Spersonalizzarsi

Perché mi piace la recitazione? In un film guardo due cose, se la sceneggiatura è scritta bene e come recitano gli attori. La prima componente è fondamentale per la seconda. Chi ha provato ha fare l’attore sa che se il testo è cattivo la recitazione non riesce. La recitazione ha da essere realistica; per essere realistica la recitazione, il testo ha da essere realistico. Aristotele direbbe: “Verosimile”. La chiave per creare narrazioni realistiche è la creazione dei personaggi. La creazione del personaggio è la chiave di tutto. Un buon personaggio, a 360 gradi, agisce realisticamente. Personaggi piatti non agiscono realisticamente, sono ostici e pallosi per gli attori e generano storie non credibili. Come ha detto qualcuno, forse T. S. Eliot: “I personaggi di Shakespeare sono più reali delle persone reali”, o qualcosa del genere. Shakespeare conosceva la Poetica aristotelica. Sapeva che il genere è determinato dai personaggi. Se i personaggi sono alti si ha la tragedia, se sono bassi si ha la commedia. Infatti nelle opere di Shakespeare i nobili parlano in versi (linguaggio alto) e i sottomessi in prosa (linguaggio basso). Come dice Bernhard, chi conosce la musica può ascoltare un’opera anche solo leggendo lo spartito. Non è necessario ascoltare quella particolare interpretazione. È come vedere l’adattamento a film di un libro. Mentre si legge il libro da soli, l’immaginazione lavora e crea l’interpretazione personale. Quando si va a vedere il film, o si ascolta la versione orchestrata di qualche opera musicale, si fruisce l’interpretazione di altre persone particolari, limitando le potenzialità della propria. La trasmissione è sempre una catastrofe, un fallimento. L’ideale sarebbe che i cervelli fossero uniti, collegati con qualche sorta di canale che bypassi il necessario storpiamento dovuto alla comunicazione linguistica, tipografica, letteraria, strumentale, ecc. Tutto è d’impedimento alla comunicazione; ciascun tentativo di comunicazione rovina ciò che sarebbe se ci fosse contatto diretto. Ciò a cui dobbiamo tendere è essere tutti uno. Nella pratica, ciò si ottiene solo mediante la carità, che è accettazione dell’altro, ascolto, accoglienza della diversità. Rinnegamento della propria volontà. Rinuncio a me stesso per far esistere te. Anche questa è una forma di ingiustizia, perché una voce, la propria, è messa a tacere. Non ci si può suicidare, il suicidio è omicidio; ma si deve accogliere con benevolenza chi vuole toglierci la vita (cf. Fedone). Lo sforzo per creare unità è visto dall’alto, l’azione di carità non passa inosservata, non è invisibile, l’intenzione di unire mettendo da parte se stessi è fonte di santificazione; santificazione è strada per raggiungere il luogo dove c’è Dio, dove si sarà finalmente tutti uno, in lui, mediante l’unione con lui. In definitiva il successo di un’opera di fiction risiede nei personaggi. Da lì si parte. Non parlo di successo di pubblico, anche se poi, quando c’è quello vero, ideale, c’è pure quello popolare. Forse il ritmo elevato serve solo al popolo, a chi fa lavori manuali, a chi non ha tempo per pensare e ha bisogno di essere intrattenuto. Chi può permettersi di pensare può amare anche opere lente, purché ci sia la condizione dei personaggi verosimili. Da personaggi ben creati nascono dialoghi e azioni verosimili, che potrebbero accadere davvero. È in questo spazio che nuota l’attore. Scopo dell’attore è recitare realisticamente. Non si deve vedere l’affettazione, il gesto artistico. L’arte va nascosta, come dico sempre. Assistere a un lavoro teatrale, sul palco o filmato, dev’essere guardare dal buco della serratura; la vita. Quando si capisce che l’attore sta recitando – come nel teatro Kabuki, che porta alle estreme conseguenze ciò che da noi è lo stile recitativo europeo contemporaneo, strehleriano – è fallita l’impresa dell’attore. Nella seconda metà del ‘900 negli Stati Uniti si è giunti alla perfetta realizzazione del realismo nella recitazione grazie al metodo Stanislawskij. In Europa e altrove, prima e dopo, i risultati del metodo Stanislawskij sono stati raggiunti da attori geniali, indipendenti, individuali, talenti solitari che spiccano sugli altri, i quali hanno capito come bisognava fare senza scuola. Prendiamo Bruno Ganz (si veda, in lingua originale, La caduta). Ma è solo un microesempio. Ce ne sono stati altri, tanti, geniali e in vetta, ovunque. Il merito dell’Actors Studio, fondato a New York da Elia Kazan, Cheryl Crawford, Robert Lewis e, più tardi, Lee Strasberg, è stato prendere il metodo Stanislawskij e farne materia di insegnamento. Il lavoro dell’attore sul personaggio e Il lavoro dell’attore su se stesso sono le opere fondamentali di Konstantin Stanislavskij; negli Stati Uniti sono state pubblicate insieme in un libro considerato la bibbia dell’attore: An actor prepares (1936). Il problema del cinema statunitense è che è fin troppo realistico. Genera imitazione. Non sempre le anime hanno gli strumenti per giudicare le azioni. Le azioni, buone o cattive, sono semplicemente imitate. Prendiamo l’emulazione generata dai film sulla mafia; è esattamente il contrario di ciò che si proponevano gli autori, cioè la denuncia. Ecco cosa succede quando l’attore si immedesima perfettamente nel personaggio. I grandi attori americani, come Robert De Niro, figlio dell’Actors Studio e uno dei più grandi attori di tutti i tempi, o Dustin Hoffman o Danel Day Lewis hanno poca vita pubblica. Tendono a sparire, a vivere l’anonimato per spersonalizzarsi. Si veda come si veste l’attore quando è fuori servizio in Tootsie, nella scena finale, quando Michael si scusa con Julie: pantaloni kaki e t-shirt. Così, dicevano, vestiva un insegnante dell’Actors Studio che andava a fare seminari a Bresso (MI), Favola di Mattoni, scuola di teatro da me frequentata sei mesi a 26 anni. L’attore deve sparire, deve apparire il personaggio. Però l’attore deve fare anche un lavoro su se stesso; deve saper dove andare a pescare le emozioni da esprimere; conoscersi. Allo stesso tempo spersonalizzarsi. Se un attore ha lavorato bene nella preparazione per entrare nel personaggio e i dialoghi sono scritti bene, dopo aver imparato a memoria le battute può anche dimenticarle. Non ha bisogno di sapere i suoi “cue”, cioè i punti dove intervenire. Basta ascoltare – se è entrato nel personaggio, beninteso. Se è entrato nel personaggio e ascolta, e ha studiato a memoria le battute per poi dimenticarle, e vive nel momento, nel qui e ora, nell’hic et nunc, la sua reazione a una data frase o a un dato atteggiamento, a un’azione, sarà esattamente quella prevista dall’autore. Dirà quella cosa, si metterà a piangere, cercherà la pistola, balbetterà... Non è un lavoro di memoria, è un lavoro di vita nel momento presente e reazione. Si dice che la diversità è ricchezza; secondo me la spersonalizzazione rende universali. Universali, più capaci di unione.


Unione è morte

Due passi dell’Antico Testamento indicano che se si vede Dio si muore.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». (Gen 2, 16-17)

Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». (Es 33, 20)

Il primo passo è indiretto. La conoscenza del bene e del male è prerogativa di Dio. Perciò quando se ne partecipa si è come Dio, si è Dio.

Il secondo passo è diretto. Chi vede Dio muore.
C’è un problema; il passo non parla di unione con Dio, ma semplicemente di visione di Dio.
La soluzione è nella parola: “volto”. Si faccia riferimento al passo del Nuovo Testamento:

Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. (1Gv 3, 2b)

Si indica che quando si vede Dio si è simili a lui, si diventa come lui, si diventa lui.
Perché quando si vede Dio si muore?

Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. (Gen 2, 24)

La caratteristica dell’unione è che quando due elementi si uniscono ne nasce un terzo che non è nessuno dei due precedenti.
Un figlio ha tratti del padre e della madre, ma non è nessuno dei due. Dove c’è lui, non ci sono più né il padre né la madre. Un’unione costituisce la morte delle componenti che si uniscono; il prodotto dell’unione, infatti, non è nessuno dei due, ma un terzo elemento. Il frutto dell’unione è la morte dei due precedenti componenti.

Cosa succede quando l’uomo si unisce a Dio? Dio non può morire; perciò muore solo l’uomo. L’uomo sarà pure uomo, ma quando si unisce con Dio diventa Dio – di certo non è Dio che muta, trasformandosi in qualcos’altro, lasciando una cosa nuova al posto della vecchia, ormai morta, trapassata. Nell’unione con Dio è l’uomo che muore. Quello che c’era prima non c’è più; è nata una cosa nuova. Il vecchio ha ceduto il passo, è passato, era e non è più.

Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. (2Cor 5, 17b)

300 metri fatali

Aveva aspettato pazientemente quattro anni. Aveva risparmiato, spesa calcolata, supermercati diversi, in cerca di promozioni... Si era privato di tutto; vestiti, la giacca invernale l’aveva comprata da Decathlon a 44,99. Non usciva a cena, preparava il pranzo a casa, evitava le uscite aziendali, non si lasciava convincere ad andare all’aperitivo, lasciava perdere le bevande. Le scarpe, anch’esse Decathlon da 14,99, erano sfondate e sformate. Usava gli stessi vestiti nel privato e sul lavoro nonostante fosse operaio. Per risparmiare sull’affitto condivideva una camera doppia con un lavoratore della Puglia, Rino, in un appartamento di quattro persone. L’obiettivo era la macchina. Falanio Inverardi guadagnava 1.175 euro per fare il magazziniere in un centro di smistamento Amazon. Faceva tre turni, comprese le notti; a giro gli facevano fare tutto, inscatolare, etichettare, Yard Marshall... Dopo infiniti mesi di attesa, finalmente riuscì a comprare, usata, la Toyota Rav 4, detta anche, dagli automobilisti che se la trovano davanti e leggono la sigla: “La rava e la fava”. Ne trovò una del 2014, 54.000 Km; consumi altini, ma il condizionamento sociale l’aveva convinto ad avere per forza un Suv, anche se non di lusso. Grigio metallizzato, senza il minimo segno di parcheggio. Aveva trovato l’affare a 11.000 euro presso un rivenditore di auto usate di Muggiò, Monza-Brianza. Risiedeva a Bergamo, il viaggio non costò poco. Gli toccò aspettare per andare nel giorno libero a completare la transazione. Finanziamentuccio... anticipo di 2.700 euro e rata da 119. Che gioia guidare una macchina luccicante! All’inizio era tutto concentrazione e attenzione. Gli piaceva guidare, non aveva paura della strada. Non guidava mai... col lavoro che faceva, la sua esperienza di guida si limitava a casa-lavoro. Guidava con baldanza, non immaginava reali e subdoli pericoli. La strada è il luogo dove le persone, sentendosi protette dall’abitacolo, sfogano i peggiori istinti. È diverso trovarsi faccia a faccia, in coda all’ufficio postale o in catena di montaggio, rispetto a macchina a macchina, con lamiere e parabrezza da scudo. “Posso sempre chiudermi dentro; o sgasare, scappare”, pensieri reconditi, non detti. Non aveva mai avuto macchina propria, quasi non ricordava l’unico sinistro dei 19 anni, con la macchina del padre, a San Nicandro; lieve tamponamento. A quell’età... è normale. Il problema è che ora, 27, guidava con lo stesso spirito, sicumera e disattenzione. Fu veloce, la volta che ruppe la gomma. In quell’entrata della tangenziale a quell’ora si forma coda. Tornava dal lavoro, stanco e poco reattivo senza rendersi conto. Anche la tangenziale rilentava. La macchina che arrivava dalla tangenziale, sinistra, non si decideva a facilitargli l’immissione, non lo lasciava passare e continuava ad andare avanti, lenta... Falanio si piegò e ruotò a sinistra la testa, vide in faccia il giovane, ignorante e spavaldo sulla Polo appena comprata dal papi. Volle dimostrare la potenza della Rav 4, spinse accostandosi finché il ragazzo non fu costretto a frenare e a lasciarlo passare. Falanio sentì l’iniezione della droga della sopraffazione, schiacciò ancora; come fu sulla corsia destra della tangenziale guardò nello specchietto e, pur vedendo vicini fari grossi e bianchi, decise di passare, schiaccia, vai, corsia di sinistra... Gasato, ormai, perso. Sterzò troppo e in accelerazione toccò il cordolo con la ruota anteriore sinistra. Peccato che il cordolo ha pozzetti ogni cinque metri, specie di buche squadrate, con angoli taglienti a spunto. La gomma ne beccò uno in pieno, si aprì il buco. Falanio non capì subito, passò tre uscite, la quarta era la sua. Dopo 300 metri c’era la via, prima di sterzare iniziò a sentire: “Tum-tum-tum-tum”. Giusto il tempo di parcheggiare; ma i 300 metri, durante i quali la gomma era già per lo più a terra, furon fatali, la gomma era rovinata. Non aveva voglia di mettersi a cambiarla, anche perché non sapeva da dove iniziare; chiamò il gommista più vicino, l’indomani mattina venne, la sostituì con la gomma di scorta. Disse che la gomma che aveva sostituito era rovinata (300 metri fatali). Appena ebbe tempo, Falanio andò dal gommista che, dopo che le posteriori furon spostate avanti, mise nuove gomme dietro. Il gommista mostrò la gomma rovinata, copertone staccato dal cerchione; all’interno, una sorta di polvere di gomma; si era formata nei 300 metri, a terra, grattugiando sul metallo. Un anno dopo ci fu il vero evento fatale. Fatale per la vita della Rav 4, di Falanio. Nei 300 metri che separano la casa dalla tangenziale, un mattino di pioggia, Falanio fu tamponato da una ragazza in Cinquecento alla quale scivolò il piede stivalato sul freno. C’era fretta perché entrambi erano sulla rotta per il lavoro; scambiarono estremi, si telefonarono la sera. Falanio accettò di andare a casa di lei a Grumello per fare il CID la prima domenica utile. Ci fu un po’ di trambusto; uscì di casa la madre alla quale la ragazza, 21enne, non aveva ancora detto nulla; si convinse di dover far la parte della persona che si sente in pericolo di essere truffata; chiamò il carrozziere, un amico; questo, per intervento del fato, prese le parti di Falanio. Il danno non era evidentemente causato da lui con qualche retromarcia; l’occhio esperto riconobbe e diagnosticò il tamponamento. La madre azzittì, non prima di aver offerto soldi a Falanio, che tuttavia rimase fermo nella sua fierezza di vittima; il CID fu fatto. 21 anni; a quell’età... è normale. Falanio pensò: “La macchina è rovinata; non vale la pena ripararla; mi tengo danno e soldi” (un 2.000 euretti). Tale pensiero fu fatale; ormai rovinata... Anche riparandola, non sarà mai come prima. Alla fine decise comunque per la riparazione. Ma la guida cambiò. Non fu più tutto concentrazione e attenzione. La Rav 4 era di nuovo luccicante. Quando si guida un mezzo nuovo si sta più attenti; ogni istante, ogni dettaglio conta. La macchina acciaccata, riparata, fa rilassare, distrarre... non è solo il pensiero: “Tanto è già rotta”; è come nascere con un difetto, tipo zoppo o microdotato o orbo o tisico da giovane. Chi lo fa fare a mettersi a correre quando si parte svantaggiati e si sa che non si potrà arrivar primi? Rino era stupito, mentre Falanio una sera lo riportava a casa dal lavoro, per come guidava furbescamente, disonestamente. Non era più il vecchio Falanio ingenuo. Ora era conscio dei problemi della strada, divenuto menefreghista a suon di sinistri. “Chi me lo fa fare?”; e nelle nuvole febbraiole a distanza si riflettevano, delusi, i pensieri malvagi contro ogni automobilista che non faceva come lui pensava si dovesse fare.

Vestiti

Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì (Gen 3, 21)

you are what you wear, wear well
(Genesis)


Per una meditazione sul breve passo di Vangelo che si è letto in chiesa oggi (6 febbraio), dato che non c’è chissà che da dire, mi limito a fare le concordanze.

Le concordanze sono una specie di dizionario o lessico. Per ogni termine, dicono dove sono i luoghi biblici in cui compare. Se si prende una Bibbia moderna, tipo la Bibbia di Gerusalemme, la più completa e aggiornata sulla faccia della terra, ci sono i rimandi a margine che, pur non essendo numerosi come le concordanze, fanno vedere se un termine, o un evento, appare altre volte nella Bibbia.

Come risorsa online c’è Bible Gateway, dove ci sono le traduzioni della Bibbia in tutte le lingue. In italiano ce ne sono cinque: La Bibbia della gioia (lingua corrente, 2017), La Nuova Diodati (usata dai protestanti), Nuova Riveduta (1994 e 2006, rivisitazioni della Diodati) e Conferenza Episcopale Italiana (che usa l’ultima traduzione della Bibbia di Gerusalemme, 2008). Quella della CEI è quella che si legge in chiesa. Il sistema di ricerca di Bible Gateway ha le concordanze incorporate, anzi, funziona meglio. Basta mettere una parola nel motore di ricerca e nei risultati appaiono tutti i passi in cui appare. Vale anche per stringhe di parole, che nei risultati appaiono sia intere sia scomposte. Ad esempio, la ricerca della parola “e” riporta 27.299 risultati, mentre la parola “cavolfiore” non c’è. Se cerco: “si stracciò le vesti” dà 17 risultati. Sono tutti casi in cui qualcuno si arrabbia o cede alla disperazione e inizia a urlare. Cercando: “stracciarsi le vesti” esce: 

Il sacerdote, quello che è il sommo tra i suoi fratelli, sul capo del quale è stato sparso l’olio dell’unzione e ha ricevuto l’investitura, indossando le vesti sacre, non dovrà scarmigliarsi i capelli né stracciarsi le vesti. (Lv 21, 10)

Il passo di oggi:

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati. (Mc 6, 53-56)

Faccio le concordanze andando a memoria. Riporto ciò che mi viene in mente sulla questione mantello. È da notare che non è necessario toccare il corpo di Gesù, o che Gesù tocchi con la mano, è sufficiente qualsiasi forma di contatto. Inoltre il passo mostra come non sia necessario toccare il corpo di Gesù, ma come sia sufficiente toccare i vestiti.

C’è un unico passo del Vangelo in cui si mostra cosa avviene durante i contatti:

Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.

Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male». (Mc 5, 25-34)

Ho evidenziato in corsivo: “avvertita la potenza che era uscita da lui” per dire che Gesù non restava indifferente e intaccato quando guariva. Come per ogni uomo, le energie si esaurivano. Faccio sempre l’esempio dei volontari ospedalieri, i quali, tutti, nessuno escluso, dicono quanto lasci esausto un turno di volontariato con gli ammalati. Anch’io ho fatto il volontario ospedaliero e dico la stessa cosa. Inizi col sorriso e alla fine non riesci più, per la stanchezza e la tristezza che ti è stata trasmessa, a sorridere. Da notare anche che le parole: “spendendo tutti i suoi averi” traduce il greco: “dapanesasa ta par’autes panta”, letteralmente: ‘spendendo, di ciò che era presso di lei, tutto’. Anche le persone che stanno male psicologicamente e non sono in pace possono asciugare. Chi, almeno una volta, non si è sentito asciugato da una persona afflitta da problemi, che ha bisogno di sfogarsi e non smette di parlare?
Anche Gesù aveva bisogno di momenti in cui star da solo a pregare, magari su un monte, per ricaricarsi.

In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. (Lc 6, 12)

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. (Mc 6, 30-32)

È impensabile che quando Gesù pregava chiedeva al Padre di dargli le forze per poter a sua volta dar forza ad altri? 

Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. (2Cor 1, 3-4)

I vestiti sono proprietà, parte della persona, identificano, segnalano, trasmettono ciò che la persona è. Con piglio psicologico direi che i vestiti sono segno che aiutano la persona a comunicare, a parlare di sé. Nella Bibbia e in Platone stracciarsi le vesti significa perlappunto arrabbiarsi. È un’espressione che si usa ancor oggi.
Sempre per fare concordanze, aggiungo un altro passo:

Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. (Gv 21, 7b)

È interessante notare che il termine per “mantello”, sia nel Vangelo di oggi sia nel passo dell’emorroissa, è traduzione del classico greco: “imatiou”; mentre il termine “camiciotto” del Vangelo di Giovanni traduce: “ependyten”, da: “ependyo”, ‘indosso sopra’; a quanto pare era un indumento da pescatore. Secondo me significa che copriva la parte superiore. In Platone si dice che Socrate indossava il mantello corto, tipico dei filosofi, di chi faceva ricerca.
Non so che altro dire sui vestiti. Dico solo che ogni persona ha i suoi e che il modo di vestire può essere idiosincratico.
Stracciarsi le vesti è perdere la calma, la compostezza...
Mi sono sempre chiesto come mai Pietro si vesta per entrare in acqua, mentre noi siamo abituati al contrario...

Per finire, un passo che parla di come Gesù non avesse bisogno di contatto per guarire. Gli bastava infatti la preghiera, cioè parlare col Padre. La vicenda di Gesù è fenomenale perché la sua perfetta unione col Padre ha garantito che ogni sua preghiera fosse esaudita; si pensi a quando ha sedato la tempesta. Per lui, come per noi, Dio fa da satellite. La nostra parola sale a lui e lui, che ha potere di tradurla in realtà, modifica il mondo secondo la nostra parola. Non sempre; a volte esaudisce, a volte no; secondo la sua volontà. Gesù era sempre esaudito, tanto che ogni sua parola diventava immediatamente realtà, verità. Ciò perché faceva sempre la Volontà del Padre; il Padre, in risposta, faceva la sua. Ecco cosa vuol dire volontà perfettamente unite.

Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Fà questo, ed egli lo fa».

All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Và, e sia fatto secondo la tua fede». In quell’istante il servo guarì. (Mt 8, 5-13)