Sorridere

Sono cresciuto da solo con la mamma. Quandʼero piccolo ero un bel bambino. Mia madre ha cercato di farmi fare pubblicità. Sono riuscito a entrare in uno spot televisivo dellʼuovo Kinder. Non ero il protagonista; saltavo fuori con un altro bambino e insieme dicevamo: “E a noi, mamma?”. Mi hanno pagato 200.000 lire più due scatoloni di uova Kinder. Ho aperto subito tutte le uova, messo il cioccolato da parte e tirato fuori tutti i giocattolini sorpresa. Era lʼunica cosa che mi interessava.

Poi mia madre mi ha portato a un provino in cui mi dicevano di sorridere, ma io non riuscivo a sorridere. Dovevano farmi delle foto. Mia madre era incredibilmente contrariata; non riusciva a credere che non riuscissi a sorridere. “Sorridi”, mi diceva. “Perché non riesci a sorridere?”. Era anche imbarazzata con la gente che conduceva il provino.
Io, di fatto, non riuscivo a sorridere. Non sapevo proprio come si faceva. Ero mortificato. Non sai nemmeno sorridere.
La mia carriera pubblicitaria si è interrotta con questo provino. Non ho mai fatto né altri provini né altre pubblicità.
Mia madre diceva a tutti che non ero capace di sorridere.

In seguito, per anni, specialmente quando imperava Berlusconi, sono stato convinto che sorridere non andava bene se non era una cosa spontanea. Se uno è una persona che non sorride tanto, cavoli suoi, pensavo, significa che non è felice. Ma uno non può forzarsi a sorridere, pensavo. Si vede quando il sorriso è forzato. Lʼeffetto è terribile. Il sorriso di Berlusconi, soprattutto, mi è sempre sembrato talmente falso da farmi perdere qualsiasi interesse nel sorridere.

Poi ho iniziato a credere in Dio. È successo intorno ai 27-28 anni. (Un processo piuttosto lungo).
Sono stati i cristiani a convincermi che il sorriso è importante.
Possiamo sforzarci di sorridere, fare del nostro meglio, non importa il risultato. Lʼimportante è che abbiamo cercato di fare un dono. Il sorriso è uno dei gesti che possiamo fare col corpo per fare un dono.

Oggi ho imparato a sorridere. Sorrido molto alla gente. Anche, anzi soprattutto, quando faccio fatica.
Secondo me ha più valore un sorriso che si vede che uno è dovuto andare a cercarlo chissà dove, un sorriso che costa. Se uno è infelice e non ha alcuna voglia di sorridere, ma allo stesso tempo cerca di sorriderti, io dico che quello sforzo è encomiabile. Perché è facile sorridere quando si ha la gioia nel cuore.

Ho notato che più si sorride, più riesce facile. Oggi, spesso, vedo che riesco anche a invocare la gioia necessaria da trasmettere col sorriso, in modo che sia un sorriso autentico e non forzato. Il trucco è pensare alla persona a cui si sorride e volerle fare del bene. È per questo che molte volte prego negli istanti prima di sorridere. “Maria, dammi un sorriso decente per questa persona”. “Dio, ti prego, aiutami a trasmettere la tua gioia quando sorrido a questa persona”. “Gesù, faʼ che io tratti questa persona con la delicatezza con la quale la tratteresti tu”.
E così via.

Identità e spersonalizzazione

Una cosa che succede sul posto di lavoro dove lavoro io è il chi parla con chi. Si formano gruppetti. Mi ricorda il cortile allʼintervallo di quando andavo alle superiori. Quelli con cui stavi, quelli con cui ti facevi vedere, era tutto ciò che contava. Oggi tutto si ripropone sul posto di lavoro. Quei tempi non sono finiti. Gli anni del liceo, che ho sempre considerato i più bui della mia vita, non sono finiti. Continuano anche oggi. E poi cʼè chi dice che non vuole liberarsi del passato.

Ma magari fossi senza passato, magari fossi senza identità. Magari fossi spersonalizzato. La spersonalizzazione è ciò a cui ho sempre puntato. Non essere io. Non avere gusti. Non avere preferenze. Le nostre preferenze, i nostri bisogni, fanno male alle altre persone.

Avere pensieri che siano sempre e solo eterni, e mai il frutto di una qualche percezione sensoriale legata alla persona.

Non so, è di certo dalla tradizione buddista – nella quale per un periodo mi sono immerso – che ricavo questo tipo di obbiettivo.

Nella tradizione cristiana i santi che sono in Paradiso sono le stesse persone che erano sulla terra. Eppure questa tradizione da dove deriva? Da Dante. Ce lʼho un poʼ su con Dante. Capisco lʼimpresa mastodontica, inarrivabile, che ha compiuto nella sua vita. Ma non mi piace il suo verseggiare incatenato e asfissiante.
Il vero verseggiare è quello dellʼIliade, dellʼOdissea. Esametri. Verseggiatura tonica, cioè basata sul numero degli accenti, non sul numero delle sillabe. Che prigione che è la Divina Commedia. Senza respiro. La libertà degli esametri, al posto di esasillabi è vera poesia. Sarà stato un grande studioso, ma Dante non è altro che un rimasticatore.

Io vedo il Paradiso come una liberazione dalla personalità, dallʼidentità. Da tutte quelle cose che rendono limitati, deboli, fallibili. Il viaggio verso il Paradiso è una purificazione, sicuramente lo vedo così perché ho letto Platone. Ciò che rimane di noi in Paradiso è il meglio, non il peggio. I gusti, le preferenze, ciò che ci rende limitati e umani li perdiamo, se andiamo in Paradiso. Resta solo ciò che è eterno. Quanti pensieri eterni siamo stati in grado di pensare? Quante opere eterne siamo stati in grado di produrre e lasciare? Sono queste che identificano in Paradiso. Quaggiù lasciamo tutto ciò che è terreno, transitorio, ciò che non entra in cielo.
La vita eterna è fatta sì della risurrezione del nostro corpo, ma come dice Gesù in Paradiso non si prende moglie né marito perché si è come angeli. Ciò significa che se il nostro corpo risorge in Paradiso non è certo uguale a quando è quaggiù. Quando siamo quaggiù siamo forse in Paradiso? No. E allora il nostro corpo, con tutte le sue limitazioni, non risorge uguale.

Non so. Al momento non mi sento in grado di portare avanti questo discorso.
Ciò che è certo è che vedo la personalizzazione come qualcosa di negativo. Mentre vedo la spersonalizzazione come qualcosa di positivo.

Eppure Dio è una persona. Con un corpo. Delle mani. Delle gambe. Avrà avuto dei gusti. Gli saranno piaciuti di più i cosciotti di agnello o i cosciotti di pollo? Il pane o il pesce?
Eppure il Risorto per me non dovrebbe più porsi questi problemi.
Il fatto è che secondo me lui non se li poneva nemmeno prima.

Se entriamo in Paradiso, siamo privi di paure, angosce e altre tentazioni. Resta di noi solo ciò che è immortale. Perdiamo tutto ciò che è mortale.
La carne che risorge non è più come quando era sulla terra.

Una cosa è certa. I santi in Paradiso sono persone ben precise. Si sono guadagnati il diritto di mantenere quella persona anche in cielo.

Ma se io disprezzo così tanto chi sono e come sono, come posso volere essere così anche in Paradiso?

Significa o che non andrò in cielo così come sono e che devo cambiare, o che ho unʼerronea concezione di me stesso. Magari fosse vera la seconda. Di certo, non posso sapere come mi vede Dio.

Una cosa certa che so è che i santi erano amati anche in vita, da tante persone. Io non sono amato da tante persone.

Tutte indicazioni che non adrò in Paradiso, magari non allʼinferno, però almeno in purgatorio.
Questioni come questa mi preoccupano assai. So che lʼobbiettivo della vita di ciascun uomo è andare in Paradiso. Per farlo bisogna fare la volontà di Dio. Oppure essere perdonati da lui allʼultimo, perché nulla è impossibile a Dio.

Mi chiedo come è in Paradiso il ladrone salvato in extremis da Gesù. Che identità ha? Di certo non sta nello stesso cielo di San Tommaso dʼAquino, o di chissà quale altro santo. È in un cielo inferiore.
Possiamo dire che il ladrone è entrato in Paradiso per il rotto della cuffia, e sta nelle parti più basse di esso? La sua vita è pur sempre stata quella di un criminale, con un pentimento finale.

Tutto questo discorso lʼho fatto perché credo che lʼentrata nella vita eterna sia come lʼentrata nel presente. Possiamo sperimentare su questa terra la vita eterna se riusciamo a sperimentare la vita nel presente. Nella vita nel presente non esistono né passato né futuro. Per questo la vedo come una spersonalizzazione. Tutto qua.

Secondo me è ragionevole dire – se tutto questo discorso ha senso – che è più in alto in Paradiso chi è riuscito a restare più anonimo. Cosa sappiamo dei tre angeli che si sono presentati alla tenda di Abramo? Nulla. Eppure probabilmente erano Michele, Gabriele e Raffaele, i tre più in alto tra le schiere angeliche. Questi tre angeli non si sono forse personificati in persone diverse nella Scrittura? (Questo è da verificare).
Può darsi anzi che il grande lavoro lasciato da San Tommaso dʼAquino lo appesantisca e lo faccia essere più in basso rispetto ad altre realtà angeliche. Perché il suo grande lavoro è una grande personalizzazione. Checché ne dica Dante e ovunque Dante abbia deciso di metterlo.

Chi riceve riconoscimenti sulla terra non ha già ricevuto la sua ricompensa?
Invece Lazzaro lʼappestato non sta forse accanto ad Abramo?

Tante questioni che non so risolvere.

Come si spiega?

La mia vita è deprecabile. Non è degna di essere vissuta. Sono una persona molto infelice. In ogni momento trovo in me difetti, soprattutto nel compararmi con gli altri. Sono più grasso, più debole, più incapace, più fragile, più pauroso. In tutto mi trovo peggiore. Ci sono persone che letteralmente idolatro. Non solo Steve Carell, non sono così superficiale; scienziati, politici, giudici, militari, mamme, papà, religiosi, magazzinieri, ristoratori, sportivi, ecc. Tutte persone che trovo eccezionali. Di solito non venero il talento in sé, ma ciò che una persona ha fatto col proprio dono. Ciò che ammiro è la perseveranza, la costanza, lʼapplicazione quotidiana, il portare il dono alle estreme conseguenze. Io non sono mai riuscito a combinare nulla. Mi è sempre mancata la disciplina. Qualsiasi dono abbia avuto in sorte, non sono stato in grado di coltivarlo e svilupparlo. Lʼunica cosa che ho praticato un poʼ più delle altre è la scrittura. Ma anche lʼamore per la scrittura non ha saputo vincere la pigrizia. La mia eterna, deprecabile, odiosa, disgustosa pigrizia.

Ciononostante, anche se dico che avrei voluto essere un musicista o uno scrittore o un soldato o un atleta... anche se penso che avrei voluto scoprire di avere un talento e che avrei voluto portarlo alle estreme conseguenze... e anche se penso che ciascuna delle altre persone viventi sia migliore di me... anche se penso che la mia sia una vita infelice... anche se dico e penso tutte queste cose non vorrei essere nessuna delle altre persone in particolare.
Non vorrei essere nessuno in particolare.
Non vorrei essere questo, non vorrei essere quello.

Vorrei comunque, sempre e solamente essere me.

Non cʼè nessuna delle altre persone che ammiri talmente da dire: “Vorrei essere quella persona”.
Invidio molti, ma non vorrei essere nessuno.

Anche un santo. Ma prendiamo anche un santo. SantʼIgnazio di Loyola. San Massimiliano Kolbe. San Giovanni apostolo, il discepolo prediletto di Gesù.
Nessuno. Non vorrei essere nessuno di loro. Sono contento che loro siano loro. (I santi non li invidio).

Vorrei comunque, sempre e solamente essere me.

Vorrei essere più felice. Vorrei essere più disciplinato. Vorrei avere un talento.
Ma vorrei sempre, comunque e solamente essere io.

Forse la somma dei miei peccati ha fatto di me un impareggiabile superbo. 

O forse in me si è finalmente radicata la convinzione che Dio ha voluto la mia vita, proprio la mia, fin dallʼeternità – cosa che mi è stata ripetuta tante volte.

The office (US)

Ciò che ha occupato la maggior parte del mio interesse nelle ultime due settimane è The office (US).

Ho appena fatto due settimane di ferie in Liguria. Ho nuotato. Ho fatto varie gite. Ho dormito.
Nellʼalbergo cʼera il wifi, che mi ha permesso di vedere tutte le puntate dalla stagione 1 alla stagione 5 di The office senza consumare giga.
La stagione 6 lʼavevo già vista.
Perciò adesso conosco The office dalla stagione 1 alla 6 compresa.

Ciò che mi interessava vedere, ossia lo sviluppo della storia dʼamore tra Jim e Pam, lʼho visto.
A metà stagione 6 Jim e Pam sono già sposati e hanno già una bambina.
Restano ancora tre stagioni e mezzo, dato che The office è durato nove stagioni. (Le ultime due senza Steve Carell).

Gli sviluppi della relazione tra Jim e Pam sono centellinati. Accade pochissimo tra i due in ciascuna puntata. A volte è solo uno scambio di battute. A volte niente del tutto.

Non posso dire molto perché ho visto le stagioni 1-6 velocemente e distrattamente. (Un giorno, forse, comprerò il dvd box di The office così potrò guardarlo approfonditamente. Al momento possiedo solo il dvd box di Friends, di cui ho visto ciascuna puntata più volte, e di The Phil Silvers Show, di cui ho visto solo la prima puntata).

Cosa posso dire finora?
Gli sviluppi della storia tra Jim e Pam non mi hanno colpito. Il loro essere centellinati è fatto ad arte, nel senso che si sta continuamente ad aspettare di vedere un nuovo sviluppo.
Però a me piace vedere quando una coppia si scambia un miliardo di parole, come nelle vecchie commedie romantiche in bianco e nero, con Cary Grant, Katherine Hepburn e compagnia bella.
Jim e Pam si scambiano davvero poco.

È vero che The office è fatto dagli stessi creatori di The Simpsons, perciò sicuramente hanno puntato di più sugli aspetti comici e demenziali dei personaggi di contorno, con Carell in testa, che sulla storia dʼamore seria tra gli unici due personaggi con la testa sulle spalle.

Finora, diciamo, posso dire solo due cose.
Uno, non mi piace come Jim tenga il muso a Pam per tutta la stagione 3. In quanto uomo dovrebbe essere più galante e gettarsi nelle braccia di Pam non appena sa, alla fine della stagione 2, che Pam ha disdetto il matrimonio col suo fidanzato storico Roy.
Quando, allʼinizio della stagione 4, iniziano a uscire insieme, non vediamo nemmeno uno dei loro appuntamenti, ma solo ciò che accade in ufficio.
La proposta di matrimonio è trattata frettolosamente.

Due, se uno si rende conto di quanto Steve Carell improvvisa si mette le mani nei capelli. Un attore davvero ineguagliabile.
Devo ricredermi e rettificarmi e dire che davvero vale la pena di guardare The office – in lingua originale – solo per Carell e in generale per la comicità dʼinsieme di ogni puntata.
La storia dʼamore tra Jim e Pam è a malapena un buon motivo, se preso da solo – anche per un patito di storie dʼamore come me – per guardare The office.
Ciò che sorprende è la creatività con cui per ogni puntata è trovata unʼidea che fa da tema, che la sorregge, che la giustifica.

È da tempo che voglio scrivere qualcosa sulle writing room delle serie televisive americane. Le writing room americane, ossia tavolate di 10, 20, 30 persone dove si passa il tempo a lanciarsi addosso idee gli uni gli altri, a farsi ridere a vicenda, luoghi dove si creano le puntate... secondo me sono un tipico fenomeno americano che noi non siamo mai riusciti a eguagliare, soprattutto perché costano un patrimonio. Ma anche mettendoci i soldi, si riuscirebbe a farle funzionare?
Chissà se sarei in grado di scrivere un post sulle writing room americane.