Peccato originale

Se Eva rappresenta il peccato originale, Maria, che è stata concepita senza peccato originale, rappresenta il contrario di Eva, ossia lʼassenza di peccato originale.

Vediamo dunque cosʼè il peccato originale.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. (Gn 2, 9)

ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti. (Gn 2, 17)

Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male. (Gn 3, 5)

A Dio è riservato il giudizio. Noi possiamo studiare astrattamente cosʼè la vita buona, ossia la vita che ha in sé il bene, la vita le cui azioni sono buone, individuando anche, così facendo, le azioni cattive.
Non possiamo però giudicare ciò che abbiamo davanti agli occhi. Non possiamo dire: “Questo è bene” o “Questo è male”. Tale giudizio è riservato unicamente a Dio. “Non giudicate” (Mt 7, 1).

Bisogna evitare di dire male di qualcosa. Dire male equivale a maledire. Maledire è prerogativa del diavolo.
Ma bisogna evitare anche di dire bene di qualcosa. Perché? Perché quando dico bene di qualcosa, isolo quella cosa e implicitamente dico che tutte le altre cose sono male. Se dico: “Mi piace il pistacchio” sto dicendo che tutti gli altri gusti non mi piacciono. Nella scelta che fa lʼuomo cʼè sempre lʼesclusione di qualcosa.

Lʼuomo cerca sempre di giudicare. Cerca sempre di dire con le proprie forze cosa è bene e cosa è male. Ogni volta che lo fa lʼuomo pecca di peccato originale, cerca cioè di farsi come Dio in quanto cerca di stabilire con le proprie forze cosa è bene e cosa è male. Lʼuomo è affetto da peccato originale. Da quando Adamo ed Eva hanno mangiato questo frutto, lʼuomo è affetto da un peccato di cui non può liberarsi.

È qui che interviene lʼImmacolata, colei che è stata concepita senza peccato originale. Dai nostri peccati, compreso quello originale, siamo guariti dal sacrificio e dal sangue di Cristo.
Però cercare di essere senza peccato originale è uno sforzo che già possiamo fare in quanto esseri umani. Possiamo già cercare di contrastare, come facciamo con qualsiasi altra tentazione, il peccato originale che è in noi.
Per contrastare il peccato originale che è in noi possiamo cercare di astenerci dal giudizio. Tutte le volte che evitiamo di dire: “Questo è bene” o “Questo è male” stiamo di fatto astenendoci dal giudizio. Lʼastensione dal giudizio, lʼassenza di giudizio, è lʼImmacolata.

“Preferisci pistacchio o cioccolato?”. “Non fa niente. Dammi quello che vuoi”. Non esprimendo la preferenza, evitiamo di maledire – perché, come detto, benedire qualcosa equivale a maledire implicitamente tutto il resto – e dunque evitiamo di farci portavoce del diavolo.

Affidarsi allʼImmacolata, non scegliere, non preferire, ma rinnegare la propria volontà e lasciar fare a una volontà altrui, sono tutti mezzi che abbiamo per contrastare il peccato originale. Pregare Maria che in ciò è stata esperta. Anche perché ammettere di non sapere è il primo stadio, il gradino su cui si fonda il raggiungimento della sapienza vera, che può venire solo dallʼalto. “Ogni sapienza viene dal Signore / ed è sempre con lui” (Sir 1, 1)

Acque

Quasi tutti i luoghi di apparizioni mariane hanno acque.
A quanto pare Maria ha sempre scelto luoghi in cui ci sono acque curative.

Tutte le acque dei luoghi di apparizioni mariane sono curative.

Non cʼè nessun mistero. Le acque in sé sono evidentemente curative, hanno cioè delle proprietà fisiologiche benefiche per lʼuomo. In effetti quando si fanno analisi chimiche su queste acque si riscontrano proprietà particolari. Tali proprietà sono però naturali, fisiche.

Quando avvengono i miracoli, le proprietà intrinseche delle acque contano poco.
I miracoli, ossia le guarigioni miracolose che avvengono dopo che qualcuno si è immerso nellʼacqua o si è bagnato con essa, sono comunque frutto della grazia. È comunque la grazia, ossia lʼintervento divino, che permette, talvolta, a tali acque di compiere miracoli.

Dio ha guardato la fede di chi si è recato nel luogo di pellegrinaggio in quanto luogo di apparizioni, e ha ascoltato la sua preghiera. La guarigione miracolosa è dunque opera divina.
Anche se come mezzo di espressione della fede del guarito Dio si è servito delle acque, non sono le acque in sé a guarire, ma la potenza di Dio.

Problemi di etica, vita buona, religione e Vangelo

In Platone e Aristotele i problemi di etica sono affrontati nel dettaglio. Ci sono analisi dei tipi di piaceri, dei tipi di dolori, di cosa significa assenza di piaceri e di dolori, di cosa è scienza, di cosa è conoscenza e dei benefici che apportano allʼanima. Si fanno, in questi autori, su tutte queste cose grandi ragionamenti per stabilire in quali quantità ciascuna di queste cose deve essere presente nella vita perché la vita si detta buona.

NellʼAntico Testamento la vita buona è lʼosservanza delle leggi mosaiche.

Nel Nuovo Testamento la vita buona è lʼosservanza del “nuovo comandamento”: amare. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34).

Nella Bibbia nel suo insieme la vita buona si riassume nel concetto di “fare la volontà di Dio al posto della propria”.
Dio è ragione, logos, intelligenza, lui sa cosa è meglio per noi, lui ragiona meglio di noi, la sua volontà è migliore della nostra, per cui il comandamento generale del “fare la volontà di Dio”, “obbedire a Dio” è valido.

Gesù ha semplificato tutto, ha dato un comandamento solo. Volontà di Dio for dummies: amare.

Amare uguale dare.

Così come rinnegare la propria volontà è un esercizio, un allenamento, nellʼarte di fare la volontà di qualcun altro, e quindi più o meno ne è lʼequivalente; allo stesso modo, siccome il dare costituisce per forza un privarsi, allora se noi ci priviamo di cose (abiti, soldi, carne addosso al corpo, energie, beni di qualsiasi tipo, come lʼintelligenza o la sanità mentale), ciò ci porta a fare la volontà di Dio, ossia a obbedire al comandamento unico dellʼamore

San Francesco è uno di quelli che nella vita hanno seguito il principio del privarsi in quanto speculare al dare.

“Tutto è compiuto!” (gr. “τετέλεσται”, lat. “consummatum est”, Gv 19, 30). Quando non si ha più nulla, cioè quando si è morti (il corpo non ha più forze per sostenere lʼalito, lo spirito, la vita) si è adempiuta appieno la volontà di Dio.

Arrivare a sera senza avere più forze per alzare un dito e crollare dal sonno è un buon modo per prendere su di sé la “croce quotidiana” (cf. Lc 9, 23). Non importa a chi è diretta la fatica. Lʼimportante è che sia un privarsi, che equivale specularmente al dare.
Non importa a chi do la mela. Lʼimportante, per la mia salvezza, per la mia entrata in Paradiso, è che io non ho più la mela per me. Ecco lʼimportanza di fioretti, penitenze, sacrifici. 

Per il principio dellʼentropia (nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si conserva e si trasforma) la mela a cui ho rinunciato arriverà un giorno a qualcun altro in qualche forma. 

Il passo evangelico su Lazzaro in Paradiso accanto ad Abramo è da accostare al verso della Prima lettera ai Colossesi in cui San Paolo dice: “ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (1Col 1, 12).

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». (Lc 16, 19-31)

Il tutto è da accostare a questo passo di Fedone (dialogo platonico), in cui Socrate si augura di andare, dopo la morte, in un luogo in cui ci sono grandi uomini.

«Questo mi pare naturale – disse Cebete. Ma quello che poco fa affermavi, cioè che i filosofi dovrebbero volere di buon animo la morte, a me pare insensato, vale dire che il dio è colui che ha cura di noi e che noi siamo suo possesso. Infatti, che gli uomini più saggi non si rammarichino di uscire da questo servizio in cui sono tutelati dai migliori tutori che esistano, quali sono appunto gli dèi, è cosa che non ha senso. Né si può credere che uno sia convinto di provvedere a se stesso con maggior vantaggio, una volta liberatosi da quel servizio. Un folle potrebbe credere questo e pensare che si deve fuggire dal padrone; e solo un folle non penserebbe che non si deve fuggire dal padrone buono, ma che, anzi, conviene rimanere con lui, e che, fuggendo, si commetterebbe una follia. Invece chi è saggio desidera stare sempre accanto a chi è migliore di lui. Ma, se si ragiona così, risulta naturale esattamente il contrario, Socrate, di quello che prima si diceva, ossia che ai saggi conviene rammaricarsi della morte, agli stolti rallegrarsene».
Socrate, udito questo, mi parve compiacersi di quella vivace argomentazione di Cebete, e, rivolgendo verso di noi lo sguardo, disse: «Cebete tira sempre fuori ragionamenti nuovi e non si lascia mai convincere immediatamente da quello che uno gli dice».
E Simmia: «Ma questa volta, Socrate, sembra anche a me che Cebete abbia qualche ragione: perché mai uomini veramente sapienti si sottrarrebbero a padroni migliori di loro e se ne andrebbero lontano da essi così facilmente? E mi sembra che Cebete rivolga il suo ragionamento proprio a te, che sopporti così a cuor leggero di abbandonare sia noi, sia quei buoni governanti, che sono, come tu dici, gli dèi!».
E Socrate rispose: «Dite cose giuste! Credo, infatti, che voi vogliate dire che io, di fronte a queste obiezioni, mi debbo difendere come se fossi in tribunale».
«Proprio così», disse Simmia.
«Ebbene – disse Socrate –, cercherò di difendermi davanti a voi in modo più persuasivo che non davanti ai giudici. Se, io Simmia e Cebete, non credessi veramente di andare, innanzi tutto, presso altri dèi sapienti e buoni, e, poi anche presso uomini morti, migliori di quelli di qui, avrei torto a non rattristarmi della morte. Ma sappiate bene che io spero di andare presso uomini buoni, anche se questo non mi sentirei di sostenerlo con sicurezza. In ogni modo, che io debba andare presso dèi, padroni sommamente buoni: ebbbene, sappiate che, se mai cʼè qualcosa che fermamente io mi sentirei di sostenere, è proprio questo. È proprio per questo che io non mi rattristo come gli altri, ma ho ferma speranza che per i morti ci sia qualcosa, e che questo, come si dice già dai tempi antichi, sia qualcosa di molto migliore per i buoni che non per i cattivi».
La via cristiana è la via per chiunque, in particolare per i piccoli. I piccoli dicono: come faccio a conquistarmi il Paradiso, io che non sono in grado di compiere grandi opere? Non importa compiere grandi opere di bene. Lʼimportante è privarsi di tutto ciò che si ha.

I tempi di Maria

Ultimamente mi sono abituato soprattutto a pregare Gesù, perché Gesù è Dio. In passato, agli inizi della mia conversione, mi rivolgevo semplicemente a: “Dio”. “Dio” è la parola che ci è stata data per riferirci a quellʼentità che è al di sopra di tutte le altre entità, non solo, Dio è quellʼentità che è lʼorigine di tutte le altre entità.
Immaginiamo che tutti gli elementi dellʼuniverso siano disposti a piramide. Dio sta sulla punta. Immaginiamo poi unʼaltra piramide, quella costituita dai nomi degli elementi dellʼuniverso. Perché un conto sono le entità, visibili e invisibili, che costituiscono lʼuniverso, un conto sono le parole che abbiamo deciso di attribuire a tali entità.
Secondo gli antichi le parole che si riferiscono a ciascuna entità, ossia i nomi, sono dono degli dèi, dono divino.
È evidente ad ogni modo che essendo uno lʼuniverso, una è anche la lingua che a esso si riferisce. Definiamo lingua insieme di nomi. Per quanto riguarda i verbi, essi non sono altro che le parole che si riferiscono al movimento delle entità a cui si riferiscono i nomi. E nome più verbo costituisce lʼessenza della lingua. Lʼunione di nome più verbo è ciò che in Sofista, dialogo platonico, è addirittura chiamato: “Logos”. Non è poca cosa tenere presente questa cosa, se teniamo presente anche che il primo verso del Vangelo di Giovanni, ossia il più grande documento teologico mai messo su carta, dice: “In principio era il logos”, “ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος”... Ma chi non conosce Platone può andare dal buon Chomsky il quale nel secolo scorso ha parlato di grammatica generativa facendo emergere con questo concetto la natura essenziale dellʼunione tra nome e verbo. Aggettivi, avverbi, congiunzioni e altri ammennicoli non fanno parte dellʼessenzialità del linguaggio, ma sono derivati di nomi e verbi e delle loro unioni.
Si potrebbe dire, restando nella filosofia antica (Aristotele, che è come dire: Platone), che già i verbi sono derivati dai nomi. Un albero è tale in quanto albera (voce del verbo alberare); un uomo è tale in quanto uoma (voce del verbo uomare). Il nome si riferisce allʼentità ferma, il verbo allʼentità in movimento. Lʼazione è già insita nel nome. Il verbo: “camminare” sarebbe il movimento implicito dellʼentità il cui nome è: “camminamento”.

La lingua è quindi una, anche se ogni parola ha poi varie versioni.

Ci sono quindi due piramidi. Una, la principale, è costituita dalle entità interrelate tra loro che costituiscono lʼuniverso. In cima, come si è detto, cʼè Dio. La secondaria è la piramide dei nomi che a tali entità si riferiscono.
Lasciamo perdere per ora che pure i nomi, a loro volta, sono poi entità che fanno parte dellʼuniverso. Basti dire per ora che sono entità secondarie in quanto componenti della piramide secondaria.
Questo è il cosiddetto Realismo, difeso da Aristotele – che è come dire: Platone – e dallʼaristotelico San Tommaso dʼAquino, il più grande pensatore della cristianità.

Tornando a me, agli inizi pregavo Dio, poi negli ultimi anni sono passato a Gesù. Qui a Lourdes mi trovo a pregare Maria. La soluzione la dà San Massimiliano Kolbe. Ogni santo è patrono di qualcosa, in base a come è morto o a qualche evento della sua vita. Santa Lucia è patrona degli oculisti e viene pregata per guarire malattie agli occhi, perché a lei furono strappati gli occhi nel suo martirio. Lo stesso San Massimiliano Kolbe è patrono dei mass-media, perché durante la sua vita inventò è curò una rivista per propagare la fede cattolica che ebbe una tiratura di milioni di copie. E così via.
Maria di cosa è patrona? Qual è la specialità di Maria? La specialità di Maria è fare la volontà di Dio, come si ricava dal suo evangelico: “Sì” e da altri episodi evangelici. In tutta la sua vita, la sua volontà non si è mai discostata neanche di un millimetro dalla volontà di Dio. La sua volontà è talmente unita alla volontà di Dio che possiamo tranquillamente dire che se facciamo la volontà di Maria stiamo con certezza facendo la volontà di Dio. Ecco le radici della preghiera a Maria. In qualsiasi momento, pregare Maria equivale a pregare Dio, o una qualsiasi delle persone della Santissima Trinità. In genere io preferisco ancora rivolgermi a Gesù, ma qui a Lourdes, dove grande è la devozione per la madre del Signore, devozione graditissima al Signore stesso, che amava infinitamente sua madre, è bello abbandonarsi a un rapporto personale con la dolcissima e tenerissima Maria.
La parola stampata o trasmessa attraverso le onde della radio, o le immagini riprodotte a stampa oppure trasmesse per televisione radiofonica, o il cinema o altri mezzi, tutto questo è molto, ma non è ancora tutto ciò che è possibile fare per insegnare a tutti e ad ognuno singolarmente chi è lʼImmacolata, per riscaldare lʼamore verso di Lei e soprattutto per accendere questo amore essenziale, un amore non tanto del sentimento quanto piuttosto della volontà che si unisce con la Volontà dellʼImmacolata, così come Ella ha unito strettamente la Sua Volontà con la Volontà di Dio, con il Cuore di Dio. (Scritti Kolbe 382)

È fuori di ogni dubbio che la Sua Volontà è pienamente congiunta alla Volontà di Dio; quindi, non bisogna far altro che unire la nostra volontà con la Sua, cosicché, attraverso Lei, ci uniamo a Dio. (SK 579)  

Per concludere, aggiungo che nel discorso che si fa sulla differenza tra cose (entità) e loro nomi, ossia il discorso che costituisce il dibattito tra Realismo e Nominalismo, va tenuto presente che la vera distinzione da fare è quella tra cose (entità) e pensiero di esse. I nomi sono proprio lʼultimo stadio. Il logos, di fatto, non è un semplice nome, o verbo, ma è lʼunione tra nome e verbo, ossia il principio del linguaggio, che è anche il principio del pensiero.

Direi che lʼordine è questo: cose (entità); pensieri (nous), mediante cui lʼuomo coglie e si rappresenta nella mente le cose sia rispetto a se stesse sia rispetto le une alle altre; parole (vocalizzazioni), mediante cui si esprimono a voce i pensieri delle cose; parole (scritte), che attribuiscono-riferiscono segni visivi a segni fonetici.