Umiltà

Giustizia, saggezza, temperanza e coraggio sono le quattro virtù cardinali. Fede, speranza e carità sono le tre virtù teologali.
umiltà dove la mettiamo?
Nel senso... se non fa parte di queste categorie è possibile addirittura annoverarla tra le virtù? È lʼumiltà una virtù?
Quelle due categorie – cardinali e teologali – e quelle sette virtù non esauriscono tutte le virtù?

Mi viene in mente il libro Le piccole virtù di Natalia Ginzburg. Lo lessi tanto tempo fa e non ricordo nulla. Però questo titolo, Le piccole virtù mi fa pensare che esistano virtù minori oltre alle sette grandi virtù elencate allʼinizio.
Il problema, a questo punto, è questo. Lʼumiltà risulterebbe essere come minimo una virtù minore, una piccola virtù.
Eppure nella letteratura cristiana si trova lʼumiltà elencata tra le massime virtù. Ad esempio Santa Teresa dʼAvila, non ricordo se nella sua Autobiografia o se altrove, la mette al primo posto.

Io, francamente, da quando sono diventato credente – circa 12 anni fa – ho maturato sempre più lʼidea che lʼumiltà sia di importanza fondamentale. Non so dove collocarla in una gerarchia di virtù, però so che è di importanza fondamentale.

Lʼumiltà è collegata alla piccolezza, che è una caratteristica umana amata tanto da Dio.

Cosa significa essere piccoli? Significa non avere qualità. Non avere ricchezze di nessun tipo, né materiali né spirituali. Il piccolo per eccellenza è Lazzaro del capitolo 16 del Vangelo di Luca: “Cʼera un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe” (Lc 16, 19-21)

Il grande per eccellenza invece è San Giovanni Battista. “In verità vi dico: «Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista»” (Mt 11, 11). Pensiamo alle virtù di San Giovanni Battista. Sin da giovane si è ritirato nel deserto. Un asceta, uno che si nutriva di quasi nulla, che compiva grandi digiuni. Inoltre, un uomo della Parola. È grazie al suo profondo studio della Scrittura e alla sua vita irreprensibile, priva di tutto, francescana nel vero senso del termine, che poteva permettersi di accusare un intero popolo: “Razza di vipere” (Mt 3, 7). Se non dai lʼesempio per primo, ovviamente, se non sei irreprensibile tu stesso, non puoi incolpare nessuno. Lui invece poteva. Poco cibo, niente sesso, niente ricchezze. San Giovanni Battista lo immagino molto alto e magrissimo, longineo, un tipo alla Pannella, che grida anatemi contro i propri compatrioti. La perfetta figura del profeta.

Quando si pensa alla differenza tra grandi e piccoli bisogna pensare al resto del Vangelo su Giovanni il Battista: “tuttavia il più piccolo – tra i nati di donna – nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11, 11).

Per essere umili bisogna essere piccoli. E si badi bene, lʼumiltà non può essere falsa. Faccio un esempio. Nel libro Oltre il giardino (titolo originale: To kill a mockingbird) verso la fine appare in paese un cane con la rabbia. Tutti vanno a rinchiudersi nelle case. Però se non ricordo male cʼè ancora qualcuno a portata del cane rabbioso. Il protagonista del libro, Atticus Finch, prende una carabina e gli spara da 900 metri, uccidendolo prima che possa attaccare quel qualcuno rimasto indietro che non era ancora riuscito a chiudersi in casa. Atticus Finch è avvocato. Nessuno sapeva che sapeva sparare così bene e che aveva una tale mira. Ha questo talento che aveva sempre tenuto nascosto non dicendolo mai a nessuno. Nel momento del bisogno, tutti hanno scoperto le doti da cecchino dellʼavvocato.
Si potrebbe dire che lʼavvocato abbia nascosto questa sua dote, questo suo talento per umiltà.
Tuttavia, questa non è vera umiltà.
La vera umiltà non è saper fare qualcosa e nasconderlo, non dire nulla a nessuno. Non è avere delle ricchezze e andare in giro vestiti da straccione.

La vera umiltà si può ottenere solamente mediante la vera, concreta piccolezza. La vera piccolezza significa non sapere fare nulla, non possedere nulla, non avere qualità interiori né virtù.

Il discorso, mi rendo conto, è controverso. Ma sfido chiunque ad alzare la testa contro il proprio vicino se si non ha nulla di cui potersi vantare.
Il contrario dellʼumiltà infatti è la superbia.
Se si leggono i padri del deserto, si scopre che lʼultimo demonio che il monaco deve sconfiggere, dopo aver sconfitto tutti gli altri (pigrizia, lussuria, gola, ira, ecc.), è la superbia.
Perché superbia è dire: “Che bravo che sono”. “Io sì che sono bravo”. “Io sono più bravo degli altri”. “Io sì che ce lʼho fatta a sconfiggere tutti i demoni e a guadagnare tutte le virtù”.

Per finire, una nota personale. Anni fa desideravo la sapienza. Non so perché, ma per qualche anno non feci altro che leggere libri. Quando divenni credente, realizzai che la sapienza poteva rendermi superbo. Appena ebbi lʼoccasione, passai un intero ritiro di tre giorni a chiedere lʼumiltà. Formulavo la preghiera principale più o meno in questo modo: “Signore, io desidero la sapienza, e ti prego di darmela, ma se non posso avere la sapienza senza essere superbo, ti prego, non darmela. Dammi anzitutto lʼumiltà. Ciò che voglio più di ogni altra cosa è lʼumiltà. Non voglio mai che capiti che io mi creda più sapiente di mio fratello. Non voglio mai essere convinto di essere quello che ha ragione, tanto da arrivare a disdegnare la relazione con la persona. Ti prego, Signore, dammi anzitutto lʼumiltà, e se poi è possibile che abbia qualche forma di sapienza pur avendo lʼumiltà, allora dammi anche la sapienza. Ma sapienza senza umiltà, no”. Finì che per tre giorni non feci altro, svegliandomi alle cinque di mattina per andare a pregare in un uliveto, che chiedere di avere innanzittutto lʼumiltà.

Oggi, non faccio altro che contemplare quotidianamente le mie mille miserie. Ogni incrocio di sguardo con una persona è motivo di calcolo delle differenze tra me e la persona, ossia per dire: “Quella persona ha…”, “Mentre a me manca…”. È un tormento continuo. Non sto scherzando. È unʼagonia quotidiana. Ogni persona che incontro mi fa venire in mente qualcosa che non ho, sia dal punto di vista materiale, sia spirituale.

Mi scuso se parlo spesso di queste cose. Ma queste sono le mie giornate.
Sono convinto che Dio abbia ascoltato quelle mie preghiere e, oltre ad avermi privato di numerose qualità, oggi non faccia altro che mettermi sotto gli occhi tutte le piccolezze di cui sono afflitto.
Da un lato sono contento, perché so che Dio è vicino ai piccoli ed essere piccoli permette di affidarsi a Dio come un “bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131, 2). Però dʼaltra parte è una sofferenza continua. Non riesco a darmi pace nel constatare la mia miseria nel perpetuo confronto con gli altri.
Ultimamente, tra lʼaltro, sono scontento anche della mia capacità di scrittura. Faccio infatti il confronto con vari interessantissimi blog che mi è capitato di scoprire in rete, e mi deprimo.

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