L'abbraccio dell'Uno

Vedere tante cose con un solo sguardo
è prerogativa di chi sta in alto.
Ecco perché le alture sono considerate luoghi divini
e chi va a viverci persone divine.
Lo sguardo dall'alto è più simile
allo sguardo di Dio
rispetto allo sguardo di chi sta in pianura.
Con un solo sguardo abbracciare tante cose
è prerogativa di chi va avanti nel tempo
e guardando indietro vede tutto in una volta.
Ecco perché l'anziano, come chi vive sull'altura,
è considerato sapiente è più vicino a Dio
di chi è giovane e di chi vive in pianura.
Non so se sia questa la sapienza, ma di certo
lo sguardo di Dio abbraccia tutto in una volta.
Diventare anziani, o andare in alto,
avvicina alla sapienza di Dio.
Vedere le cose come Dio è essere vicini a Dio,
essere come lui, il più possibile simili a lui.
L'unione con Dio si ottiene anche avvicinando il proprio sguardo al suo,
finché alla fine si uniranno, si baceranno, si sposeranno,
e a unione consumata non si è più chi si è, ma si è come egli è;
come legno bruciato nel fuoco: diventa esso stesso fuoco.
Cercate Dio voi che cercate la sapienza,
cercate la sapienza voi che cercate Dio.
Andate in alto, moto spaziale.
Diventate vecchi, moto temporale.
Per abbracciare il tutto con un unico sguardo.

In birra veritas

Uno degli eventi più scioccanti della mia vita è stato quando mi sono picchiato con un cosiddetto amico.

Sono cresciuto da solo con la madre, perché i miei si sono separati quando avevo due anni. O meglio, più che separati cʼè da dire che è stata mia madre ad andarsene prendendo me.
Sono il frutto della seconda donna di mio padre. Si è sposato regolarmente negli anni ʼ60. Nel ʼ64 ha avuto un figlio (mio fratello) e nel ‘65 una figlia (mia sorella). Poi è successo qualcosa che nessuno mi ha mai raccontato. So solo che in quegli anni lui e sua moglie I. vivevano in Sardegna, a Palau, dove gestivano un piccolo ristorante-albergo. Lui era ricco e anticonformista. Poi si sono separati. A quanto pare è stata lei ad andarsene. Fatto sta che nella causa di divorzio, la prima (così dice mia madre) registrata negli archivi di Milano appena approvata la legge del ʼ74, i bambini sono stati affidati a mio padre. L'affidamento al padre è atipico, oggi è quasi automatico affidare alla madre, ma agli inizi il giudice vagliava caso per caso, e in quel caso I. è stata evidentemente giudicata indegna o incapace di mantenere i figli.

Mio padre torna a Milano. Siamo nella prima metà degli anni ʼ70. Assume una bambinaia, una giovane ventenne appena arrivata dal Friuli carica di belle speranze e voglia di fare. Questa ventenne friulana è mia madre. Presto diventano coppia e nellʼ80 nasco io. Mia madre è stata per una decina dʼanni la matrigna di mio fratello e mia sorella. Dato che mio padre aveva appena avuto un divorzio ed era già stato sposato in chiesa, non poteva risposarsi con mia madre. Almeno, avrebbe potuto farlo in Comune, ma non so perché abbiano deciso di non farlo. Per dissapori che non sto a spiegare (a quanto pare lui ha bruciato molti soldi in pochi anni e inoltre aveva una o più altre donne, ma di tutto questo non sono sicuro perché nessuno mi ha mai raccontato per bene cosa è successo), mia madre ha preso me, e se nʼè andata. Da quando ho circa due anni, dunque, vivo e cresco solo con la madre. (Ho sempre continuato a vedere, nei fine settimane e nelle estati, mio padre che si era trasferito in una cascina nellʼOltrepò Pavese, e in seguito ho conosciuto anche I., la quale, pentita, è tornata sui suoi passi e ha cercato di riallacciare i rapporti coi figli ormai più che ventenni e soprattutto ha fatto e fa una gran figura come supernonna sempre presente per i suoi nipoti, ossia i figli di mio fratello e mia sorella. Ma queste sono altre storie).

Alle medie avevo una amico, M., il primo della classe. Nonostante ci fossimo trasferiti nello stesso liceo, siamo finiti in classi diverse e durante la prima ci siamo persi di vista. Verso i 16 anni, ossia in seconda, ero solo e non avevo amici. Ero il tipo facile da bullizzare, perché tra medie e liceo ero tra i primi della classe. Ed ero un cocco di mamma. Verso i 16, perciò, senza nemmeno sapere il perché e il percome, ho iniziato a frequentare cattive compagnie a scuola. Quelli che fumavano nei bagni, per capirsi. A casa, mia madre non esercitava alcun tipo di controllo perché lavorava troppo e poi, da contadina arrivata in città che era e che è, non è mai stata il tipo che siede a un tavolo e chiede: “Cʼè qualcosa che non va? Hai bisogno di parlare?”. Da lì in poi la mia carriera scolastica è stata perenne declino. Non studiavo o studiavo poco. Alla maturità ho preso 71.
La cosa peggiore è che le compagnie che ho frequentato dai 16 ai 19 anni erano del tipo che bullizzavano anche chi era interno. Ho passato un liceo da inferno. Uscivo con una compagnia dove cʼerano ragazzi che costantemente mi prendevano in giro e mi bullizzavano, in particolare un certo V. e un certo A.

È finita a 19 anni. A luglio mi ero diplomato. Avevo deciso di andare allʼuniversità per il rotto della cuffia, Scienze della Comunicazione a Bologna dove sarei andato con lʼunico amico della compagnia con cui andavo dʼaccordo. Però lo ricordo come un periodo nero, fosco, la vita faceva paura. Ero uscito dalla scuola ed ero confuso, impaurito, rabbioso.
Una sera infrasettimanale, in una discoteca che si chiamava, se non sbaglio, UB, o UBI, in cui non ero mai stato perché nonostante tutto non ero il tipo discotecaro (mentre lo erano i miei aguzzini V. e A.), e questo era proprio il posto generalmente frequentato da coloro che ai tempi a Milano erano chiamati: “Tabbozzi” o “Tamarri”, ebbene in questa discoteca hanno la grande idea di fare la promozione: “10 euro, quanta birra vuoi”.

In vino veritas. Per tanti anni avevo sopportato. Non so quanti giri di birra avevo già fatto. Ero ubriaco fradicio. In coda, mi metto a spintonare V. Così, perché ne avevo voglia. Iniziamo a spintonarci e a tirarci qualche pugno, qualche schiaffo. I buttafuori ci portano fuori. A parte un flash del parcheggio, non ricordo niente. Ricordo solo che continuavo a incitare V., il tabbozzo e bullo per eccellenza, alla lotta e lo incalzavo. Il resto me lʼhanno raccontato. A. mi ha tenuto fermo e V. mi ha centrato con un pugno sulla bocca. Il labbro superiore si è tagliato contro un incisivo inferiore. Ho ancora la cicatrice. Sono caduto a terra come un sacco di patate e ho sbattutto lʼarcata sopracciliare destra sul bordo del marciapiede. Lʼaltra cosa che ricordo è che sono in macchina e guido verso casa, accanto a me e dietro gli unici amici che avevo nel gruppo, F. e A., che mi chiedono: “Ma ce la fai a guidare?”, e io: “Sì, sì, sì, non preoccupatevi!”. Guido come un pazzo e intanto mi guardo nello specchietto e il mio occhio destro è gonfio come quello di Rocky quando grida: “Adrianaaa!”. Lascio gli amici a casa (abitavano vicino a me), vado a casa mia, entro in bagno e vomito lʼanima. La mattina mi sveglio con nausea, mal di testa lancinante, labbro tagliato e occhio gonfio. Mia madre, poverina, si spaventa da morire e mi porta al pronto soccorso.

Il giorno stesso parto per la campagna, casa di mio padre. Lʼuniversità non è ancora iniziata. Resto lì, a leccarmi le ferite, come dice mia sorella, un paio di settimane. Poi mi trasferisco a Bologna, dove faccio tre anni di università prima di abbandonare. Ma questa è unʼaltra storia. Come quella di quando, dopo un anno di università, mi sono innamorato di una ex compagna di classe del liceo, E., che però studiava alla Bocconi a Milano e quindi ho iniziato a fare avanti indietro tra Bologna e Milano. Questo amore mi ha aiutato ad abbandonare le cattive compagnie. Ma poi è finito ed è stato un disastro per la mia vita, tanta sofferenza da portarmi a lasciare lʼuniversità. Tutte altre storie.

Sono contento però che a causa di in vino veritas ho avuto il coraggio di ribellarmi al mio aguzzino V., un individuo che oggi ha un bar ed è gran bestemmiatore, per quello che so, e di mettere i puntini sulle i a proposito di quello che pensavo di lui. È triste, però, pensare che probabilmente ancora oggi non vivo a Milano, la mia città, a causa di V. e di A. Ogni tanto prego per loro. A parte questo, non ho mai partecipato a una rissa né ho fatto a botte con qualcuno.

Banlieue italiane

Le quarantene hanno provocato lʼaumento di baby gang. Almeno, non mi sembra se ne sentisse parlare così prima del covid. Per me la causa non è tanto la rabbia repressa dallo stare in casa che sfocia in atti violenti. Per me è la mancanza di atti educativi. Gli atti educativi servono a frenare. Un ruolo educativo è qualcuno che passa il tempo a rimproverare. Da giovani si farebbe qualsiasi cosa passa per la mente. Ci vuole un super-io che dice: “Questa cosa non va fatta”. Bisogna farlo in continuazione, è un lavoro perpetuo. Continua tutta la vita. Anche perché una cosa, la maggior parte delle volte, non basta sentirsela dire una volta. A un bambino-ragazzino-ragazzo occorrono costanti: “No” dei genitori perché possa capire cosa si può fare e cosa no. Evidentemente i genitori non possono svolgere questo lavoro da soli. Cʼè bisogno del supporto di qualcuno che svolga tale lavoro di professione. Maestri, insegnanti, professori hanno la funzione di applicare lʼeducazione perpetua allʼessere umano. Lʼessere umano attraversa poi, da adulto, comunque e in ogni caso, una formazione permanente. Ciò che manca nella nostra nazione secondo me è una sana correzione fraterna. Ma anche nelle altre nazioni è così. Dire allʼaltro quando si pensa che sbaglia con franchezza ma soprattutto con carità. La carità è fondamentale nella correzione fraterna. Se si dice a qualcuno che si pensa che sbaglia senza farlo per il suo bene si rischia di fare qualcosa di completamente controproducente, ad esempio se lo si fa solo per affermare che si ha ragione, per vincere. Altri mezzi di autoformazione, da adulti, sono le terapie psicologiche e gli autoinsegnamenti. Ma chi li fa? Non tutti intraprendono tali percorsi. Di solito si subisce appunto una cattiva, inquinata forma di correzione fraterna. Qualcuno cioè ti dice cosa fare perché ha visto che hai sbagliato. Naturalmente lui (o lei) pensa tu abbia sbagliato. In ogni caso lo dice in modo sbagliato. Si arrabbia e te lo fa pesare. Questa non è correzione fraterna, non funziona e di solito incaponisce colui che la subisce nel proprio comportamento, scorretto o meno che sia. Tanto per non dare ragione allʼaltro. Qua siamo al modo di essere animale, non umano. Pure aggressività che si scontrano. Un buon comportamento sarebbe, invece, mettersi assieme a cercare il comportamento giusto, individuarlo con certezza dopo lunghe disamine, e poi metterlo in pratica. Questo, è un modo di essere umano.
Nel fenomeno baby gang ci sono sicuramente situazioni famigliari disagiate. Vogliamo forse evitare di dire che molti di questi ragazzini sono figli di immigrati? No, diciamolo. Perché forse molti di loro sono allevati nellʼodio per la nazione che li ha accolti e ha dato loro cittadinanza. Queste cose vanno dette e ponderate. Poi ci sono le nature ferali, contro le quali non si può far molto e il cui destino è probabilmente una vita di carcere. Con certe nature neppure tutta lʼeducazione del mondo può nulla. Ma secondo me i destini di tutti coloro che prendono parte a una baby gang è il carcere a vita. Non intendo lʼergastolo, intendo appunto una vita di carcere. Dentro-fuori, dentro-fuori. Se inizi da piccolo a frequentare quegli ambienti, cʼè poco che possa salvarti. Anche perché tutti sanno che il carcere, nonostante i suoi manifesti e i tentativi di riabilitazione, forma criminali.
In Repubblica Platone dice che la natura dei bambini è lʼaggressività. Personalmente, vedo una nazione intera che ha abdicato al ruolo educativo. In dad evidentemente non si può far nulla. Lʼadulto deve prendere su di sé, sulle proprie spalle, la responsabilità del: “No” che dice.
Quando avevano riaperto i cinema, nel 2020, avevo fatto in tempo a vedere I miserabili, un bel film che è il più aggiornato sullo stato delle banlieue parigine. Il titolo deriva dal fatto che il film è girato dove Victor Hugo ha ambientato il suo romanzo. È un film scioccante. Così come sono scioccanti le notizie che si sentono ultimamente a proposito di baby gang in Italia.