Errori di gioventù

Avevamo vent’anni, eravamo innamorati. Facevamo sesso appena potevamo. Sua madre era catechista e, appena capite le mie intenzioni, smise di apprezzarmi. Mi trattava come il fallito che voleva entrare nelle mutande di sua figlia. A E. piacevo perché ero belloccio, avevo frequentato cattive compagnie e nel primo anno di università avevo sia studiato sia lavorato. Non avevo Dio e neanche lei. Aveva scelto di sua spontanea volontà di essere iscritta a un liceo statale, non al privato cattolico dove avrebbero voluto metterla i genitori. Era primogenita di tre sorelle, le altre due, poi, andarono al liceo privato. E. fu controcorrente in famiglia. Nel liceo statale in cui avevamo frequentato la stessa classe cinque anni consecutivi, avevamo imparato a essere atei grazie alla professoressa di Scienze, al professore di Filosofia e a tutto il contesto degli insegnamenti, solo che lei aveva una famiglia credente e praticante, io il contrario, per lei Dio era dilemma, lotta, per me non c’era questione. Dopo il primo anno di università qualcuno del liceo organizzò una rimpatriata, ci rincontrammo e ci innamorammo. Eravamo pere mature. Il suo essere di buona famiglia mi faceva sentire uno schifo, ma ero innamorato e il suo corpo mi attraeva, desideravo toccarla e vederla nuda in ogni momento. Penso che anche lei avesse la stessa attrazione verso di me, visto che si lasciava fare tutto.

Un giorno, verso Pasqua, trovammo il preservativo con un buco. Avevamo trascorso qualche giorno nella sua casa vuota perché i genitori erano andati con le figlie minori alla casa al lago. Non sapevamo cosa era passato e cosa no... l’unica soluzione era la pillola del giorno dopo. Ci furono pianti, perché era un possibile aborto. Le radici cristiane urlavano dentro lei. Aveva chiara l’idea di commettere un delitto – se l’inseminazione fosse effettivamente avvenuta – mentre io non me ne curavo, pensavo solo che la pillola fosse un metodo per risolvere velocemente e senza sforzi un potenziale problema di vita. Entrambi eravamo attaccati alla carriera universitaria, lei di più e a ragione, però, poiché era iscritta alla Bocconi e i genitori non pagavano poco. Era sul suo corpo che si compiva la violenza, non certo sul mio. Era la prima a volerlo fare, ma in qualche modo risultai io quello che pressava. Andammo a un Pronto Soccorso e una dottoressa, non senza paternale, conferì la magica cura. Ho ancora la sensazione di come E. si sentisse sola, senza il supporto degli amati genitori, come le toccava attraversare quella prova in segreto con, come solo supporto, me, lo scavezzacollo ateo un po’ scemo, a pensarci oggi, nel senso che lei aveva la testa sulle spalle ma aveva deviato, io proprio testa non ne avevo.

Tornati a casa, seduti sul divano, accarezzai la pancia ed ebbi, come un fulmine, questa concezione: “La pillola non ha ancora fatto effetto, può essere che in questo momento ci sia un esserino concepito in questo ventre, mio figlio” e provai una gioia immensa, ancorché istantanea, che non avevo mai provato e mai proverò nella vita. Capisco cosa prova un padre. Amavo E., avevamo già parlato dei nomi dei figli. Quella però fu una scossa, come perdere un figlio. La coppia, senza il supporto e gli insegnamenti di Dio, era già mal instradata, da lì in poi aumentarono i litigi, protraendosi fino a notte fonda e lasciando stremati, incapaci di fare il proprio dovere. La madre, ormai, mi odiava apertamente e me lo faceva capire. Finì che E. mi lasciò per un tranquillo figlio di imprenditore. Anni dopo dissi tutto in confessione e capii, dal peso che mi fu tolto dal petto, che forse reale aborto c’era stato, forse avevamo concepito...

Spero che Dio, oggi, ascolti le mie preghiere per E. e che lei sia felice.

Gi aspettatori

Il diavolo si insinua nei punti di rottura. Cos’è un punto di rottura? Un punto di rottura è dove l’uomo cerca di dare il meglio di sé e raggiungere la virtù, il massimo bene in ciò che sta facendo. Il diavolo non lo sopporta e viene a sabotare.

L’orchestra aveva interpretato perfettamente il primo movimento del Concerto per pianoforte n. 18 di Mozart, k. 456, durante l’interruzione il pubblico aveva fatto i suoi colpi di tosse, schiarimenti di gola, assestamenti sulle sedie il più sommessamente e in fretta possibile perché capiva di trovarsi di fronte a una delle interpretazioni più geniali degli ultimi tempi. Sempre, quando ci si trova di fronte a un accadimento di questo genere, nelle persone sale il senso di meraviglia accostato al rispetto, rispetto per ciò che sta succedendo, consapevolezza di trovarsi di fronte a qualcosa di magico, di superiore, voluto da una volontà altra, più grande e maggiore della semplice somma delle volontà.

Il secondo movimento, come sempre, era deludente. L’ascoltatore di Mozart ama il brio, i trilli, gli staccati, l’allegria. Il vero amatore di Mozart non è un vero ascoltatore di musica classica, non gli importa niente delle sue strutture, dei suoi hegeliani tesi-antitesi-sintesi, vuole solo sentire Mozart, il vivace Mozart e godere. Lo stesso Mozart pare piegarsi ai dettami delle strutture precodificate per ossequiare committenti e critici, ma il suo vero e primo impulso sarebbe quello di un’orgia musicale bacchica piena di frenesia sempre più veloce.

Andiamo adesso ad ascoltare i tempi lenti di Mozart. Non sembra uno sforzo? Il tentativo di lacrimare di un essere immensamente gioioso che si strizza gli occhi ipocriti per fingere melancolia? Il pubblico, grazie a un’eccellente interpretazione dell’orchestra e del solista, aveva come un’illuminazione, vedeva più chiaro del solito, la musica lo elevava a capire, a comprendere questi dettagli. Sapevano di trovarsi di fronte a un secondo movimento, seppur il bellissimo secondo movimento del concerto per pianoforte n. 18, k. 456 e fremevano nell’attesa del terzo.

Qui, il diavolo mise in disaccordo suonatori e pubblico. Perché dobbiamo sorbirci questo secondo movimento quando non vediamo l’ora di arrivare al terzo? Perché forzarci in questa farsa, l’ascolto del secondo movimento? Tutti erano attenti, consapevoli della fatica che costava l’ascolto del secondo movimento, una pausa di attesa forzata prima di tornare al brio e all’allegria, alla bellezza geniale del terzo movimento del k. 456.

Il pubblico, poi, è aspettatore. Va lì con la consapevolezza di ciò che sta per ascoltare, vuole sentirlo eseguito perfettamente e aspetta, aspetta che arrivi quel passaggio che ama tanto.

Il diavolo lavorava. Non voleva mettere il pubblico contro Mozart. Il genio ha questo di grande, mette d’accordo tutti. Da qui la sua immortalità. Un genio non può più generare discordie, quando tutti acconsentono che è genio. La discordia, allora, nacque tra pubblico e suonatori. “Perché ci infliggete il secondo movimento, la lentezza, le lacrime forzate, ipocrite, false?”. Iniziarono a sentirsi i movimenti nelle sedie e i colpi di tosse anche durante l’esecuzione. A qualche orchestrale iniziò a scendere una goccia di sudore sulla tempia; tutti capivano. La musica eseguita perfettamente (punto di rottura) aveva l’effetto di procurare chiara consapevolezza in ciascuno dei presenti, una sorta di lucidità, riservata per la fine dei tempi, per cui tutti coloro che riuscivano a intrecciare lo sguardo con altri capivano immediatamente, condividevano la consapevolezza, vedevano.

Il pubblico cresceva esausto del secondo movimento. Non ne poteva più, voleva che finisse; l’odio si sviluppava verso l’orchestra, meno verso la solista, che per la sua posizione di solista resta più difesa, più protetta rispetto all’orchestra. Gli orchestrali, i suonatori in questo caso divengono il capro espiatorio, almeno fino a quando non iniziano a difendersi montando loro stessi in rabbia verso il pubblico. Gli ascoltatori si rendono allora conto di essere loro l’ultima ruota del carro. “Everybody makes their own fun. It you don’t make it yourself, it ain’t fun, it’s entertainment” (David Mamet, State and Main). Solo gli esecutori sono veri ascoltatori di musica. Non importa quanto preparato può essere, sulla musica classica, un ascoltatore, chi sta veramente godendo la musica non è chi ascolta, è chi esegue. Il pubblico è l’ultima ruota del carro. Tutto ciò che ha in sua difesa sono i soldi che porta.

Il diavolo operava. Tali pensieri divenivano sempre più chiari nelle menti di tutti, a seconda della sveltezza di ciascuno di muovere i neuroni. Suonatori e pubblico cominciarono a guardarsi in cagnesco. Il secondo movimento sembrava interminabile. Anche i suonatori a questo punto crebbero esausti del secondo movimento e non lo sopportarono più. Qualcuno, nel suo cuore, osò metttere in questione Mozart: “Perché l’ha tirata tanto per le lunghe?”. Era come sbattere contro un muro. La colpa, come detto, ricadeva sull’orchestra (“Non è che stanno suonando male?”, ragionevole dubbio...), mentre la solista restava protetta. I suonatori perlomeno stavano facendo qualcosa, mentre al pubblico non restava che aspettare.

Finalmente il secondo movimento finì. Ai più parve di esser stati liberati. Finì in bellezza, coi soliti colpi di genio mozartiani. Non ci furono gran spostamenti di sedie o colpi di tosse o schiarimenti di voce, la gente era divenuta esausta. Finalmente partì il terzo movimento e fu uno scioglimento. Il diavolo fu cacciato. L’esecuzione era stata perfetta. La solista, in particolare, aveva ridato vita alla musica di Mozart. Una solista che definivano: “il sogno di ogni compositore” per la sua capacità di mettersi a servizio, studiando fino allo sfinimento e mettendo il più possibile da parte se stessa e le proprie idee compositive. L’allegro vivace portò gioia, trionfo, lo scroscio di applausi confermò che era stata una serata in cui le stelle erano allineate, un punto di rottura dove il diavolo aveva cercato, come sempre, di insinuarsi, per finire, come sempre, distrutto, fallito.

La Volontà del Padre

Quanto costa rinnegar se stessi
e aderire alla Volontà di Dio.
Sogni infranti, ambizioni represse
per restar piccoli e non inorgoglirsi.
Chi dice: “Ah, quanto costa!”
non sta nemmeno facendo
la Volontà di Dio adeguatamente.
L’esempio è il: “Si compia in me
la tua Volontà”, il: “Fiat” di Maria,
che mette da parte qualsiasi pretesa
per divenire strumento docile,
pennello nelle mani dell’artista,
matita per scrivere, scalpello per scolpire
per poi, finita la vita, andare a riposare.
Ma neanche cercare il Paradiso
è fare la Volontà di Dio in modo perfetto.
Fare la Volontà di Dio è dire:
“Se vuoi, mandami pure all’inferno”.
Terribili parole, terribile pensiero
che affiora all’uomo che osa pensare.
L’importante non è salvarsi, ma fare
la Volontà di Dio in ogni momento,
stando dove lui vuole metterci e operando.
Poi, certo, il nostro Dio è un Dio che salva
e non può voler altro per noi
se non la salvezza. Quella pura,
irreprensibile via, quella santa
ineffabile unione di quando lo vedremo
come egli è e saremo come lui.
Allora non voler essere pittore
se lui ti vuole panettiere,
non voler essere monaco
se lui ti vuole nel mondo,
non voler essere viaggiatore
se lui ti vuole stabile.
A servizio della Volontà di Dio
scoprirai la vera vocazione,
ossia sviluppare mille talenti:
il parlare, lo scrivere, il lavorare,
il fare da soli, il fare in compagnia,
l’amare, la tecnologia, il pregare,
il contemplare, mille cose
che non avresti scoperto se fossi stato
la tua ambizione a riguardare e perseguire.
Tante piccole cose, nessuna che ti fa inorgoglire,
nessuna che ti fa alzare altezzoso
sopra gli altri, ma tante piccole curve
durante la giornata, prima faccio questo
poi quello, poi quell’altro ancora,
occuparsi di tutto senza perfezionare nulla,
questo può essere Volontà di Dio.
Anche se per perfezionare qualcosa
occorre occuparsi solo di ciò tutta la vita.
Ma esser perfetti nella Volontà di Dio
è meglio che esser perfetti in qualsivoglia cosa.
Anche la realizzazione di sé è consolazione
di cui Dio può decider di privare.
Stare nella Volontà di Dio è praticare l’obbedienza
ai superiori, alla moglie, al marito,
è servire sempre e sempre amare.
Il nuovo comandamento è stato dato
per gli zucconi, uno solo, facile
adattabile a qualsiasi occasione:
“Ama, come io ho amato voi”,
fino alla fine, fino alla morte,
fino a non aver più niente,
tutti consumati per lui e in lui.
Chi è capace di ciò, di dare
la vita per i propri amici?
A stento si trova qualcuno
disposto a morire per un giusto,
ma lui, mentre eravamo ancora peccatori,
è morto per noi, secondo la Volontà del Padre,
camminando, come noi, come uomo,
nella fede. Insegnami istante per istante
a fare la tua Volontà, o Padre,
allora sarò sempre tuo amico,
fratello, compagno, eterno adoratore.

I due modi di parlare

C’è un modo di parlare che asciuga chi ascolta. Certe persone hanno prevalentemente questo modo e sono chiamate: “Asciugoni”. Credo che il problema di questo modo di parlare sia che si parla di tutto tranne di ciò si cui si dovrebbe parlare.

L’asciugone parla a nastro e lascia chi lo ha ascoltato esausto. Gli argomenti spaziano, si va dal me al te alle notizie. Tutto può essere usato da chi asciuga pur di evitare di parlare di ciò che conta.

La cosa interessante è che l’asciugone riesce a parlare intere mezz’ore di sé senza mai parlare di sé. È un girare attorno all’isolotto senza lambirlo mai.

Quando qualcuno si apre realmente su ciò che conta, quando parla realmente dei propri problemi o di ciò che pensa dell’altro, quando, invece di evitare gli argomenti che contano, li affronta, ciò che dice diviene subito interessante, ricco di significato e addirittura curativo, guaritivo per l’ascoltatore.

A un certo punto della vita ho capito che non bisogna evitare di ascoltare chi parla di sé, ciò che è da evitare è farsi asciugare. La maggior parte delle persone è in atteggiamento difensivo quando ti stordisce di parole, è troppo stanca per affrontare problemi seri o almeno crede di esserlo, perché affrontare un problema serio sì, è difficile, ma lascia alleggeriti, non stanchi e asciugati. 

È mia convizione che è un dono quando una persona si apre. Non è facile ottenerlo. Se una persona ci asciuga significa che ha paura di aprirsi con noi. Allora si parla di tutt’altro o si parla di cose importanti in modo superficiale, sfiorando solo, girando attorno. Occorre fare i primi passi. Occorre aprirsi un po’ noi per primi, sacrificare noi l’agnello grasso, confessare qualcosa di sé, allora si otterrà apertura e sincerità.

Parlare un po’ di sé con sincerità, fare qualche domanda mirata cercando un varco, questi sono gli strumenti per evitare il discorso asciugatorio. Il discorso asciugatorio non serve a nessuno, né a chi ascolta né a chi parla. Evitare sempre di stare nella superficialità, lo small talk serve solo da convenevole, cornice per iniziare e finire, conversazione di contatto. Ma non si può parlare solo del niente.

Uno deve arrivare a parlare di ciò che ha nel profondo del cuore. Se trova qualcuno che glielo permette ha trovato un tesoro. Purtroppo oggi bisogna rivolgersi a professionisti per potersi aprire, ciò che inficia la naturalità della relazione e dunque la bontà della conversazione.

Cliffhangers

Stavo guardando uno corto con Sally Hawkings quando mi si è spento il telefono. Mi è stato consigliato dall’algoritmo di Youtube. Sembrava nuovo perché è stato pubblicato tre giorni fa sul canale NITVShorts, in realtà è del 2014 e ha vinto l’Oscar. Ho avuto intenzione di condividerlo con mio nipote appassionato di cinema ancor prima di guardarlo. È sempre aggiornato sui film che escono, mi sembra giusto tenerlo aggiornato anche sui corti. Non me la sarei sentito di consigliarlo prima di averlo visto. È vero che è aggiornato su tutto ciò che esce e la sua conoscenza cinematografica lo porta a essere la persona, tra quelle che conosco, più in grado di apprezzare il corto, ma non è giusto condividere il corto indiscriminatamente.

Sono a casa da una settimana esatta, domenica scorsa mi sono svegliato con 38 di febbre. Martedì ho fatto il tampone e sono risultato positivo al covid. In questo tempo di malattia ho pregato poco, dormito molto e guardato video su Youtube moltissimo. Stamattina, domenica 26 novembre, un anno esatto da quando sono risultato positivo al covid la prima volta, mi sono svegliato alle 4,00, gli eccessi di tosse mi impedivano di dormire, così ho fatto un tè col miele di melata, regalatomi, e mi sono alzato. Mi sentivo sveglissimo ma non avevo voglia di mettermi a scrivere. Mi sono attaccato a Youtube e l’algoritmo ha proposto un’intervista al vescovo Joseph Strickland fresca di due settimane, fattagli subito dopo che è stato rimosso dal Papa. L’intervista dura una ventina di minuti, mettendo gli auricolari e chiudendo gli occhi sono riuscito ad ascoltarla tutta. Ho commentato difendendo l’obbedienza al Papa nonostante gli errori che può fare.

Poi l’algoritmo ha suggerito il corto con Sally Hawkings, che ricordo aver apprezzato in Cassandra’s dream e Blue Jasmine. È incredibile come sia diventata bella con l’età. Le persone intelligenti diventano più belle con l’età. Il corpo sfiorisce ma diviene sempre più specchio dell’anima e la bellezza di una persona bella dentro prima o poi viene fuori e si trasmette al corpo. Sally Hawkings da bruttina piena di talento è divenuta un donna bellissima. Ora che il telefono si è un po’ ricaricato posso accenderlo, lasciandolo attaccato, e collegarmi a internet per vedere la fine del corto. Il telefono si è spento proprio sul più bello, lasciandomi appeso, una specie di cliffhanger




Conformità Europea

Un paese della bassa bresciana, un tecnologico allevamento da 100 bovini con accanto la vecchia cascina, un gruppo di case attorno alla corte, terra battuta su cui si intravede qualche colore: biciclette e giochi di bambini, una casetta in plastica... Un’ex stalla allestita a capannone... alla luce dei neon 30 macchine da cucire; su due file, cinesi ingobbiti sul lavoro... Due donne in un angolo a stirare... All’ingresso un ammasso di fibra di poliestere...
Lo scuolabus arriva solo fino alla strada sterrata, sono le 13,16, una bambina con zaino carico del suo stesso peso si incammina, passa in mezzo alle mucche famigliari scivolando un po’ sul morbido fangoso terreno, fa il cortile, svolta a destra ed entra in una porticina, va direttamente in cucina dove si serve un pranzo di riso e verdure, poi farà i compiti e aiuterà in tessitoria...

Sullo stipite dell’hangar due uomini fumano e parlano. “Un giorno”, dice uno, “arriva uno con la moglie e dice: «Riparate lavatrici?». «No, solo telefono e televisione». Dalla porta indica l’auto, mi affaccio, il bagagliaio aperto a metà, c’è su una lavatrice. «No, no, solo telefono e televisione! Compla nuova! Amazon, 300 eulo!». «Come ti chiami?». «Lim». «Senti Lim, non hai capito, voglio spendere massimo 100 euro». Chiamo mia moglie, dico che hanno portato una lavatrice, dice: «Prova, cosa ti costa, al massimo non riesci, mica perdi niente!». Dico sì, scaricano la lavatrice e la lasciano in negozio. Dice di chiamarsi Monaldo, di Gallipoli. Provo a riparare la lavatrice, non ho fortuna. L’elettrodomestico è antidiluviano, non vuole saperne di andare. Dopo una settimana, Monaldo torna con un uomo, dice: «Questo è mio cognato». Dico: «Niente da fale, non funziona, tloppo vecchia, non si può più fale niente, buttale!». «Lim», dice Monaldo, «ho portato una lavatrice in buono stato, bastava poco a ripararla e adesso dici che non c’è più niente da fare, buttare. Lim, mi devi 100 euro!». «Io non dale te 100 eulo!». «Chiamo i Carabinieri!». Ero senza licenza”, dice Lim, “o meglio, la licenza era ancora dal commercialista, non so perché, in ogni caso non volevo che i Carabinieri venissero al negozio. Do a Monaldo 100 euro. Monaldo e il cognato caricano in auto la lavatrice e la portano via. Dopo un mese si ripresentano. «Lim, non sono riuscito a far riparare la lavatrice e i tuoi 100 euro non sono bastati per comprarne una nuova, dammi 200 euro!». «Io non dale te 200 eulo!». «Chiamo i Carabinieri!». In quel momento si concretizza il timore che si era formato in me, capisco di essere vittima di estorsione, allora do 200 euro a Monaldo. Poi chiamo i Carabinieri e racconto tutto. I Carabinieri sono venuti e hanno fatto chiudere il negozio. Il mese dopo Monaldo si ripresenta col cognato e i Carabinieri li arrestano. Al processo, il giudice mi ha graziato dal pagare 7,000 euro di multa – per mancata licenza e perché parte della merce che avevo esposta non aveva l’obbligatoria descrizione in italiano mentre su alcuni articoli c’era il marchio China Export, la cui sigla è quasi identica a quella obbligatoria della Conformità Europea – poiché ho aiutato ad arrestare il latitante Monaldo di Gallipoli assieme ai suoi complici.

“Yucham”, dice Lim alla bambina, “va’ in bici all’Eurospin, prima va’ da tua madre e fatti dare la lista”.

Viver bene

Mi è sempre stato impossibile capire quelli che vivono bene e compiono il bene ma sono atei. Quale motivazione si può avere per compiere il bene? La paura della prigione? L’insegnamento dei genitori?

La morale, se non si ha Dio, è l’al di là del bene e del male nietzschano. C’è un racconto di Mark Twain che s’intitola A proposito del recente festival del delitto nel Connecticut che parla di un uomo che di colpo riesce a vedere la propria coscienza personificata, la uccide strangolandola e da quel giorno è libero di compiere qualsiasi azione, da cui il titolo.

Ho conosciuto psicologi ed educatori atei. La loro missione è fare del bene, aiutare le persone a star meglio, portare benessere, felicità. Quale può essere la definizione di felicità se non stare bene?

Una volta riconosciuto che il bene è l’obiettivo, cosa ci vuole a idolatrare il bene e riconoscere quindi che il bene stesso è Dio? Quale fatica ci può essere nel riconoscere che il bene stesso è ciò che ha creato tutte le cose? Il bene ha creato l’universo intero e ha dato all’uomo sete di lui. L’uomo vuole il bene e cerca costantemente il bene perché il bene ha creato l’uomo a sua immagine.

“Bene” non è solo una parola vuota, rappresenta qualcosa. Le persone che vivono bene fanno del bene il proprio Dio. È inevitabile pensarla così. Perché, altrimenti, vivere bene? Se si cerca il bene significa che si mette il bene al di sopra di ogni altra cosa. E cos’è quella cosa che è al di sopra di ogni altra cosa se non Dio? Quale può essere la difficoltà nel chiamare il bene: “Dio”? È ciò che idolatri, che metti al primo posto. Ma l’ente al primo posto è Dio. Quindi: “bene” e “Dio” s’equivalgono.

Tutte le cose hanno un principio, un inizio, un’origine, come vogliamo chiamarlo. Il principio non ha principio, altrimenti non sarebbe un principio. Il principio dunque non è nato, è dall’eternità. Essendo dall’eternità, è eterno.

Se consideriamo che il bene è prima di tutte le cose – a questo siamo giunti dicendo che lo consideriamo Dio – come possiamo non dire anche che ha creato tutte le cose? Se è prima, è principio, se è principio, è origine, se è origine, è creatore, generatore.

Davvero, non riesco a capire dove le persone che vivono bene trovano la forza.

Una spiegazione che mi sono dato è questa. Certe persone hanno buona natura. Sono portate per natura a non violare le leggi – forse grazie a un forte super-io, cioè a una forte educazione, che li sgrida interiormente quando vanno contro l’ordine costituito –, amano gli altri e tendono a far loro bene. Conosco alcune persone così. Ma io non sono così. Ho una patologia psicologica che mi porta a vedere tutto nero e a non amare la vita. Sono pieno di difetti (senza colpa) e di peccati (colpa), non ho buona natura, perciò tendo a vedere negli altri sempre il male. Tutto mi dà fastidio, nel mondo e nelle persone. Questo, come natura.

Se Dio non fosse entrato in me dicendo che bisogna amare e praticare le sue leggi, se qualcuno non mi avesse messo davanti il Vangelo e insegnato come praticarlo non avrei la tendenza naturale a trattare le persone bene, a conviverci. Non a caso già a 24 anni stavo diventando solitario. Ancora, dopo 20, lo sono, sebbene faccia sforzi per andar contro la natura. Gli sforzi mi vengono dagli insegnamenti della Bibbia. Guai se lasciassi la natura controllare la mia persona! Sono in sovrappeso anche per questo, perché mi privo di altre consolazioni corporali e la mia natura limitata ha bisogno di consolazioni. Beati coloro che non hanno bisogno di consolazioni dal punto di vista della carne! Certo, c’è più merito per me a vivere bene, per gli sforzi che devo fare, che per uno a cui viene naturale.

Dopo aver imparato a vivere bene per timor di Dio, ossia per paura dell’inferno, c’è poi il passo di imparare a farlo per amor di Dio, ossia perché si riconosce Dio come l’entità più amabile di tutte e quindi gli si dedica l’amore più grande (“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”, Dt, 6, 4-5) e perciò si applicano le sue leggi per amore e non più per paura. Ma questo è l’ultimo stadio.


Vendesi baci

Alla fiera della pannocchia dell’agosto 2023, fuori Los Angeles, si poteva osservare Russel Crowe posizionato in un gabbiotto di legno con un cartello e una scritta vergata a vernice: “Vendesi baci. Sulla guancia: Dato 10 dollari, Ricevuto 20 dollari. Sulla bocca: 50 dollari. Con la lingua: 100 dollari ogni cinque secondi”.
Durante le cinque ore in cui Crowe è stato sotto il sole cocente ha raccolto 570 dollari. L’hanno baciato sulla guancia sei donne e sette uomini. Hanno voluto ricevere un bacio sulla guancia due donne, sorelle ipovedenti di 86 e 81 anni proprietarie del dvd Il gladiatore. L’hanno baciato in bocca, insieme, due trans che lavoravano alla fiera come cubisti. Ha voluto baciarlo per 15 secondi l’ex delle elementari, Cynthia Madison Foster, professoressa di Astofisica e cosmologia all’UCLA.
Più di 3400 selfie sono stati scattati gratuitamente.
L’attuale moglie Guntha, da cui Crowe sta divorziando, si è presentata e ha chiesto se poteva pagare 5 dollari per dargli uno schiaffo; a risposta negativa ha eluso la sicurezza, gliel’ha dato ugualmente ed è scappata (voci affermano che un giovane con occhiali scuri l’aspettava nell’auto accesa).
Crowe si è dichiarato soddisfatto e divertito dall’evento. Non ha risposto alla domanda se l’anno prossimo intende partecipare di nuovo.

Per scrivere bisogna vivere

Con la misura con la quale misurate sarete misurati. (Mt 7, 2b)


C’è chi sostiene che persona e artista siano due entità separate e chi, invece, che non sia possibile distinguere.

Nel primo caso l’artista sarebbe in grado di creare qualsiasi cosa a partire dal suo essere artista indipendentemente dalla condizione morale. Nel secondo caso si sostiene che la condizione morale influisce sull’artista.

Esiste l’artista capace di oggettività? Qualsiasi persona, nel momento in cui si mette a creare, è capace di essere oggettiva, vera? Chi è capace di rappresentare il vero trascendendo la propria condizione morale? Un’opera non è espressione di (tutto) ciò che la persona è?

La prima posizione è un pensiero originale, a sostegno della seconda posizione invece c’è Platone, che in Repubblica sostiene che l’esperienza non serve per la conoscenza.

Si prenda il film Beaux is afraid di Ari Aster. Ari Aster è cineasta auteur. Qualcuno ha sostenuto che ha potuto raccontare bene il personaggio di Beaux perché l’ha ricalcato su se stesso, mettendoci dentro propri desideri e fobie. Ma se Ari Aster dovesse rappresentare un cardinale, uno puro, non uno corrotto; diciamo, quindi, se Ari Aster dovesse rappresentare un santo, sarebbe capace? Cosa ne sa l’anima di Ari Aster di cosa succede nell’anima di un santo? Manzoni è capace di rappresentare il Cardinal Borromeo? Dostoevskij è capace di rappresentare Aleksej Karamazov? La teoria dell’oggettività dell’artista sostiene che nel momento in cui Ari Aster si mette a creare è capace di rappresentare anche un santo nella sua verità.

Platone, al contrario, sostiene che chi fa esperienze fa esperienza del peccato, il peccato macchia l’anima e la rende meno capace di acquisire sapienza e vedere la verità. Secondo lui per diventare sapienti è meglio star chiusi in una stanza e studiare, facendosi raccontare il mondo dagli altri. Tra le altre cose, un bel volume di casi clinici di Freud o di altri. Dopo molte fatiche e molti anni si sarà in grado, mantenendosi puri, di acquisire conoscenze su tutti i caratteri.

Per il ladro tutti sono ladri, perché giudica il mondo col suo unico metro di misura. Per il puro tutto è puro (cf. Tt 1, 15a). Se si sposa l’opinione di Platone non si può non arrivare a sostenere che solo il puro (moralmente) è in grado di conoscere e rappresentare tutti i caratteri. Chi, invece, fa tante esperienze si macchia l’anima e non è più in grado di vedere la verità.

Ritiro in monastero

Che bello quando da qualche parte si fa già una cosa bene. Non c’è bisogno di innovatori, i quali, per portare gli altri a fare una cosa meglio di come è fatta al presente, si scontrano con abitudini inveterate e indurite.

Abitudine... ha ragione Aristotele a dire che la ripetizione (lat. habitus, gr. héxis) di un’azione cattiva è vizio, di un’azione buona virtù. Sradicare un vizio significa iniziare a non compiere più l’azione cattiva o meglio compiere l’azione contraria. Portare, poi, avanti il comportamento, ripeterlo.

Quanto poco sono virtuoso! Quand’ero frate, siccome eravamo una nuova fondazione eravamo tutti giovani e, a parte la fondatrice, nessuno era particolarmente virtuoso. Cercavamo di imitare lei, che per otto anni era stata monaca a Careggi, ma pochi ce la facevano. Più che monaci o frati eravamo preti col saio blu. La differenza col classico prete era che vivevamo in piccole comunità di due o tre membri, ma già un tempo si faceva, con le collegiate o oggi i preti focolarini.

Questi monaci sono seri! Digiunano e dormono poco, si alzano alle 5,00 per la prima preghiera. A pranzo e cena si sta in silenzio mentre un lettore dal pulpito legge dalla Scrittura o altro. 

Potrei davvero fare questa vita? Forse sì, se si considera che le abitudini che ho ruotano attorno al lavoro succhia-energie di corriere... Con mansioni più leggere potrei anche essere in grado di rispettare certi orari...

Al ritiro ho incontrato una ragazza delle parti di mia madre. Parla come le mie zie... è di poco più giovane di me, infermiera. Me l’ha fatta incontrare Dio, sottintendendo: “Sposati” o è il demonio che cerca di sviarmi? Quando avrò imparato a distinguere queste cose sarò santo. 

La procedura

Ho un collega lentissimo. Dice: “Lavoro in procedura, con professionalità e qualità”. Il problema è che non chiude mai una rotta e ogni giorno ha bisogno come minimo di un aiuto. Inoltre riporta sempre indietro almeno una decina di pacchi. Prima di lavorare in Amazon ha lavorato un anno in DHL. Dice che in DHL era difficile perché il palmare era in inglese e lui non capisce l’inglese. C’erano i ritiri (tipo quando fai un reso Amazon arriva DHL, quando arriva), pagamenti in contanti e col POS (tipo quando si paga in contrassegno o si spedisce qualcosa). La mattina ci si metteva un’ora a caricare perché bisognava andare a cercare i pacchi in una grande cesta a cui attingevano tutti e distribuirli sul furgone in base all’ordine di consegna. L’ordine di consegna bisognava crearlo in base alla conoscenza pregressa della zona. Non c’era l’applicazione, come in Amazon, che ti fa seguire un itinerario creato da un algoritmo.

Dico sempre che il mio lavoro è il lavoro per tutti. È il lavoro for dummies. L’applicazione di consegna (Amazon Flex), fa sia da gestore della consegna sia da navigatore. La mattina ci metto cinque minuti a caricare. I ragazzi del magazzino mettono, in prossimità di dove ti fermi col furgone sullo Yard (posto prestabilito), un carrello con una decina di borse, dette bag, piene di pacchi più una decina di pacchi oversize, detti comunemente over – i pacchi grossi che non ci stanno nelle bag: microonde, aspirapolveri, friggitrici ad aria, televisori, monitor, computer e quant’altro taggato di dimensioni “L” o “XL”. Tutto è numerato e in ordine. Si prende per primo l’ultimo che si consegnerà e lo si posiziona in fondo al furgone, ci vogliono tre minuti. Prima si mettono le bag e poi gli over. Aprendo il portellone laterale si ha accesso alla prima bag, aprendo il furgone da dietro si ha accesso agli over. Durante il picco – dopo gli sconti di 10 e 11 ottobre – ho avuto un massimo di 230 pacchi, con 10 bag caricate e 25 over. Il furgone era pieno come un uovo. Questa settimana sono tornato a caricare 180 pacchi, sette o otto bag e una decina di over. La gente, anche robetta piccola, continua a comprare. Dove li trova i soldi? Poi dicono che c’è la crisi. Durante il picco è stata una cosa inaudita. Forniture di beni di prima necessità, grossi oggetti tecnologici sono andati via come il pane.

Una volta caricato, sull’applicazione si preme: “Inizia spostamento” e il navigatore porta alla prima consegna. Arrivati, si preme: “Ho parcheggiato” e si consegna, selezionando una delle opzioni: al cliente, a un’altra persona (scrivere nome), a un vicino, al giardino, alla porta d’ingresso, alla terrazza, al garage, al portico, ecc. “Scorri per completare”, “Inizia spostamento” e via alla consegna successiva. In questo modo ciascuno può fare ogni giorno una zona diversa. Le rotte sono pensate per durare otto ore. Se si segue il giro costruito dall’algoritmo e non si incontrano particolari inconvenienti (traffico, lavori, incidenti, clienti assenti che costringono a ripassare, ecc.) che fanno impiegare più di tre minuti a consegna, in otto ore si finisce. Se si pesta sul pedale e si è un po’ atletici, risparmiando anche solo dieci secondi a consegna, si può finire anche in sette o sei ore. Cosa fa chi finisce in sette o sei ore? Va ad aiutare chi non ha ancora finito. Si chiamano: “Salvataggi”.

Il collega di cui dico, che lavorava in DHL, riceve uno o due salvataggi al giorno. È rimasto legato al modo di lavorare di DHL. In DHL si fanno 100 consegne al giorno, compresi i ritiri. Con l’applicazione Amazon Flex se ne possono fare fino a 170. Io ne faccio dalle 110 alle 150 in base al giorno e alla zona. Il collega lento non ha mai più di 110 consegne eppure non riesce a finire. Lavora in procedura. Fa due o tre chiamate se il cliente non è presente (chi gliel’ha insegnato? Io ne faccio una). Soprattutto non lascia pacchi in giardino se non c’è l’opzione preimpostata dal cliente. Secondo me non ha capito come si lavora in Amazon. 

Questo mese ho preso tre concession (tante). Le concession sono quando al cliente arriva la notifica che il pacco è stato consegnato ma poi non riceve materialmente il pacco.

La prima: la cliente è in casa, risponde al citofono e dice: “Lascialo lì, che vengo a prenderlo”. Lo lascio lì, appoggiato al cancellino. La casa è su una strada statale, di fronte c’è un benzinaio. Evidentemente la signora non è uscita subito e qualcuno ha rubato il pacco. La seconda: era un sabato, il cliente non c’era, ho calato il pacco in giardino (il giardino è tutto chiuso con cancellate in metallo) e il cliente ha ugualmente affermato di non averlo trovato; altra concession immeritata. Terza: concession meritata. A Medole, condominietto di otto unità in piazza, due pacchi per due clienti diversi; uno (rumeno) c’è, risponde, apre e dice di lasciare il pacco in fondo alle scale; l’altra cliente non c’è. Lascio entrambi i pacchi in fondo alle scale, pensando: “È un minicondominio in un paese, si conoscono tutti, non si ruberanno le cose a vicenda...”.

In sei anni che faccio questo lavoro (festeggio il 3 novembre) ho preso circa 50 concession. Meno di dieci l’anno. Non gliene frega niente a nessuno. Paghi tu il pacco perduto solo se costa più di 50 euro, se no è la ditta a pagare. Certo, se prendi più di tre concession o giù di lì a settimana per un periodo abbastanza lungo, la ditta potrebbe aprire una contestazione disciplinare (lettera di richiamo). Ma non è mai successo. Il collega lento, che lavora sempre in procedura, con qualità e professionalità, ha preso 5 concession in sei anni. Se ne vanta sempre. Dice che solo lui consegna bene. Intanto gli altri devono sempre fare lavoro in più per aiutarlo a finire.

Chi fa meglio? L’unico cavaliere della procedura che è contro tutti o gli altri che lavorano secondo ciò che Amazon realmente vuole e vanno in più a salvarlo? 

Caterina, la veggente di Rue du bac

L’Immacolata a Lourdes, nella sua apparizione, non dice: “Io sono stata concepita immacolatamente”, ma: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Con ciò Ella determina non solo il fatto dell’Immacolata Concezione, ma anche il modo con il quale questo privilegio Le appartiene. Perciò, non è qualcosa di accidentale, ma fa parte della sua stessa natura. (Lettera di San Massimiliano Kolbe ai confratelli di Nagasaki, 28 febbraio 1933)

San Vincenzo de’ Paoli è morto il 27 settembre 1660. Nel 1767 la sua festa è stata inclusa nel Calendario Romano il 19 luglio per non interferire con quella dei santi fratelli medici Cosma e Damiano. Nella revisione del Calendario Romano del 1969 si è considerato che lo spostamento ne facesse festa di seconda classe, perciò è stata di nuovo spostata al 27 settembre e per fargli spazio quella di Cosma e Damiano è ora il 26.

Le Figlie della Carità, fondate da San Vincenzo de’ Paoli, sono le suore conosciute come suore cappellone per le ampie falde del copricapo inamidato che contraddistingueva il loro abito. Il loro carisma è il servizio agli ammalati. Fino alla prima metà del ‘900 non era difficile incontrarle nei più importanti ospedali. Oggi, dove presenti, non si distinguono più perché portano un classico velo blu.

Zoe Catherine Labouré, nata in Borgogna nel 1806, entra nelle Figlie della Carità nel 1830. Il 21 aprile fa l’ingresso in noviziato presso la casa madre di Parigi, 140, Rue du Bac

Nell’aprile 1830 le reliquie di San Vincenzo de’ Paoli sono traslate da Rue de Sèvres, quartier generale dei cosiddetti Lazzaristi – la congregazione di preti fondati da San Vincenzo – alla Chiesa a lui dedicata in Parigi. I festeggiamenti per la traslazione, fatta mediante processione, comprendono una novena di preparazione; per tre sere consecutive Caterina, tornando dalla chiesa di San Vincenzo a Rue du Bac, ha visione del cuore di San Vincenzo sopra un reliquiario contenente il braccio del santo.

Durante il noviziato Caterina ha altre visioni. Il resoconto non è completo, è difficile trovare dettagli. Caterina s’interfaccia col confessore e con le superiore. Solo dopo la morte è stata rivelata l’origine della Medaglia Miracolosa.
In giugno avrebbe visto Gesù Eucaristico e Cristo Re.

Nella notte tra il 18 e il 19 luglio, festa di San Vincenzo de’ Paoli, un angelo la sveglia e la conduce in cappella – le suore dormivano assieme in uno stanzone. Alcuni dicono che aveva aspetto di bambino e che era l’Angelo Custode di Caterina. In cappella Maria appare a Caterina e in un colloquio di due ore spiega che avrà altre visioni, che in Francia ci saranno cambiamenti, che deve essere forte e riferire tutto senza paura.

La visione più importante e documentata è del 27 novembre. Nella prima fase Maria appare su un globo avvolto da un serpente mentre offre a Dio un globo d’oro; dalle sue mani piovono fasci di luce.

Nella seconda fase non c’è più il globo d’oro e le mani di Maria si abbassano, attorno appare la scritta: “Ô Marie conçue sans péché, priez pour nous qui avons recours à vous”. Questa è la faccia anteriore. Poi il retro, senza più Maria, al centro la lettera “M” sormontata dalla Croce e sotto le immagini del Sacro Cuore di Gesù (circondato da una corona di spine) e il Cuore Immacolato di Maria (trafitto da una spada); attorno, dodici stelle.

Maria dice a Caterina di far coniare e diffondere una medaglia con queste due facce. “Chiunque la indosserà con fede”, dice, “riceverà grandi grazie”. Nel 1832 sono coniati i primi 1.500 esemplari. La medaglia è presto detta a furor di popolo: “miracolosa” per le grazie che ottiene, conversioni, guarigioni...

Dopo i voti perpetui Caterina riveste vari uffici nelle case delle Figlie della Carità sparse in Francia; con discrezione si dedica tutta la vita – 46 anni – alla cura di ammalati e anziani.

La giaculatoria: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”, pronunciata dalla bocca stessa di Maria, conferma una teoria teologica avanzata da alcuni padri della Chiesa nei primi secoli del Cristianesimo, poi oggetto di dibattito e difesa dai francescani, in particolare dal Beato Giovanni Duns Scoto: Maria è stata preservata dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento in vista dei meriti di Gesù. Papa Pio IX prende sul serio le apparizioni di Rue du Bac e nel 1854 proclama, con la bolla: “Ineffabilis Deus”, il dogma dell’Immacolata Concezione. Nel 1858, a Lourdes, Maria fa visita a Bernadette Soubirous in 18 apparizioni. Alla sedicesima, il 25 marzo – festa dell’Annunciazione – risponde alle richieste di Bernadette nelle precedenti apparizioni e rivela il suo nome: “Que soy era Immaculada Conceptiou”, basco per: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Quale migliore conferma alla proclamazione del dogma di un’altra apparizione in cui Maria parla del proprio concepimento?

***

Mentre San Massimiliano Kolbe è in seminario, a Roma, in Italia imperversa la massoneria con atteggiamento ostile alla Chiesa: in San Pietro sfilano manifestazioni con striscioni inneggianti a satana e ingiuriosi verso il Papa. Massimiliano si sente interpellato: “Possibile che i nostri nemici debbano tanto adoperarsi e avere la prevalenza e noi restare senza adoperarci con l’azione? Non abbiamo forse armi più potenti, come la protezione dell’Immacolata?”. 

La sera del 16 ottobre 1917, in una stanza del Collegio Internazionale dei Frati Minori Conventuali, in via San Teodoro, 42, Massimiliano Kolbe, con altri sei confratelli, fonda la Milizia dell’Immacolata (M.I.). Il programma originale:

LO SCOPO
Procurare che tutti gli uomini si convertano a Dio, siano essi peccatori o non cattolici o non credenti, in particolare i massoni; e che tutti diventino santi, sotto il patrocinio e per la mediazione della Vergine Immacolata.

LE CONDIZIONI
Consacrarsi totalmente alla Vergine Immacolata, ponendosi liberamente come strumento docile e generoso nelle sue mani. Portare la Medaglia Miracolosa. Iscrivere il proprio nome presso una sede canonicamente eretta.

I MEZZI DI APOSTOLATO
Pregare, far penitenza, offrire a Dio le fatiche e le sofferenze quotidiane della vita; rivolgersi, possibilmente ogni giorno, all’Immacolata con questa giaculatoria: “O Maria concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo, e per tutti coloro che a te non ricorrono, in special modo per i massoni”; usare ogni mezzo valido e legittimo per la conversione e santificazione degli uomini, secondo le possibilità, nei diversi stati e condizioni di vita, nelle occasioni che si presentano, il che viene affidato allo zelo e alla prudenza di ognuno. Mezzi particolarmente raccomandati sono: la diffusione della Medaglia Miracolosa e l’apostolato esercitato attraverso l’esempio, la parola e la stampa del Movimento. Elemento essenziale della M.I. è la consacrazione illimitata all’Immacolata. (Scritti Kolbe, 21).


La Medaglia Miracolosa sulla mia pettorina del lavoro

 

L’imperatore

Sono stato conquistato dal Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 di Beethoven, chiamato l’Imperatore. Mi sono accostato perché su Youtube c’è una versione con Mizuko Uchida al piano del 2022. All’inizio non mi colpiva, escludendo ovviamente il motivo iniziale, che rapisce subito; il resto ha fatto fatica a prendermi. È cresciuto in me... ora non c’è una nota che non mi piaccia. In questo, Beethoven è diverso da Mozart. Mozart ha un’esuberanza di idee musicali, ma molte, si può dire, trascurabili. Beethoven mi sembra più preciso, più chiaro. Ha meno cose da dire, perciò quelle poche le elabora e le lima, le prepara fino a farle divenire diamanti duri che risplendono. Non voglio entrare nel solito differenzialismo basato sulla maturità di Mozart. Beethoven è debitore di Mozart. Specialmente agli inizi ne è stato imitatore. D’atronde, da qualche parte le influenze devono pur arrivare. Beethoven, però, meno ispirato (quantità), le idee le mette in evidenza. Mozart ne ha talmente tante che spesso non sa dar loro giusto rilievo. Magari è questo il metro della maturità. Anche le sinfonie tarde di Mozart, dalla 35 alla 41, sono più definite, più chiare, le idee meno sprecate. Beethoven spreme al massimo ogni idea. Nessuna la lascia cadere senza prima averla munta fino alla fine.

Direi che l’Imperatore ha quattro motivi principali. Il primo e il secondo appaiono subito, ma il secondo è sviluppato solo più tardi nel primo movimento. Il secondo motivo è la sublimità, l’apice, il punto massimo di quest’opera di Beethoven. La Uchida riesce a renderlo come nessun altro. Ho provato ad ascoltare altre interpretazioni: certi maschioni pestano sui tasti come se non ci fosse un domani. La Uchida è l’unica che sa dare la giusta impostazione a questo motivo, presentato inizialmente ad archi, ripetuto poi tre volte a pianoforte solo, quelle note alte suonate delicatamente, quel passaggio di tonalità (credo), che dà un’idea di cosa significhi beatitudine in musica.
I secondi due motivi occupano il primo la prima e il secondo la seconda parte del secondo e ultimo movimento. L’Imperatore è composto di soli due movimenti. L’inizio del secondo movimento è conciliante, bello, ha agio e vastità, con una melodia di valore. Il finale orchestrato del secondo movimento, preparato a lungo dal pianoforte solista, resta in testa giorni. Quelle due note ravvicinate... al pianoforte sono solo due note ravvicinate, l’orchestrazione invece, tuonando sulla seconda, le rende grandiose.

Sto ascoltando quest’opera a raffica, non riesco a stancarmi. Mozart, per il momento, è accantonato. Va tenuto conto anche del poco tempo che ho. Se devo ascoltare qualcosa di Mozart, vado sul Concerto per pianoforte e orchestra n. 18, il mio preferito, o sul n. 9, che pure apprezzo. Per un po’, pur adorando la Sinfonia n. 9 di Beethoven e ascoltandola spesso, avevo messo da parte Beethoven perché avevo letto che era massone e che l’Inno alla gioia scritto da Schiller, che per me è un inno a Dio, è nato come araldo della massoneria. La verità è che anche Mozart ha aderito alla massoneria a un certo punto della vita. Chi, come me, ha vissuto a stretto contatto con l’ambiente di Chiesa ha imparato a chiudersi a riccio tutte le volte che sente le parole: “massone” o “massoneria”. Avevo proprio smesso di ascoltare la Sinfonia n. 9 di Beethoven. Ho chiesto consiglio al mio amico frate, che è esperto di storia, mi ha mandato una risposta via email spiegando che agli inizi la massoneria non era sinonimo di anti-clericalità e satanismo, era solo un’associazione che puntava ad alti ideali. I suoi membri però adoravano dèi pagani, il sole, il demiurgo e via dicendo. Quando San Massimiliano Kolbe è in seminario, nel 1917, i massoni vanno in piazza San Pietro manifestando in onore di satana e predicendo la fine della Chiesa. Ciò porta San Massimiliano a fondare la Milizia dell’Immacolata, di cui faccio parte. Ma questa è un’altra storia.

Le misericordie del Signore

Ho letto le schede su Santa Teresina. In effetti mi serviva un ripasso sulla grazia di Natale. L’ho sempre considerata una guarigione dai difetti, dalle patologie psicologiche. L’ho sempre raccontata per dire che tempi e momenti sono di Dio. Possiamo pregare per la guarigione, ma è lui che decide quando guarire e liberare. Per me la grazia di Natale ha sempre parlato di questo. Innanzitutto parla dell’importanza della preghiera, rivolta a Dio o a intercessori, quali possono essere ad esempio i fratellini e sorelline di Santa Teresina morti prematuramente; poi parla del fatto che la preghiera è esaudita. Dio, effettivamente, ascolta la preghiera ed esaudisce. L’aspetto più importante della grazia di Natale di Santa Teresina, però, è che parla del fatto che tempi e momenti sono del Padre, come dice Gesù. Questa idea è divisa in due. Primo, nell’attesa non bisogna smettere di pregare perché Dio mette alla prova la fede e la voglia di pregare. Secondo, Dio esaudisce spesso in modo eclatante, usando feste liturgiche e facendo vedere e capire chiaramente che ha agito, che ha esaudito e che ha scelto proprio quel momento perché si manifestasse chiaramente la sua opera. Tale eclatanza serve a rendere la guarigione, l’esaudimento, palese e visibile, in modo che sia raccontabile e trasmissibile, come di fatto fa Santa Teresina nel narrare ciò che è avvenuto, fino a metterlo per iscritto perché sia conosciuto dalle generazioni future (cf. Sal 48, 14). Per Dio la testimonianza è importantissima. Il racconto che facciamo delle sue grazie (“canterò le misericordie del Signore”) è uno dei motivi per cui le fa. Dio tiene alla propria gloria. Ci tiene perché vuole che tutti lo conoscano e in tal modo si salvino. A questo proposito, è utile che io stesso racconti alcune delle misericordie che mi ha usato Dio. Faccio il corriere Amazon quasi sei anni ormai. Tre anni e mezzo ho fatto consegne in città, Brescia. Ho consegnato ovunque, avendo modo di conoscere ogni angolo della città. Allo stesso tempo, occasionalmente mi hanno mandato, di tanto in tanto, a consegnare in varie zone della provincia. Da febbraio a settembre 2021 sono stato mandato a Castelgoffredo. Da settembre a Natale 2021 sono stato mandato di nuovo in città, e da Natale in poi ho avuto zone extracittadine, a seconda del giorno, Carpenedolo, Castenedolo, Montichiari, Borgosatollo, Calcinato, Lonato del Garda, Bedizzole, Nuvolera, Nuvolento, Prevalle, Calvisano, Visano, Isorella, Remedello, Gambara, Leno, Ghedi e Montirone. Su tutti questi paesi, a giro, si basa ormai più o meno la mia vita quotidiana, senza sapere la mattina dove andrò. Ciò di cui voglio parlare è che quando consegnavo in città e quando ho ripreso a consegnare in città ho sempre pregato perché, o mi fosse cambiato lavoro (in concomitanza mandavo in giro curriculum) o mi fosse permesso di non far più il lavoro in città ma in provincia. Ho pregato e mi sono sgolato, anche piangendo, ho rotto, come si dice, le orecchie a Gesù, perché la vita del corriere in città era insopportabile, inoltre so che ci sono state persone pie, a conoscenza del mio sconforto, che hanno preso a cuore la mia causa e hanno pregato per me. Ora, non so come esattamente queste persone hanno pregato, magari hanno solo detto: “Signore, esaudisci le sue preghiere”, o proprio: “Signore, concedigli di cambiare lavoro”. Sta di fatto che il miracolo è avvenuto. La città è stata pian piano affidata ad altre due ditte, di quelle che hanno l’appalto con Amazon al Centro di Smistamento di Castegnato e alla mia è rimasta tutta la parte della provincia che va dalla città al lago di Garda, al lago d’Idro e alla pianura (Gambara). La testimonianza è che la grazia di Dio è avvenuta. Si è realizzata. Ha ascoltato le preghiere, mie o di coloro che hanno pregato per me. Le persone che fanno oggi la città sono più adatte di me a farla. Sono più giovani o con meno paure e ansie, più veloci ad apprendere e in generale più veloci nel lavoro. Infatti, da quando ci sono loro il numero di consegne date al singolo, in città, è aumentato. Si vede che ero troppo lento. Non potrò mai finire di ringraziare Dio. Proprio l’altro giorno parlavo coi due ragazzi che fanno ora la città. Uno è bresciano, l’altro indiano ma nato a Brescia. Altri che fanno la città sono pakistani o Sikh, indossano perennemente il turbante. La gente ormai pensa che solo certe etnie debbano fare il corriere. Parecchi italiani che lo fanno sono la dimostrazione che non è vero. Però, da un lato, sono in sovrappeso, lento e pieno di paure, ansie e problemi psicologici. Certi clienti mi guardano come per dire: “Cosa ci fa questo a fare il corriere?”. Se me lo chiedessero risponderei: “Be’? Sono un ex-frate, ho lasciato la vita religiosa a 36 anni e mezzo e questo è l’unico lavoro che ho trovato. Lo faccio, facendo quello che posso, da quasi sei anni”. In questi sei anni ci son stati alti e bassi, ho preso multe per eccesso di velocità e divieto di sosta (tutte regolarmente pagate), ho fatto danni al furgone (graffi e ammaccature), ho rovinato arredi urbani, ho persino fatto un incidente, non rispettando uno stop. Insomma, ne ho fatte di tutti i colori. Ma in generale sono conosciuto per chiudere le mie rotte in autonomia e sempre dentro gli orari. Ora mi sto vantando ed è meglio che non lo faccia, perché ogni volta che lo faccio arrivano le batoste, nel senso che Dio mi umilia per essermi esaltato. “Se devo vantarmi, che mi vanti nel Signore”, dice San Paolo. Posso vantarmi infatti di avere un Dio che mi aiuta, che lavora per me, che rende in discesa le mie giornate, che toglie i pericoli dalla mia strada e le pietre d’inciampo dove poggia il mio piede. Anch’io potrei cantare le misericordie del Signore, come dice Santa Teresina. Anche a me sono stati fatti doni, anch’io ho ricevuto grazie. Il mio ringraziamento dev’essere incessante. Uno dei segni chiari della presenza di Dio nella mia vita, sotto la forma dell’Immacolata, Maria, è che sono mandato a fare consegne a Montichiari o Carpenedolo, dove, prima di iniziare a consegnare, la mattina, passo davanti al luogo detto: “Le Fontanelle”, dove Maria è apparsa a Pierina Gilli nel 1966. Quando sono in difficoltà o ho paura di essere in ritardo o sono stanco arrivo a far consegne in un luogo dove c’è una statua della Madonna di Lourdes (mani giunte) o dell’Immacolata di Rue du Bac (mani aperte) o della Madonna di Medjugorje (una mano sul cuore e una rivolta verso l’esterno). Spesso la statua è posta a protezione di un quartiere, altre volte è un dipinto di Madonna con bambino in un’edicola, altre volte è una statua in un giardino domestico. Ciò mi fa capire che sono osservato, seguito, protetto e funziona da consolazione. In quei momenti faccio sempre una breve preghiera mentale o anche un semplice: “Gesù...!”. Se vedo la statua o l’edicola di un santo, come quella di Sant’Eurosia, davanti alla quale passavo quando consegnavo a Peschiera del Garda, dico: “San..., prega per noi!”. Dio è ovunque, Maria è ovunque e i santi sono ovunque. Ho sempre motivo di rallegrarmi e considerare la presenza di Dio, nonostante la mia patologia mentale porti a negativizzare e vedere tutto nero. Purtroppo ho un disturbo ossessivo-compulsivo con aspetti paranoidali, roba seria.

Vivo di espedienti

Nel supermercato dove ho fatto la scenata, dal quale mi hanno cacciato, vendono crespelle già pronte, al prosciutto, formaggio, funghi, radicchio o asparagi. Nella vaschetta c’è una porzione per una persona e mezza, più o meno, l’ho sempre fatta fuori da solo. Le prepara qualcuno fuori e le portano al supermercato. Le hanno solo loro.

Domenica sono a pranzo dai soliti amici, una cara famiglia conosciuta tramite il gruppo di preghiera, l’Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi. Siccome ho menzionato le crespelle mi hanno chiesto di portarle. Ma nel supermercato dove ho fatto la scenata e dal quale mi hanno cacciato non posso più andare.

Non è l’unico supermercato a Brescia di quella catena. Ne ho individuato un altro a sette minuti d’auto da casa. Ho chiamato, ho chiesto se avevano le crespelle. Ne avevano sette vaschette, tre al prosciutto e quattro ai funghi. Meglio di così, anche la scelta. “Se vengo tra dieci minuti, le tiene da parte?”. “Certo, lo dico alla ragazza del banco salumeria”.

Entro, vado al banco salumeria: “Salve, ho chiamato dieci minuti fa per...”. “Sì, certo! Ecco!”. “...crespelle”. “Si faccia dare un sacchetto in cassa”. Pago, le metto in frigo.

Domenica a tavola siamo in sette. Le mangiamo alla faccia di chi mi ha cacciato.

Vivo di Provvidenza

C’è sempre qualcosa che non va. Ho anche scritto un post intitolato: “Non mi lamento”. Bisogna farlo, bisogna cogliere l’occasione per scrivere un post così, per ringraziare... Chiunque abbia pensato un po’ a Dio si rende conto che: “Tutto è grazia”, come dice Santa Teresina. Tutto ciò che accade nella vita, o viene da Dio o è permesso da Dio, ergo nulla è male nell’universo. Si pensi al discorso che si fa quando si dice: “Sì, la malattia mi ha fatto soffrire, ma quanto sono cresciuto, quanto ho guadagnato in sapienza, consapevolezza, serietà, quanto sono maturato, migliorato”, ecc. Col senno di poi ogni male è messo al suo posto.

Si capisce che l’unico male è il peccato, la caduta con deliberato consenso in un comportamento contrario alla legge di Dio. Ma anche il peccato, se così si può dire, fa bene. “Felix culpa” recita il preconio pasquale, felice colpa che ci ha meritato di ricevere una così grande grazia di misericordia. Se non avessimo peccato, non saremmo nemmeno stati redenti. È un discorso un po’ rischioso. Naturalmente è meglio non peccare, così: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Vogliamo vedere, sapere, capire. Ma è sufficiente la fede. Non c’è bisogno della prova o di veder segni. 

“Tutto è grazia”... tale consapevolezza porta a ringraziare Gesù per tutto ciò che abbiamo ricevuto, gli amici, i nemici, le gioie, i dolori. Ecco perché la preghiera più alta del cristiano, l’Eucaristia, non è altro che rendimento di grazie. Dobbiamo sempre cogliere l’occasione, quando siamo ispirati, per rendere grazie al Creatore. Il solo fatto che ci ha portato all’essere è motivo di rendimento di grazie. Lui è l’essere e per suo volere ha comunicato a noi l’essenza, sé stesso, facendoci a sua immagine e somiglianza. Così, siamo.

Talvolta ci accostiamo all’Eucaristia per forza, meccanicamente, rendiamo grazie a parole e gesti senza sentirlo davvero. Va bene anche questo: un’Ave Maria recitata meccanicamente è meglio di un’Ave Maria non recitata. Anche se va detto: un’Ave Maria pregata col cuore è meglio di dieci Ave Maria recitate meccanicamente. E insomma, tutta una gerarchia di cose... dalle migliori alle peggiori e viceversa. Come quando si fa un trattato di morale. Ci sono comportamenti cattivi, come l’omicidio, alleggeriti dalle attenuanti, come, nel caso dell’omicidio, la passione. E via dicendo... solo per dirne una.

Di fatto, mi sento appeso a un filo. Va tutto bene perché ho un lavoro, una casa, un’auto, una famiglia, amici, un gruppo di preghiera, un blog, lettori, commentatori... cosa dovrei volere di più? Eppure, come al solito, voglio di più, ma non da altri, bensì da me stesso. Non mi piaccio, non mi piaccio, non mi piaccio. Perché non riesco a crescere in virtù? Perché non riesco ad avere abitudini migliori? Do colpa al lavoro, che succhia le energie. Però, poi, come ho detto, non posso lamentarmi del lavoro. Eppure proprio tale lavoro mi impedisce di vivere meglio il tempo che non è lavoro. Quando sono a casa dormire, dormire, dormire. Cercare di riprendersi per il giorno successivo, quando sarà di nuovo  un’estenuante, infinta giornata. Non sono solo io, anche i colleghi più giovani patiscono. Si vede dalle facce dopo cinque giorni. Le barbe sfatte, le spalle senza sostegno, i saluti accennati. Allora qualcuno, nonostante la gradasseria da testosterone, osa proferire: “Sono stanco”. Ti capisco, fratello. È estenuante. Sono giornate infinite, piene di imprevisti e problemi. 

Certo, sono un professionista della lamentela. Riesco ad andare al pelo nell’uovo di qualsiasi attività sia costretto a fare. Altro non è che mormorazione. Mormorazione è parlar male verso l’alto, i superiori, la gerarchia. Verticale. Calunnia è parlar male dei pari. Orizzontale. La mormorazione, passando attraverso i superiori, arriva dritta a Dio. Poiché tutto ciò che accade è volontà sua o è permesso da lui. Quindi, sempre bisogna far riferimento a lui. Non si scappa.

Torno alla vita. La vita che mi delude. Quante persone stimo enormemente e ho paura di frequentarle perché non mi sento all’altezza. Signore, tu solo mi ami come sono, ma anche tu vuoi che faccia di tutto per cambiare, no? Sei come le donne. Vuoi da me non dico il miglioramento ma il costante sforzo, la tensione verso il miglioramento. Il tentativo. “Almeno ci ho provato”. 

Vivo di Provvidenza. Sono sempre appeso a un filo. Mi sembra di essere sempre al limite. Mi sembra sempre manchino le energie. “Come farò?”, mi chiedo. Eppure devo farlo, comunque, sempre, qualsiasi siano le condizioni. Sei stanco? Lo fai da stanco. Che paura... Vuoi essere scrittore? Scrivi la sera, dopo il lavoro, mentre si chiudono gli occhi. Altrimenti ti svegli un’ora prima e porti un’ora in meno di sonno sul lavoro.

Ma poi, quanto è autoreferenziale questa scrittura? Potrei dedicare il tempo che ho in più a dimagrire, magari facendo esercizi in casa o al volontariato. Eppure lo dedico alla scrittura. È che la scrittura ha quel fascino, quel prestigio che ti fa sentire che sei qualcosa. Quando vado sul lavoro guardo i colleghi operai dall’alto perché: “Io scrivo”. Sono convinto: Dio mi ha tolto la possibilità di scrivere proprio per l’autoreferenzialità con cui ho sempre praticato tale attività. Cerco l’immortalità o la grandezza? Sono cose diverse... L’immortalità, quella vera, equivale alla santità, che è dono di sé... dono di sé equivale a mettersi in secondo piano per far risaltare altri. Come in un matrimonio, quando ci si rende conto che il coniuge è migliore, ha più probabilità di far carriera o non necessariamente, può anche essere che il coniuge sia ugualmente capace, alla stessa altezza, eppure per andare avanti un ego va sacrificato, perché due geni non riescono a convivere. Sofia Tolstaja correggeva le bozze del marito. Quante volte un marito non riesce a sopportare che la moglie guadagni di più. L’esempio dev’essere l’umiltà di San Giovanni Battista, che dice: “Egli deve crescere e io invece diminuire”, dimostrandosi figlio di sua madre, Santa Elisabetta, la quale dice: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Già sapevano, capivano... dalle profezie, dagli interventi angelici... chi era precursore e chi Signore...

La Provvidenza arriva quando non si hanno più mezzi umani. Sono costantemente allo stremo delle forze, al limite. Sento di non poter superare ciò che sono. Già do il massimo, tuttavia sono minore di altri uomini, ma non è questo... è la sensazione di non star realmente dando il massimo, di poter fare di più ma di non farlo per pigrizia... anche gli esempi che vedo e sento non aiutano... se è vero ciò che dice Platone, che la virtù non si può insegnare – ciò di cui sono esempio i figli di Pericle, figli di tanto padre ma, sebbene in più affidati ai migliori tutori, scaccioni –, neanche l’esempio delle persone grandi, forti, capaci, riuscite può aiutare, ecco perché i sofisti sono avversati da Socrate, i cosiddetti insegnanti di virtù che prosciugavano gli averi dei giovani di buona famiglia in cerca di successo, ossia di qualcuno che potesse insegnar loro come ottenerlo... se la virtù non si può insegnare anche l’esempio non serve... 

Datemi, amatemi anche se non vi piaccio, anche se sono sotto di voi. Non pretendete che cambi per poi, allora sì, amarmi. Sono così... desidero un po’ di pace...

Lost it

Giorno libero, aspetto le due per andare al supermercato, è l’ora più tranquilla, sono tutti a mangiare o riposare, a qualsiasi altra ora è pieno, specialmente tarda mattina e tardo pomeriggio. Già ho un senso di fastidio ad andare al supermercato, probabilmente dovuto a tutte le volte in cui sono stato vicino a perdere la pazienza che si sono inconsciamente sedimentate nell’anima. Mi farei mozzare un piede prima di metterlo in quel supermercato. È anche carissimo. Ma è il più vicino a casa e tra andare e tornare, con la spesa sempre uguale che faccio, ci metto meno di mezz’ora. Nonostante il senso di fastidio mi decido e vado.

Per andare all’altro supermercato vicino a casa devo prendere la macchina, e fuori c’è un ragazzo di colore al quale ho dato un bel po’ di soldi e che ho anche provato ad aiutare a ottenere il permesso di soggiorno portandolo a un centro aiuto migranti, che ogni volta mi ferma e mi tiene mezz’ora, con abbracci e baci, per ringraziare ma anche per ottenere qualche soldo, la verità è che quando ho provato ad aiutarlo non si è fidato di me, ha continuato a mentire al giudice dicendo che era gay perché così i suoi connazionali lo hanno consigliato, i gay in alcune nazioni africane sono proibiti quindi chi dice di essere gay ottiene lo stato di rifugiato. Ha provato questa menzogna: sono otto anni che aspetta il permesso di soggiorno. Sta davanti al supermercato tutto il giorno, parla solo inglese, l’italiano due parole, non ha mai fatto il minimo sforzo per trovare lavoro, si vede che riesce a campare così, però non è neanche giusto, ti aiuto per arrivare all’obiettivo di trovare lavoro e non farti più stare a rompere le palle alla gente fuori dal supermercato e tu te ne infischi? Solo i soldi vuoi, per il resto vuoi fare di testa tua, e allora vai a quel paese. Tra l’altro è nigeriano, cristiano, ha moglie e figli in Nigeria. I miei aiuti hanno fatto felice tutta la famiglia, che ora prega per me. Ma non ho più un soldo, questo mese ho tre appuntamenti dal dentista e un quarto a dicembre. Andare nel suo supermercato è un fastidio, per dovermi trovare ogni volta a chiaccherare dei suoi problemi, che è il primo a non voler risolvere. 

In quello in cui vado hanno solo tre casse vicine a una colonna, ciò fa sì che le persone non si mettono in coda ciascuno a una cassa, tutti si fermano dietro la colonna e la prima cassa che si libera si buttano. Non è giusto, devi scegliere una cassa e andare lì, non far formare un’unica coda dietro le casse. Già una volta ho litigato con un signore per questo motivo, secondo lui gli passavo davanti, invece stavo solo dirigendomi a una cassa mentre lui stava indietro aspettando la prima che si liberasse. “C’è una coda, c’è un’altra coda e un’altra coda. Ne scelga una e si metta lì. Non può stare qua a bloccare tutti”. Il supermercato è ricavato all’interno di un’ex fabbrica dismessa, ha i suoi problemi di spazio, d’altronde è in una zona relativamente centrale della città, non si può pretendere. Però bisogna anche dire che nessuno del supermercato ha mai fatto niente per aiutare i clienti a regolare le code. I clienti sono sempre stati abbandonati a loro stessi e ai loro litigi.

Ci sono solo due casse fai-da-te. Non c’è un addetto alle casse fai-da-te. Siccome le casse fai-da-te sono accanto a una delle casse normali, chi è in quella cassa deve anche occuparsi dei problemi che si verificano alle casse fai-da-te. Tutto rallenta. Uno dei problemi tipici delle casse fai-da-te è che se hai comprato un cestello da sei bottiglie d’acqua non puoi scansionare il codice a barre che c’è sul manico, devi scansionare il codice a barre sulla bottiglia e scrivere: “6” sul monitor. Nessuno lo sa fare. “Attendere l’arrivo di un addetto”. L’addetto però è in cassa. Se ne occupa da lontano, stando seduto, schiacciando un bottone su un palmare per sbloccare la cassa fai-da-te e dicendo al cliente come comportarsi. Naturalmente chi è in fila in quella cassa viene messo in secondo piano. 

Ho visto cose che voi umani...

Hanno dei POS coi pulsanti sensibilissimi, quando schiacci partono due o tre digitazioni. È capitato a me, che sono giovane e ho la mano ferma, di dover ricomporre il PIN più volte a causa di questo problema.

Quel giorno ero il terzo in coda e a pagare c’era una signora anziana. La signora non riusciva a digitare il PIN, ogni volta partivano due o tre numeri. La gente in coda iniziava a scaldarsi. Tutti davano la colpa alla signora.

Invece la colpa è del supermercato, che non provvede POS che funzionino a dovere.

La cassiera dice alla signora: “Vuole scrivere il suo PIN su un foglietto e glielo digito io?”.

Ho visto cose...

La signora a un certo punto legge: “Transazione eseguita”. Alucinazioni? Fatto sta che lo scontrino non esce. “No, signora, deve riprovare. Vede? Lo scontrino non è uscito”.

“Non sono mica scema, sa? C’era scritto: Transazione eseguita. Vuol dire che ho già pagato. Fatemi parlare col direttore”. 

Il direttore è una ragazza seduta lì vicino, in un box circondato da muretti a parapetto di legno.

Ho perso la pazienza, che devo dire? Non ho scusanti. In tutto questo va aggiunto che era aperta una sola cassa e nessuno ha pensato di aprirne un’altra per ovviare al disguido e far comunque scorrere la coda. Ho cominciato a dire a quella davanti a me: “Non è colpa della signora. È colpa del supermercato. Sono loro che hanno i POS che non funzionano”. A questo punto mi è partito l’embolo. Tutti, staff, compreso, se la prendevano con la vecchia nel supermercato più disfunzionale e caro di sempre, che ha come unico vantaggio la posizione. Ho alzato la voce. “La colpa è vostra! È sempre così! Siete voi che dovete mettere dei POS nuovi! Sono anni che va avanti questa situazione! Neanche un discount ha dei POS così scassati. È successo anche a me di dover digitare più volte il PIN, non è colpa della signora! Fate schifo! Siete gli unici! Fate schifo!”. Arrivato qui ho iniziato a vacillare, mi rendevo conto che stavo facendo una scenata, che stavo urlando a squarciagola e che tutto il supermercato stava ascoltando. La passione mi aveva fatto perdere pure il filo. Non avevo più argomenti. Continuavo a dire: “Fate schifo!”.

Un ragazzo dello staff, che di fronte alle donzelle doveva fare il coraggioso, mi ha fronteggiato. “Perché non va a fare la spesa in un discount, allora?”.

Ho versato la mia borsa a terra dov’ero e sono uscito. Sono anche contento di non dover più mettere piede in quel posto, dove sono sempre stato trattato con sufficienza e dal quale sono sempre uscito irritato.

Mi sono reso conto solo verso sera che avevo ignobilmente perso la pazienza e che non capivo neanche dov’ero né cosa dicevo. Quando ho visto tutta la gente prendersela con la vecchia non ci ho più visto. Ho perso il controllo. Probabilmente è venuta fuori tutta la rabbia che accumulo giorno dopo giorno giocando il ruolo del remissivo. Nessuno avrebbe potuto fermarmi o condurmi alla ragione. Capisco l’attenuante della passione d’ira momentanea che porta a certi delitti. In quei momenti non si capisce nulla.

Mi sono confessato. Ma soprattutto sono stato cacciato dal supermercato. Mi tocca riorganizzare la mia vita a causa di questo evento. Ho già individuato un supermercato non troppo lontano dove posso andare quando torno dal lavoro. Dovrei farcela. Se non ci si mettessero anche i colleghi che chiedono passaggi...

Faccia a faccia

Due parole sulla scena di Heat (Michael Mann) in cui Al Pacino e Robert De Niro sono uno di fronte all’altro.

È da tempo che cerco di decidere chi preferisco tra i due. Uno dei due è il mio attore preferito.

Conta il fatto che il mio film preferito sia Glengarry Glenn Ross (Americani) in cui Pacino è al massimo. Però tra i dieci miei film preferiti c’è sicuramente Taxi driver, in cui De Niro è giovane e meraviglioso. Nel solitario e paranoico Travis Bickle trovo anche più me stesso.

Entrambi sono mostri. Chi mi piace di più? L’equilibrio, diciamolo subito, è sempre stato sbilanciato verso De Niro. Non dico che mi piace di più come attore, ma come personalità, come uomo. Ricordo di aver letto che in The mission il suo carisma metteva in soggezione tutti nella crew. Ma questo anche perché cercava di stare il più possibile, sin dall’inizio, nella parte.

Pacino è diverso. Quando è fuori carattere è un amicone, un piacione. Eppure anche lui è capace di rabbia e durezza da far tremare.

Faccio una lista di film. Di Pacino mi viene in mente, a parte Glengarry Glenn Ross, Dog day afternoon, And justice for allScent of a woman, Frankie and Johnnie, Heat...

Di De Niro Mean streets, Taxi driver, Raging bull, The untouchables, Goodfellas, Casino, Analyze this, Meet the parents, The Irishman, Heat, Dirty grandpa, Awakenings, The deer hunter, The intern...

Insomma, penso di aver visto più cose di De Niro che di Pacino. Mi ha sempre attratto di più, perciò l’ho seguito di più. Come ho detto, è la persona che mi attrae, il suo nascondimento, il suo lavoro assiduo, il suo commitment a un personaggio o a un’opera.

Prendiamo i due film in cui Pacino e De Niro interpretano qualcosa di prodigioso mettendo alla prova al massimo le loro capacità di attore: Scent of a woman, in cui Pacino interpreta un cieco e Awakenings, in cui De Niro interpreta un uomo affetto da Parkinson. Direi che qui è sicuramente De Niro a battere Pacino. Basta guardare qualche scena su Youtube per capire il livello di impegno necessario per dare credibilità alla malattia, mentre la cecità di Scent of a woman, sebbene credibile, è meno faticosa da rendere e più affettata.

Ecco, direi questo. Pacino è più attore-attore, uno che affetta, uno che finge. Ha grandi capacità in quest’arte e grande espressività.

De Niro invece mi sembra meno capace da questo punto di vista. Ha meno range espressivo, però nella sua vita ha affrontato ogni parte, ogni personaggio, con una dedizione e una donazione di sé totale, cosa che Pacino non ha mai avuto bisogno di fare perché più dotato.

Prendiamo Raging bull... Oscar meritatissimo e operazione attoriale (ingrassare) fuori dal comune, allora all’avanguardia e insuperabile.

Poi, dalla scena di Heat, il face to face, secondo me emerge appunto che Pacino è più dotato e più espressivo. Se la si guarda bene, si vede che i movimenti facciali e del corpo di Pacino sono numerosi e superano parecchio quelli di De Niro. Però qui Pacino sta facendo Pacino, non ha creato un personaggio tanto diverso da ciò che ha fatto altre volte. Invece De Niro, nella sua immobilità e fissità, nella sua inespressività, sta interpretando un personaggio ben preciso che si inserisce perfettamente nella storia. Diciamo pure che De Niro non riuscirebbe a battere Pacino in un duello di espressività, ma sapendolo non ci prova neanche. Lascia Pacino fare il suo lavoro, mentre lui fa il suo.

L’attore più dotato dalla natura secondo me è Pacino, ma il più grande, considerati anche i risultati conseguiti con la dotazione di partenza, è De Niro. De Niro nella vita ha lavorato di più, ha fatto più fatica, ha usato il metodo Stanilawskij per entrare nei personaggi perché non avrebbe potuto intrattenere il pubblico con doti espressive o col linguaggio del corpo. Non è un intrattenitore. Si è sempre messo a servizio della storia, nascondendo, uccidendo se stesso, spersonalizzandosi per creare personaggi riconoscibili e definiti.

Sì, in definitiva direi che la mia scelta cade su De Niro, anche se Pacino è un attore formidabile.



L’episodio di Anania e Saffira

Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per sé una parte dell'importo d'accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse: «Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio». All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell’accaduto. Pietro le chiese: «Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?». Ed essa: «Sì, a tanto». Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te». D’improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose. (At 5, 1-11)

***

Direi che il peccato della coppia è aver “mentito allo Spirito Santo”’ e “tentato lo Spirito del Signore”. Potevano conservare i propri beni e far parte ugualmente della Chiesa facendosi battezzare. Nessuno gli avrebbe detto niente. Ma dire: “Do una parte, e l’altra, di nascosto, me la tengo” è un affronto alla verità e a tutti coloro che in quel tempo mettevano realmente ai piedi degli apostoli i loro beni. È così che hanno vissuto Gesù e gli apostoli negli anni in cui hanno vissuto insieme. Perlopiù vivevano di elemosina, ma per quanto riguarda il poco che avevano, Giuda teneva la cassa, che serviva anche per fare le elemosine.

Personalmente sono d’accordo col mettere le risorse in comune. La Chiesa dovrebbe essere così anche oggi, ed è ciò che cerca di fare, spesso un po’ troppo malamente. La vita consacrata è così. Il voto di povertà afferma che non si ha nulla di proprio, ma tutto ciò che si ha, o si guadagna, va alla comunità.

C’è anche il sarcastico dialogo del film The mission tra il cardinale che va in visita e un missionario.

– And how was it distributed?
– It is shared among them equally. This is a community.
– Yes, there is a French radical group that teaches that doctrine.
– Your Eminence, it was the doctrine of the early Christians

All’inizio della Chiesa, quando questa era ancora piccola e grandi quantità di Spirito Santo albergavano in ciascuno, soprattutto negli apostoli, Pietro in testa (oggi, essendo più estesa, ciascuno ha meno Spirito Santo, diciamo quanto basta per tirare avanti, non per compiere miracoli), fare uno sgarro alla Chiesa nascente è evidentemente stato considerato da Dio un grave peccato, punito con la morte. Pietro qui è solo un tramite. In quei primi tempi, come si legge anche altrove negli Atti, agli apostoli erano accompagnati ovunque da segni e prodigi, che Dio operava per confermare il loro annuncio.

Certo, la morte è una punizione grave. Ma va letta soprattutto alla luce delle frasi seguenti: “E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano”, “E un grande timore si diffuse in tutta lal Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose”. Dio ha grande passione per la propria gloria. Vuol’essere conosciuto e vuole che si conosca la sua potenza, perché vuole condurre il più grande possibile numero di uomini a sé in modo che si salvino. Considera questo passo del cap. 36 del profeta Geremia: “Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d'Israele, ma per amore del mio nome santo”.

Anche Israele, nella storia è stato solo un tramite. Dio ha usato un piccolo popolo per iniziare a manifestarsi, ma il suo obiettivo sono tutte le genti. Mi autocito, in un mio post che s’intitola Precedenze cerco di argomentare che la scelta del popolo di Israele non è tanto una predilezione quanto una precedenza.
Dio non nega le leggi fisiche che lui stesso ha creato. Se vuole distribuire qualcosa, lo mette nelle mani di qualcuno e si aspetta che quel qualcuno faccia il lavoro logistico della distribuzione. L’ideale di Dio è naturalmente la distruibuzione equa, ponderata (a ciascuno ciò di cui ha bisogno), delle risorse.

San Paolo e le donne

Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. (1Cor 14, 34-35)

Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei... (Ef 5, 22-25)

Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell'incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere. Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie. (1Cor 7, 1-11)

La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (1Tim 2, 11-15)

Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. (1Cor 11, 3-10)

Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore. (Col 3, 18)

***

Non mi ero ancora accostato alla questione. La prima cosa che mi viene da dire è che la Sacra Scrittura è Parola di Dio, quindi dico subito che prendo queste parole per buone in quanto divina rivelazione.
San Paolo è un fondatore di comunità e dunque un legislatore. Ciò che Mosè è per l’Antico Testamento, San Paolo è per il nuovo. Le due figure sono assimilabili anche per la vita lunga e avventurosa. Dio li ha fatti passare attraverso numerose prove. La loro chiamata è inoltre frutto di una rivelazione. A Mosè Dio ha parlato dal roveto ardente, a San Paolo Gesù si è rivelato sulla strada di Damasco. Mosè era esperto nella filosofia e teologia, seppur politeistica, dell’antico Egitto; San Paolo lo era in quella dei greci, e sappiamo quanto simili siano queste culture, con miti e dèi sovrapponibili, ecc.

L’accostamento di San Paolo a Mosè non lo faccio a caso. Gli scritti di San Paolo, che aveva la responsabilità di regolare comunità appena fondate, anche a distanza poiché era sempre in viaggio (da qui le lettere), sono il tentativo di aggiornare la legge mosaica e di adattarla, conservandone solo una parte, a coloro che credevano in Gesù e al suo messaggio. Gesù dice: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5, 17-19).

San Giacomo il maggiore, apostolo e primo vescovo di Gerusalemme, come si legge negli Atti degli Apostoli, dopo il primo concilio tenuto tra gli apostoli, dice che hanno deliberato di non imporre la legge mosaica ai pagani convertiti: “Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe” (At 15, 19-21).

Per quanto riguarda il primato dell’uomo sulla donna, lo chiamerei una priorità creaturale. Come si legge nella prima lettera a Timoteo, Adamo è stato creato prima di Eva. Faccio come gli accademici e cito me stesso. Ho scritto un post intitolato: “Le ragioni della cecità” in cui parlo dell’importanza dell’ordine creaturale, ossia della gerarchia delle cose create. Prima c’è Dio (in Fedro si legge che tutte le cose devono avere un principio, ma il principio non ha principio, altrimenti non sarebbe il principio, perciò il principio non ha inizio, e non ha nemmeno fine altrimenti tutte le cose che sono cesserebbero). Poi, come si legge in Repubblica, ci sono le cose “generate e non create” (per citare il Credo cattolico), ossia le cose invisibili, le idee, delle quali ne esiste una per ogni specie e sono coglibili dall’intelletto; e poi le cose visibili, in cui si incarnano le invisibili, che sono molteplici e percepibili dai sensi. E così via. In ‘Repubblica’ tra la fine del libro VI e l’inizio del VII (mito della caverna) è delineata una divisione in quattro, a scendere, delle cose create. Una versione semplificata è il Cantico di Daniele (Dn 3, 57-88), che ho messo nel post.

Va tenuto inoltre conto che Dio è un uomo, non una donna. Il Figlio, la seconda persona della Trinità, è unigenito, ossia generato senza accoppiamento, ma da un impulso del Padre che ha fatto tutto da solo.

Volendo, si può dire che la più perfetta di tutte le creature, in quanto creatura più vicina a Cristo è una donna, Maria. Maria è più grande del sole, della luna e di qualsiasi altra creatura, persino dell’universo preso nel suo insieme (questa è la dignità data all’uomo nell’antropologia cristiana). Ma Maria resta pur sempre creatura. Un padre della Chiesa la chiamava “complementum sanctissimae Trinitatis”, non a caso dopo la Resurrezione e Ascensione al cielo di Gesù e dopo la sua stessa Assunzione, è stata da Dio stesso incoronata Regina del cielo e della terra, di tutti gli angeli e di tutti i santi (“Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli”, Mc 12, 25). La gloria e la dignità di Maria secondo me sono già un argomento sufficiente a confutare chi taccia il Cristianesimo di essere misogino.

Ad ogni modo, tornando a San Paolo, penso che si basi semplicemente sull’ordine creaturale. In tal modo la donna assume un ruolo secondario e minore. È stata creata per seconda, Dio ha voluto così. Se una donna ha fede in ciò che dice la Bibbia, prenderà per buono anche ciò che ne consegue, cioè le regole pratiche stabilite da San Paolo, come coprirsi il capo per pregare come segno di minorità, e le altre cose, l’obbedienza al marito, ecc.

Il mistero del rapporto tra Cristo e Chiesa da un lato e tra marito e moglie dall’altro invece è un bellissimo tema da esplorare, tenendo presente che mariologi di spicco dicono che Maria è la Chiesa a livello mistico, e non solo madre della Chiesa. Non è la Chiesa, oggi, a generare Gesù? Per comprendere queste cose è utile ragionare sugli scritti paolini che parlano della Chiesa come corpo di Cristo, dove Cristo è il capo.

Ecco, direi che non ho altro da aggiungere; questo è più o meno tutto ciò che ho da dire sull’argomento. Su questa pagina Wikipedia c’è una serie di figure femminili, citate nelle lettere paoline, che avevano ruoli preminenti nelle comunità cristiane, come congreganti, diaconesse, ecc. trovi una serie di figure femminili, citate nelle lettere paoline, che avevano ruoli preminenti nelle comunità cristiane, come congreganti, diaconesse, ecc. Ci sono anche i riferimenti a vari articoli accademici che approfondiscono l’argomento.

Non mi lamento

Ultimamente non sto tanto male, per cui ringrazio. Chi ringrazio? Indovinato. A parte gli scherzi, non c’è nessun altro da ringraziare se non lui, poiché è lui la fonte di ogni bene. Come ha iniziato la mia intelligenza a credere in Dio? Con la natura. L’osservazione della regolarità della natura porta a pensare a un’intelligenza alla base. Quando ancora penso agli inizi, penso alla felce. Sì, proprio la felce. La foglia di felce, anche se va bene qualsiasi foglia o le mani. La simmetria, il fatto che il numero è sempre lo stesso, tolte le eccezioni che possono pur esserci. Le leggi che governano la natura... la scienza a me non ha portato lontano da Dio, ma a credere in Dio. Le regolarità dell’universo mi portano a pensare che non può non esserci qualcosa di regolare che le ha create. Cos’è questa regolarità se non ordine che delimita il caos? Stare nei parchi, osservare le foglie, considerare le regolarità della natura è ciò che mi ha portato a Dio. È anche ciò che direi a qualcuno che mi chiedesse le ragioni ultime della mia fede. È partito tutto da lì, l’osservazione della natura, del cosmo, kosmos che in greco significa ordine. Poi c’è stato tanto, tanto altro; tutto ciò che ha contribuito a consolidare la fede e la convinzione che c’è un ente creatore intelligente, in quanto se ordinato è intelligente. Se produce ordine, non può che essere ordinato, con una forma. Il suo essere, poi, che dà ordine a tutto il resto lo fa essere superiore a tutto il resto. Dalla natura, da lì tutto è iniziato. L’universo è governato da leggi.

È stato Socrate, dopo, a insegnarmi come trascendere la natura e dedicarmi agli enti in sé, ossia prima dell’incarnazione, della partecipazione alla materia. Gli enti in sé sono invisibili ma intelligibili, ossia non percepibili dai sensi ma coglibili con l’intelletto. Il momento in cui l’intelletto coglie cos’è un ente è il momento in cui sa cos’è.

Il lavoro mi ha dato un po’ di tregua, non mi preoccupa più in modo esagerato. Devo pur sempre prendere tre farmaci: un antipsicotico (Abilify), un leggero antidepressivo (Duloxetina) e un sonnifero (Felison). Dormo sempre tanto, dalle 9 alle 11 ore. Tutto in funzione del lavoro. La colazione consta di otto fette di pane tostato con marmellata, senza burro, più una busta di affettati; è vero che a pranzo non mangio, ciò però significa anche che arrivo a sera famelico, perciò mangio troppo e ciò prima di andare a dormire (ancora una busta di affettati). Tutto in funzione del lavoro. Non ho una vita. Lavoro e dormo. Non riuscirei a privarmi di tutte queste precauzioni pensate per condurmi a prestazioni lavorative sufficienti. Dico sufficienti, anzi appena sufficienti, non certo ottimali. Perché a 43 anni non posso certo permettermi di essere al 100% tutti i giorni e lavorare come i colleghi 30enni. Certo, ci può essere il giorno della prestazione. Performance day! Quante volte capiterà, una al mese? Sì, diciamo, più o meno, giu di lì. Forse sono giunto al punto in cui potrei smettere di prendere il sonnifero.

Il primo degli altri due farmaci me lo diedero dopo il primo ricovero durato un mese. L’Abilify, cioè l’antipsicotico, è un farmaco da matti. Le psicosi infatti sono le patologie che più facilmente associamo alla malattia mentale. Per capirci, sono quelle di chi vede gli elefanti che volano, di chi crede di essere Napoleone, ecc. Ho una percezione della realtà, una visione della realtà, per così dire, distorta. Tendo a leggere i segni, ecc. C’è un post su questo – cito me stesso come gli accademici. La prima volta, dopo avermi diagnosticato un “disturbo ossessivo-compulsivo con effetti paranoidali”, mi prescrissero l’Abilify. Cosa fa l’Abilify? Diminuisce il numero di pensieri, diminuendo così anche quelli disfunzionali. I pensieri disfunzionali sono quelli che portano ad azioni controproducenti. Meno ne abbiamo, meglio è.

La seconda volta che fui ricoverato fu un anno e mezzo dopo la prima. Di notte tornarono persecuzioni di sensi di colpa. Non solo avevo abbandonato la vita religiosa; mentre ero religioso, ero stato causa di abbandono di vari confratelli: avevo causato la perdita di vari sacerdoti alla Chiesa, colpa gravissima. Ero convinto di essere condannato per l’eternità e che per me non ci fosse più possibilità di perdono. Partii in treno e feci due giorni a Napoli dormendo all’aperto, una notte alle porte della città e una notte in un bosco, sotto una pioggia fine. Ero convinto che a causa delle mie colpe dovevo fare una brutta fine, che i camorristi, che controllano l’attività dei senzatetto, mi avrebbero trovato e avrebbero fatto di me ciò che volevano, tipo spezzarmi le gambe per mettermi definitivamente a fare l’elemosina come fanno, coi loro connazionali storpi, i rom. C’è chi dice che li storpiano loro. Dopo due giorni passati a camminare mi stufai e tornai a casa. Ecco le azioni controproducenti determinate dai pensieri disfunzionali. Parlo del 2018, l’altro ieri! Fino a così poco tempo fa, si sono spinte le mie azioni da matto. Sono proprio matto da legare. In seguito a questo episodio ebbi il secondo ricovero.

Lo psichiatra, credente come me, mi mise di fronte alle mie convinzioni. “Credi davvero non ci sia per te possibilità di perdono?”. Ci pensai un attimo e mi resi conto che la mia risposta non era quella che mi aveva portato a Napoli. Credo fermamente nel perdono anche delle più grandi colpe, purché l’uomo sia pentito e si avvalga del sacramento della Confessione. Credo che Gesù abbia conquistato il perdono per tutti, a patto che si riconoscano le proprie colpe e lo si chieda. Lo psichiatra mi guardò come a dire: “E allora io, con tutti gli errori che ho fatto e faccio con le persone che mi affidano, in quanto non sono perfetto, sono entrato nella psichiatria nella convinzione che avrei aiutato le persone, mi ritrovo a fare il pusher e ad avere sempre poche, se non nessuna, prospettive di guarigione...”. Pensai: “Anche di fronte a lui non posso rinnegare la mia fede, la nostra fede, che è una fede nella misericordia infinita di Dio”. Mi svegliai, mi resi conto che una redenzione, magari tardiva, ci sarebbe stata se avessi invocato il perdono e avessi dedicato la vita al lavoro, al sacrificio e all’espiazione unita a quella conquistatami dal sacrificio di Nostro Signore.

Fui rimandato a casa, questa volta con l’aggiunta di un sonnifero, che doveva  aiutarmi a superare le tensioni che ogni notte mi agitavano al pensiero del lavoro. Al tempo lavoravo in città, in mezzo al traffico e alla gente che guardava ogni gesto che facevo, giudicando le mie capacità. Fui passato al CPS (Centro Psico-Sociale), il cui psichiatra, qualche mese dopo, dato che gli avevo detto che avevo trovato uno scarafaggio in casa, mi prescrisse il leggero antidepressivo (Duloxetina) perché mi desse un po’ di brio, per fare le pulizie. Vivevo in un monolocale al primo piano di una vecchia cascina ristrutturata in un quartiere di Brescia che può considerarsi campagna, le Fornaci, normale ci fosse un insetto. Solo che per come la misi giù allo psichiatra, dicendo che ero un po’ pigro e facevo poco le pulizie (una volta a settimana, il lavoro non mi permetteva di più), la prese come una forma di depressione. Questo, fanno gli psichiatri del CPS. Trovi uno scarafaggio: antidepressivo.

Così oggi prendo tre farmaci: un antipsicotico (Abilify), un sonnifero (Felison) e un leggero antidepressivo (Duloxetina). Ormai sono dipendente. Li prenderò per tutta la vita. La mia patologia non è guaribile, è solo, in gergo, compensabile. L’Abilify (antipsicotico) serve a contenere la patologia. Della Duloxetina (leggero antidepressivo) e del Felison (sonnifero) forse potrei fare a meno. Come dicevo, ultimamente non sto tanto male, il lavoro non mi dà più tanti problemi.

Mi va bene così, tutto sommato. Non me la passo male. Consegno a Carpenedolo, Montichiari e Castenedolo. Le cose più difficili sono i centri storici e azzeccare gli orari delle attività. Ma non faccio né città né lago, dove d’estate bisogna combattere con code di macchine create dai turisti. Tedeschi, olandesi, inglesi, americani e canadesi affollano il lago di Garda, ci tengono a far vedere che non sono italiani e perciò guidano a 40 all’ora. Insomma, Dio ha ascoltato le mie preghiere, mi ha dato zone facili che ora conosco bene. Il lavoro non è più fonte di tensione estrema, soprattutto non è più fonte di insonnia. Ho ancora poca vita, pulisco ancora la casa una volta a settimana ma, essendo al terzo piano in città, non ho scarafaggi. Con l’aiuto di mia madre, che ha versato un cospicuo anticipo, ho comprato casa.

Invecchio e devo andare dal dentista a curare otto carie. Le domeniche in cui non lavoro sono a pranzo da una famiglia amica. Spesso do un passaggio dopo il lavoro a un collega palermitano il quale per sdebitarsi (guai a fare un favore a un palermitano, non lo accetterà, l’orgoglio è troppo grande, deve per forza ricambiare) mi invita a cena. Poi c’è il gruppo di preghiera, l’Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi che si riunisce una domenica al mese. Programma: Lodi mattutine, conferenza (quest’anno abbiamo fatto Storia di un’anima di Santa Teresina), tre quarti d’ora di preghiera o meditazione personale con Adorazione, messa, pranzo, condivisione, Vespri. Ogni tanto riesco anche a scrivere. Faccio post di cui programmo la pubblicazione la domenica mattina. Vorrei scrivere un romanzo. C’è Mozart che allieta le sere e altre parti della vita. Quasi tutte le mattine prego le Lodi e mi inginocchio per chiedere una buona giornata lavorativa e grazie per tutti coloro che sono stati affidati alla mia preghiera, in particolare per coloro che pregano regolarmente per me.

Scrivo questo post perché mi sembra di avere una vita troppo priva di problemi e invece di intensificare la preghiera – i ringraziamenti – vado diminuendola. Come quelli che pregano solo quando hanno problemi... invece, il carisma carmelitano o teresiano (da Santa Teresa d’Avila) insegna la preghiera come dialogo amoroso con Gesù. Questo, nella mia pigrizia, non sono mai riuscito a praticarlo con costanza. La costanza... la perseveranza... come mi fanno male queste parole... doti che non sono mai riuscito ad avere... il pensiero di fare una cosa tutti i giorni mi uccide. Costanza, perseveranza, quando verrete a me? Nemmeno le cose che amo di piùe a cui devo di più, come la preghiera, riesco a fare giorno dopo giorno.