La neuro

La vita era fallimento, la solitudine premeva, la conditio vivendi, pur essendo all’apparenza facile, non lo era. Filocamo aveva lasciato l’università, aveva perso il padre, era stato mollato dall’innamorata per un ricco, figlio del papi con l’azienda, era mantenuto dalla madre, negoziante sgobbona, e si era messo in psicanalisi. La solitudine lo portò, pur di comunicare, a cercare di farlo con l’universo. La scienza psicologica gli aveva insegnato il bisogno di parole che si ha sempre, da quando si è neonati e la madre avvolge in una coperta di parole. Gli mancavano, in quel periodo, quelle parole, gli erano sempre mancate. Ora le cercava nei libri, cercava una spiegazione, un senso. Cercava spiegazioni delle cose, all’apparenza era una ricerca di sapienza, ma sotto la superficie un bisogno primordiale, la suddivisione del mondo in categorie, uscire dall’indistinto, la prima suddivisione che avviene sentendo una parola. Poiché ogni parola è parte di un codice, ne è espressione e manifestazione, una parola rispecchia un intero pensiero, una concezione del mondo, è tassello in una più larga, totale, ripartizione. Ogni espressione è indizio di un’anima intera. Iniziò a ricavare segni ovunque. Un manifesto pubblicitario, il volo di un uccello, le parole lette sui giornali, su internet, tutto comunicava. Tutto gli parlava di sé, qualsiasi cosa gli diceva chi era. Un piccolo uccello nero che, sbucando da una siepe, gli sfrecciava davanti ai piedi era segno di sfortuna. Fu questo l’inizio; entrare nella vita religiosa, il via libera che portò all’esacerbazione. Dio comunica con l’uomo in ogni momento, basta saper ascoltarlo, è la frase ripetuta in ogni momento, basta saper leggere tra le righe. Peccato che poter capire cosa dice lo Spirito Santo bisogna essere santi, bisogna vivere vita santa. Come si fa a capire il Santo senza santità? Il Santo va da colui o colei che gli è simile. Capiamo i nostri simili. Giovane monaco vecchio diavolo, recita un detto. Il giovane frate non santo, che in realtà aveva iniziato molto prima, in solitudine, senza consiglio né supporto di alcuno, leggeva tutto in tutto. Ogni gesto, ogni parola divenirono ragione di significato. Dio gli parlava attraverso qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Poteva arrivare a turbarsi se la persona con cui parlava si metteva improvvisamente a grattarsi la testa con la mano sinistra piuttosto che con la destra. C’era una causa in questo, il suo universo, anche grazie alla lettura e al tentativo di interpretazione della Parola, era un insieme di collegamenti e parlava. Ne era felice, peccato che non sapeva ancora che non è solo Dio a parlare, ma anche il diavolo, il menzognero, quello là per chi non vuol dir il nome per paura che così facendo lo invoca... Perciò è necessario il cosiddetto discernimento, per capire, nei segni, non solo cosa si dice, ma chi parla. Dio, quando parla, dà ordini, dice cosa fare. Anche quando dice semplicemente cosa sei. Sei pigro, uguale devi attivarti. Stai sbagliando, uguale devi modificare il comportamento. Un uccello arriva da destra, segui quella via. In autostrada, un camion col volto di Padre Pio, segno propizio. Gli ordini che gli arrivavano da Dio mediante queste comunicazioni di cui solo lui sapeva, che solo lui sapeva leggere, divennero superiori agli ordini dei superiori. Divenne spinoso, i superiori gli davano ordini che lui non eseguiva perché doveva eseguire quelli datigli direttamente, solo a lui, da Dio. Con la disobbedienza costituiva una corona di spine per i superiori, i quali si santificavano per mezzo di lui. Poche cose sono dolorose come la disobbedienza di chi dovrebbe fare ciò che si dice, lo sanno i genitori, che hanno a che fare con altrui volontà che crescono divenendo spesse e dure. Lo sanno i capi negli uffici, dove vige, non detta, la legge della libertà. Il leggere segni di Filocamo divenne scienza. Filocamo era conscio di ciò che faceva, sapeva quando era iniziato, sapeva che gli serviva a riempire buchi, che era come l’amico immaginario. La vita religiosa era una giustificazione, un alibi. Lo faccio perché mi han detto di farlo, perché dicono che è così, che Dio parla. Finalmente, dato che sono frate, posso farlo liberamente. Leggendo sulle locuzioni che Santa Teresa d’Avila riceveva, iniziò a distinguere segni esterni da segni interni. Un segno che arriva mediante i sensi ha alta probabilità di essere diabolico. Ma anche un segno che appare a occhi chiusi è percepito dai sensi, quelli interni, per nominarli con San Giovanni della Croce. Qui finiva la sua comprensione, oltre non andava. Di fatto, l’unico discernimento, se ci si pensa, è quello mediante ragionamento; altro che segni. Ma anche coi ragionamenti quello là può giocare, maestro di ragionamenti fallaci. Prima di pensare che anche i sensi interni sono sensi, Filocamo credette che tutto ciò che si vede a occhi chiusi è segno di Dio, specialmente se in quel momento si è in preghiera. Cominciò a mettersi in preghiera a occhi chiusi e ad aspettare che apparisse l’immagine. Una volta, così facendo, all’una di notte gli apparve una tazza. L’interpretazione fu che doveva farsi un caffè e scendere nel coro della chiesa, diviso dalla stessa da una parete, aprire il tabernacolo che vi si trovava, nel quale c’era un’ostia in un piccolo ostensorio, e mettersi in Adorazione. Scese, si fece il caffè in cucina, si recò in coro, si inginocchiò davanti al tabernacolo, poi passò oltre, verso la sacrestia, dove, in uno sportello dell’armadio, erano appese le chiavi. Trovò tutti gli sportelli aperti, pensò: “Frà Elia – sacrestano – ne ha fatta un’altra delle sue. Forse, per via di una delle sue idiosincrasie, ha aperto tutti gli sportelli per far prendere aria ai lini e ai legni...”. Frà Elia faceva parecchi di ragionamenti del genere, un giorno su due era dal ferramenta, frà Filocamo doveva sopportarlo, perché era più anziano... Ancora mezzo assonnato, dato che il caffè non aveva ancora fatto effetto, diede poco peso alla cosa, prese le chiavi del tabernacolo, tornò in coro e lo aprì. Fece l’ora di Adorazione. Naturalmente non aveva detto nulla ai superiori. Uscendo dal coro, notò una finestra, che dava sul chiostro, aperta. Anche a quella non fece caso, tornò a letto. Capì, il giorno dopo, che il segno della tazza del caffè l’aveva mandato il diavolo per farlo scendere ed esporlo al pericolo dei ladri, mentre le elucubrazioni sulle idiosincrasie di frà Elia le aveva inviate Maria per non fargli capire che c’erano stati i ladri e per non fargli dare l’allarme. Probabilmente, mentre si sedeva a fare Adorazione, i ladri erano ancora lì e, stupendosi che frà Filocamo non reagisse al vedere tutto aperto, si dettero alla fuga. Rubarono 700 euro, praticamente tutti gli averi della congregazione, dalla cassa della segreteria. Fece fatica a spiegare ai confratelli il processo mentale che l’aveva portato a non dare l’allarme e a fare Adorazione in pace. Frà Elia fece una smorfia sentendo il racconto, ma frà Filocamo doveva dire la verità per spiegare cosa era successo. Capì, e lo capirono tutti, di essere stato da un lato ingannato, dall’altro salvato. Nessuno però gli chiese conto dell’abitudine di seguire segni. La madre fondatrice parlava sempre dell’importanza di seguire i tocchi dello Spirito Santo. Fu, questo, un fallo della congregazione, che avrebbe dovuto indirizzare qualche discorsetto all’abitudine di frà Filocamo. Era pericolosa, non solo per casi come questo, ma, come detto, perché lo portava a disubbidire. Il superiore gli diceva una cosa e lui, pensando che Dio gli avesse parlato, ne faceva un’altra. In più, prendeva iniziative. Quando avrebbe dovuto star fermo, magari a pregare, partiva per qualche impresa. Dire qualcosa a qualcuno, spostare un oggetto, partecipare a una liturgia. Fu ancora di notte che vide la mano della fondatrice col gesto: “Andare! Raus!”. In quel periodo aveva vita difficile. Frà Filocamo non amava la vita pastorale, non voleva star sempre in mezzo alla gente. La sua tendenza a sentirsi giudicato gli rendeva difficile essere figura pubblica, al centro dell’attenzione e delle chiacchere. Non voleva occuparsi dei bambini, dei ragazzi, la trovava una fatica insormontabile e la pigrizia vinceva. Era da due mesi in dialogo col superiore, il quale tendeva a minimizzare paure e lamentele. La congregazione era piccola, il superiore era praticamente il fondatore del ramo maschile, non reggeva l’idea di un altro membro che voleva andarsene. Dopo aver pregato offrendo la vita per una parrocchiana che, a quanto pare, riceveva malefici da un professionista pagato e manifestava episodi di possessione, con urla e vomito, frà Filocamo aveva anche iniziato ad avere tentazioni di tipo sessuale, sopite per quattro anni e mezzo. Anche questo, nei dialoghi coi superiori, fu preso sotto gamba. Perfino durante le liturgie alcune parole gli facevano pensare a cose sessuali. Filocamo si sentiva sporco, inadatto alla vita religiosa. Come faccio a occuparmi di famiglie con queste idee in testa? Una volta una parrocchiana, un’attrice dilettante, sempre truccata, col marito palestrato, che però leggeva bene, mentre leggeva il brano delle tentazioni nel deserto, al versetto: “E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame” si voltò verso Filocamo e lo guardò. Qualcosa si vedeva, si notava nei suoi comportamenti? I parrocchiani notavano che qualcosa in lui non era più puro, pulito? Poteva continuare a fare questo mestiere? Credeva che no. La notte in cui, in preghiera, a occhi chiusi – ci riprovava – vide la mano della fondatrice che faceva il gesto: “Va’ via” si spaventò. Non aveva imparato, dall’evento precedente, che a parlare può essere il diavolo. L’autorità della fondatrice era intensa. Si alzò dal letto, mise pantaloni, sandali e giacca e uscì nella notte. Probabilmente i parrocchiani avevano appena fatto qualche attività o rappresentazione coi boy-scout, di cui frà Filocamo non sapeva perché non gli piaceva stare coi giovani, e avevano dimenticato nel portico la luce accesa e una forca contro un muro. Nell’aura di mistero che circondava il gesto che stava facendo –  fuggire dal convento di notte – l’immagine gli rimase impressa come segno che la gente del paese non lo voleva. La forca, in particolare, era suggestiva. S’incamminò per la strada che porta al mare, dove passa il treno. Ci mise più di un’ora, tempo di esser giù e albeggiava. Si recò dal parroco del paese, il quale, vedendolo in quello stato, fu conciliante e gli diede 50 euro. Arrivò ad Ancona, dove, dopo aver dormito tre notti in stazione, fu fermato dai Carabinieri mentre camminava sulla linea bianca in mezzo alla strada… Così gli era stato comunicato dai segni che leggeva, interpretava, ormai qualsiasi cosa era segno, una luce, un colore, ogni secondo doveva svoltare e cambiare direzione, finì in mezzo alla strada... Interrogato, diede il numero della madre, che il giorno dopo approdò col treno. Tornò con lei a Milano. Il superiore diede il consiglio di mandarlo alla neuro, con parole sue. Consigliò un istituto cattolico a Brescia, non troppo lontano dal luogo dove abita la madre. All’Unità ospedaliera di riabilitazione psichiatrica Mosè Bonardi del Fatebenefratelli di Brescia Filocamo passò un mese. Ogni giorno, non avendo più la preghiera comunitaria, pregava tre rosari camminando in giardino. L’Istituto Padre Mosè Bonardi non è corsia psichiatrica. Innanzitutto si sta su base volontaria e non si può starvi più di un mese. Inoltre è una struttura composta da quattro case, solo piano terra, in cerchio attorno a un giardino. In ogni casa sono accolti da quattro a sei pazienti, per un totale possibile di 20 ospiti. Si hanno compiti, chi la cucina, chi il lavaggio pavimenti, chi il rifacimento letti. Nel frattempo si assiste a conferenze e si fanno attività tipo teatro. La cosa più importante è il lavoro con educatori e psicologi. A Filocamo fu diagnosticato un disturbo ossessivo-compulsivo con aspetti paranoidali, vale a dire interpretativi. Gli spiegarono che erano una componente nevrotica (l’ossessione) e una psicotica (l’interpretazione). Il disturbo fu giudicato serio e non guaribile, ma compensabile, per usare il gergo psichiatrico, con un farmaco che, riducendo la quantità di pensieri, riduce anche la percentuale di quelli disfunzionali, così chiamati perché provocano azioni controproducenti. Filocamo sfruttò al massimo il lavoro degli esperti di psicologia e psichiatria messi a disposizione. D’altronde, quand’era frà Filocamo il suo superiore gli aveva già prescritto di seguire una psicoterapia. Aveva dovuto fare un questionario di quattro ore più il test di Rorschach, dai quali risultava, difatti, che la sua interpretazione della realtà era sballata. Gli esperti dell’Istituto Bonardi raccolsero i risultati di questi test e, assieme ai racconti di Filocamo, diedero la diagnosi. Filocamo si rassegnò e l’accettò. Parve plausibile, per quanto uno poteva essere avverso alla psichiatria. Filocamo non era avverso, avendo fatto psicanalisi; a maggior ragione, era conscio dei limiti. Come sapeva e come spiegò, sapeva di aver iniziato a interpretare i segni già prima di diventare frate. Mentre recitava il rosario, alle sette, nel giardino, e l’alba mostrava automobili sfrecciare sull’autostrada, le ciminiere e i palazzi di uffici fecero venire l’idea di Brescia.  “Qui Dio mi ha portato, qui resterò e lavorerò”. Ancora oggi Filocamo è in cura al Centro Psico-Sociale, anche se gli fanno un colloquio dieci minuti l’anno. Combatte coi pensieri disfunzionali.

11 commenti:

  1. Una storia così importante non si può commentare in poche righe. Per S. Agostino il mondo è "res e signa", ho sempre pensato che cogliere i "signa" sia qualcosa di misterioso, non una capacità che sia possibile esercitare. Forse invece Filocamo era sulla strada giusta, ma da soli è troppo difficile cogliere i signa!

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    1. Filocamo ha abbandonato la speranza di essere in grado di leggere i signa, e questo perché sa di non essere abbastanza santo, si sente in balia di quello là e, diciamolo, si sente un po' mattarello. Per ora va bene così.

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  2. c'è anche chi si spende per capire e per migliorare gli altri, un pensiero per il mese di aprile va a
    Era il 12 aprile 2008

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    1. Grazie! Non conoscevo Pippa Bacca, la sua storia è meravigliosa. Un'artista piena di genio oltre che un'amante della vita. Secondo me la tesi che voleva provare, la fondamentale bontà dell'essere umano non è stata intaccata dall'aver incontrato un pregiudicato. Anche Maria Goretti perdonò il suo carnefice, e Teresina ottenne la conversione di Pranzini col sacrificio personale. Il bene è nell'occhio di chi guarda.

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  3. Concordo con Sara, hai parlato di questioni e problemi non comuni e decisamente complessi, dire qualcosa in tre righe di commento dopo aver letto un post del genere sarebbe troppo pretenzioso da parte mia.
    Posso solo dire che il fatto che tu ne parli con lucidità è, per me, un buon segno, implica che sei consapevole e che agisci di conseguenza.
    Ti auguro di continuare questo percorso trovando la strada migliore per te, da percorrere sino alla luce che stai cercando (come diceva Pascal, un uomo che sta cercando, è già sulla strada per trovare).

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    1. Sì, penso anch’io che la consapevolezza delle varie patologie aiuti. D’altronde ho fatto un bel po’ di test, e anche il mio comportamento ha messo sott’occhio problemi che non potevo più non vedere. La mia opinione sulle discipline psicologiche è che non siano la panacea per tutti i mali, ma possano aiutare. Se fai una seduta di venti minuti dal fisioterapista non ti aggiusta la schiena, e magari nemmeno dopo due anni, però qualche beneficio lo si ottiene. Conosco una persona che non camminerebbe se non si fosse affidata a un fisioterapista per un paio d’anni. Qualche problemino l’ha ancora, però, insomma, sta dritta e cammina! Il lavoro che mi hanno lasciato in eredità da fare è l’analisi dei pensieri, per cercare di individuare i disfunzionali. Uso soprattutto la scrittura, è per questo che parlo spesso di me.

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  4. Che bel ricordo, Pippo Bacca!

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    1. Ma solo io vivo fuori dal mondo? Perché non la conoscevo? Perché?

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  5. Comunque si, essere in costante ricerca è già una destinazione.

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    1. Si dice che il filosofo non è quello che dà le risposte, ma quello che sa porre le domande.

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  6. ..anche perché le risposte non esistono. Quindi tanto vale ricamare per bene le domande..
    “Maestro,
    esiste veramente Dio?”
    Il vecchio lo guardò negli occhi,
    trasse un debole respiro
    e la sua pelle fremette
    come nebbia nell'alba
    ingabbiata dalla radura.
    Rispose adagio:
    “E’ la risposta
    a creare la domanda”.
    (autocitaz.)

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