustizia. In cielo tutto è perfetto. Nessuno, in cielo, svolge un compito che non gli spetta. A ciascun angelo è assegnato un compito e il compito è svolto con gioia, così come ogni comando di Dio. Il regno di Dio, o regno dei cieli, è il regno dove la Volontà di Dio è sempre portata a compimento.

La terra, ossia la creazione è, al contrario, il luogo dell’imperfezione e dove regna l’ingiustizia. L’uomo è immerso in un ambiente in cui tutto ciò che incontra è ingiusto. Sono rarissimi i casi in cui la giustizia è riscontrata sulla terra. In tali casi ovviamente agisce Dio, poiché è Dio l’unico a poter applicare la vera giustizia, Dio è l’unico giusto. Nessun uomo, per quanto denominato: “giusto”, può eguagliare la giustizia divina. “Nessun vivente davanti a te è giusto” (Sal 143, 2b).

L’uomo tenta di applicare la giustizia, ma la giustizia applicata dall’uomo altro non è che una nuova ingiustizia, quasi che l’uomo non sia capace di compiere azioni giuste.
Un poliziotto non deve forse usare violenza per catturare un malvivente? Deve far male all’altro e a se stesso. Le forme di pena non sono forse azioni di male? Non è possibile, sulla terra, applicare la giustizia – a meno che non sia Dio a farlo – senza mettere in atto una nuova ingiustizia. È la condizione umana.

Quale via ha mostrato Gesù per riportare la giustizia perduta anche sulla terra? La carità. Le uniche opere giuste sono in realtà le opere cosiddette buone, ossia le opere di carità; in altre parole dare.

Un ladro ruba un’auto. La cosiddetta opera di giustizia, applicare la legge e la giustizia, sarebbe recuperare l’auto, privare del maltolto il malvivente e restituirlo al legittimo proprietario. Come si è visto, un corso di azioni di questo tipo non sarebbe altro che una nuova ingiustizia.
Cosa si può fare allora? Lasciare il maltolto al malvivente. La misercordia è carità. Perdono significa dono.
Perdonare significa trasformare un originario gesto ingiusto in un gesto legittimo, facendone un regalo, un dono. A chi dà non va nulla, chi dà resta senza il maltolto, chi è destinatario di misericordia resta invece con qualcosa.

Se: “a ciascuno il suo” è la definizione di giustizia, lasciare tutto per vivere di elemosina è una forma di ingiustizia. Un esempio su tutti, San Francesco. San Francesco aveva un patrimonio, proprietà privata. Ha deciso di abbandonarlo per vivere di elemosina. Non è forse ingiustizia? Trovarsi a pesare sulla società... in certi stati l’accattonaggio non è reato?
All’uomo immerso nella materia non resta che commettere ingiustizie. Ma ci sono un’ingiustizia cattiva e un’ingiustizia buona. L’ingiustizia cattiva equivale a fare male, cioè prendere; l’ingiustizia buona equivale a fare bene, cioè dare.

È l’unico modo, per l’uomo, di operare affinché anche sulla terra – come in cielo – sia instaurata la giustizia. Non è certo la cosiddetta applicazione della giustizia, quella demandata al potere esecutivo.
Sono testimone di un’ingiustizia, ad esempio vedo un povero che non ha abbastanza da mangiare? Do del mio, faccio un sacrificio, mi privo di qualcosa che mi spetta – compiendo un’apparente ingiustizia – per riparare la circostanza ingiusta.
La misericordia, cioè il perdono, è dono. Mi hai preso qualcosa: ingiustizia. Te lo lascio, privandomi di qualcosa di mio: trasformo l’ingiustizia cattiva (prendere) in ingiustizia buona (dare).

Da non confondere, dunque, le opere della legge con le opere buone. Le opere della legge sono proprio ciò che nel Nuovo Testamento è deprecato. San Paolo parla apertamente di opere della legge. Altrove, nelle lettere cattoliche, si parla più genericamente di opere; si intende le opere buone, le opere di carità. Le opere buone sono ciò di cui parla San Giacomo nella lettera quando dice: “mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2, 18b).

Il finale della sceneggiatura

 All the centrifugal ways
our lives fall in and out of place
The Mars Volta

I. Lautaro
Generalmente, nei giorni piovosi non s’allenava. Aveva finito l’U.S. Open con un sesto posto che gli aveva fatto guadagnare 86.000 dollari. Nonostante le gare maggiori si giocassero negli Stati Uniti, Tiziano aveva scelto di restare nella Milano in cui era cresciuto. L’appartamento di Brera gliel’aveva preso il padre ancora a 19 anni, ora, dopo 20 anni, era ancora golfer professionista, itinerante, tutto l’anno, nei più importanti tornei del mondo. Con la morte del padre e l’eredità poteva permettersi di spostarsi, il fuzz di City Life e una signorina di nome Mary Ann l’avevano fatto propendere per un appartamento più ampio al Bosco Verticale, perciò aveva messo in vendita il suo.

Era un’insolita giornata piovosa di inizio giugno quando arrivò Lorenzo. Avrebbe sostituito Fausto, lo storico portinaio, l’estate. Tiziano quel giorno doveva solo riposare, era sceso alle sei per una corsa all’Idroscalo, alle sette e trenta rientrava con la colazione di California Bakery. Vide il signor Fausto mentre spiegava come si apriva la porta del gabbiotto e si fermò. “Salve, Fausto, è questo il ragazzo nuovo?”. “Sono io!”, rispose Lorenzo, “Piacere, Lorenzo”. “Tiziano. Abito al quarto. Ti troverai bene, qui”. “Sì?”. “Certo! Che squadra tieni?”. “Interista!”. “Benissimo! Sai chi abita al portone accanto? Lautaro Martinez, penso lo conoscerai”. “Lautaro? Come no? Un mio mito!”, disse Lorenzo. “Ma... aspetta... che ore sono?”, disse Tiziano e guardò l’orologio. Lo guardò anche Lorenzo, assieme dissero: “Sette e trentasei”. “Aspetta un secondo... vieni”, disse Tiziano.

Si avviò al portone con Lorenzo dietro. Sulla soglia guardò a destra, spalancò gli occhi e si voltò indietro: “Veloce!”. Lorenzo si affrettò e affiancò Tiziano. In quel momento, Lautaro, appena uscito dal condominio, camicia bianca, occhiali da sole e ombrello, passava lì davanti. “Buongiorno, Lautaro!”, disse Tiziano. Lautaro alzò la mano: “Ciao, ragazzi”. “Ciao”, disse Lorenzo. “Questo è Lorenzo, il nuovo portinaio per l’estate”. “Ciao, sono un tuo fan!”. “Ciao, Lorenzo... hai esperienza come portinaio?”. “No, è la mia prima volta”. “Cosa facevi, prima?”. “Ho lavorato in campagna”. “Bravo, un lavoratore. Mi raccomando, trattali bene! Ci vediamo!”. “Ci vediamo!”, disse Lorenzo. Lautaro si allontanò e sparì dietro l’angolo.

“Davvero lavoravi in campagna?”, disse Tiziano. “Certo”, disse Lorenzo, “per due anni”. “Ma... quanti anni hai?”. “28”. “Prima, cosa facevi?”. “Ho studiato Filosofia, ma solo la laurea triennale, a 23 anni ero laureato”. “Non hai fatto altri lavori?”. “Sì, il bagnino in un albergo con piscina, l’estate scorsa”. “Poi?”. “Poi, basta”. “E come passi il tempo?”. “Leggo, faccio sport e sono appassionato di cinema”. “Ho capito: un intellettuale! Immagino abbia scelto questo lavoro per leggere, ma non so quanto potrai, certi condòmini, qua, sono scassa! Chiedi a Fausto!”. “Se sono tutti come te, sono a posto!”. “Grazie, ma non farti illusioni”. “Ci proverò”. “Intanto ti saluto, vado su, faccio colazione e... pensavo di guardare un film. Sono golfer professionista, ho appena finito l’U.S. Open. La prossima gara è tra due settimane”. “Ma dai!”. 

“Dato che sei appassionato di cinema, hai consigli?”. “Certo, lo conosci Lei di Spike Jonze? Lo trovi su Netflix...”. “Spike Jonze... mai sentito...”. “È uno dei miei film preferiti... prova!”. “Va bene! Ti faccio sapere”. “Okay, buona mattinata”. “Anche a te”, disse Lorenzo. “Se avete finito, ti faccio vedere cosa devi fare con la posta!”, disse il signor Fausto dalla portineria. “Sì, certo!”, Lorenzo tornò a lezione.


II. Il manoscritto trovato a Saragozza
Alle dodici e cinque Tiziano scese per andare a mettere qualcosa sullo stomaco. Vide Briganese, l’imprenditore, terzo piano, allontanarsi dal gabbiotto e infilarsi nel portone. Al gabbiotto, trovò Lorenzo che fissava le chiavi di un’auto nella mano. “Allora? Come sta andando il primo giorno?”, disse. “Bene!”, Lorenzo alzò lo sguardo. “Quel signore ha detto di chiamarsi Pier Renato e mi ha detto di portare la sua Tesla all’autolavaggio”, disse Lorenzo. “L’ho detto che non avresti avuto tempo per leggere! Briganese è uno che la gente la fa correre...”. “Dice che ha un pranzo di lavoro e non può far da solo, ma non è questo il problema, sono altri due i problemi...”. “Cioè? Scusa se chiedo...”. “Non preoccuparti. Anzi, ti sto trattendendo. Magari devi andare...”. “Tranquillo, sto solo andando a pranzo. Ah, Lei è bellissimo! Mi è piaciuto, grazie del consiglio”. “Prego! Bene!”, Lorenzo era palesemente nervoso.

“Allora, che problemi ci sono?”. “Dunque... primo, ho la patente solo da un anno e non sono bravissimo alla guida. Secondo, aspetto un pacco Amazon”. “Non hai detto di avere 28 anni?”, disse Tiziano. “Sì”. “E hai la patente da un anno?”. “Sì, ma... è una storia lunga”, disse Lorenzo, “ha a che fare con Schopenhauer”. “Sembra complicato”. “Non lo è”, disse Lorenzo, “è che per un po’ di anni ho pensato che il filosofo dovesse vivere in un certo modo e non seguire le tendenze del mondo”. “Sembra più una cosa da Gesù Cristo”. “Non so, sono ateo” disse Lorenzo. “Anch’io”, disse Tiziano, “meglio lasciar perdere... Te la cavi col cambio automatico?”. “Mai provato”. “Andiamo bene... e questo è il secondo problema? Ah, no! Hai detto che aspetti un pacco Amazon...”. “Già...”. “Ti sei fatto arrivare un pacco sul lavoro il primo giorno?”. “Anche questa è una storia lunga, non voglio disturbarti”.

Tiziano guardò l’orologio. “Pazienza, non ho fame. Dimmi la storia”. “Ieri sera”, disse Lorenzo, “ho ricevuto un’email da quello che considero il mio mentore, il regista e, negli ultimi anni, critico cinematografico, Pirro, Ugo Pirro, non so se l’hai sentito...”. “Mai”, disse Tiziano. “Be’, una sera, nel 2016, lo incontrai a una proiezione di Celluloide, il suo capolavoro, un film che parla della produzione di Roma città aperta, il grande film del neorealismo”. “L’ho visto!”, disse Tiziano, “Dunque?”. “Dunque, Ugo Pirro dai 65 in su ha fatto critica cinematografica per la rivista Segnocinema, punto di riferimento per cinefili, la leggo da quando ho 19 anni. Quando l’ho incontrato, abbiamo scambiato due parole e mi ha dato la sua email, mi ha detto di scrivergli e da allora siamo in rapporto epistolare”, disse Lorenzo. “Fin qui, ci sono”, disse Tiziano.

“L’altra cosa che non sai è che sto lavorando a una sceneggiatura”. “L’avrei immaginato...!”. “Già. Solo che sono ancora al trattamento e sono bloccato, non so come fare il finale”, disse Lorenzo. “Un mese fa ho scritto a Pirro chiedendo aiuto; ieri, ha risposto. Dice di leggere un libro che s’intitola Il manoscritto trovato a Saragozza, sbloccherà, dice...”. “Credo di iniziare a capire...”, disse Tiziano. “Ieri sera”, disse Lorenzo, “era troppo tardi per andare in biblioteca, così ho comprato il libro su Amazon e ho messo l’indirizzo del palazzo. Devo leggerlo il prima possibile, ho fretta... non so come spiegare...”. “Fantastico... hai il blocco dello scrittore e questo manoscritto di Saragozza può sbloccarti”, disse Tiziano. “Più o meno...”, disse Lorenzo, “sì, direi che è così”.

Tiziano restò pensieroso. “Senti”, disse, “sto io in portineria, mentre porti a lavare l’auto di Briganese. Così, se arriva il libro, lo ritiro”. “Ma no!”, disse Lorenzo, “Non posso permetterti di fare una cosa simile. Mi licenziano subito se scoprono che un condòmino mi sta coprendo in portineria!”. “Tranquillo! Ho deciso. Se arriva qualcuno, sistemo tutto io. Tu, piuttosto, preoccupati di non distruggere la Tesla. Va’!”, disse Tiziano. “Sei sicuro?”, disse Lorenzo. “Sicurissimo! Va’!”. “Okay, allora vado e torno”. “Ciao”. “Ciao”. Lorenzo deglutì, strinse le chiavi in mano, sollevò il pugno e partì per il garage.


III. Il Legno 5 Honma
D’Amico aveva chiamato tutta la mattina. “Sareste i primi a vedere l’appartamento, è stato messo in vendita solo cinque giorni fa. Vedrete che è a casa, ha appena finito un torneo e quando piove... non s’allena”, disse alla coppia. Passarono il portone e arrivarono alla portineria, fuori dalla quale, già da lontano, si vedevano due persone in piedi, una ferma e l’altra che andava al garage. D’Amico stava per fare l’ultimo tentativo e guardava lo smartphone; alzando la testa, vide che la persona in piedi era Tiziano. “Signor Meati! Buongiorno!”. Tiziano aguzzò la vista, poi realizzò: “Simone! Come mai qui? Avete un altro appartamento in vendita o in affitto?”, disse. “Ma no, siamo qui per il suo! Ho provato a contattarla tutta la mattina! Poi ho detto: ‘Piove, sarà a casa’, ho proposto ai signori di fare un tentativo e loro hanno accettato”.

Tiziano estrasse il telefono di tasca. Tolse il Non disturbare e vide l’elenco di chiamate. “Stavo guardando un film e ho messo il Non disturbare!”, disse. “Scusa, Simone! Sono proprio terribile!”. “Fa niente! L’importante è che l’abbiamo trovata, avevo ragione a dire che l’avremmo trovata... Stava uscendo? I signori vorrebbero vedere l’appartamento. I primi! È contento?”. “Ma certo! Scusate, quando sono a riposo perdo il senso del tempo. Piacere, Tiziano Meati”, allungò la mano. “Mauro Paciotti”, “Livia Sanluigi”, dissero i due stringendola. “La serratura dell’appartamento è ad attivazione elettronica, solo io conosco il codice. Salgo con voi”. “Perfetto!”, disse D’Amico.

Tiziano digitò il codice, la serratura si aprì ed entrarono. Come la porta fu chiusa alle spalle: “Sapete, sono golfer professionista, nell’appartamento ci sono attrezzature per quasi 40.000 euro”. “Davvero? Sa che anch’io mi diletto di golf nel tempo libero?”, disse Paciotti. “Ah, bene!”, disse Tiziano. “È solo un dilettante”, disse la Sanluigi. “Di mestiere fa l’odontoiatra. Ci siamo sposati un anno fa”. “Possiamo permetterci un appartamento come questo solo grazie a Sanluigi senior, non so se mi spiego...”, disse Paciotti piegando le labbra.

“Sono contento per voi! Vuol vedere il mio Legno 5 Honma Beres?”. “Un Honma? Magari!”. “Vado a prenderlo. Intanto, guardatevi in giro. Entrate, entrate”. “Come potete vedere, già all’ingresso c’è un salone spazioso”, disse D’Amico. I due alzarono lo sguardo e fecero qualche passo. Tiziano tornò con la mazza. “Ecco”, disse; la passò a Paciotti. “Solo questa, costa 5.300 euro”. “Alla faccia! Ci credo: è giapponese...”. Paciotti si mise in posizione. “Provi, provi pure”. Per simulare il colpo, Paciotti sollevò la mazza alle spalle e questa trovò sul suo percorso la tempia della Sanluigi, la quale non fece neanche in tempo a urlare, perse i sensi e cadde.

“Oddio, oddio!”, disse Paciotti. “Cosa ho combinato!”. Una macchia di sangue cominciò ad allargarsi sul pavimento. “Livia! Livia!”, disse dopo essersi chinato. “Dobbiamo chiamare l’ambulanza!”, disse D’Amico. “Prima che arrivino, col traffico e la pioggia, perderebbe troppo sangue”, disse Tiziano. “Aiutatemi a portarla giù, la carichiamo sul mio Cayenne e la portiamo al Policlinico”. “Secondo me, sarebbe meglio chiamare l’ambulanza”, disse D’Amico. Intanto, Paciotti si era tolto la giacca e tamponava la ferita. “È anche colpa mia, siamo in casa mia e ho dato io la mazza al signor Mauro!”.


IV. I lacci magnetici
La prima cosa che Ehzaz fece, quando al gabbiotto non trovò il signor Fausto, fu, come al solito, telefonare. Aveva il suo numero da due anni e sapeva che se non c’era era perché stava lavando le scale o era in giro per commissioni. Quando sentì che era in autostrada verso la Calabria non pensò neanche a fare le telefonate di procedura ai clienti, due pacchi piccoli, piatti, potevano essere lasciati sulla mensola della portineria. Inoltre, aveva poca voglia di lavorare con la pioggia che esacerbava il traffico del centro. Andò via, convinto di non aver fatto nulla di male.

Ferretti, 81 anni, ex proprietario della storica macelleria di via Torino, chiusa da tre anni, odiava Amazon. Vi attribuiva la perdita di accessi al centro storico e dunque anche la prematura chiusura dell’attività di famiglia. Il genero aveva optato per una tabaccheria in periferia, la figlia per la casalinghità. Passando accanto al gabbiotto, vide i due pacchi incustoditi sulla mensola. Alzò il bastone: “Dov’è il portinaio? Sempre assente! Maledetti pacchi in giro dappertutto! Spetta a lui distribuirli e non lasciarli sotto gli occhi di tutti!”, disse ad alta voce, anche se nessuno ascoltava.

Prese i pacchi, andò al portone e li buttò in mezzo alla strada. “A quest’ora il portone dovrebbe essere chiuso!” e lo sbattè, poi prese l’ascensore e salì al proprio appartamento. Due ragazzi, usciti, prima del tempo, dal Liceo Artistico, arrivavano in quel momento e assistirono da lontano. Giunsero ai pacchi, si guardarono attorno, notarono che nessuno passava, li presero. Quando furono dietro l’angolo li aprirono, in uno c’era un libro, un certo manoscritto di Saragozza che fu subito cestinato, nell’altro due paia di lacci magnetici per le scarpe da ginnastica, ultima trovata fra le cinesate amazoniane. “Wow, che culo! Un paio a testa!”.


V. La Tesla Model S
Briganese tornò da pranzo alle due e dieci. In portineria non c’era nessuno. Volendo vedere se l’auto era già al proprio posto, notò gocce rosse dall’ascensore al garage. Lorenzo entrò in quel momento. “Signor Pier Renato...”. “Dov’è l’auto?”, disse Briganese prima di rendersi conto che nella mano di Lorenzo c’era un foglio. “Cos’è quello?”. “Signor Pier Renato, purtroppo è successa una cosa...”, disse Lorenzo. “Cosa hai combinato alla mia Tesla?”.

Lorenzo mise in mano a Briganese il foglio. “Non ho fatto niente... mi hanno tamponato. Ho fatto una frenata brusca e... mi hanno tamponato, ecco la constatazione amichevole”. “La mia Tesla Model S! Ha solo un anno!”. “Mi dispiace...”. “Almeno hanno riconosciuto la colpevolezza o ti sei fatto prendere in giro?”. “È tutto a posto”, disse Lorenzo, “la signora aveva i figli con sé, ha detto che si è girata per rimproverarli perché urlavano, quando di nuovo si è girata ha visto che ero fermo e non ha fatto in tempo a frenare...”. “Menomale!”, disse Briganese, “almeno, paga l’assicurazione”.

Briganese mise la constatazione in tasca e si avviò all’ascensore. “Pulisci le macchie”, disse indicando. “Okay, signor Pier Renato”, disse Lorenzo. Appena Briganese fu sparito, Lorenzo prese il telefono e guardò l’email; il pacco era stato consegnato a un receptionist di nome: “Fausto”. “Com’è possibile?”. Guardò nel gabbiotto: nulla. Aprì l’app Amazon, selezionò Compra di nuovo e acquistò, mettendo, stavolta, l’indirizzo di casa.

La pioggia stava per smettere.

L’agone dell’amore

Tra circa un’ora devo uscire per andare a messa. Sono le 15,40. Alle 16,50 voglio uscire in modo da arrivare in tempo per il rosario. Alle 17,30 c’è la messa, finirà tra le 18,00 e le 18,15. A quel punto, armato di ombrello, camminando lentamente magari posso recarmi a giocare il Superenalotto. Il solito euro. Non mi interessa spendere tanto. Se devo vincere vinco. Se Dio ha stabilito che devo vincere vinco. A parte che non ce l’ho neanche, l’euro. Sono senza contanti. Non sto a prelevare pur di giocare al Superenalotto. Non me ne frega niente. Se avessi l’euro già in tasca sarebbe un altro discorso. Invece andare a prelevare, magari anche solo 20 euro, per poter giocare un euro al Superenalotto, non lo faccio. Che poi finisce che, dato che ultimamente in preghiera ho chiesto al Padre di farmi vincere al Superenalotto o al Gratta e vinci, se arrivo alla tabaccheria con 20 euro in tasca è la volta che faccio anche il tentativo col Gratta e vinci. Io, che non ho mai giocato al Gratta e vinci. Non voglio prendere l’abitudine. Già spendo male i soldi.

Dovrei fare più straordinari. Se lavorassi come M. e rientrassi sempre alle 19,00 guadagnerei almeno 250 euro in più, non sono pochi. È che sono sempre fissato col riposo. Col tornare a casa presto. Col far vedere che finisco prima. Sono anche legato al modo di pensare competitivo che mi è stato trasmesso i primi anni. Sono vittima, uno di quei deficienti che vogliono far vedere che sono veloci e che rientrano prima, come C., P., C., molti di Arcobaleno, Global Post, G.B. Autotrasporti, Adecco, Deliverando e M2. Siamo proprio deficienti. M. invece, insieme a B., B., C., F. e S. è uno di quelli che hanno capito tutto. Loro sì che sono intelligenti. Noi siamo gli scemi, loro gli intelligenti. Se rientrassi alle 19,00 riuscirei ancora a riposarmi sufficientemente. Inoltre, troverei meno traffico in tangenziale. È vero, lavorerei più tempo, diciamo tra la mezz’ora e l’ora, ma le consegne fatte senza fretta e affanno farebbero stancare meno. Secondo me, pur lavorando un’ora in più sarei meno esausto. Invece ho la fissazione di stare sulla strada poco e rientrare il prima possibile.

M., rendiamoci conto, fa l’ultima consegna alle 18,00. Fare l’ultima consegna a quell’ora significherebbe, facendo gasolio, fare il debrief alle 18,40-18,50 e timbrare alle 19,00-19,10, esattamente come M. Lui è il vero furbo. Fa le scarpe a tutti. Tutti gli parlano alle spalle e credono sia più incapace di loro perché più lento, intanto porta a casa 250 euro in più.

Ma come fare a rallentare? La mattina non se ne parla, voglio lasciarla invariata. Recarsi alla prima fermata il più velocemente possibile e cercare di fare le attività entro le 12,00-12,30-13,00, che poi chiudono. Poi devo abituarmi a fare pausa, mangiando magari cioccolato, qualcosa che dia un boost senza appesantire. Non posso mangiare pane o pasta o carne, tipo panini di MacDonald’s o Burger King, cose che si piazzano sullo stomaco e non sono digerite per ore. Va bene la barretta proteica – che poi possono essere anche due o tre, tenendo conto del mio peso. Se faccio pausa, cosa che nella mia immenza dabbenaggine non faccio quasi mai, già passa mezz’ora. L’altra mezz’ora posso perderla rallentando. Vuoi mettere lavorare senza affanno e fretta? 

Non è che mi stia divertendo a scrivere queste cose. Sto ragionando di cose pratiche in scrittura. Sto parlando di lavoro, mentre almeno, in questi giorni di ferie, dovrei lasciar stare il lavoro.

***

Potrei pensare ad A. A. è una bella signora. Mi piace fisicamente. Perdonami, Gesù, se scrivo queste cose. Ma andrei a letto volentieri con lei. Chi era, però, quel poeta che diceva che è duro, in età avanzata, tornare all’agone dell’amore? Si tratta di fare confronti, sottoporsi a giudizi, faticare. Forse Ovidio. 

A chi non piace pensare a cose sessuali? L'anticipazione, fatta con l’immaginazione, può essere anche meglio dell’atto. I pochi a cui non piace sono come quei pochi – che pur s’incontrano, ogni tanto – a cui non piacciono i dolci. Come fanno a non piacere i dolci?

Da un lato c’è la questione stendhaliana. Stendhal dice che l'attrazione per le parti intime nasce da un fattore sociale e culturale, cioè dal fatto che sono coperte e c’è il divieto di vederle o toccarle. Gli animali, ad esempio, vanno in giro nudi e se ne fregano. Si vedono e si annusano le parti basse. Gli esseri umani no. Non le vediamo mai e perciò siamo attratti da esse come siamo attratti dalle cose proibite. Più una cosa è negata, più la si vuole. È il principio della Legge. Il peccato nasce dalla Legge, la forza del peccato è la Legge, lo dice anche San Paolo (cf. 1Cor 15, 56).  

I genitali, inoltre, non sono legati agli escrementi? C’è una ragione se Dio ha demandato agli stessi organi l’espletamento dell’attività sessuale e dell’attività escrezionale. In quanto apportatrici di piacere, le parti intime sono desiderate e lodate; in quanto espletatrici delle funzioni escrezionali sono invece disprezzate e considerate ignobili. Hanno questa doppia natura, questa ambiguità. Lasciando pure da parte il discorso stendhaliano, si può dire che da un lato le cerchiamo perché se stimolate provocano piacere, dall’altro le fuggiamo perché ci fanno schifo in quanto intrise di escrementi. Dobbiamo lavarle bene dopo la minzione, solo allora possiamo dedicarvici per l’amplesso.

Il pensiero platonico sui piaceri afrodisiaci lo troviamo soprattutto in Protagora. Nel dialogo che Socrate fa col grande sofista si dice che la pratica prolungata dei piaceri afrodisiaci porta mali, in particolare malattie veneree e altre malattie in vecchiaia. (Sarebbe da confrontare con quanto dicono oggi gli scienziati, che parlano, ad esempio, del fatto che un uomo deve eiaculare un certo numero di volte al mese per stare in salute). Il discorso diventa allora che privarsi dei piaceri presenti, cosa che potrebbe sembrare sulle prime un male, diventa un bene in quanto preserva da mali futuri maggiori.

C’è poi il dialogo Filebo in cui si affrontano nell’agone dei discorsi il titolare Filebo e Protarco, uno sostenendo che è meglio la vita dedicata ai piaceri del corpo, l’altro la vita dedicata alle attività intellettuali e spirituali. Socrate, inizialmente arbitro, arriverà a sostenere che il tipo di vita migliore è il tipo misto. 

L’animatore

Benedite e non maledite (Rm 12, 14)


Oggi è San Biagio, grande festa a M., Ciociaria. Chissà se mi ricordano. Se lo fanno, sicuramente è per parlar male. Che brutta abitudine, la maldicenza eletta a regola di vita. Come fanno a vivere? Non si rendono conto del male che fanno agli altri e a se stessi. Sì, perché la maledizione ha effetto e inoltre è peccato. Uno pensa che le parole non contino, invece la calunnia ha effetto, le parole contano.

Le parole trasformano l’anima. Una persona che ha parlato male di un’altra persona si comporterà in modo diverso quando le si trova di fronte. Una persona che ha ascoltato maldicenze su un’altra persona si comporterà in modo diverso quando le si trova di fronte. Le maldicenze non sono solo un modo per far male, spesso sono anche calunnie, cioè false. Chi le fa, pertanto, commette doppio peccato, il primo, fare male, il secondo, dire falsità, bugie. Quanto è dannosa la maldicenza. Fa male a tutti.

C’è la possibilità che a dire male di una persona si azzecchi, c’è un detto che lo dice. A pensare male il più delle volte si fa centro, e certo, chi non è peccatore? C’è però un altro detto che dice: “A sospettare si attira il demonio”. Come faccio a sapere se una persona ha fatto o meno il male? Come faccio a conoscere i peccati di una persona (a meno che non li abbia visti direttamente)? I peccati si dicono solo al confessore.

Dire male dicendo la verità corrisponde al biasimo. Il biasimo è rimprovero. Okay, ma allora bisogna dirlo in faccia, non a terzi. Anche nel Vangelo è detto (a memoria): “Se un fratello pecca, prendilo da parte e diglielo a quattr’occhi; se persevera prendi con te un’altra persona e diglielo in sua presenza; se ancora non ti ascolta dillo ai superiori della comunità; ecc.”. Ciò vale solo nel caso in cui la maldicenza è vera, se cioè si è stati testimoni del peccato.

Il più delle volte, però, la maldicenza è calunnia. È cioè dire male falsamente. Si parla male giusto per parlare, si inventa, si attacca, si vuole colpire. E la calunnia ha effetto, colpisce, fa realmente male a chi è bersaglio.

Per quelli di M., paese di montagna di meno di 1.000 abitanti, il parlare è passatempo. Ci si incontra per i viottoli e si parla male di qualcuno, di questo e di quello, dei nemici, del sindaco, del prete. In un posto così ci metti solo un parroco, non l’aiuto parroco. Già le offerte sono poche, nessuno va in chiesa, in quelle terre l’hanno a morte da secoli con l’autorità ecclesiastica, i monasteri benedettini possedevano le terre, comandavano e angheriavano i contadini. In un paese così solo le vecchie, perlopiù vedove o zitelle, frequentano la parrocchia. Cosa ci metti a fare un vice-parroco che non si capisce a cosa serva? 

Non voglio fare maldicenze sulla comunità in cui sono stato, meglio smetta. Presi singolarmente sono santi, posso solo lodarli. Vergini, hanno una vita specchiata e fanno tutto per Gesù. A livello organizzativo, come fondatori di comunità (erano loro, di fatto, i successori della madre fondatrice, passata all’altro mondo nel 2020), ammetto che ho dubbi sul loro operato, cioè mi sembra che possano aver commesso errori. Ma tant’è. Acqua passata. Non porto rancore per ciò che può essere stato commesso sulla mia persona. Sono ancora gli anni migliori della mia vita, anche se ho tribolato, sofferto.

Non ero adatto a stare in parrocchia. I giovani frati erano visti più o meno come animatori, catechismo, direzione dei chirichetti, visite alle famiglie, chiacchere sul sagrato dopo la messa... come ricordo le chiacchere sul sagrato che mi portavano indietro al cortile di liceo dove in base a con chi stavi era calcolata la popolarità... non sono mai stato capace di fermarmi a chiaccherare, o meglio, con qualcuno che conosco e con cui c’è una storia mi fermo volentieri a parlare, ma fare l’intrattenitore, l’animatore con persone che non conosco è una cosa che proprio mi è ruvida, faccio una fatica a fare il primo passo, a far conoscenza, non sono bravo nelle relazioni sociali, proprio non mi viene facile; la chiacchera, poi, in sé è qualcosa che non rispetto, nel senso che penso che la maggior parte delle volte non porti uno scambio di informazione, ma abbia solo la cosiddetta funzione fàtica, ossia creare contatto... la chiacchera è tipica del mondo femminile – studiai in Sociologia –, cioè del mondo che storicamente è legato alla sedentarietà, mentre l’uomo usciva a procacciare il cibo, ecc., non mi dilungo su cose che tutti sanno.

Insomma, fare il frate da parrocchia non era proprio il mio paio di maniche. La mia è sempre stata più vocazione monacale. I monaci, però, non mi hanno voluto. Avevano paura cercassi troppo la solitudine per la solitudine in sé, come luogo di riparo, diciamo, non come luogo prezioso per l’incontro con Gesù. Più si scappa dalla Croce più la Croce va a cercare, anche nel luogo più sperduto della terra, dicevano. D'altronde Gesù lo si incontra anche e soprattutto nel fratello. È Chiara Lubich a dire al Movimento dei Focolari: “Per noi la clausura è il fratello”. E San Giovanni nella prima lettera: “Se non ami il fratello che vedi, come fai ad amare Dio che non vedi?” (cf. 1Gv 4, 20).

Sto ancora facendo ricerca vocazionale alla veneranda età di 43 anni – 44 in aprile. La speranza è l’ultima a morire. Nel 2022 andai a visitare un piccolo monastero nel piacentino, appena costruito. Mi avrebbero preso volentieri, ma sono una nuova fondazione (nati negli anni ‘90); il corrispondente alla Certosa di Farneta mi ha sconsigliato di entrare ancora in una nuova fondazione dati i traumi che ho vissuto nella prima. Nell’ottobre 2023 ho fatto una settimana di ritiro all’abbazia di Praglia, nel padovano. Un monaco con 62 anni di professione – venerabile! – mi ha sconsigliato di farmi monaco alla mia età; dice che a fronte dell’entusiamo iniziale di quattro o cinque anni si tende a incontrare difficoltà coi ritmi di vita o coi confratelli e si è portati a lasciare... Però il mio direttore spirituale, un frate Carmelitano Scalzo che hanno appena spostato da Brescia a Trento, mi invita a non desistere...