I miei film

Ho visto The searchers, tradotto I cercatori (Sentieri selvaggi). Gran film. Di certo uno dei miei preferiti.

I panorami. John Ford ha iniziato il suo rapporto con la Monument Valley nel 1939 con Stagecoach, tradotto Diligenza (Ombre rosse), ancora in bianco e nero. Non sono riuscito a capire quanti altri film John Ford ha girato nella Monument Valley. Di certo ci è tornato nel 1956 col Technicolor VistaVision per The searchers. Cʼè anche un documentario francese del 2013 che parla del rapporto tra John Ford e la Monument Valley, sʼintitola John Ford et Monument Valley.
I panorami sono semplicemente stupendi. Ti perdi a guardare i vasti deserti, le rocce monumentali, i cieli altrettanto vasti puntinati di nuvole. Rappresentare la natura così comʼè sembra banale e semplicistico, ma, da grande artista che è, John Ford lʼha fatto in modo geniale, e cioè semplicemente riprendendola tale e quale è. Un buon motivo per avere inventato il cinema. La vastità di panorami e territori, confrontata con la piccolezza degli uomini ritratti in essi, secondo me contribuisce a costituire il film quale genere epico.

Lʼepica. È vero che il nome epica deriva dal nome del tipo di verso, cioè l’esametro tonico. Ma è anche vero che si definice lʼepica narrazione di fondazione. Se prendiamo questa definizione, non possiamo non dire che The searchers è epica. Il personaggio di John Wayne, Ethan, è un veterano confederato appena tornato dalle guerre sulla cui base sono nati gli Stati Uniti. I suoi famigliari sono gente di frontiera, che tenta di vivere in territorio ostile, perché abitato da nativi, gli indiani, che naturalmente sono opposti alla colonizzazione. Gli eroi sono a tutto tondo, sono reali e realmente tali. Uomini da combattimento che portano una civiltà contro lʼaltra. Tutto ciò è epica e parla di epica. Non so quanto John Ford fosse consapevole di produrre genere epico, di certo la materia gli ha preso le mani, più che il contrario e lʼha portato a dipingere una storia personale in modo da renderla collisione di mondi e passaggio storico.

John Wayne. Non ho visto molti altri film con John Wayne, ma mi basta questo. Ci vuole un eroe per incarnare un eroe. È la legge del typecasting. La potenza caratteriale che John Wayne rivela in questo film è stata la calamita che mi ha portato ad attraversarlo tutto, fino alla fine. Devo ammettere che la sua lunghezza e ripetitività, notata da vari critici, ha rischiato di stancare anche me. Ma, ripensandoci a freddo, non posso non dire che anche la ripetitività è caratteristica del genere epico. Prendiamo Odissea o Orlando furioso. Episodi su episodi che narrano sempre le stesse cose, battaglie e amori, eroi e morti. Una tragedia come la morte di unʼintera famiglia per mano dei Comanches è un singolo episodio in un film che è una catena di episodi, così come lo è la storia dʼamore tra Martin e Laurie, così come lo è il ritrovamento di Debbie. Ciascuno di questi episodi potrebbe costituire un film a parte, un dramma, una tragedia, ma nellʼepica tutto è appiattito e tutto conta allo stesso livello.

Il problema del razzismo. È stato detto che The searchers è un film che parla di un uomo ossessionato, come Vertigo (che non mi è piaciuto più di tanto). È inquietante pensare che Ethan sia a tal punto ossessionato dallʼodio per gli indiani da non voler ritrovare Debbie per riportarla a casa, ma per ucciderla, perché ormai: “È una di loro”. È inquietante che per tutto il film Ethan tratti Martin, un mezzosangue da lui stesso salvato e cresciuto coi bianchi, con sufficienza. Eppure questo eroe difettato è un eroe magnifico, grande e perfetto proprio perché imperfetto.

Il mio film preferito numero uno però resta sempre Glengarry Glen Ross (Americani). Una volta magari ci scriverò un post.

Volevo dire qualcosa contro queste persone che hanno il vizio di parlare male di altri alle loro spalle, cioè senza che questi lo sappiano

Come si capisce quando qualcuno ha parlato male di te! Perché pensate queste cose nel vostro cuore?, viene da dire quando si incontra qualcuno che ha parlato male di te alle tue spalle. Prima era tutto naturale, sorrisi, pacche sulla spalla, si parlava in tranquillità. Poi, di colpo, vedi la stessa persona abbassare lo sguardo quando ti vede. Come si capisce che ha parlato male di te! E come fa male! Soprattutto a ripensarci. Perché? Perché lʼhai fatto?

Peccato originale

Se Eva rappresenta il peccato originale, Maria, che è stata concepita senza peccato originale, rappresenta il contrario di Eva, ossia lʼassenza di peccato originale.

Vediamo dunque cosʼè il peccato originale.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. (Gn 2, 9)

ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti. (Gn 2, 17)

Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male. (Gn 3, 5)

A Dio è riservato il giudizio. Noi possiamo studiare astrattamente cosʼè la vita buona, ossia la vita che ha in sé il bene, la vita le cui azioni sono buone, individuando anche, così facendo, le azioni cattive.
Non possiamo però giudicare ciò che abbiamo davanti agli occhi. Non possiamo dire: “Questo è bene” o “Questo è male”. Tale giudizio è riservato unicamente a Dio. “Non giudicate” (Mt 7, 1).

Bisogna evitare di dire male di qualcosa. Dire male equivale a maledire. Maledire è prerogativa del diavolo.
Ma bisogna evitare anche di dire bene di qualcosa. Perché? Perché quando dico bene di qualcosa, isolo quella cosa e implicitamente dico che tutte le altre cose sono male. Se dico: “Mi piace il pistacchio” sto dicendo che tutti gli altri gusti non mi piacciono. Nella scelta che fa lʼuomo cʼè sempre lʼesclusione di qualcosa.

Lʼuomo cerca sempre di giudicare. Cerca sempre di dire con le proprie forze cosa è bene e cosa è male. Ogni volta che lo fa lʼuomo pecca di peccato originale, cerca cioè di farsi come Dio in quanto cerca di stabilire con le proprie forze cosa è bene e cosa è male. Lʼuomo è affetto da peccato originale. Da quando Adamo ed Eva hanno mangiato questo frutto, lʼuomo è affetto da un peccato di cui non può liberarsi.

È qui che interviene lʼImmacolata, colei che è stata concepita senza peccato originale. Dai nostri peccati, compreso quello originale, siamo guariti dal sacrificio e dal sangue di Cristo.
Però cercare di essere senza peccato originale è uno sforzo che già possiamo fare in quanto esseri umani. Possiamo già cercare di contrastare, come facciamo con qualsiasi altra tentazione, il peccato originale che è in noi.
Per contrastare il peccato originale che è in noi possiamo cercare di astenerci dal giudizio. Tutte le volte che evitiamo di dire: “Questo è bene” o “Questo è male” stiamo di fatto astenendoci dal giudizio. Lʼastensione dal giudizio, lʼassenza di giudizio, è lʼImmacolata.

“Preferisci pistacchio o cioccolato?”. “Non fa niente. Dammi quello che vuoi”. Non esprimendo la preferenza, evitiamo di maledire – perché, come detto, benedire qualcosa equivale a maledire implicitamente tutto il resto – e dunque evitiamo di farci portavoce del diavolo.

Affidarsi allʼImmacolata, non scegliere, non preferire, ma rinnegare la propria volontà e lasciar fare a una volontà altrui, sono tutti mezzi che abbiamo per contrastare il peccato originale. Pregare Maria che in ciò è stata esperta. Anche perché ammettere di non sapere è il primo stadio, il gradino su cui si fonda il raggiungimento della sapienza vera, che può venire solo dallʼalto. “Ogni sapienza viene dal Signore / ed è sempre con lui” (Sir 1, 1)

Acque

Quasi tutti i luoghi di apparizioni mariane hanno acque.
A quanto pare Maria ha sempre scelto luoghi in cui ci sono acque curative.

Tutte le acque dei luoghi di apparizioni mariane sono curative.

Non cʼè nessun mistero. Le acque in sé sono evidentemente curative, hanno cioè delle proprietà fisiologiche benefiche per lʼuomo. In effetti quando si fanno analisi chimiche su queste acque si riscontrano proprietà particolari. Tali proprietà sono però naturali, fisiche.

Quando avvengono i miracoli, le proprietà intrinseche delle acque contano poco.
I miracoli, ossia le guarigioni miracolose che avvengono dopo che qualcuno si è immerso nellʼacqua o si è bagnato con essa, sono comunque frutto della grazia. È comunque la grazia, ossia lʼintervento divino, che permette, talvolta, a tali acque di compiere miracoli.

Dio ha guardato la fede di chi si è recato nel luogo di pellegrinaggio in quanto luogo di apparizioni, e ha ascoltato la sua preghiera. La guarigione miracolosa è dunque opera divina.
Anche se come mezzo di espressione della fede del guarito Dio si è servito delle acque, non sono le acque in sé a guarire, ma la potenza di Dio.

Problemi di etica, vita buona, religione e Vangelo

In Platone e Aristotele i problemi di etica sono affrontati nel dettaglio. Ci sono analisi dei tipi di piaceri, dei tipi di dolori, di cosa significa assenza di piaceri e di dolori, di cosa è scienza, di cosa è conoscenza e dei benefici che apportano allʼanima. Si fanno, in questi autori, su tutte queste cose grandi ragionamenti per stabilire in quali quantità ciascuna di queste cose deve essere presente nella vita perché la vita si detta buona.

NellʼAntico Testamento la vita buona è lʼosservanza delle leggi mosaiche.

Nel Nuovo Testamento la vita buona è lʼosservanza del “nuovo comandamento”: amare. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34).

Nella Bibbia nel suo insieme la vita buona si riassume nel concetto di “fare la volontà di Dio al posto della propria”.
Dio è ragione, logos, intelligenza, lui sa cosa è meglio per noi, lui ragiona meglio di noi, la sua volontà è migliore della nostra, per cui il comandamento generale del “fare la volontà di Dio”, “obbedire a Dio” è valido.

Gesù ha semplificato tutto, ha dato un comandamento solo. Volontà di Dio for dummies: amare.

Amare uguale dare.

Così come rinnegare la propria volontà è un esercizio, un allenamento, nellʼarte di fare la volontà di qualcun altro, e quindi più o meno ne è lʼequivalente; allo stesso modo, siccome il dare costituisce per forza un privarsi, allora se noi ci priviamo di cose (abiti, soldi, carne addosso al corpo, energie, beni di qualsiasi tipo, come lʼintelligenza o la sanità mentale), ciò ci porta a fare la volontà di Dio, ossia a obbedire al comandamento unico dellʼamore

San Francesco è uno di quelli che nella vita hanno seguito il principio del privarsi in quanto speculare al dare.

“Tutto è compiuto!” (gr. “τετέλεσται”, lat. “consummatum est”, Gv 19, 30). Quando non si ha più nulla, cioè quando si è morti (il corpo non ha più forze per sostenere lʼalito, lo spirito, la vita) si è adempiuta appieno la volontà di Dio.

Arrivare a sera senza avere più forze per alzare un dito e crollare dal sonno è un buon modo per prendere su di sé la “croce quotidiana” (cf. Lc 9, 23). Non importa a chi è diretta la fatica. Lʼimportante è che sia un privarsi, che equivale specularmente al dare.
Non importa a chi do la mela. Lʼimportante, per la mia salvezza, per la mia entrata in Paradiso, è che io non ho più la mela per me. Ecco lʼimportanza di fioretti, penitenze, sacrifici. 

Per il principio dellʼentropia (nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si conserva e si trasforma) la mela a cui ho rinunciato arriverà un giorno a qualcun altro in qualche forma. 

Il passo evangelico su Lazzaro in Paradiso accanto ad Abramo è da accostare al verso della Prima lettera ai Colossesi in cui San Paolo dice: “ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (1Col 1, 12).

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». (Lc 16, 19-31)

Il tutto è da accostare a questo passo di Fedone (dialogo platonico), in cui Socrate si augura di andare, dopo la morte, in un luogo in cui ci sono grandi uomini.

«Questo mi pare naturale – disse Cebete. Ma quello che poco fa affermavi, cioè che i filosofi dovrebbero volere di buon animo la morte, a me pare insensato, vale dire che il dio è colui che ha cura di noi e che noi siamo suo possesso. Infatti, che gli uomini più saggi non si rammarichino di uscire da questo servizio in cui sono tutelati dai migliori tutori che esistano, quali sono appunto gli dèi, è cosa che non ha senso. Né si può credere che uno sia convinto di provvedere a se stesso con maggior vantaggio, una volta liberatosi da quel servizio. Un folle potrebbe credere questo e pensare che si deve fuggire dal padrone; e solo un folle non penserebbe che non si deve fuggire dal padrone buono, ma che, anzi, conviene rimanere con lui, e che, fuggendo, si commetterebbe una follia. Invece chi è saggio desidera stare sempre accanto a chi è migliore di lui. Ma, se si ragiona così, risulta naturale esattamente il contrario, Socrate, di quello che prima si diceva, ossia che ai saggi conviene rammaricarsi della morte, agli stolti rallegrarsene».
Socrate, udito questo, mi parve compiacersi di quella vivace argomentazione di Cebete, e, rivolgendo verso di noi lo sguardo, disse: «Cebete tira sempre fuori ragionamenti nuovi e non si lascia mai convincere immediatamente da quello che uno gli dice».
E Simmia: «Ma questa volta, Socrate, sembra anche a me che Cebete abbia qualche ragione: perché mai uomini veramente sapienti si sottrarrebbero a padroni migliori di loro e se ne andrebbero lontano da essi così facilmente? E mi sembra che Cebete rivolga il suo ragionamento proprio a te, che sopporti così a cuor leggero di abbandonare sia noi, sia quei buoni governanti, che sono, come tu dici, gli dèi!».
E Socrate rispose: «Dite cose giuste! Credo, infatti, che voi vogliate dire che io, di fronte a queste obiezioni, mi debbo difendere come se fossi in tribunale».
«Proprio così», disse Simmia.
«Ebbene – disse Socrate –, cercherò di difendermi davanti a voi in modo più persuasivo che non davanti ai giudici. Se, io Simmia e Cebete, non credessi veramente di andare, innanzi tutto, presso altri dèi sapienti e buoni, e, poi anche presso uomini morti, migliori di quelli di qui, avrei torto a non rattristarmi della morte. Ma sappiate bene che io spero di andare presso uomini buoni, anche se questo non mi sentirei di sostenerlo con sicurezza. In ogni modo, che io debba andare presso dèi, padroni sommamente buoni: ebbbene, sappiate che, se mai cʼè qualcosa che fermamente io mi sentirei di sostenere, è proprio questo. È proprio per questo che io non mi rattristo come gli altri, ma ho ferma speranza che per i morti ci sia qualcosa, e che questo, come si dice già dai tempi antichi, sia qualcosa di molto migliore per i buoni che non per i cattivi».
La via cristiana è la via per chiunque, in particolare per i piccoli. I piccoli dicono: come faccio a conquistarmi il Paradiso, io che non sono in grado di compiere grandi opere? Non importa compiere grandi opere di bene. Lʼimportante è privarsi di tutto ciò che si ha.

I tempi di Maria

Ultimamente mi sono abituato soprattutto a pregare Gesù, perché Gesù è Dio. In passato, agli inizi della mia conversione, mi rivolgevo semplicemente a: “Dio”. “Dio” è la parola che ci è stata data per riferirci a quellʼentità che è al di sopra di tutte le altre entità, non solo, Dio è quellʼentità che è lʼorigine di tutte le altre entità.
Immaginiamo che tutti gli elementi dellʼuniverso siano disposti a piramide. Dio sta sulla punta. Immaginiamo poi unʼaltra piramide, quella costituita dai nomi degli elementi dellʼuniverso. Perché un conto sono le entità, visibili e invisibili, che costituiscono lʼuniverso, un conto sono le parole che abbiamo deciso di attribuire a tali entità.
Secondo gli antichi le parole che si riferiscono a ciascuna entità, ossia i nomi, sono dono degli dèi, dono divino.
È evidente ad ogni modo che essendo uno lʼuniverso, una è anche la lingua che a esso si riferisce. Definiamo lingua insieme di nomi. Per quanto riguarda i verbi, essi non sono altro che le parole che si riferiscono al movimento delle entità a cui si riferiscono i nomi. E nome più verbo costituisce lʼessenza della lingua. Lʼunione di nome più verbo è ciò che in Sofista, dialogo platonico, è addirittura chiamato: “Logos”. Non è poca cosa tenere presente questa cosa, se teniamo presente anche che il primo verso del Vangelo di Giovanni, ossia il più grande documento teologico mai messo su carta, dice: “In principio era il logos”, “ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος”... Ma chi non conosce Platone può andare dal buon Chomsky il quale nel secolo scorso ha parlato di grammatica generativa facendo emergere con questo concetto la natura essenziale dellʼunione tra nome e verbo. Aggettivi, avverbi, congiunzioni e altri ammennicoli non fanno parte dellʼessenzialità del linguaggio, ma sono derivati di nomi e verbi e delle loro unioni.
Si potrebbe dire, restando nella filosofia antica (Aristotele, che è come dire: Platone), che già i verbi sono derivati dai nomi. Un albero è tale in quanto albera (voce del verbo alberare); un uomo è tale in quanto uoma (voce del verbo uomare). Il nome si riferisce allʼentità ferma, il verbo allʼentità in movimento. Lʼazione è già insita nel nome. Il verbo: “camminare” sarebbe il movimento implicito dellʼentità il cui nome è: “camminamento”.

La lingua è quindi una, anche se ogni parola ha poi varie versioni.

Ci sono quindi due piramidi. Una, la principale, è costituita dalle entità interrelate tra loro che costituiscono lʼuniverso. In cima, come si è detto, cʼè Dio. La secondaria è la piramide dei nomi che a tali entità si riferiscono.
Lasciamo perdere per ora che pure i nomi, a loro volta, sono poi entità che fanno parte dellʼuniverso. Basti dire per ora che sono entità secondarie in quanto componenti della piramide secondaria.
Questo è il cosiddetto Realismo, difeso da Aristotele – che è come dire: Platone – e dallʼaristotelico San Tommaso dʼAquino, il più grande pensatore della cristianità.

Tornando a me, agli inizi pregavo Dio, poi negli ultimi anni sono passato a Gesù. Qui a Lourdes mi trovo a pregare Maria. La soluzione la dà San Massimiliano Kolbe. Ogni santo è patrono di qualcosa, in base a come è morto o a qualche evento della sua vita. Santa Lucia è patrona degli oculisti e viene pregata per guarire malattie agli occhi, perché a lei furono strappati gli occhi nel suo martirio. Lo stesso San Massimiliano Kolbe è patrono dei mass-media, perché durante la sua vita inventò è curò una rivista per propagare la fede cattolica che ebbe una tiratura di milioni di copie. E così via.
Maria di cosa è patrona? Qual è la specialità di Maria? La specialità di Maria è fare la volontà di Dio, come si ricava dal suo evangelico: “Sì” e da altri episodi evangelici. In tutta la sua vita, la sua volontà non si è mai discostata neanche di un millimetro dalla volontà di Dio. La sua volontà è talmente unita alla volontà di Dio che possiamo tranquillamente dire che se facciamo la volontà di Maria stiamo con certezza facendo la volontà di Dio. Ecco le radici della preghiera a Maria. In qualsiasi momento, pregare Maria equivale a pregare Dio, o una qualsiasi delle persone della Santissima Trinità. In genere io preferisco ancora rivolgermi a Gesù, ma qui a Lourdes, dove grande è la devozione per la madre del Signore, devozione graditissima al Signore stesso, che amava infinitamente sua madre, è bello abbandonarsi a un rapporto personale con la dolcissima e tenerissima Maria.
La parola stampata o trasmessa attraverso le onde della radio, o le immagini riprodotte a stampa oppure trasmesse per televisione radiofonica, o il cinema o altri mezzi, tutto questo è molto, ma non è ancora tutto ciò che è possibile fare per insegnare a tutti e ad ognuno singolarmente chi è lʼImmacolata, per riscaldare lʼamore verso di Lei e soprattutto per accendere questo amore essenziale, un amore non tanto del sentimento quanto piuttosto della volontà che si unisce con la Volontà dellʼImmacolata, così come Ella ha unito strettamente la Sua Volontà con la Volontà di Dio, con il Cuore di Dio. (Scritti Kolbe 382)

È fuori di ogni dubbio che la Sua Volontà è pienamente congiunta alla Volontà di Dio; quindi, non bisogna far altro che unire la nostra volontà con la Sua, cosicché, attraverso Lei, ci uniamo a Dio. (SK 579)  

Per concludere, aggiungo che nel discorso che si fa sulla differenza tra cose (entità) e loro nomi, ossia il discorso che costituisce il dibattito tra Realismo e Nominalismo, va tenuto presente che la vera distinzione da fare è quella tra cose (entità) e pensiero di esse. I nomi sono proprio lʼultimo stadio. Il logos, di fatto, non è un semplice nome, o verbo, ma è lʼunione tra nome e verbo, ossia il principio del linguaggio, che è anche il principio del pensiero.

Direi che lʼordine è questo: cose (entità); pensieri (nous), mediante cui lʼuomo coglie e si rappresenta nella mente le cose sia rispetto a se stesse sia rispetto le une alle altre; parole (vocalizzazioni), mediante cui si esprimono a voce i pensieri delle cose; parole (scritte), che attribuiscono-riferiscono segni visivi a segni fonetici.  

Lʼumiltà non si può fingere

Il premio Pulitzer del 1961 nella categoria fiction è Il buio oltre la siepe, pubblicato nel luglio 1960 negli Stati Uniti dallʼautrice Harper Lee. Il titolo originale è To kill a mockingbird, letteralmente: uccidere un usignolo. Il mockingbird è un uccellino (nome scientifico mimus polyglottos) diffuso in America, ma non in Italia. La traduzione, mancando un termine corrispondente, potrebbe variamente usare tordo, passero… usignolo.

Il riferimento è a un passo del romanzo. A Scout e Jem, i figli di Atticus Finch, protagonista, vengono regalati fucili ad aria compressa. Lui commenta:
“Preferirei che sparaste ai barattoli in cortile, ma so già che andrete dietro agli uccelli. Sparate fin che volete alle ghiandaie, se vi riesce di prenderle, ma ricordatevi che è peccato uccidere un passero [un mockingbird]”
Era la prima volta che udivo Atticus dire che era peccato fare una data cosa, così andai a informarmi da miss Maudie.
“Tuo padre ha ragione”, disse. “I passeri non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardini, non fanno il nido nelle madie; non fanno proprio niente, solo cinguettano. Per questo è peccato uccidere un passero.”
Il passero, o usignolo (di nuovo, mockingbird) del romanzo è Tom Robinson, un innocuo bracciante nero ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca. Tom Robinson subisce tale accusa solo perché di colore. Atticus Finch è lʼavvocato che si incarica di difenderlo.

Ciò che mi interessa di Atticus Finch è il suo talento di tiratore, che emerge dal passo seguente.
Un sabato Jem e io decidemmo di andare in esplorazione con i nostri fucili ad aria compressa per vedere se riuscivamo a trovare un coniglio o uno scoiattolo. Avevamo oltrepassato Radley Place di quattro o cinquecento metri quando mi accorsi che Jem lanciava occhiate furtive a qualcosa in fondo alla strada. Aveva voltato la testa da una parte e guardava con la coda dellʼocchio.
“Cosa guardi?”
“Quel vecchio cane laggiù”, disse.
“È il vecchio Tim Johnson, no?”
“Già.”
Tim Johnson apparteneva al signor Harry Johnson, che guidava lʼautobus per Mobile e abitava alla periferia sud della città. Tim era un cane da caccia color fegato, il beniamino di Maycomb.
“Cosa fa?”
“Non so, Scout. Meglio andare a casa.”
“Uff, Jem, siamo in febbraio.”
“Non importa. Voglio dirlo a Cal.”
Corremmo a casa e ci precipitammo in cucina.
“Cal” disse Jem “puoi venire un momento con me in strada?”
“Per cosa, Jem? Non posso venire con te in strada ogni volta che me lo chiedi.”
“Quel vecchio cane laggiù ha qualcosa che non va.”
Calpurnia sospirò. “Adesso non ho tempo di fasciare le zampe ai cani. In bagno cʼè della garza, valla a prendere e fallo da te.”
Jen scosse il capo. “È ammalato, Cal. Ha qualcosa che non va.”
“Cosa fa, cerca di mordersi la coda?”
“No, fa così.”
Jem boccheggiò come un pesce, curvò le spalle e torse spasmodicamente il busto. “Fa così, ma non come se lo facesse apposta.”
“Mi stai raccontando una balla, Jem Finch?” La voce di Calpurnia si era indurita.
“No, Cal, te lo giuro.”
“Correva?”
“No, gironzolava, così lentamente che è difficile descriverlo. Sta venendo da questa parte.”
Calpurnia si sciacquò le mani e seguì Jem nel cortile. “Io non vedo nessun cane”, disse.
Ci seguì oltre Radley Place e guardò dove Jem puntava il dito. Tim Johnson era solo un puntino in lontananza, ma si era avvicinato. Camminava in modo imprevedibile, come se le zampe di destra fossero più corte di quelle di sinistra. Mi fece pensare a una macchina bloccata in un banco di sabbia.
“Adesso è tutto storto”, disse Jem.
Calpurnia sgranò gli occhi, poi ci prese per le spalle e ci spinse verso casa di corsa. Chiuse la porta, andò al telefono e gridò: “Datemi lʼufficio del signor Finch!”
“Signor Finch!” urlò. “Sono Cal. Giuro su Dio che a un pezzo di strada da qui cʼè un cane con la rabbia… Viene da questa parte, sissignore, è… signor Finch, sono sicura, è… il vecchio Tim Johnson, sissignore… sissignore… sì…”
Riattaccò e scosse il capo quando cercammo di sapere cosa le aveva detto Atticus. Spinse su e giù la forcella del telefono e disse: “Miss Eula May… ecco, signora, ho appena finito di parlare col signor Finch, tolga pure la comunicazione, la prego… Senta, Miss Eula May, può chiamare Miss Rachel e Miss Stephanie Crawford e tutti quelli di questa strada che hanno il telefono e avvertirli che sta arrivando un cane con la rabbia? La prego, signora!”
Calpurnia rimase in ascolto. “Lo so che siamo in febbraio, Miss Eula May, ma io lo riconosco un cane con la rabbia, quando lo vedo. La prego, signora, si sbrighi!”
Calpurnia chiese a Jem: “I Radley hanno il telefono?”
Jem guardò nellʼelenco e disse di no. “Tanto non usciranno, Cal.”
“Non importa, vado a dirglielo.”
Scese di corsa dalla veranda, con noi due alle calcagna. “State in casa, voi!” gridò.
Il messaggio di Calpurnia era stato ricevuto dai vicini. Ogni porta di legno nel nostro campo visivo era stata chiusa ermeticamente. Di Tim Johnson non cʼera più alcuna traccia. Seguimmo con lo sguardo Calpurnia che correva verso Radley Place, tenendosi la gonna e il grembiule sopra le ginocchia. Salì i gradini della veranda e bussò alla porta. Nessuno rispose, e lei gridò: “Signor Nathan, signor Arthur, sta arrivando un cane rabbioso! Sta arrivando un cane rabbioso!”
“Dovrebbe girare intorno alla casa ed entrare da dietro”, dissi io.
Jem scosse il capo. “Fa lo stesso, ormai”, disse.
Calpurnia bussava alla porta, ma invano. Nessuno raccolse il suo avvertimento; nessuno sembrava averlo sentito.
Mentre Calpurnia correva verso la veranda posteriore una Ford nera entrò nel vialetto. Ne scesero Atticus e il signor Heck Tate.
Il signor Heck Tate era lo sceriffo della contea di Maycomb. Era alto come Atticus, ma più magro. Aveva il naso lungo, portava stivali lucidi con occhielli metallici, pantaloni da cavallerizzo e una giacca da taglialegna. Sul cinturone era appiccicata una fila di proiettili. In mano aveva una pesante carabina. Quando lui e Atticus raggiunsero la veranda, Jem aprì la porta.
“Staʼ dentro, figliolo”, disse Atticus. “Dovʼè, Cal?”
“Ormai dovrebbe essere qui”, disse Calpurnia, indicando qualcosa in fondo alla strada.
“Non corre, eh?” chiese il signor Tate.
“Nossignore, è nel momento delle convulsioni, signor Heck.”
“Non dovremmo andargli incontro, Heck?” chiese Atticus.
“Meglio aspettare, signor Finch. Di solito procedono in linea retta, ma non si sa mai. Potrebbe seguire la curva... Speriamo che faccia così, altrimenti andrà dritto nel cortile dei Radley”, disse Atticus. “Lo fermerà la rete metallica. Probabilmente seguirà la strada…”
Io credevo che i cani con la rabbia avessero la bava alla bocca, galoppassero, saltassero e balzassero alla gola della gente, e credevo che lo facessero in agosto. Se Tim Johnson si fosse comportato così, avrei avuto meno paura.
Non cʼè nulla di più sinistro di una strada deserta in attesa. Gli alberi erano immobili, i tordi beffeggiatori tacevano, i carpentieri al lavoro nella casa di Miss Maudie erano spariti. Sentivo il signor Tate tirare su col naso, poi soffiarselo. Lo vidi poggiare il fucile nella piega del braccio. Vidi la faccia di Miss Stephanie incorniciata nel vetro della porta dʼingresso. Poi apparve anche Miss Maudie, che si fermò accanto a lei. Atticus mise il piede sul piolo di una sedia e si passò la mano lentamente sul lato della coscia.
“Eccolo”, disse piano.
Tim Johnson fece la sua comparsa, camminando con aria stordita nella parte interna della curva parallela alla casa dei Radley.
“Guardalo”, sussurrò Jem. “Il signor Heck dice che procedono in linea retta. Non è capace neanche di stare nella strada.”
“Più che altro sembra ammalato”, dissi io.
“Lascia che gli si pari davanti qualcosa e vi si avventerà sopra.”
Il signor Tate si portò una mano alla fronte e allungò il collo. “Ce lʼha eccome, signor Finch.”
Tim Johnson avanzava a passo di lumaca, ma non giocherellava col fogliame e non lo annusava, pareva totalmente concentrato sula rotta che seguiva e motivato da una forza invisibile che piano piano lo spingeva verso di noi. Lo vedevamo rabbrividire come un cavallo che scaccia le mosche, aprire e chiudere le mascelle; sbandava, ma era attratto gradualmente verso di noi.
“Sta cercando un posto dove morire”, disse Jem. 
Il signor Tate si voltò indietro. “È tuttʼaltro che moribondo, Jem, non ha ancora cominciato.”
Tim Johnson raggiunse la traversa che passava davanti a Radley Place, e ciò che restava della sua povera mente lo indusse a fermarsi e, in apparenza, a considerare quale strada prendere. Fece due o tre passi esitanti e si fermò di fronte al cancello dei Radley; poi cercò di voltarsi, ma faceva fatica.
Atticus disse: “È a tiro, Heck. Meglio beccarlo adesso prima che prosegua lungo la traversa… Dio sa chi cʼè dietro lʼangolo. Vaʼ dentro, Cal.”
Calpurnia aprì il telaio con la zanzariera, se lo chiuse ale spalle, poi lo riaprì e si tenne stretta al gancetto. Cercò di bloccare Jem e me col proprio corpo, ma noi guardavamo fuori da sotto le sue braccia.
“Tiri lei, signor Finch.” Il signor Tate porse il fucile ad Atticus; Jem e io per poco non svenimmo.
“Non perda tempo, Heck”, disse Atticus. “Avanti.”
“Signor Finch, questo è un lavoro da un colpo solo.”
Atticus scosse violentemente la testa: “Non stia lì impalato, Heck! Il cane non aspetterà tutto il giorno che lei…”
“Per amor di Dio, signor Finch, guardi dovʼè! Uno sbaglio, e la pallottola entra dritto nella casa dei Radley! Io non sparò così bene, e lei lo sa!”
“Io non prendo più in mano un fucile da trentʼanni…”
Il signor Tate quasi gettò la carabina ad Atticus. “Sarei molto più contento se ci pensasse lei”, disse.
Nella nebbia, Jem e io guardammo nostro padre prendere il fucile e andare a mettersi al centro della strada. Camminava rapidamente, ma io pensai che si muoveva come un nuotatore sottʼacqua: il tempo era diventato lento come una lumaca e mi dava la nausea.
Quando Atticus cominciò ad alzarsi gli occhiali Calpurnia mormorò: “Buon Gesù aiutalo tu”, e si portò le mani alle gote.
Atticus si alzò gli occhiali sulla fronte, ma quelli tornarono a scivolargli sul naso e allora li lasciò cadere in mezzo alla strada. Nel grande silenzio, sentii che si rompevano. Atticus si strofinò gli occhi e il mento; lo vedemmo battere ripetutamente le palpebre.
Davanti al cancello dei Radley, con quel poʼ che restava della sua mente, Tim Johnson aveva preso una decisione. Era riuscito finalmente a voltarsi, a riprendere il cammino originario lungo la nostra via. Fece due passi avanti, poi si fermò e alzò la testa. Vedemmo il suo corpo irrigidirsi.
Con movimenti così rapidi da sembrare simultanei, la mano di Atticus tirò una leva che finiva con un pallino mentre si portava il fucile alla spalla.
Il fucile sparò. Tim Johnson fece un balzo, ricadde e si afflosciò sul marciapiede in un mucchio bianco e marrone. Non seppe mai cosa lʼaveva colpito.
Il signor Tate saltò giù dalla veranda e corse a Radley Place. Si fermò davanti al cane, si accovacciò, si voltò indietro e con un dito si toccò la fronte sopra lʼocchio sinistro. “Lʼha colpito un poʼ a destra, signor Finch”, gridò.
“Ho sempre avuto questo difetto”, rispose Atticus. “Potendo scegliere, avrei preso un fucile da caccia.”
Si chinò a raccogliere gli occhiali, schiacciò col tacco le lenti rotte fino a ridurle in polvere, poi raggiunse il signor Tate e si fermò a guardare Tim Johnson.
Le porte delle case si aprirono una dopo lʼaltra e il quartiere tornò lentamente alla vita. Miss Maudie scese dalla veranda con Miss Stephanie Crawford.
Jem era paralizzato. Gli diedi un pizzicotto per svegliarlo, ma quando Atticus ci vide arrivare gridò: “Restate dove siete.”
Quando il signor Tate e Atticus tornarono indietro, il signor Tate sorrideva. “Avvertirò Zeebo di venirlo a prendere”, disse. “Non ha dimenticato come si spara, signor Finch. Dicono che la buona mira non si perde mai.”
Atticus non rispose.
“Atticus?” disse Jem.
“Sì?”
“Niente.”
“Ho visto, bel colpo!”
Atticus girò su se stesso per fronteggiare Miss Maudie. Si guardarono senza dire una parola, poi Atticus entrò nella macchina dello sceriffo. “Vieni qui”, disse a Jem. “Non avvicinatevi a quel cane, capito? Non avvicinatevi, da morto è pericoloso come da vivo.”
“Sissignore”, disse Jem. “Atticus…”
“Cosa, figliolo?”
“Niente.”
“Cosa cʼè, ragazzo, hai perso la lingua?” disse il signor Tate, guardando Jem con un sorriso. “Non sapevi che tuo padre…”
“Zitto, Heck”, disse Atticus, “torniamo in città.”
Quando furono lontani, Jem e io andammo a sederci sui gradini della veranda di Miss Stephanie e restammo ad aspettare lʼarrivo di Zeebo col camion della nettezza urbana.
Jem era ancora molto confuso, e Miss Stephanie disse: “Uh, uh, uh, chi avrebbe mai pensato a un cane rabbioso in febbraio? Forse non era rabbioso, forse era solo fuori di testa. Non vorrei proprio vedere la faccia di Harry Johnson quando arriverà da Mobile e scoprirà che Atticus Finch ha ucciso il suo cane. Forse era solo pieno di pulci che si sarà preso chissà dove…”
Miss Maudie disse che Miss Stephanie avrebbe cambiato musica se Tim Johnson fosse stato ancora là su marciapiede; e che presto avrebbero scoperto se era davvero rabbioso, perché la sua testa sarebbe stata spedita a Montgomery.
A questo punto Jem tornò a spiccicare qualche parola: “Ma lʼhai visto, Scout? Lʼhai visto, là in mezzo alla strada?… E tuttʼa un tratto era così rilassato che sembrava che il fucile fosse una parte del suo corpo… e ha agito così rapidamente, come… Io devo mirare per dieci minuti prima di colpire qualcosa…”
Miss Maudie mi guardò con un sorriso malizioso. “Allora, signorina Jean Louise”, disse, “credi ancora che tuo padre non sia capace di fare niente? Ti vergogni ancora di lui?”
“No”, dissi umilmente.
“Lʼaltro giorno ho dimenticato di dirti che, oltre a suonare lo scacciapensieri, ai suoi tempi Atticus Finch era il miglior tiratore della contea.”
“Il miglior tiratore…” le fece eco Jem.
“È quello che ho detto, Jem Finch. Credo che anche voi cambierete musica dʼora in poi. Che idea, non sapevate che quando era un ragazzo il suo nomignolo era Un-Colpo-Solo? Ma come, giù al Landing, quando risaliva, se aveva sparato quindici colpi e abbattuto quattordici colombi si lagnava di avere sprecato le munizioni.”
“Non ci ha mai detto niente”, borbottò Jem.
“Non ne ha mai parlato?”
“Nossignora.”
“Chissà perché non va più a caccia”, dissi.
“Forse te lo posso dire io”, disse Miss Maudie. “Se tuo padre ha una dote, è la grandezza dʼanimo. La buona mira è un dono di Dio, un talento… Oh, devi esercitarti per arrivare alla perfezione, ma sparare non è come suonare il piano o roba del genere. Io credo che forse attaccò il fucile al chiodo quando si rese conto che Dio gli aveva dato un ingiusto vantaggio sulla maggior parte degli esseri viventi. Credo che fu allora che decise di non sparare finché non vi fosse costretto, e oggi è andata proprio così.”
“Mi sa che dovrebbe esserne fiero”, dissi io.
Le persone con la testa a posto non si vantano mai dei loro talenti”, disse Miss Maudie.
Notammo che Zeebo stava arrivando. Prese un forcone dal camion della nettezza urbana e sollevò cautamente Tim Johnson. Buttò il cane sul camion, poi versò qualcosa da una brocca da un gallone nel punto dovʼera caduto Tim e tuttʼintorno. “Non venite più qui per un poʼ”, gridò.
Quando andammo a casa dissi a Jem che avremmo davvero avuto qualcosa da raccontare a scuola lunedì. Jem mi contraddisse immediatamente.
“Non ne parlare, Scout”, disse.
“Cosa? Certo che lo farò. Non tutti hanno un padre che è il miglior tiratore della contea.”
Jem disse: “Se avesse voluto che lo sapessimo ce lʼavrebbe detto, non ti pare? Se ne fosse andato orgoglioso, ce lʼavrebbe detto.”
“Forse gli era passato di mente”, dissi.
“No, Scout, è una cosa che tu non puoi capire. È vero che Atticus è vecchio, ma anche se non fosse capace di fare niente non me ne importerebbe… non me ne importerebbe neanche se non sapesse fare un fico secco.”
Raccolse un sasso e lo tirò, giubilante, contro il garage. Correndogli dietro, gridò: “Atticus è un gentiluomo, proprio come me!”
Un talento tenuto nascosto. Potrebbe falsamente essere interpretato come segno di umilità. Il problema è che lʼumiltà non si può fingere.
Per essere umili è necessario essere piccoli. Non si tratta di essere grandi e far finta di essere piccoli. La vera umiltà scaturisce dalla vera piccolezza. Si tratta proprio di non sapere fare nulla, di non sopportare nulla (caldo, freddo, fame, stanchezza, ecc.), di soffrire facilmente, per un nulla...
Santa Teresa di Lisieux è famosa per molte cose che ha scritto. Una di quelle che amo ricordare più frequentemente è il concetto di amore alla propria nullità. Santa Teresa di Lisieux ha capito bene che Dio viene per i piccoli. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11-25). “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2, 5). “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi“ (Lc 14, 21). “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella“ (Lc 7, 22). “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4, 18). “Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele” (Is 29, 19).
Se uno ha la dispensa piena, Dio non gli dice: “Ti do io da mangiare”. Gli dice, piuttosto: “Prima finisci il cibo che hai in dispensa, poi, quando non ne avrai più, se non hai altre risorse per procurartene, ci penserò io”.
Ci sono stati santi a cui cani (San Rocco) o corvi (padri del deserto) portavano da mangiare. È così che funziona la Provvidenza. Dove cʼè lʼautosufficienza non cʼè bisogno dellʼintervento divino.

 

Dormiveglia

Quando si è nel dormiveglia vengono in mente le cose più strane. Ovvero, vengono in mente le cose in modo strano. Vengono in mente storie e ricordi che non verrebbero mai in mente da svegli totali. Credo sia perché nel dormiveglia la mente è in uno stato di semisonno, quindi inizia a lavorare come se stesse sognando, in modo onirico. Il modo onirico è un modo in cui saltano le normali connessioni logiche. Si pensano le cose come non le si penserebbero normalmente. Ma non solo, direi. Mi sembra che, per quanto riguarda le storie, una certa struttura logica è mantenuta. Parlo dei ricordi che vengono in mente nel dormiveglia. In questi casi il dormiveglia ha la funzione di far affiorare dal subconscio materiale altrimenti inaccessibile. E tale materiale, stranamente, forse perché si è ancora nel dormiveglia e non ancora nel sonno vero e proprio, conserva una struttura logica, tale che il ricordo è intatto e uguale a quando è accaduto. Non è come quando si sogna, che lʼattività onirica non fa altro che servirsi del materiale mnemonico per costruire nuove storie strampalate e sconnesse. Nel dormiveglia, mi sembra, tornano alla mente ricordi intatti. Però è anche vero che vengono idee che non verrebbero in stato di veglia, e che inoltre si dimenticano quasi subito se non ci si sforza di tenerle. 

Soffro immensamente ogni giorno

Che vita difficile, pesante e assurda.
Che vita è la mia? Non vale la pena di essere vissuta. Non ci sono gioie, non ci sono soddisfazioni.
Sono sicuro che cʼè qualcuno che prega per la mia santificazione. Ad esempio madre M. E. Ma in realtà tutti coloro che pregano per me anche non volendolo non fanno altro che chiedere la mia santificazione. La santificazione è il dono più alto che si può ricevere da Dio. Perciò quando uno prega per una persona in ultima istanza non fa altro che pregare per la sua santificazione. È problematico chiedere una facilitazione della vita, che Dio tolga una malattia, che tolga dei pesi. In realtà sappiamo che è Lazzaro, il povero pieno di piaghe a cui solo i cani vanno a leccare le ferite, a essere in Paradiso insieme ad Abramo (cf. Lc 16, 19-31). Più preghiamo per una persona, qualsiasi cosa chiediamo, più stiamo pregando per la sua santificazione.
E quando Dio vuole santificarci cosa fa? Manda le croci.
Se preghiamo veramente per il bene di una persona, non facciamo altro che procurargli croci. La croce è lʼunica strada per la santificazione. Santificazione uguale farsi santi uguale andare in Paradiso.
“Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».” (Lc 9, 23).
Perciò, quando abbiamo una vita difficile, non dobbiamo lamentarci ma ringraziare. Una vita difficile significa che è tutto a posto. Significa che Dio ci guarda e ci manda tante croci, o almeno quella quotidiana, perché vuole portarci in Paradiso, a stare con lui.

Era circa lʼora decima

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco lʼagnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. (Gv 1, 35-39).
“Erano circa le quattro del pomeriggio”. “ωρα ην ως δεκατη”. Letteralmente: “Era circa lʼora decima”. Chissà cosa vuol dire... Di sicuro è significativo, come  tutte le parole del Vangelo. Secondo me è unʼindicazione che aiuta capire dove abitava e dimorava il Signore. Ma si accettano suggerimenti.

A me di questa pericope colpiscono tre versetti. “Ecco lʼagnello di Dio”, “seguirono Gesù”, “videro dove egli dimorava”.

Questi tre versetti per me hanno funzionato al contrario.
Da sempre ho innanzitutto cercato il Padre. Ho voluto conoscere il Padre. Poi ho incontrato il Padre e la sua bontà. Il giorno in cui ho creduto al suo perdono – al perdono di qualsiasi peccato – sono diventato credente. Lo ricordo ancora. Era notte e piansi. 
Da lì il Padre mi ha chiesto di conoscere Gesù. Ma io volevo conoscere la sua sapienza. Quindi ho chiesto: “Chi sei?”, “Dove dimori?”. E la scoperta scioccante è stata quella che lui è lʼAgnello di Dio, cioè colui che è stato mandato sulla terra a prendere su di sé il peccato del mondo. La Croce è ciò che mi ha manifestato e rivelato Gesù più di ogni insegnamento, più di ogni miracolo.
Come il centurione sotto la Croce ho detto: “Costui è davvero figlio di Dio”.

Da ciò è iniziata la sequela. Dal vedere che Gesù è un Dio che si sacrifica, che muore per noi, che dà se stesso per gli uomini, che dà tutto se stesso per gli uomini.
È stato da qui che ho iniziato la sequela. Il mio seguire Gesù è iniziato dopo averlo visto sulla Croce. Nemmeno dallʼaver scoperto che alla Croce segue la Risurrezione. Ma proprio vedere cosa Gesù ha fatto con la Passione.

Signore Gesù, grazie. Non ho creduto a te fino a quando non ho visto come sei morto.
Mi sento proprio come il Filippo del Vangelo, che innanzitutto cercava il Padre. E ancora ti chiede: “Mostraci il Padre”. Tu però lo incalzi e inviti a fissare lo sguardo su di te perché: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14, 9).

Questo è un momento in cui Gesù innanzitutto si fa conoscere dai discepoli. Gli fa vedere chi è, dove dimora. I discepoli erano persone preparate. I discepoli vogliono vedere. “Dove dimori?” ha anche un significato spirituale, mistico. Ciò che Gesù mostra loro, in quella situazione, non è sicuramente solo la sua abitazione, ma qualche insegnamento, dove dimora a livello sapienziale. Gesù agli apostoli rivelava, da parte, sempre più di quanto rivelava alle masse.
E la sapienza è sempre accompagnata alla Croce. Come dire: “Abito qui, dimoro qui. Ma guardate cosa significa dimorare qui, guardate quanto costa”.
La cosa bella è che in questa situazione Gesù fa capire ai discepoli che è il Messia, fa capire loro questo, ma allo stesso tempo gli fa vedere che la sua dimora è umile, che lui non è un Messia facile da vedere, non è lampante la sua messianicità.
Ciò che mi colpisce grandemente di questi passi è lʼumiltà degli ambienti, del modo di vita. Questo è ciò che Gesù fa vedere loro. Fa capire loro che è il Messia, ma allo stesso tempo fa vedere loro che non è il tipo di Messia che aspettavano.

Signore, aiutami a non essere come Filippo che vuole solo vedere il Padre ed è mosso da una sete di conoscenza. Ma insegnami a capire che per arrivare al Padre bisogna passare attraverso te, insegnami la tua sequela, insegnami a morire per lʼumanità.

Mentre formulavo questʼultima preghiera mi è venuto da piangere perché ho capito che il Signore mi ha insegnato che la strada della santificazione è la strada della sofferenza. E non era un pianto di tristezza.

Destinatari della grazia

Che fare? Che fare? Che fare?
Non sapere di cosa parlare.
In realtà le cose di cui parlare sono tante.
Non sapere da dove iniziare.

Scrivere dovrebbe essere un piacere. Invece è una grande fatica. Se non fosse stato così faticoso, forse avrei scritto nella vita.
La realtà è che sono sempre fuggito da tutto ciò che è faticoso. Mi manca la disciplina, come dice Joey. Però scrivere mi piace. Mi piace rileggere, editare, sistemare, tagliare, rivedere.
Ma un conto è scrivere qualche frase, un conto è scrivere scrivere.
A me piace scrivere, ma il pensiero di farlo come lavoro me lo fa diventare una cosa spiacevole.
Appena inizio a scrivere inizio anche a sbadigliare. Non capisco se è perché mi annoio da solo, con le cose stesse che dico, oppure se è perché quando inizio a scrivere sono obbligato a pensare e perciò a faticare.

Quanti sono quelli che pensano che la scrittura, così come la preghiera, non sia faticosa!
Lʼumanità le pensa di tutti i colori.
Certo, cʼè una scrittura più faticosa di unʼaltra. Cʼè la scrittura creativa, cʼè la scrittura che parla di cose dolorose per la persona che scrive, cʼè la scrittura che parla di cose estranee alla persona che scrive (come il giornalismo). Questi modi di scrivere sono davvero faticosi.
E poi cʼè la scrittura come la pratico io, che consiste nel dire le cose come vengono in mente. Tale tipo di scrittura è liberatorio anche se pressoché inutile per chi legge.
Eppure credo che quando qualcuno riesce a toccare i punti dolorosi della propria anima e a metterli a nudo, tale trasferimento sia fruttuoso sia per chi scrive sia per chi legge.
Le profondità dellʼanima vanno sempre scandagliate, questa è una cosa di cui sono convinto. “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi…” (Mc 7, 21). Si esorcizza il buio dellʼanima portandolo alla luce.
Però un conto è concentrarsi troppo su se stessi, in modo psicanalitico. Un conto è guardare se stessi confrontandosi con Dio e mettendosi davanti a lui. È ciò che dicono i maestri di spirito. Santa Teresa dʼAvila, ad esempio, afferma che nel cammino dellʼorazione è fondamentale agli inizi conoscere se stessi, avere unʼidea chiara di chi si è e di quali sono i propri peccati. Allo stesso tempo, gli studiosi di Santa Teresa venuti in seguito si sono sempre premurati di specificare che non bisogna cadere nellʼerrore di concentrarsi troppo su se stessi, o di farlo fine a se stesso, dimenticando il resto. Lo scopo è pur sempre quello di arrivare a guardare Dio. A vedere Dio. Ciò comporta anche il passare attraverso le creature. Non esiste contemplazione senza carità. Avere lo sguardo su Dio significa anche essere passati attraverso lo sguardo su ciò che Dio fa, ossia il creato. Lʼattenzione verso le creature e lʼessere pronti al servizio dove si vede un bisogno è vera carità. E non fa differenza che si tratti di creature umane o non umane.

Čhecov dice di scrivere qualsiasi cosa, senza trama e senza finale. Come mi piacerebbe. Poi, alla fine, potrei trarne un post. È così che, ormai, faccio di solito.
Il pensiero di andare a lavorare, domani, mi ammazza. Il problema non è fare le consegne, ma guidare il furgone. Parcheggiarlo, fare le manovre, non sapere mai dove lasciarlo. Questo è ciò che mi uccide del mio lavoro. Per il resto la consegna è pure bella. È bello essere gentili col cliente. Il mio furgone ideale era quello che usavo con Rpost, il mio FM168FJ, n. 371. E nella mia idiozia sono riuscito a spaccarlo. Che babbo. Adesso mi tocca fare le consegne col Talento che non ha nemmeno i sensori. Come faccio a essere così cretino?

Ho lasciato la L. Adesso sono davvero solo. Non sarò mai in grado di trovare una donna. Il fatto è che io una donna nemmeno la voglio. Ogni volta che guardo il mio corpo mi vergogno. Se poi penso a come vivo, col modo di mangiare e coi regimi di pulizia della casa, penso che da un lato non voglio cambiare, dallʼaltro non vorrei che una donna vedesse queste cose. Lʼunica, davvero, che sarebbe stata capace di affrontarle era la L. Ma solo perché è un nutcase lei stessa. E con la sua bruttezza e la sua malattia mentale anche lei non può aspettarsi di trovare chissà cosa, nella vita. È per questo che a persone come noi conviene stare soli.
Che cose brutte che dico. E poverina la L. Spero che adesso che non sono più costretto a starci insieme possano rinascere sentimenti positivi verso di lei. Nellʼultimo periodo davvero non la potevo sopportare.
Va però anche detto che ho seguito ciò che mi ha consigliato il direttore spirituale più di un anno fa. “Tu sei una persona debole e hai bisogno di una persona forte. Non puoi metterti con una conosciuta nellʼambiente della psichiatria”. In effetti quando ho constatato quanto in effetti fosse fuori la L., non sono stato in grado di gestire la cosa. Ho già i miei problemi, come si dice. O forse, semplicemente, sono un uomo privo di carità.
Se un uomo vuole davvero fare del bene, non occorre che sia a posto e pronto per farlo. Non è vero ciò che si dice, e cioè che bisogna essere felici per fare felici gli altri. Gesù è con le sue piaghe che ci ha salvati; “per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 5). Quando stiamo male, è in quel momento che diveniamo destinatari della grazia. Lo Spirito Santo infatti è il primo dispensatore di carità. Il suo lavoro è girare tutto lʼuniverso, costantemente, tutto il giorno, andando a cercare ciò che sta male per farlo star bene. Questo è Dio: fonte di ogni bene. Ora, se io sto male, è in quel momento che attiro su di me la grazia. La Provvidenza funziona così. “Hai una dispensa piena di cibo? Intanto mangia quello. Poi vediamo”. “Non hai niente? Vengo in tuo soccorso”. È quando sto male che attiro su di me la grazia. Ora, quella grazia, che ho attirato su di me, non è che devo tenerla tutta per me, ma posso donarla a mia volta. Quante volte chiediamo a Dio: “Donami la tua grazia, perché io possa donarla agli altri?”. Ma la grazia non viene da noi se stiamo già bene. “Stai già bene. Cosa vuoi ancora?”. Invece se stiamo male diveniamo i destinatari privilegiati della grazia. Se poi abbiamo lʼintenzione di donare a nostra volta la grazia che abbiamo ricevuto, ci trasformiamo in una sorta di canale. Questo dobbiamo essere. Un canale. Come una specie di valle. Qualcuno ha mai sentito parlare di Maria come di una valle, come di una sorta di “V”? Ecco. Possiamo amare col nostro amore umano. Ma il nostro amore umano è limitato e finito, a un certo punto finisce. Allora ciò che possiamo fare è invocare lʼamore divino. “Dio, permettimi di amare con lo stesso amore con cui ami tu”. In questa preghiera stiamo chiedendo grazia per dare grazia. Però, appunto, come ho detto e ribadito, per essere destinatari della grazia è meglio stare male. Dio infatti soccorre i deboli, i poveri, gli ammalati, ecc. I forti, i ricchi, i sani che bisogno hanno di essere soccorsi da Dio? È per questo che Santa Teresa di Lisieux parlava di: “amore alla propria nullità”. È nelle nostre debolezze che diveniamo destinatari della grazia. La debolezza è proprio il punto di incontro con Dio. Dio ci sceglie perché deboli e piccoli. Poi va dagli altri, in ordine, prima dai più bisognosi, poi dai meno bisognosi e così via.

Ormai 40 anni sono passati. Non ho più la possibilità di diventare scrittore. Sto provando adesso a stare seduto al tavolo. Nei momenti in cui non ho niente da scrivere mi giro e guardo fuori dalla finestra. Questa è la vita dello scrittore. Stare fermo, non muoversi dal luogo in cui si è, avere sempre la stessa visuale. In questo caso la cucina. Lʼarmadio col frigo. Il letto se mi giro a destra. Tutto il contrario del lavoro che faccio adesso. Come vorrei aver fatto questa vita tutta la vita. Come ho bisogno di pace. Di silenzio. Di cose ferme. Di pochi contatti con la gente. Sarebbe stata la mia vita ideale. Invece a causa dei miei peccati Dio mi ha dato una vita in cui soffro tantissimo. La fatica, lʼumiliazione, il sentirsi non adatti, non avere la possibilità di coltivare altre cose, come la scrittura o la preghiera.

La mia teoria è questa.
Non è che se si sbaglia vocazione si è finiti e non si può più andare in Paradiso.
Dio dà una Vocazione 1, una Vocazione 2, ecc. Secondo la mia teoria, li ho sempre chiamati Piano A, Piano B e via dicendo.
La Vocazione 1 è la strada più veloce che Dio dà per andare in Paradiso. Ovviamente la Vocazione 1 ha coinnestato in sé un grado di sofferenza, ovvero di Croce che bisogna patire, che è poi la cosa che porta in Paradiso.
Ammettiamo che uno abbia azzeccato la Vocazione 1. Tutte le volte che uno evita le sofferenze coinnestate con essa, perde unʼoccasione. Dio darà nuove sofferenze, che però la volta successiva saranno maggiori.
Se uno esce completamente dalla Vocazione 1 e passa alla Vocazione 2, ha allungato la strada per andare in Paradiso. Beninteso, può ancora andarci. Solo che questa volta le sofferenze, ossia le Croci, che dovrà affrontare saranno maggiori di quelle che avrebbe dovuto affrontare se avesse azzeccato la Vocazione 1.
E via dicendo. Vocazione 3, 4, 5, ecc. La Vocazione 1 è una specie di segmento. 
Più uno si allontana dalla Vocazione originale, più dovrà patire sofferenze, più cioè la strada sarà tortuosa.

Trascinarsi

La mia vita è disperata. Sono un uomo ormai prossimo alla fine.
So che lʼultima frase riecheggia un salmo, ma cʼè poco da scherzare. Mi è venuta in mente e basta. È una buona cosa quando si comincia a pensare con la Parola di Dio.
Ma non è di questo che voglio parlare, bensì dellʼuomo che sono.
Sono un uomo senza qualità. Pure questa, come frase, è il titolo di un libro. Non lo faccio apposta.
Non ho virtù. Le virtù si costruiscono mediante lʼabitudine, come dice Aristotele. Più fai una cosa, più la farai. Ho solo cattive abitudini.
Più mi guardo in giro, più mi rendo conto di essere al fondo della società. Sono un misero corriere. Consegno pacchi. E non sono nemmeno bravo, nel senso che non sono tra i più veloci, semmai tra i più lenti. Un tempo avevo come motivo di orgoglio dare un sorriso a ogni cliente. Oggi – oberato di straordinari – mi sveglio la mattina e voglio piangere. Passo le giornate nella tristezza, pensando: “Non ce la faccio più!”, “Voglio andare a casa!” e: “Quando finirà?”. Continuo a ripetere mentalmente: “Gesù aiutami”.
I luoghi in cui vado non mi piacciono. Se sono zone cittadine, sono piene di barboni e stranieri.
Sono razzista.
Se sono zone di campagna, gli automobilisti mi guardano male anche lì, perché sono costretto a parcheggiare alla cazzo.
Sono pigro. Quando avevo il contratto a tempo determinato correvo come un pazzo, su e giù dal furgone come uno stambecco infoiato. Da quando mi hanno fatto il contratto a tempo indeterminato ho iniziato a sentirmi imprigionato per la vita. Pensa che testa che ho. Pensa come funziona la mia testa. Ho iniziato a rilassarmi. Oggi non corro più, cammino. Scendo e salgo dal furgone lentamente, con un grugnito di fatica.
Dormo dieci ore per notte, ciononostante sono sempre stanco. La mia pancia è cresciuta a dismisura e ormai peso quasi 100 chili, alto 182 cm.

A Dio in preghiera ho chiesto di farmi morire col coronavirus. Ero traboccante di gioia quando ne ho sentito parlare. Ho detto: “Finalmente è arrivato il momento!”. Poi ho scoperto che prendeva solo i vecchi.

Sono Mr. Heckles di Friends. Sicuramente morirò solo. Non sono in grado di mantenere unʼamicizia. Ho appena tentato di intraprendere un rapporto sentimentale, e dopo poco non la sopportavo più. È vero che non lʼho mai amata, e ho provato a prenderla e tenerla solo perché pensavo che lʼaveva messa sulla mia strada Dio, però è anche vero che il mio grado di sopportazione è minimo. Vedo difetti in tutti. E chi scaglia la prima pietra... Condanniamo solo ciò di cui siamo colpevoli noi stessi. Più si è pieni di peccato, più si giudicano gli altri. Un vero solitario – come me – non è un uomo che cerca la solitudine per cercare Dio. Anzi, è un uomo talmente pieno di peccato che non ce la fa a smettere di giudicare il più piccolo dettaglio nel suo prossimo. Se uno cerca difetti, o peccati, ne troverà in chiunque. Il vero solitario è quellʼuomo che non può fare a meno di cercare e trovare difetti o peccati in chiunque.
Ho chiesto a Dio di farmi morire col coronavirus. Uno psicologo mi definirebbe suicidale, con un termine derivato da un termine inventato dagli anglosassoni, suicidal. Solo che io non mi suiciderei mai perché so che è un peccato troppo grande. Però è vero che voglio morire. O che non voglio vivere. Una delle mie canzoni preferite è The will to death di Frusciante. Per me dormire è un modo per non dover affrontare la giornata. Ecco una delle radici della mia smisurata pigrizia.
Dio parla e risponde. Pochi giorni dopo la mia richiesta, mi ha fatto ascoltare il racconto di un collega, grande bestemmiatore e corriere velocissimo.
Il collega anni fa è rimasto vittima di un incidente stradale, 23 fratture in tutto il corpo. Dice che mentre era in coma ha visto una luce bellissima, piena di pace e gioia. Ha fatto per andare verso la luce e ha ricevuto uno schiaffo (non ricordo da chi) e una voce gli ha detto: “Dove vai? Non sei ancora pronto per andare lassù. Non è il tuo posto, il tuo posto è sulla terra!”. Si è svegliato e gli faceva male la guancia. Se si fanno richieste a Dio, Dio risponde. Se si è attenti e capaci di ascoltare, si può sentire Dio che parla. Ho fatto una richiesta a Dio – di farmi morire col coronavirus – e lui mi ha risposto col racconto del collega.
Non sono ancora pronto. Ma per chi mi conosce non è difficile accorgersi che non sono uno da Paradiso. Forse non sono da inferno, ma ora come ora se morissi non andrei sicuramente più in là del purgatorio.
Faccio i mestieri in casa una volta ogni due settimane. A volte restano per giorni i piatti da lavare. Mi dà fastidio tutto. Sono davvero nei guai. Non mi meraviglierei se la mia vita finisse da barbone.
Parlo anche troppo di me stesso. Sono egocentrato. Mi analizzo a non finire e non faccio altro che trovare cose negative.
Non mi interessano gli altri, e nemmeno fisso lo sguardo su Dio, “Guardate a lui e sarete raggianti” (Sal 34, 6).
Non ho gioie nella vita. Da quando ho smesso di fare il frate è finito anche lo scopo per cui andavo avanti. Ero sempre triste anche quando ero frate – e non è difficile immaginarsi che razza di frate lazzarone fossi, anche se amavo la preghiera e lo studio – però almeno la vita aveva trovato un indirizzo. Per quelli come me, che non riescono a nessuna età a trovare cosa fare nella vita, servire Dio si profila come sbocco naturale. Diventa davvero un: “Ecco perché non avevo mai trovato la mia strada, perché la mia strada era servire Dio!”. Finito questo – per un colpo di testa da vero psicotico – per me la vita ormai non è altro che un misero tirare a campare. Non vedo lʼora che arrivi la fine.
Ho paura che la mia negatività si trasmetta agli altri. In gruppo, o in una relazione, ho sempre paura di essere quello che porta ed emette negatività. Mi sforzo, spesso prego per questo. “Dio, dammi uno poʼ di gioia da dare agli altri”. “Faʼ che io sia per gli altri qualcosa di buono”. Ma mi sa che la maggior parte delle volte sono colui che rattrista chi incontra.
Ho una passione, la scrittura. Uno direbbe: “Sicuramente scrivi tutti i giorni!”. Nemmeno questo faccio.
La verità è che sono una di quelle persone a cui non piace lavorare, questa è l'amara verità. Si potrebbe dire che soffro di depressione, ma ormai il mio grado di sapienza mi impedisce di pronunciarmi sulla validità di ciò che dicono gli psicologi. Non so se è giusto, non so se è sbagliato.
Spero che almeno in cielo mi accreditino questo non sapere come povertà di spirito.

Il toro

Quando arrivai, Paolo, suo padre e Stefano stavano lavorando nellʼorto. Oscar, il toro, era legato in giardino. Lo facevano stare in loro compagnia mentre lavoravano. Mi raccontarono di come Alessandro si era fermato in Sardegna e non aveva proseguito il viaggio con loro perché, diceva, i suoi amici lo prendevano in giro a causa di Stefano.
In effetti Stefano era proprio un babbo, e poteva essere di imbarazzo. Ma a noi non importava, ed eravamo contenti di poter passare tempo insieme ai vecchi compagni di classe.
Quante volte ero stato in quella casa. La sera andai a letto presto perché ero stanco per il viaggio che avevo fatto per raggiungerli. Mentre Paolo, suo padre e Stefano erano ancora nel salone a guardare la televisione e a mangiare una delle torte fatte dal padre di Paolo, mi svegliai e mi affacciai alla finestra della mia camera. Che estate. Come ricordavo quei panorami. Salii sul davanzale per contemplarli meglio e per respirare appieno lʼaria notturna. A un certo punto persi lʼequilibrio e mi aggrappai allʼanta esteriore di legno, che per fortuna non era agganciata al muro. Lʼanta si aprì completamente e sbattè, poi tornò indietro. Così per un paio di volte. Durante quei due swing ebbi modo di contemplare tutta la valle come a testa in giù ancora una volta e veramente appieno. Come mi era famigliare, e quanti ricordi si risvegliavano in me nonostante tutto mi stesse passando davanti agli occhi a velocità da capogiro. Persi la presa e caddi in mezzo al giardino. Stavo ancora riprendendomi dallʼesperienza da ubriaco che avevo appena avuto, che mi resi conto che Oscar aveva sfondato il portellone della sua stalla con una cornata e ora mi stava puntando correndo a tutta furia. Arrivava verso di me ad altissima velocità. La mia paura fu enorme. Mi rialzai in fretta e iniziai a correre. Puntai verso lʼangolo della casa. Vi girai intorno. Oscar mi era dietro. Dopo un giro della casa col toro che mi inseguiva, trovai Paolo e suo padre fuori dalla finestra del salone che dava sul giardino. Avevano sentito tutto ed erano corsi in mio aiuto. “Arriva, arriva. Dentro, dentro”, lì sentii dire. Arrivai alla finestra e mi incalzarono di entrare. Stefano, da dentro, mi aiutò tirandomi per le braccia a scavalcare la finestra, che per fortuna era piuttosto bassa. Poi entrò il padre di Paolo e infine Paolo. Eravamo salvi. Per la notte, lasciammo Oscar fuori a gironzolare per il giardino. Mi misi a guardare la televisione con loro. Vidi che non avevano quasi toccato le torte di pinoli fatte dal padre di Paolo. Erano tutte per terra su un vassoio con solo qualche smangiucchiata. “Cosʼè, fate il lutto perché non cʼè Alessandro? Ci si può divertire lo stesso anche se non cʼè lui. E godiamocela!”, dissi. “Vedo che sei interessato alle torte”, disse il padre di Paolo. “Perché no? Se si può, io un assaggio lo farei”, dissi. “Prego, prego”, disse il padre di Paolo. “Sapete cosa vi dico? Io prendo anche un poʼ di quel Merlot che cʼè in frigo, che con le torte ai pinoli ci va benissimo”. Andai in cucina, aprii il frigo e presi la bottiglia di Merlot stando attento a non spostare le conserve del padre di Paolo che riempivano i due ripiani. Tornai di là e Stefano disse: “Quasi quasi ti seguo, va! Taglia una fetta pure a me”. Presero un bicchiere anche Paolo e suo padre, e la serata finì allegramente nonostante la mancanza di Alessandro. Quante ne avevamo fatte insieme! E come era bella la campagna, fuori, in piena estate!

In the shallow

We're far from the shallow now (Lady Gaga) 

A cosa possono servire davvero le mascherine? Possono impedire di essere contagiati?
Il mondo era già abbastanza grottesco prima, se togli la quarantena e lasci solo le mascherine...

La stessa quarantena... messa su in fretta...
Nessuno ha pensato a cosa si stava facendo, bisognava solo imitare i cinesi. Chissà ai cinesi come è venuta l'idea del "lockdown". La loro prontezza rinforza la tesi della creazione in laboratorio.
Noi neanche se ci avessimo pensato cent'anni... Chiudere le scuole? Davvero? Cose da pazzi! Abbiamo solo imitato. E dopo due mesi in cui abbiamo fatto vedere che anche noi potevamo fare la stessa cosa della Cina – la prima o seconda potenza mondiale – ci siamo resi conto quanto fosse folle bloccare un Paese... bloccare l'economia...

Abbiamo ripreso non perché i contagi o le morti siano diminuiti, ma perché non ce la facevamo più a resistere in quarantena, e perché ci siamo resi conto... che l'economia...
Fermare tutto per 20.000 morti, che ci sarebbero stati comunque... che ridicolaggine...
Lasciamo che l'epidemia faccia il suo corso. Perché prima sì e ora no? I morti continuano a esserci.
Ma chi se ne frega! Noi la quarantena l'abbiamo fatta... due mesi! Cazzo volete ancora! Se il virus deve colpire, colpisca... Noi più che le mascherine non intendiamo opporgli.
Lasciate che Dio prenda chi vuole. Cos'è tutta questa paura della morte? La paura della morte francamente ha stufato. Semmai parlatemi di paura della sofferenza... Ma quando Dio ti dà una malattia mortale che fa soffrire poco cosa vuoi di più? Un bel tuffo nell'aldilà!
Solo il tormento della coscienza, a questo punto, può frenare...

La guerra degli orgogli

Non sapere cosa fare,
esistenze che ti si propongono davanti
chiedendo aiuto,
imponendo la loro misera volontà.
Ti mettono in bocca parole che non hai detto,
in testa pensieri che non hai avuto.
La vita delle relazioni
è la lotta dell'orgoglio.
L'importante è vincere, avere ragione.
Entriamo in una relazione con entusiasmo
quando vediamo che abbiamo ragione spesso,
altrimenti da quella relazione fuggiamo.
Ecco introversione e estroversione
spiegati in un spit and spot.

Lʼinvasione

Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? (Mt 9, 4)


Tempo fa un maceratese 28enne con opinioni di estrema destra ha sparato a sei uomini di colore.
Il giorno dopo ero sullʼautobus e lʼautobus era pieno di uomini di colore. Ero forse praticamente lʼunico bianco, o comunque lʼunico italiano.

In quel periodo ero preoccupato per il fatto di essere troppo solitario. Anche oggi sono preoccupato di questo, ma oggi ho già qualche amico in più e una fidanzata, anche se resto un tipo che tendenzialmente alla compagnia preferisce la solitudine, e questo mi crea non pochi problemi perché devo sforzarmi, dietro consiglio di direttore spirituale e confessori, di non isolarmi.
Mi ero da poco trasferito nel monolocale in cui vivo tuttʼora. Mentre ero seduto sullʼautobus mi sentivo osservato con inquietudine e pensavo: “Magari questi uomini di colore pensano che sia lo stesso tipo di persona che è il maceratese”. I tipi solitari di colpo, un giorno, danno di matto e si mettono a sparare per strada. Pensavo: “Non dovete aver paura di me. Non sono cattivo. Non sono razzista. Non sono violento. Non ho armi. Non farei mai un gesto del genere”.

E pensavo: “Perché pensate queste cose nel vostro cuore?”.

Poi i miei pensieri hanno cambiato strada. Io stesso ancora oggi non so perché. Mi sono messo a pensare: “Magari la comunità di uomini di colore si sente colpita. Magari anche loro, vedendo quanti sono ad arrivare in Occidente, si son fatti lʼidea che quella in atto è una invasione silenziosa. Anche loro hanno occhi per vedere. E forse dentro di sé si sentono orgogliosi e contenti. Si dicono: ‘Siamo troppi, e siamo troppo affamati, prima o poi, sbarco dopo sbarco, sfruttando la loro debolezza mascherata da misericordia, occuperemo le loro nazioniʼ”.

E ho cambiato modo di pensare sul perché mi stessero osservando. Pensavo: “Non è con inquietudine che mi guardate. Vi sentite colpiti. Finalmente qualcuno ha alzato la testa e ha detto: ‘No!ʼ”.

E pensavo...

Tre gesti

Cʼè un modo di tenere la mano che permette di fare tre gesti.
Tale modo è mano rivolta verso lʼalto, dita chiuse a grappolo, punte unite.

Il primo gesto consiste nel tenere la mano ferma, nel modo appena descritto, e dire: “Era così!”. Si vuole dire che era particolarmente affollato.

Il secondo gesto consiste nel muovere la mano avanti e indietro (sempre tenendola come descritto allʼinizio). È un gesto conosciuto nel mondo come tipico dellʼitaliano, e significa: “Cosa vuoi?”.

Il terzo gesto consiste nellʼaprire e chiudere le dita. È accompagnato dalle parole: “Paura, eh?”.

Un mio commento

Ken Levine è un blogger. Ma innanzitutto è scrittore di sitcom e teatro.

Traduco la presentazione che cʼè sul suo blog:
Nominato uno dei migliori 25 blog dalla rivista Time. Ken Levin è uno scrittore/regista/produttore/annunciatore sportivo della major league di baseball, vincitore di un premio Emmy. In una carriera che ha coperto più di 30 anni Ken ha lavorato a Mash, Cheers, Frasier, The Simpsons, Wings, Everybody Loves Raymond, Becker, Dharma & Greg e ha co-creato tre serie. Lui e il suo socio hanno scritto il film Volunteers. Ken inoltre è stato il commentatore televisivo e radiofonico dei Baltimore Orioles, dei Seattle Mariners e dei San Diego Padres. Conduce il podcast Hollywood & Levine.
Negli episodi 156 e 157 del podcast, usciti in febbraio, parla col suo socio, David Isaac, di commedia. Parlano di varie cose, ad esempio anche di commedie romantiche (romcoms). Ma già dallʼinizio danno una definizione del personaggio comico. Il personaggio deve essere difettato (in inglese flawed).

Questo è il commento che gli ho scritto, tradotto in italiano:
Mi ricordate San Giovanni della Croce. Lui scrisse una poesia mosso da ispirazione, e anni dopo scrisse un lungo commento sulla sua stessa poesia. Il libro: “La notte oscura dellʼanima” è tale commento. Fece la stessa cosa quando commentò il suo “Cantico spirituale”.

Credo che voi abbiate sempre lavorato con una specie di sistema scientifico. Quando eravate più giovani siete stati anche ovviamente visitati e toccati dallʼispirazione. Oggi, a me sembra che cerchiate di spiegare ciò che successe allora usando le vostre menti scientifiche.
Scienziati della commedia e in generale della scrittura, ecco cosa siete. Le vostre chiarificazioni sono preziose e per questo vi sono grato.

Mi stupisce come arriviate alle stesse conclusioni di Aristotele secoli fa.

Aristotele definiva un genere dal tipo di personaggi che sono rappresentati. Il dramma, o tragedia, equivale a personaggi elevati, valori morali elevati e virtù. La commedia equivale a personaggi bassi, con basso senso morale e vizi piuttosto che virtù.
Shakespeare è stato sempre fedele a tale distinzione. Differenziava i suoi personaggi in base a parlata alta (verso) e parlata bassa (prosa). I nobili usano sempre il verso, i servi usano sempre la prosa.

Allʼinizio di questo podcast in due parti siete molto chiari nel giungere alla conclusione che ciò che definisce la commedia è il tipo di personaggio. La costruzione e la creazione del personaggio sono sempre centrali nelle vostre discussioni. E sottolineate il fatto che un personaggio comico deve avere difetti.

Sono stupito. Non vedo lʼora di ascoltare la seconda parte.

Atrocità

Come da tradizione, voglio mettermi a scrivere ma non ho nulla da scrivere.
In realtà ne avrei di cose da scrivere, eccome. Ho voglia di scrivere sul blog, di scrivere cose che alla gente piaccia leggere, di scrivere cose che interessino alla gente. Cosʼaltro posso fare se non parlare di me?
Però non ho voglia di parlare di quella là. Il suo pensiero è già troppo presente nella mia vita. È asfissiante. Non mi lascia un istante libero. Telefonate continue, messaggi continui. Non se ne può più. È qualcosa di assurdo. Possibile che non lo capisca? Come si fa a volere bene a una persona del genere? Una persona che non ti lascia lo spazio per respirare.

Mi viene in mente unʼambientazione da gangster.
Una porticina che dà sulla strada. Una scala che sale su, quasi diritta. Non occorre andare a New York. Sono le stesse case che si trovano in Contrada del Carmine. Apri la porta, che poi sarebbe il portone, però è una porticina, e cʼè subito una scala che va su quasi diritta. Ripidissima.
Su una scala così ci vedo bene un gangster. Uno con un cappotto lungo e un cappellone con la falda larga. Sotto il cappotto, un mitra. Di quelli con il caricatore a forma circolare.
Come facevano a girare con quel tipo di mitra, una volta? Come facevano a nasconderli? Dovevano essere scomodissimi. Perché, quelli di oggi?

Il bello è che queste immagini sono poetizzanti. Poetizzano il crimine.
Il crimine invece è una cosa terribile.
Pensare che cʼè gente che si compra delle armi per uccidere. Gente pronta a usare un coltello e a ficcartelo nel corpo. Pancia, braccio, torace, testa… Pensa quelli che accoltellano alla testa… Cosa devono avere in testa? Cosa deve avere nella testa uno per fare del male a un altro cristiano alla testa in un modo del genere?
E quelli che sciolgono nellʼacido? Come si fa a fare una cosa del genere? La moglie di un Casamonica, oggi pentita e collaboratrice di giustizia, dice che le dicevano, per minacciarla, che se sgarrava la scioglievano nellʼacido.
Come si fa a vivere sapendo che al mondo cʼè gente di questo tipo, pronta a scioglierti nellʼacido? Magari ci sei passato vicino, qualche volta, nella tua vita. Magari hai incontrato una di queste persone per strada.
Queste persone esistono sulla stessa faccia della terra sulla quale vivi tu. Esistono nello stesso creato nel quale vivi tu. Sono esseri umani, e sono pronti a sciogliere altri esseri umani nellʼacido. È una cosa terrificante. Non riesco a descrivere il dolore che questo pensiero mi provoca. Come è possibile che nel cervello di qualcuno nascano idee del genere? Dovrebbero essere bannate, come idee. I nostri cervelli dovrebbero essere programmati da Dio affinché certe idee ne fossero bannate.
Invece capita che nellʼuniverso ci siano infinite migliaia di miliardi di possibilità… infinite migliaia di miliardi di possibilità di infliggere dolore. Infinite migliaia di miliardi di possibilità di patire dolore. Molte volte ciò avviene senza intervento umano. Si pensi alle malattie. Si pensi a chi resta sotto le macerie di un terremoto. Che sofferenza atroce. Seppelliti vivi. Cosa cʼè di peggio? Restare senza braccia e senza gambe… E quelli per cui oggi esistono i dibattiti sul fine vita? Attaccati a tubi senza potersi muovere, senza poter parlare. Tutto questo è atroce. È spaventoso.
Guardando alla possibilità che si verifichino per lʼuomo situazioni di questo tipo, come si fa a non vivere col timore di Dio? Come si fa a non vivere facendo un passettino alla volta, leggero, educato, timorato? Che il Padreterno non abbia a risentirsi di noi.
Eppure, come sappiamo, le sofferenze più atroci non sono solo punizioni.
Dio stesso si è fatto uomo ed è venuto sulla terra a soffrire le sofferenze più atroci che uomo possa infliggere a uomo.
Il Padre consegna il Figlio al sacrificio più cruento. Colui che meno era meritevole di punizione, ha subito quella massima. Morte per crocifissione, e pensare che a quei tempi era cosa normale. Crocifissione, impalamento.

In guerra tutto è permesso, a quanto pare. Pur di far fuori il nemico non bisogna escludere alcuna tecnica. È da qui, secondo me, è dalla necessità di vincere in guerra che nascono le tecniche più atroci per far soffrire.
Lasciamo perdere i delinquenti. Perché i delinquenti non sono altro che un sottoprodotto, uno scarto, un indotto della guerra. Ciò che loro si permettono di fare, ciò che loro credono sia permesso fare è nato in guerra, durante la guerra, per la guerra e a causa della guerra. Il fatto è che in guerra le tecniche di uccisione e di inflizione della sofferenza sono lecite, sono buone, addirittura consigliate.

Prendiamo un Paese non guerrafondaio, ma una Paese che deve difendersi. Un Paese che viene attaccato. Non sarà forse suo diritto inventare e mettere in atto qualsiasi tipo di atrocità pur di sconfiggere il nemico? Questo Paese va in guerra legittimamente, cioè per difendersi. Mentre quello che ha attaccato è criminale ed è mosso dalla sete di potere, territori, ricchezze, ingrandimento, il Paese che viene attaccato ha tutti i diritti di entrare in guerra perché è buona cosa difendersi e non lasciarsi annientare. È buona cosa perché è cosa giusta. La difesa è legittima. E dalla guerra sono legittimate tutte le più grandi atrocità.

Pensiamo alla bomba atomica. Non dico nemmeno chi lʼha inventata. (Un certo Maiorana si è dato, pur di non diventare quello che sta in uno dei pozzi più profondi dellʼinferno). Ma dico, uno stato che si arma con armi nucleari non compie un atto tra i più inetici che esistono? Se lo fai per attaccare, non sei altro che uno stato spudoratamente criminale. Se lo fai per difenderti, non hai molte giustificazioni. Chi ti dice che sarai attaccato? “Mi armo nellʼevenienza che sarei attaccato”. Ripeto: chi ti dice che sarai attaccato? Se ti capita di essere attaccato, allora ti armi. Allora sei giustificato. Ma se no chi ti giustifica a immettere nel mondo armi che possono uccidere in un colpo centinaia di migliaia di esseri umani?

Eppure… se il padrone di casa si facesse trovare pronto quando arriva il ladro, questo perlomeno, non dico non svaligerebbe la casa, ma avrebbe vita dura nel farlo. Con questa frase secondo me Gesù non invita a stare pronti… per quanto riguarda i veri ladri. Perché sospettare che il mio vicino sia ladro e voglia svaligiarmi la casa? Chi sospetta invoca i demòni, dice quel detto. A sospettare si invocano i demòni.

Gesù però invita a stare pronti per la sua venuta, perché: “il Signore viene come un ladro”.

Recensioni

“i litigi della moglie sono come stillicidio incessante” (Prov. 19, 13)

Ci sono molte cose che dovrebbero funzionare e non funzionano. Ad esempio gli auricolari Zolo Liberty di Anker comprati a 46 euro su Amazon. Dopo due settimane di utilizzo lʼauricolare sinistro smette di fare il pairing. Perciò si sente solo quello destro. Dato che non ho tempo di fare il reso, sono 46 euro buttati.
Uso gli auricolari per ascoltare musica e guardare film o Youtube. Se manca il suono nellʼorecchio sinistro è tutto rovinato.

Unʼaltra cosa che dovrebbe funzionare è il corpo di mia madre, che invece ha deciso di prendersi un tumore.
Basti dire che mi sono giocato tutte le ferie del 2020 per starle dietro dalla fine di novembre a oggi. E non ha ancora iniziato le chemioterapie!

Unʼaltra cosa che funziona male è la fidanzata. Sposati!, dicono. Tutti spingono a sposare, perché... non potrai mica restare solo. Poi, quando non avrai più 39 ma 49 anni sarà ben più dura.
Ma uno – dico io – non deve sposarsi per paura di restare solo. Sarebbe la peggiore delle motivazioni. Poi ci si lamenta che il rapporto di cappio – ops… coppia non funziona.
Però devo anche essere sincero e dire che pur volendo bene come a unʼamica a questa ragazza non provo un senso di innamoramento. Non mi viene da dire: “Ti amo”. Sono più le volte che sbuffo quando vedo che arriva una sua chiamata.

Magari sono io che sono un pessimo compagno.

Ma raccontiamola tutta. Ha intrattenuto rapporti con un tossico che le ho detto più volte di lasciar perdere. Vorrai mica ascoltare il tuo fidanzato? Giammai! Mi toglie la libertà! Faccio quello che voglio! Non mi faccio mica dare ordini! Non posso mica isolarmi! È finita che il tossico ha continuato a chiamare, la furba a continuato a rispondere, e un giorno è arrivata una richiesta di foto nude più taglia di reggiseno. Tutto questo mentre il tossico sapeva benissimo che la ragazza era fidanzata e con chi.

Naturalmente la donzella non pensa di aver fatto nulla di male, però ha richiesto che io chiamassi il tossico per dire di smettere di importunarla.
Ecco, cioè… ciò che sto cercando di dire… io una così mi guarderei bene dallo sposarla.
Poi tutte queste telefonate, e tutto questo tempo passato insieme… uno non può più dedicarsi alle cose che stanno a cuore, tipo la scrittura.
È proprio vero che sono un uomo di livello inferiore. Ci sono decine di centinaia di uomini che pur essendo sposati portano avanti i loro hobby, addirittura i loro sogni. Io non sono capace di trovarla una così.

Unʼaltra cosa che ha impedito di scrivere è stato il picco di lavoro prefestivo. Per chi è nel commercio è così, cʼè poco da fare.
Ora, mentre sto in ansia per la ripresa del lavoro dopo circa un mese – sarò ancora in grado di farlo? – aspetto che picchiatori ingaggiati dal tossico mi aspettino sotto casa.
Questo, succede, a chi non ama il proprio lavoro e ha una fidanzata che intrattiene relazioni con tossici.