C’è sempre qualcosa che non va. Ho anche scritto un post intitolato: “Non mi lamento”. Bisogna farlo, bisogna cogliere l’occasione per scrivere un post così, per ringraziare... Chiunque abbia pensato un po’ a Dio si rende conto che: “Tutto è grazia”, come dice Santa Teresina. Tutto ciò che accade nella vita, o viene da Dio o è permesso da Dio, ergo nulla è male nell’universo. Si pensi al discorso che si fa quando si dice: “Sì, la malattia mi ha fatto soffrire, ma quanto sono cresciuto, quanto ho guadagnato in sapienza, consapevolezza, serietà, quanto sono maturato, migliorato”, ecc. Col senno di poi ogni male è messo al suo posto.
Si capisce che l’unico male è il peccato, la caduta con deliberato consenso in un comportamento contrario alla legge di Dio. Ma anche il peccato, se così si può dire, fa bene. “Felix culpa” recita il preconio pasquale, felice colpa che ci ha meritato di ricevere una così grande grazia di misericordia. Se non avessimo peccato, non saremmo nemmeno stati redenti. È un discorso un po’ rischioso. Naturalmente è meglio non peccare, così: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Vogliamo vedere, sapere, capire. Ma è sufficiente la fede. Non c’è bisogno della prova o di veder segni.
“Tutto è grazia”... tale consapevolezza porta a ringraziare Gesù per tutto ciò che abbiamo ricevuto, gli amici, i nemici, le gioie, i dolori. Ecco perché la preghiera più alta del cristiano, l’Eucaristia, non è altro che rendimento di grazie. Dobbiamo sempre cogliere l’occasione, quando siamo ispirati, per rendere grazie al Creatore. Il solo fatto che ci ha portato all’essere è motivo di rendimento di grazie. Lui è l’essere e per suo volere ha comunicato a noi l’essenza, sé stesso, facendoci a sua immagine e somiglianza. Così, siamo.
Talvolta ci accostiamo all’Eucaristia per forza, meccanicamente, rendiamo grazie a parole e gesti senza sentirlo davvero. Va bene anche questo: un’Ave Maria recitata meccanicamente è meglio di un’Ave Maria non recitata. Anche se va detto: un’Ave Maria pregata col cuore è meglio di dieci Ave Maria recitate meccanicamente. E insomma, tutta una gerarchia di cose... dalle migliori alle peggiori e viceversa. Come quando si fa un trattato di morale. Ci sono comportamenti cattivi, come l’omicidio, alleggeriti dalle attenuanti, come, nel caso dell’omicidio, la passione. E via dicendo... solo per dirne una.
Di fatto, mi sento appeso a un filo. Va tutto bene perché ho un lavoro, una casa, un’auto, una famiglia, amici, un gruppo di preghiera, un blog, lettori, commentatori... cosa dovrei volere di più? Eppure, come al solito, voglio di più, ma non da altri, bensì da me stesso. Non mi piaccio, non mi piaccio, non mi piaccio. Perché non riesco a crescere in virtù? Perché non riesco ad avere abitudini migliori? Do colpa al lavoro, che succhia le energie. Però, poi, come ho detto, non posso lamentarmi del lavoro. Eppure proprio tale lavoro mi impedisce di vivere meglio il tempo che non è lavoro. Quando sono a casa dormire, dormire, dormire. Cercare di riprendersi per il giorno successivo, quando sarà di nuovo un’estenuante, infinta giornata. Non sono solo io, anche i colleghi più giovani patiscono. Si vede dalle facce dopo cinque giorni. Le barbe sfatte, le spalle senza sostegno, i saluti accennati. Allora qualcuno, nonostante la gradasseria da testosterone, osa proferire: “Sono stanco”. Ti capisco, fratello. È estenuante. Sono giornate infinite, piene di imprevisti e problemi.
Certo, sono un professionista della lamentela. Riesco ad andare al pelo nell’uovo di qualsiasi attività sia costretto a fare. Altro non è che mormorazione. Mormorazione è parlar male verso l’alto, i superiori, la gerarchia. Verticale. Calunnia è parlar male dei pari. Orizzontale. La mormorazione, passando attraverso i superiori, arriva dritta a Dio. Poiché tutto ciò che accade è volontà sua o è permesso da lui. Quindi, sempre bisogna far riferimento a lui. Non si scappa.
Torno alla vita. La vita che mi delude. Quante persone stimo enormemente e ho paura di frequentarle perché non mi sento all’altezza. Signore, tu solo mi ami come sono, ma anche tu vuoi che faccia di tutto per cambiare, no? Sei come le donne. Vuoi da me non dico il miglioramento ma il costante sforzo, la tensione verso il miglioramento. Il tentativo. “Almeno ci ho provato”.
Vivo di Provvidenza. Sono sempre appeso a un filo. Mi sembra di essere sempre al limite. Mi sembra sempre manchino le energie. “Come farò?”, mi chiedo. Eppure devo farlo, comunque, sempre, qualsiasi siano le condizioni. Sei stanco? Lo fai da stanco. Che paura... Vuoi essere scrittore? Scrivi la sera, dopo il lavoro, mentre si chiudono gli occhi. Altrimenti ti svegli un’ora prima e porti un’ora in meno di sonno sul lavoro.
Ma poi, quanto è autoreferenziale questa scrittura? Potrei dedicare il tempo che ho in più a dimagrire, magari facendo esercizi in casa o al volontariato. Eppure lo dedico alla scrittura. È che la scrittura ha quel fascino, quel prestigio che ti fa sentire che sei qualcosa. Quando vado sul lavoro guardo i colleghi operai dall’alto perché: “Io scrivo”. Sono convinto: Dio mi ha tolto la possibilità di scrivere proprio per l’autoreferenzialità con cui ho sempre praticato tale attività. Cerco l’immortalità o la grandezza? Sono cose diverse... L’immortalità, quella vera, equivale alla santità, che è dono di sé... dono di sé equivale a mettersi in secondo piano per far risaltare altri. Come in un matrimonio, quando ci si rende conto che il coniuge è migliore, ha più probabilità di far carriera o non necessariamente, può anche essere che il coniuge sia ugualmente capace, alla stessa altezza, eppure per andare avanti un ego va sacrificato, perché due geni non riescono a convivere. Sofia Tolstaja correggeva le bozze del marito. Quante volte un marito non riesce a sopportare che la moglie guadagni di più. L’esempio dev’essere l’umiltà di San Giovanni Battista, che dice: “Egli deve crescere e io invece diminuire”, dimostrandosi figlio di sua madre, Santa Elisabetta, la quale dice: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”. Già sapevano, capivano... dalle profezie, dagli interventi angelici... chi era precursore e chi Signore...
La Provvidenza arriva quando non si hanno più mezzi umani. Sono costantemente allo stremo delle forze, al limite. Sento di non poter superare ciò che sono. Già do il massimo, tuttavia sono minore di altri uomini, ma non è questo... è la sensazione di non star realmente dando il massimo, di poter fare di più ma di non farlo per pigrizia... anche gli esempi che vedo e sento non aiutano... se è vero ciò che dice Platone, che la virtù non si può insegnare – ciò di cui sono esempio i figli di Pericle, figli di tanto padre ma, sebbene in più affidati ai migliori tutori, scaccioni –, neanche l’esempio delle persone grandi, forti, capaci, riuscite può aiutare, ecco perché i sofisti sono avversati da Socrate, i cosiddetti insegnanti di virtù che prosciugavano gli averi dei giovani di buona famiglia in cerca di successo, ossia di qualcuno che potesse insegnar loro come ottenerlo... se la virtù non si può insegnare anche l’esempio non serve...
Datemi, amatemi anche se non vi piaccio, anche se sono sotto di voi. Non pretendete che cambi per poi, allora sì, amarmi. Sono così... desidero un po’ di pace...