Il khan e la cristianità

Lo scrittore russo emigrato in Europa Mikhail Šiškin in Russki mir: guerra o pace spiega che lo spirito statale russo deriva dallo spirito statale dei Mongoli. La Moscova era un urus dell’impero mongolo. Dell’impero mongolo ha conservato i connotati. La struttura dell’impero mongolo è assolutistica; la dittatura, oggi, è la struttura che meglio conserva il suo spirito. Viviamo di nuovo, secondo Šiškin, sotto l’Orda d’oro. C’è il khan e tutti gli altri sono suoi schiavi. La Costituzione e le leggi non valgono niente. Conta solo il volere dell’autorità suprema. Sentir dire certe cose da un russo, così autorevole poi, è significativo. In un breve saggio su Thomas Mann pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine lo scorso gennaio Šiškin paragona la Germania di Hitler alla Russia di Putin. Se prendiamo il Mein Kampf e sostituiamo “tedesco” con “russo” e “ebrei” con “ucraini”, otterremo la propaganda di Putin. Quello che era la regione dei Sudeti per Hitler, lo è la Crimea per Putin. Großdeutschland (la Grande Germania) equivale a Russkij Mir (il Mondo Russo). Anche gli slogan sono quasi identici: Ein Führer, ein Volk, ein Reich (Un capo, un popolo, un impero) e Est’ Putin, est’ Rossija (C’è Putin e c’è la Russia). Ogni dittatura vive di nemici e di guerra e si regge sulla paura, l’odio e l’aggressione. La maggior parte dei russi è rimasta nel passato e si identifica con la propria tribù. Siamo buoni per definizione. Gli altri sono nemici. Combattiamo una guerra senza fine per la conservazione della nostra tribù, del nostro territorio e della nostra civiltà. Siamo soldati e difendiamo il nostro mondo, come hanno fatto i nostri antenati, e lo zar al Cremlino è nostro padre e comandante. “La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra!”. Ci conduce il nostro khan-zar e noi eseguiamo solo i suoi ordini. Esattamente così funziona la propaganda di Putin. Che cosa sentono i genitori di un soldato russo caduto in Ucraina? Forse: “Vostro figlio era un fascista andato in un altro Paese per uccidere, vergognatevi del vostro figlio-occupante?”. No, in televisione sentono: “Vostro figlio era un eroe, è andato a difendere la nostra lingua e il nostro popolo russo dai nazisti ucraini. I fascisti della Nato vogliono annientarci e lui ha difeso la patria, come hanno fatto i suoi nonni. Ha difeso la nostra grande cultura, Puškin, Tolstoj e Čajkovskij! Siate orgogliosi del vostro figlio-eroe!”. Senza un pentimento nazionale in Russia non c’è futuro. In Russia non abbiamo avuto né destalinizzazione, né un processo di Norimberga del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Il risultato lo vediamo: una nuova dittatura. La Germania è l’esempio di come una nazione possa superare il proprio passato, liberarsi dalla dittatura e costruire una società orientata verso la democrazia. Perché i russi negli anni Novanta non sono riusciti a staccarsi dal passato? Immaginiamo che la denazificazione in Germania nel dopoguerra l’abbiano fatta invece degli alleati, gli ex gerarchi nazisti e ufficiali della Gestapo. In Russia è andata così: dopo il collasso dell’Unione Sovietica, la costruzione della nuova Russia democratica è stata affidata a ex funzionari di partito e ufficiali del Kgb. E loro hanno costruito solo quello che sapevano costruire. La macchina statale e militare tedesca è stata completamente annientata dagli alleati e la polizia militare americana ha giudicato i criminali nazisti a Norimberga. La macchina statale e militare sovietica è passata tranquillamente nella nuova Russia. I direttori sovietici delle fabbriche e delle aziende agricole ne sono diventati i proprietari. Chi avrebbe dovuto giudicare i criminali del Partito Comunista? Loro stessi? Le democrazie occidentali hanno avuto un ruolo importante nella trasformazione della Germania, non meno importante di quello nell’instaurazione di una dittatura criminale in Russia. Il popolo russo non aveva nessuna esperienza di autogoverno, la gente non sapeva cosa fosse uno stato di diritto. I politici occidentali corrotti hanno allevato un mostro, il regime di Putin, che ora è necessario combattere con le armi. La guerra era inevitabile, perché la guerra è l’essenza del potere russo. Le domande russe “eterne e maledette” vengono dalla letteratura russa del XIX secolo: “Chi è colpevole?”, “Che cosa fare?”. Erano domande importanti per il pubblico dei lettori, i “russi europei”. Ma per i centocinquanta milioni di contadini, che non sapevano leggere, le domanda importante era (ed è): “Lo zar è legittimo o è un usurpatore?” La sola prova era la vittoria sul nemico. Agli occhi del popolo Stalin è stato uno zar legittimo, mentre Gorbaciov, che ha perso la Guerra fredda, è stato un ignobile impostore. La vittoria in guerra è l’unica legittimità del potere in Russia, non quella che viene dalla vittoria alle elezioni. Putin ha guadagnato la legittimità con la vittoria in Cecenia e l’annessione della Crimea. Ma gli servivano nuove vittorie. Ora che sta perdendo la guerra in Ucraina, già l’opposizione “patriottica” dai canali Telegram strilla di alto tradimento e che lo zar non è legittimo. Prima o poi Putin uscirà di scena e la guerra la vinceranno gli ucraini. Il mondo aiuterà l’Ucraina a ricostruire quello che i russi hanno distrutto. Al confine con la Russia alzeranno un muro gigantesco e quello che sarà al di là di quel muro non suggerisce nessun ottimismo. In Russia comincerà una nuova guerra per il potere e il caos genererà una nuova ondata di violenza. La disgregazione dell’impero continuerà. La Federazione russa è “incinta” di nuovi Stati, come lo è stata l’Unione Sovietica alla fine dei suoi giorni. Diventeranno indipendenti la Cecenia e altre repubbliche nazionali. Prima di tutto viene il riconoscimento nazionale della colpa dell’aggressione dell’Ucraina. Il pentimento nazionale è necessario. Saranno capaci quelli che prenderanno il potere in Russia, di inginocchiarsi a Buča, a Kharkiv e a Mariupol’ e ovunque i carri armati sono arrivati, a Praga, a Budapest, a Vilnius, a Groznyj, a Tbilisi? È necessaria la punizione dei criminali di guerra. Ma chi farà i processi e manderà in galera chi ammazza gli ucraini e sostiene questa guerra infame? I criminali di guerra stessi? Chi organizzerà libere elezioni? Quelle migliaia di insegnanti spaventati che fanno i brogli per Putin? Come sostituire le centinaia di migliaia di poliziotti, giudici e funzionari statali? Come sostituire il popolo di questo gigantesco Paese? Forse, quando i nuovi Putin prenderanno il potere, l’Occidente gli tenderà pure la mano, perché promettono di fare la guardia ai missili nucleari. E la storia russa si mangerà un’altra volta la coda. 

Ci sono poi gli scritti di Aleksandr Dugin, il cosiddetto ideologo di Putin. Putin crede di essere il salvatore del Cristianesimo. Secondo lui (e Dugin), l’Europa, in fase di scristianizzazione, è il male, l’Anticristo. Mosca è la nuova Roma, ossia la nuova sede della Chiesa.
(Di fatto, come mostrano i dati, in Russia c’è il 4% di partecipazione ai riti, mentre nell’Ucraina cattolica il 94%).
Innanzitutto c’è una microdifferenza teologica tra la dottrina cattolica e quella ortodossa, nata prima del Medioevo e poi consolidatasi mediante dispute che hanno reso sempre più cementificata la separazione tra le due Chiese. Di fatto, però, la ragione (la retta fede) l’hanno i cattolici; ciò rende gli ortodossi, anche se lievemente, eretici.
È Dio che ha stabilito la Chiesa a Roma, capitale dell’Impero Romano, che all’epoca aveva l’ordinamento statale migliore al mondo. (E sappiamo che il mondo romano deriva da quello greco).
L’apice della predicazione di San Paolo, l’apostolo che ha dedicato il suo apostolato ai pagani (mondo greco e romano) è la Lettera ai Romani, il più grande e completo documento teologico esistente dopo i Vangeli.
San Giustino Martire, una specie di Sant’Agostino come percorso intellettuale, diceva che ciò che l’Antico Testamento è stato per i Giudei in termini di preparazione all’arrivo del Messia, così la filosofia greca (con apice Platone e Aristotele) lo è stata per le popolazioni pagane.
L’Occidente si è poi sviluppato più e meglio degli altri popoli proprio perché al suo fondamento c’era Cristo. Che adesso la Chiesa cattolica stia affrontando un periodo di crisi non vuol dire che sia da sostituire. Soprattutto, non può essere sostituita attraverso le bombe. Il metodo che Putin sta usando nella convinzione di espandere il vero Cristianesimo è di fatto totalmente anticristiano; basta leggere i Vangeli. Costantino non ha fatto nulla imponendo la religione di stato dall’alto; l’evangelizzazione era già avvenuta grazie all’operato degli apostoli e dei loro successori. E questo è il loro operato: “Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1Cor 2, 3-4). Se nasci in uno stato cristiano non vuol dire che diverrai un buon cristiano. “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22, 14). Hai voglia a cercare di imporre il Cristianesimo con le bombe!
Putin non ha tutti i torti da un punto di vista teorico. Probabilmente si sente comunque meno assassino degli altri, non dell’Ucraina, ma dell’Ue e degli Usa, ed è forse questo che gli fa dire certe cose nei confronti della cristianità. Storicamente il potere ecclesiastico ha dovuto imporsi tante volte con la forza. Ovviamente Gesù non rientra in ciò. Però se rintracciamo l’origine della cristianità nella “dolce” evangelizzazione, nella persuasione tramite la parola di Dio, riportando il discorso sul conflitto delle ideologie odierne, Putin spesso dice che l’Occidente è un mondo che sta in piedi sulle bugie, e critica spesso il nostro sistema d’informazione. Questo per dire che l’opera di evangelizzazione odierna forse è ancora più difficile di allora perché oggi c’è un senso di globalità pronunciato per il quale ognuno di noi sa che deve prendere una posizione nei confronti del mondo. E rinunciare al proprio mondo oggi significa estirpare non solo le radici teologiche, ma anche quelle sociali, economiche, ecc. La potenza di Dio oggi, nel nostro Occidente, mi sembra evidente sia sempre più ignorata. Probabilmente non in Ucraina, ma in Italia sì.
Il mondo cristiano ha fatto errori. In passato, come Putin fa oggi, c’è chi ha cercato di difendere il Vangelo con la spada. Sono errori ormai comunemente riconosciuti e accettati, almeno da chi ha compreso il messaggio di Gesù.
Restano casi a parte, dibattibili e opinabili, come la canonizzazione di re che hanno combattuto le crociate, tipo Luigi IX, o di papi come Leone IX, che ha guidato personalmente un esercito per difendere i territori della Chiesa.
Per quanto riguarda il mondo dell’informazione, è una delle ragioni per cui Putin demonizza l’Occidente. Ma ci sono tanti cristiani occidentali a far notare le distorsioni di un sistema che impedisce e soffoca l’evangelizzazione. Già Paolo VI, il santo papa, metteva in guardia contro i pericoli del modernismo e del relativismo, mali che colpiscono anche l’interno della Chiesa, e così hanno fatto San Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI. Il mondo cattolico è consapevole della propria decadenza e della propria impotenza di fronte alle correnti di pensiero degli ultimi due secoli.

L’evangelizzazione è di due tipi: ufficiale e non ufficiale. Quella ufficiale è quella dei missionari. Oggi spesso si dice che i missionari invece di partire per far conoscere Cristo a popoli lontani dovrebbero restare a casa per farlo conoscere ai battezzati (sic!).
L’evangelizzazione non ufficiale è per così dire un dovere del singolo cristiano. “Guai a me se non predicassi il vangelo!”, dice San Paolo (1Cor 9, 16), così dovrebbe dire ogni cristiano che in coscienza vuole imitare i fondatori della cristianità. (Ma San Paolo ha una conoscenza approfondita del Cristo, grazie proprio alla sua preparazione nelle dottrine cosiddette pagane).
“Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1Cor 15, 9-10).
A Timoteo, suo discepolo, raccomanda: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tim 4, 2).
Sempre San Paolo: “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?” (Rm 10, 14-15).
Il problema è la sovrastruttura odierna e la sua relazione con la religiosità. Quanto meno in Occidente, siamo solo in una fase iniziale di de-cristianizzazione. E che il mondo cattolico lo sappia è irrilevante. Perché le sovrastrutture di oggi non permettono nemmeno il dialogo con esso. Anche nelle istituzioni mi sembra si vada in un’altra direzione. Tornando al discorso Russia, può essere siano loro il paese più adatto alla ricezione della parola di Dio. Lo strumento del potere temporale in essa è la bomba, ma le sovrastrutture (e forse anche le strutture) in essa mi sembrano più adatte.

Resta ferma la scelta già fatta da Dio.
In Platone le popolazioni nordiche sono chiamate “iperborei”, se ne sottolinea la forza fisica. In guerra sono popolazioni da temere. Genti che sono riuscite ad abitare luoghi così inospitali non possono non essere fisicamente temprate e resistenti.
In Africa, oggi, tanti riconosco Gesù come Dio e la Croce come via di salvezza, però inizialmente l’unico-vero-Dio si è manifestato al popolo d’Israele, non alle popolazioni della bassa Africa, né agli egiziani (sebbene Mosè sia stato istruito dalla nascita in tutto ciò che riguardava la sapienza politeistica egizia), né ad altre popolazioni potenti e diffuse del tempo.
Oggi, mediante l’emigrazione, gli africani paiono voler conquistare tutto. Le popolazioni africane le accosterei agli “iperborei” per il discorso sulla forza (sono i migliori nello sport, ecc.).
Ma Dio, sin dall’inizio dei tempi, non ha scelto loro bensì una popolazione piccola, nomade e debole per manifestarsi. La prima evangelizzazione è avvenuta, ricordiamolo, perché è un privilegio e anche una responsabilità, di fatto agli italiani; a volte eccellono qua e là, nel senso che ci può essere qualche membro dell’etnia italica con doti particolari, ma come costituzione fisica non sono tra i massimi del mondo.
Dio viene per i poveri, i piccoli e i deboli. Ciò è indicato già nell’Antico Testamento. Cristo è venuto a ricordare e consolidare questa verità in maniera chiara ed eclatante.
Se uno ha la dispensa piena, o soldi in tasca per comprarsi da mangiare, potrà sgolarsi finché vuole a chiedere a Dio da mangiare, ma la Provvidenza funziona in modo logistico: prima chi ha più bisogno, poi, semmai, anche gli altri. È un principio razionale, Dio è Logos e agisce secondo ragione. (Ciò non vuol dire che va esaltata la ragione umana; perché è immagine di una ragione superiore, quella vera e che funziona meglio, e semmai la ragione umana va coltivata proprio perché immagine del Logos). Lo Spirito Santo, che è la forma di Dio più vicina all’uomo (quando il Figlio non è incanato), è in costante azione per riparare ciò che nell’universo si rompe. Corre di qua, aggiusta di là, supplisce, aiuta, consola. È il suo lavoro. Dio è bene e la sua funzione è correggere e scacciare il male.
Ecco perché le popolazioni che hanno ricevuto i primi annunci sono quelle caratterizzate da dotazioni non eccellenti. L’Occidente. L’Europa. Il successo nella storia di questa parte di mondo è spiegabile grazie all’aiuto di Dio.
“Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 10, 12). Naturalmente ciò significa: quando sono debole (dal punto di vista umano), è allora che sono forte (perché interviene Dio). A essere più adatto a far ricevere alla gente l’evangelizzazione è l’ordinamento politico russo o una qualità del popolo? C’è differenza tra stato russo (al momento, dittatura) e popolo russo.
L’evangelizzazione è un fatto privato, non pubblico. Funziona per così dire col passaparola, col contatto tra persona e persona, andando nelle comunità e parlando di Cristo con trepidazione ma apertamente. Se viene calata dall'alto, non funziona.
Se al popolo russo togli la propaganda statale, ormai è povero e disorientato (alto è il tasso di povertà e alcolismo), capace, quindi, finalmente, di ricevere il messaggio di Cristo. Forse è questo che anche Dostoevskij ha visto quando ha detto: “Il popolo russo salverà il mondo”.
Se il popolo russo diventa debole e bisognoso, ecco che arriva Dio. Le genti slave sono già state evangelizzate dai santi Cirillo e Metodio, fratelli. Altrimenti, sinceramente, come in passato, se fa valere la forza e l’esaltazione della violenza e della potenza bellica, e soprattutto se si ostina a non correggere l’errore teologico ortodosso e a considerare la Chiesa ortodossa superiore a quella Cattolica, non lo vedo terreno adatto a ricevere il messaggio di Dio. Fermo restando, come detto, la conversione personale.
L’evangelizzazione può essere solo personale, mediante passaparola, è così che si sono formate le prime Chiese. La gente si radunava nelle case, pregava e celebrava l’Eucaristia. San Paolo esortava, sulla scia di Gesù che dice: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21; Mc 12, 17; Lc 20, 25): “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite” (Rm 13, 1). Ciò dà l’idea di una Chiesa diffusa nel mondo, ma non statale. Oggi, per la prima volta dopo Costantino, siamo tornati a una partecipazione bassa, a una Chiesa quasi catacombale (i primi cristiani per celebrare dovevano nascondersi e si riunivano nelle catacombe). In Africa e altre parti del mondo i cristiani sono perseguitati. In Italia ci manca poco, se le riforme che vogliono fare (vedi dll Zan) avranno il loro corso. Ma forse è anche il momento in cui la Chiesa riscoprirà la propria identità.
Ciò non toglie che il popolo russo sia i “deboli” al momento, proprio perché vivono sotto dittatura. Dostoevskij, pur parlando nel XIX secolo, si riferiva a questi tempi, anzi all’intero XI secolo. Nel mondo di oggi mi sembra che la forza fisica valga poco come valore. Gli africani saranno gli sportivi migliori, ma oggi la forza si declina in altro modo, è una cosa economica soprattutto. E qui si chiarisce ancora meglio perché è adatto il popolo russo.
Ci sono ragioni più fondamentali: hanno a che fare con la vita intorno a noi, il mondo intero che ha preso una piega piuttosto che un’altra. Dio è più forte, ma può essere che noi stiamo perdendo la bussola e che un’altra parte del mondo sia quella che Dio indica come quella “buona”, quella ortodossa. Ho un amico, F., che è l’esempio lampante, lui che ha ricevuto la migliore educazione cattolica possibile mi ha confessato che negli ultimi mesi sta smettendo di credere. Se gli chiedi perché, adduce tutte le ragioni scientifiche che oggi dominano nel senso comune.

La forza fisica non è separata dalla ricchezza economica. Per me sono entrambe ricchezze. Anche le virtù sono una forma di ricchezza. È per questo che Gesù dice la famosa frase apparentemente screditatoria su Giovanni Battista. Giovanni indossava pelle di cammello. È indicativo. Il cammello è l’animale che fa scorte nel proprio corpo. Giovanni era pieno di virtù, che erano le sue ricchezze e che si portano dietro continuamente una volta ottenute. Quali erano le virtù di Giovanni? Anzitutto era capace di grandi astinenze (viveva nel deserto e si cibava di locuste e miele selvatico); inoltre frequentava solo la Sacra Scrittura, la conosceva a memoria e in tal modo pensava e parlava secondo i suoi concetti, le sue categorie. Oltre alla temperanza e a una forma di sapienza aveva inoltre coraggio e giustizia, le altre due virtù cardinali. Gesù però dice: “Non c’è più grande di Giovanni tra i nati di donna, tuttavia il più piccolo tra i nati di donna è più grande di lui nel Regno dei cieli” (cf. Mt 11, 11).
Questo per dire che tante sono le forme di ricchezza (una di queste è la forza fisica, una la ricchezza economica, una la virtù) e di conseguenza altrettante le forme di povertà. La frase di Gesù su Giovanni parla di un rapporto inversamente proporzionale tra ricchezza e capacità di entrare nel Regno dei Cieli. Come anche la famosa frase: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mt 19, 24; Mc 10, 25; Lc 18, 25). Si veda anche il passo Lc 16, 19-31. Ecco perché gente come San Francesco ha rinunciato a tutto; maggiore è la perdita sul piano fisico, corporale, materiale, maggiore è il guadagno sul piano spirituale.
In base a queste considerazioni, ecco una recente storia d’Italia e d’Europa semplificata. Nel dopoguerra eravamo poveri e invocavamo Dio; dato che non avevamo nulla e che la nostra unica risorsa era Dio, Dio ci ascoltava. Ci ha ascoltato, ha reso le popolazioni europee ricche e abbondanti in molti sensi. Ma questa è stata la nostra peggior sfortuna, perché con le ricchezze ci siamo persi. Gli europei hanno perso umiltà e fede. Ma il discorso dell’inversamente proporzionale ne fa un fatto automatico. È giusto chiedere a Dio l’aiuto, ma bisogna anche sapere che le ricchezze materiali portano alla perdizione. Un dilemma che vivo anch’io costantemente nella mia vita.
Sulla base di queste argomentazioni dico anche che la Chiesa ritroverà la propria identità. Anche nelle vicende del popolo di Israele c’è sempre un piccolo resto che si salva. Una porzione di popolazione che Dio si riserva per sé. Sono quelli che non si sono contaminati con gli idoli delle altre nazioni, che non hanno peccato, che sono rimasti fedeli al Decalogo, ecc. È da questo piccolo resto che si è mantenuto fedele al Signore che nascono le famiglie da cui poi è nato il Cristo, da un lato la famiglia di Maria (Levi), dall’altro quella di Giuseppe (Giuda) secondo le visioni della beata Caterina Emmerick. Dio è ed è sempre stato per i piccoli greggi difettati e deboli. “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili” (1Cor 1, 26). Anche Socrate vantava la propria povertà. Gli eroi Adimanto e Glaucone, invece, erano graditi agli dèi perché con le loro imprese avevano salvato la patria. Sono loro a generare il mastodontico e importantissimo dialogo Repubblica con l’aiuto del maieuta Socrate.

È vero che se un ortodosso ignora la sottigliezza teologica che separa la Chiesa ortodossa da quella Cattolica e invoca semplicemente “Dio” o “Cristo” o “Gesù” basandosi sul Vangelo, la sua ignoranza lo salva e sarà probabilmente ascoltato. È anche vero che la chiesa ortodossa nasce da uno scisma, un distacco da quella che era la vera e unica Chiesa. Questo rende la seconda Chiesa minore della prima, per chi sa riconoscere il fatto.
Per chi non sa capire e invoca il nome di Cristo, di certo la sua povertà lo fa essere ascoltato. Ma chi sa è chiamato a fare scelte giuste.
Per quanto riguarda un fedele che perde la fede, è un fatto, in fin dei conti, che sarà giudicato a livello personale, di coscienza personale. Il diavolo rema costantemente contro con tutte le armi che ha a disposizione per far perdere la fede: perdita di un caro, mancanza di fervore nell’ambiente circostante, argomentazioni contro... Sono tanti quelli che sono convinti dai Testimoni di Geova. Non sono cose nuove. Nei giovani sotto una certa età la fede in Dio non esiste. Dio non interessa, quando non è apertamente disprezzato. Lo notano tutti. Sono cresciuto in una famiglia non credente e non praticante, eppure Dio con me ha compiuto il miracolo, è venuto dall’alto ed è entrato direttamente dentro, senza mediatori. Non c’è stata nessuna persona che mi abbia condotto alla fede. Semplicemente, ho iniziato ad avere interesse per le cose sacre finché dopo anni di studi anche sociologici sono finito, tramite Platone, alla Bibbia. Questa è azione dello Spirito Santo. Aver letto tanto da giovane, poi, ha reso possibile riconoscere che nella Bibbia c’è una parola che non si trova in nessun altro luogo. Questo per dire che non è che chi ha ricevuto un’educazione cattolica profonda sia poi quello che la mantiene. Vengo dal nulla, non ho particolari doti, e nel momento più buio della mia vita Dio è venuto e mi ci sono aggrappato. Tramite la ricerca ho reso la mia fede salda. I momenti difficili (ne ho spesso, specialmente sul lavoro) mettono alla prova il rapporto con Dio, ma mai la fede nella sua esistenza.
Possono esserci diversi tipi di “forza” o “ricchezza” ma non possiamo ignorare che certi contesti storici diano un’importanza maggiore a una piuttosto che all’altra. Ciò non significa che quella fisica valga meno di quella economica, ma solo che oggi ha più difficoltà a imporsi come tale.
È importante inquadrare la Russia in questo momento. Concederle tutte le ragioni possibili per vagliarle al meglio.
Il non-pessimismo si basa, come per tutti i cristiani, su questa frase di Gesù: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18). Dio è l’entità più grande e forte di tutte quelle dell’universo, anche satana è stato creato da lui, se proprio vogliamo andare a vedere (si può vedere ad esempio il Libro di Giobbe), come strumento per mettere alla prova gli uomini. Che Dio sia l’apice è un assioma; in ogni caso, qualsiasi cosa poniamo all’apice dell’universo, inteso come struttura gerarchica, ciò chiamo Dio. Nulla può battere Dio. Se Dio vuole che la Chiesa non perisca, non perirà. Se ha altri progetti, staremo a vedere. Il pessimismo, per quanto riguarda la fede del mondo, è grande; è per questo che principalmente mi occupo del mio cammino personale con fioretti, rinunce e opere buone, quel tanto che riesco a fare.
Il discorso della forza forse è una distorsione del modo di vedere il mondo. Forse sono condizionato perché non ho mai partecipato a una rissa (tranne una) e non sono litigioso. Mi sembra di notare che le persone giudichino le altre, nell’immediato, soprattutto in base alle capacità fisiche. “Potrei batterlo? O me le darebbe?”. Ma uno psicologo mi ha detto che sono un “fobico sociale”, quindi forse esagero percezioni personali trasferendole agli altri.
Non bisogna divenire immediatamente russofobi nel momento stesso in cui la Russia invade l’Ucraina, tanto da arrivare a buttare Guerra e pace... è una reazione di pancia, invece occorre essere giudici giusti e cercare di difendere la Russia prima di attaccarla senza prove, ciò è più equilibrato.



Cosa mi rattrista

Mi rattrista non essere migliore
di fronte al mio Signore
non potergli portare nulla
non avere, come si dice, meriti.
Vorrei poter riconciliarmi con lui
sulla base di qualcosa di buono
che ho fatto; “Guarda, Signore,
sei contento di me?”. Invece
arrivo sempre a mani vuote.
Mi trascino sul lavoro come larva,
fuori dal letto fin sul furgone
fino a sera, quando, al contrario,
dal furgone rientro nel letto.
La vita di un operaio dalle poche possibilità
come me
è misera, affanno continuo,
annaspare nel vuoto cercando un appiglio...
A chi rivolgersi se non al mio Signore?
Non c’è essere umano che si preoccupi
di questa vita, ciò è essere adulti,
e forse è anche colpa mia,
che ci metto del mio nell’isolarmi, nell’atteggiarmi
a misantropo. Ma è forse evitabile peccare,
riempirsi di pietre da scagliare
contro ogni cosa del creato, a partire dagli umani?
Poiché è nell’occhio di chi guarda che c’è la trave
che fa vedere la pagliuzza nell’occhio del guardato.
Per il puro tutto è puro, per il non puro
tutto è marcio, detestabile, giudicabile.
Più ci riempiamo di peccati, più ci riempiamo
di giudizi. Ed è poi vero che le strade
portano fuori il peggio,
protetti da abitacoli non si ha paura
di giudicare, di sparlare di questo e quello.
E allora quante sono le parole che volano
anche solo mentalmente, che escono,
automaticamente, “impiastro”, “incapace”,
“incompetente”, o peggio ancora gli insulti razzisti.
Non ho mai potuto dire di essere
una brava persona, da dentro di me
escono il male, l’inimicizia, il muro di separazione.
Solo con Cristo ho imparato a usar misericordia
contro difetti che gli altri nemmeno sanno di avere
e che mi danno fastidio. Usar misericordia
come San Francesco col lebbroso
è il trucco,
anche se il lebbroso mica lo fa apposta
a essere lebbroso per dar fastidio,
anzi, se potesse, non sarebbe lebbroso.
È tutto ciò che vuole, non esser lebbroso.
Eppure lo giudichiamo nauseabondo,
pericoloso, diverso. Il giudizio è automatico
perché siamo umani e abbiamo dentro
il peccato; i peccati, le pietre da scagliare.
L’unica è usar misericordia, perdonare
il fastidio che ci è stato provocato inizialmente,
anche se incolpevolmente. E allora, o lebbroso,
ti perdono la lebbra; e allora, o automobilista
indisciplinato, ti perdono le scappatelle,
la prepotenza. Signore, ti prego, benedici
i miei nemici, coloro che mi vogliono male,
coloro che mi invidiano; coloro che fanno casino
sotto la mia finestra perché è venerdì sera
e dall’altra parte della strada c’è un ristorante;
dà a tutti grazia, le tue grazie, i tuoi benefici,
i benefici divini, quelli che solo tu sai dare,
perché tu sei la fonte di ogni bene
e l’unico potente,
l’unico capace di metter veramente in atto
ciò che vuole.
La nostra azione è solo pallida imitazione
della tua, come la nostra volontà della tua.
Tu hai voluto creare l’universo, secondo le sue parti,
con tutto ciò che contiene, esattamente com’è.
Siamo poi noi che abbiamo deviato, ma la vita
che avevi preparato per noi era perfetta.
Bere, mangiare e cantare le lodi del Signore,
non dovevamo far altro. Il maligno
si insinuò e generò guerre, quando uno crede
di non avere abbastanza e allora va dall’altro
a pretendere. Non voglio più pretendere nulla, Signore,
non dal mio vicino e neanche da te.
Dammi secondo la tua volontà, sono pronto
ad accettare tutto ciò che vuoi darmi,
non mi lamenterò più di come va per me
la vita. È ciò che sogno, essere capace
di essere così. Non voler niente che sia diverso
da ciò che vuoi per me. Solo quando la mia volontà
sarà unita alla tua sarò felice. Ma questo
non può forse attuarsi solo in cielo?
I santi lo vivono sulla terra.
Consumami, Signore, usami
per i tuoi scopi, come un soldato lanciato
a morire. A cosa serve la vita
se non serve a te? E tu per cosa te ne servi
se non per servire altri? Non sono capace
intenzionalmente di donare la vita agli altri.
Pensaci tu, Signore, pensaci tu, Gesù di Nazaret,
che sei Dio, l’unico Dio fatto uomo
che c’è mai stato e mai ci sarà.
Il Padre ha scelto Nazaret, il Padre ha scelto Sion,
sulla faccia della terra,
per stabilire la sua casa, perché gli uomini più santi
che sono mai esistiti hanno calcato
col loro calcagno quelle regioni;
terre rese sante da un passaggio,
da una promessa, dalla manifestazione
di prodigi. Riconciliami con te,
Signore, puoi farlo,
per te nulla è impossibile
sotto il cielo
e sopra le nubi.
Non abbandonare questo misero servo
che tiene a te, che tiene a servirti,
che ha raggiunto le punte massime della vita
nel pregarti. Portami con te in Paradiso e:
“Siamo a posto così”, come dico sempre al cliente
che chiede se c’è da pagare, o da firmare,
mentre io voglio solo andare.
Signore, fa’ che questa vita
non mi tolga la possibilità di parlare con te,
di pregarti, di ascoltarti, di cercarti
nella Scrittura o, come feci in passato,
in Platone, per conoscerti sempre più.
Nulla ho da portarti in dono se non miseria,
accoglila, per favore, senza giudizio,
con misericordia. È per i miseri che sei venuto,
per quelli che non hanno nulla.

Andare in alto

Che cos’è quest’altura alla quale voi andate? Il nome altura è rimasto fino ai nostri giorni (Ez 20, 29)


I monti, le alture sono i luoghi dove i popoli andavano ad adorare gli dei. Sulle alture venivano sistemate rocce, steli, altari, templi. Nella Bibbia i monti e le alture sono i luoghi dove anche Israele andava ad adorare le divinità straniere. Sono i luoghi dell’idolatria. Dove Israele tradiva l’unico vero Dio, Yavhè, “Io sono colui che sono”, con le divinità delle altre popolazioni. Quando era nomade ciò era facile. È difficile restare fedeli a un unico Dio quando si è nomadi, quando si va in giro e si cambia continuamente terra, paesaggio, lingua, gente. Anche a me è capitato di sentir venire meno la fede quando ho cambiato luogo. In luoghi diversi la fede è vissuta in modi diversi. Qui c’è la Madonna delle Vittorie, là la Madonna della Misericordia, qui la Regina della Pace, lì Nostra Signora di Lourdes. Ogni luogo ha il santo patrono, che dà alla fede una colorazione diversa rispetto agli altri santi patroni.

Le abitudini, a volte, sono ciò che mantengono salda la fede. Celebrare sempre nello stesso luogo, con gli stessi sacerdoti, che usano sempre lo stesso linguaggio, toccano sempre gli stessi temi. Cambiare luogo può voler dire mettere in discussione la fede, rivalutarla. Capire quali sono gli elementi stabili, fissi e quali quelli che si muovono. Si tratta di ritrovare sempre l’unico vero Dio nell’anima. Quel punto di riferimento a cui l’intelletto va quando il sacerdote esclama: “In alto i nostri cuori!”, e si risponde: “Sono rivolti al Signore!”. Qual è l’entità nell’anima, nell’universo che chiamiamo: “Dio”? Occorre avere un punto fermo e tornare a riferirsi sempre a quello.

Quando era nomade e si mischiava con le popolazioni, Israele era meno colpevole di idolatria di quando era sedentario. Il peccato di idolatria è stato più grave a partire da Salomone, re saggio e sapiente al quale però piacevano le donne. Si accoppiò con molte donne straniere e, per far loro piacere, adorò i loro dei. La discendenza di Salomone è stata colpita da Dio per purnire le colpe di Salomone. Davide non ha mai peccato di idolatria, ha commesso un solo peccato grave, l’uccisione di Uriah per possedere la moglie Betsabea. Salomone ha peccato di idolatria numerose volte, rendendo culto sulle alture agli dei di altre popolazioni, con le quali stringeva alleanze sposando regine e principesse. Le alture... luogo di culto, luogo in cui si adorava Dio, ma anche luogo in cui i popoli pagani celebravano i culti. Andare su un’altura, nella Bibbia, ha assunto il significato simbolico di idolatria. Andare a venerare qualcuno che non è il Signore. Andare a rendere culto a una divinità costruita dall’uomo, non al Dio vivente.

Gli idoli sono sempre esistiti. Non sono solo le divinità pagane. Sono qualsiasi cosa sia oggetto di venerazione al posto di Dio. Da chi aspetto consolazione? Torno a casa la sera, dove cerco ristoro? Nel cibo? Nel sesso? Nelle letture? Nei film? Nella televisione? Sono tutti idoli, anche quando paiono attività buone. L’unica vera consolazione è quella che viene da Dio. È l’unico in grado di saziare l’anima di ciò di cui l’anima ha veramente bisogno. Un idolo tipico è l’io. Qualsiasi cosa faccio per rendere me stesso grande ai miei occhi a confronto coi miei simili, o addirittura grande di fronte a Dio è idolatria. La macchina grossa mi serve perché viaggio tanto e ho bisogno di potenza e sicurezza, o per gonfiare il mio ego? Il corpo perfettamente palestrato o asciutto ce l’ho perché amo le fatiche, nella consapevolezza che le mie sofferenze producono consolazioni altrui, o perché voglio mostrare la mia superiorità estetica? La mia bravura sul lavoro è un dono che faccio a Dio, in quanto fare le cose bene è pregare, o è un modo per vincere nella competizione coi miei simili? La famiglia numerosa, i figli sono un dono fatto all’umanità, o il tentativo di creare copie di me stesso, per far vedere quanto sono bravo come genitore, e quanto mi integro nella società?

Quante sono le nostre alture, dove andiamo a sacrificare al posto di sacrificare all’unico vero Dio! Cerchiamo consolazioni ovunque, quando basterebbe stare seduti e pregare, e chiedere la grazia a lui. La grazia che è pace e gioia, fondate su una coscienza pura e sulla speranza del suo perdono che è l’unica forza in grado di portare in Paradiso a godere di lui. Poiché non sono i nostri meriti a portare in Paradiso. È solo la sua volontà, è tanto buono da fare di tutto, fino a farsi carne e morire, sapendo che il nostro massimo bene è l’unione con lui, per farci arrivare a lui. Dio dà tutto se stesso per portarci a lui. Non è geloso della propria grandezza, perfezione. Ci ha fatto vedere, facendosi uomo, come sia disposto a farsi ultimo tra gli ultimi e a dare tutto fino a dar la vita pur di conquistarci un posto accanto a lui, salvandoci con la sua morte.

Un altro modo di vedere le alture, una volta asseverato il vero Dio, è considerarle in ogni caso luogo di culto e incontro con Dio. Si pensi a Mosè o al profeta Elia, che incontrano Dio sul monte.
Più si va in alto, più lo sguardo sul mondo si avvicina allo sguardo di Dio. Dio non è forse colui che un solo sguardo vede tutto? L’uomo non potrà mai vedere tutto, a meno che non si unisca con Dio, ma il suo sguardo può avvicinarsi, somigliare a quello di Dio mediante il recarsi su un monte. Non è forse vero che dall’alto con un solo sguardo si possono abbracciare tante cose? Andare in alto è andare in luoghi divini. Le alture sono sempre state considerate luoghi divini, luoghi di incontro con la divinità.

Anche Samuele, il giudice, viveva su un’altura. La gente andava a visitarlo e gli chiedeva di dirimere le cause. L’uomo che dall’alto aveva una visione d’insieme era colui che era in grado di dare i giudizi più giusti. Gli uomini che abitano in alto hanno l’anima abituata a considerare le cose del mondo nel loro insieme, da lontano. Un litigio che occupa l’intera anima delle due persone coinvolte, visto dall’alto e da lontano non è che uno dei tanti avvenimenti dell’universo, gli viene attribuito il giusto peso e viene messo accanto, in un solo sguardo, a mille situazioni simili. I due contendenti non riescono a vedere chiaro, pensano che la loro controversia sia la cosa più importante del mondo e non riescono a dormire. Il saggio abitante delle montagne confronta cose diverse e non si fa condizionare dalla turbolenza delle vicende umane.

Se salire su un monte è il modo spaziale per andare verso l’alto, il modo temporale è diventare vecchi. Associo l’uomo del monte all’uomo vecchio. Anche la vecchiaia è un modo per abbracciare con un solo sguardo molte cose. Con la memoria si può vedere tutto ciò che si è vissuto in una volta sola. Quanta saggezza si acquista invecchiando! I giovani hanno una potenza e una sapienza che nemmeno sanno di avere, perché i loro corpi e i loro cervelli producono in continuazione e non riescono a star fermi. Occorre qualcuno di anziano per saper estrarre la sapienza. Il saggio anziano è come l’uomo dell’altura. Gli avvenimenti del passato, man mano che si allontanano e prendono distanza diventano anche meno imperiosi, invadenti. Le cose acquistano poco a poco il peso giusto e diventano leggere. Ciò che faceva soffrire ora fa sorridere, e si pensa: “I casi della vita! Anch’io ne feci parte, una volta!”.

L'unica rissa della mia vita

Il 2 luglio 1999 mi diplomavo con 71/100 al Liceo Scientifico Statale A. Volta di Milano. 16 punti li ho presi solo per essere stato sei mesi, dall’agosto 1997 al gennaio 1998, exchange student in Nuova Zelanda. Avrei preso 60 se non avessi fatto l’esperienza extracurricolare che mi elevava agli occhi dei professori.

Alle medie il mio migliore amico era il secchione della classe, uscì con ottimo, io distinto. Si iscrisse al Volta, lo seguii. Ci misero in classi diverse. La nostra amicizia si incrinò durante la prima. Ero sempre io quello che andava nella sua classe a trovarlo all’intervallo. Si integrava bene coi nuovi compagni a differenza di me. Sentivo il peso del bullismo del grosso liceo statale. Vivevo solo con la mamma. La sera, a cena, si guardava Striscia la notizia. In ogni caso la contadina friulana con la terza media non era una con la quale si poteva parlare di problemi adolescenziali. In casa non c’erano giornali tranne il giovedì, quando col Corriere usciva Sette che aveva la guida tv. Iniziai a uscire il pomeriggio con un compagno di classe, deficiente patentato oggi architetto nello studio del padre. Fu lui che mi insegnò a rubare gli stemmi delle auto e farne collezione. Mi feci crescere i capelli. Il nipote di un noto giornalista di sinistra mi invitò, l’ultimo giorno della prima, a fumare a casa di amici. Passai l’estate in Sardegna con mia madre. Stavo sempre con un mezzo sardo mezzo tedesco, sconsigliatomi persino da mio fratello, al quale raccontavo di aver “una volta” fumato, lui invece raccontava di aver fatto a botte con uno che lo prendeva in giro per il suo accento. Con lui mi divertivo perché si andava lontano a piedi nudi a cercare baie in cui pescare. All’inizio della seconda ormai ero abilitato... fui subito introdotto nei bagni dove si fumava. Certi bulli mi guardavano come a dire: “Chi è questo babbo che vuole fumare?”. Mi facevano fare qualche tiro. Poi iniziai a collare (da colletta) le mie 5 mila lire per partecipare a una canna o a un cylum.

L’ex amico secchione della classe si è laureato in Ingegneria Aerospaziale. Finito il liceo non avevo idea di cosa fare. Il professore di Filosofia che trovai al ritorno dalla Nuova Zelanda è quello che mi ha mezzo salvato. Spiegava talmente bene che nella sua materia funzionavo. Non riuscii comunque ad andare bene in Storia, non mi è mai piaciuta. La mia spiegazione, oggi, è che sono sempre stato attratto dalle cose eterne, immobili e sempre uguali a se stesse, non dalle cose transeunti come gli avvenimenti umani (anche se, a ben guardare, anche i comportamenti umani sono sempre gli stessi). In ogni caso ormai ero un ribelle. Più che scegliere un’università, scelsi di andare a Bologna con un amico coi rasta. Era già settembre 1999 e venimmo a sapere che le selezioni per Scienze della Comunicazione a Bologna erano in ottobre. Entrai tra gli ultimi su 500. Lui non entrò e si iscrisse al Dams.

Settembre 1999... non sapevo cosa fare della vita e avevo davanti l’universo del mondo del lavoro. Ero un anti-qualsiasi-cosa, la carriera scolastica faceva pena, ero spaventato ma non lo mostravo, la paura si manifestava perlopiù in rabbia. Da anni uscivo con un gruppo in cui spesso c’era anche il bullo che mi aveva guardato dall’alto in basso la prima volta che mi ero presentato in bagno a fumare. Per anni ho subito vessazioni e bullismi internamente al gruppo di cui facevo parte. Era come la malavita, un giro nel quale una volta entrati non si riesce a uscire. D’altronde, come ho detto, in casa non avevo nessuno con cui parlare. Mio padre viveva in campagna. Mio fratellastro e mia sorellastra avevano le loro vite, anzi, un po’ bulli anche loro, da quando ho avuto 15 anni sono diventati un ulteriore peso coi loro figli ai quali mi facevano fare il baby-sitter.

Settembre 1999... una sera alla discoteca *** vicino al parco Forlanini potevi bere quanta birra volevi per 10 mila lire. Dopo non so quanti giri, mi trovo in coda, di nuovo per prendere birra, col bullo. Non so come e non so perché, non so da dove è venuta, direi che è proprio vero che in vino veritas; anni di soprusi e prese in giro sono saltati fuori in un minuto. Ho cominciato a litigare con lui per il posto in fila. Ho iniziato a spintonarlo. Lui ha reagito. Abbiamo iniziato a far volare le mani. I buttafuori ci hanno buttato fuori. Nel parcheggio abbiamo continuato. Un altro bullo della compagnia, amico più suo che mio, mi ha tenuto da dietro perché a quanto pare non volevo smettere, così il bullo numero uno ha avuto modo di assestarmi un pugno sulla bocca. Il labbro superiore si è tagliato sul dente inferiore. Ubriaco com’ero, sono volato a terra e ho sbattuto il sopracciglio contro il bordo del marciapiede.

Tutto ciò me l’hanno raccontato, i ricordi vanno solo fino a quando ci spintonavamo in discoteca, poi da quando guidavo la macchina di mia madre per tornare a casa, con dentro i due amici più fedeli (tra cui il rasta col quale sarei andato a Bologna) che erano saliti con me per assicurarsi che arrivassi a casa salvo. Entrambi seduti dietro. Ricordo solo che guardai nello specchietto e vidi loro più il mio occhio gonfio alla Rocky quando grida: “Adriana!”. E loro che dicevano: “Ce la fai a guidare fino a casa?”. E io: “Certo! Sto benissimo!”. Entrai in casa e non feci in tempo ad arrivare al water, vomitai dall’entrata del bagno. Quando mia mamma si svegliò, la mattina, si spaventò vedendo la mia faccia. Mi portò al Pronto Soccorso. Misero tre punti sul labbro (ho ancora la cicatrice) e mi medicarono l’occhio. Nel pomeriggio incontrai i due amici che mi raccontarono tutto, come fui tenuto da uno e colpito dall’altro.

Il giorno stesso, occhiali da sole, presi il treno e andai da mio padre in campagna, dove passai una settimana a leccarmi le ferite, come ebbe a dire mia sorella.

In gennaio mi trasferii con il rasta a Bologna. Iniziavo finalmente l’università. Il professore di filosofia buonanima (è morto di tumore fulminante un anno dopo che abbiamo finito la scuola) aveva accennato alla Linguistica. Ritrovandola a Scienze della Comunicazione fui felice e mi appassionai. Gli studi erano pesanti, non ero più abituato, ma gli argomenti mi interessavano. La nuova vita continuò fino a quando, l’anno successivo, ripassando da Milano incontrai l’ex compagna di classe E...