Il nemico del genere umano

In Guerra e pace i russi chiamano Napoleone: "Il nemico del genere umano". Lo fanno sia gli aristocratici nei salotti, alle feste, sia i soldati impegnati nelle campagne austriache per bloccare l'esercito francese.

"La bellezza salverà il mondo" è la nota frase di Dostoevskij dal romanzo L'idiota.

Dostoevskij teneva, in una rivista mensile, una rubrica intitolata: "Diario di uno scrittore". Oggi gli articoli sono raccolti in volume. È facile trovarlo, s'intitola Diario di uno scrittore. Anni fa l'avevo. Sono convinto di ricordare che in un articolo il Dosto sostenesse che la Russia avrebbe, un giorno, salvato il mondo. Questo perché il popolo russo è, a detta sua, umile. E cristiano.

Evidentemente bisognerà aspettare che non ci sia a capo della Russia un ex dirigente del KGB. Dal lavoro che uno sceglie si può capire l'indole. Figlio di Putin non ha scelto di fare il panettiere. Trent'anni fa forse già si sarebbe potuto intuire che sarebbe stato attaccabrighe e guerrafondaio.

Ho sempre preferito Tolstoj a Dostoevskij, soprattutto perché proprio in un articolo del Diario di uno scrittore il Dosto consiglia, a una madre che per lettera chiede cosa è meglio far leggere alla figlia quindicenne, oltre a varie altre opere, "tutto il conte Tolstoj", mentre dei propri libri non tutti ma solo alcuni. 

Paraparesi spastica (1) – L’intelligenza di Galdina

Braulio è un poliziotto della Scientifica che da giovane ha lasciato la ragazza con cui stava appena scoperto che era incinta. Oggi è maturo. La donna lo contatta perché, per problemi di salute, non è più in grado di tenere la bambina. Braulio non sapeva nemmeno di essere padre. Decide di tenere fede alle proprie responsabilità. 

La prima volta, per conoscersi, decidono di portare la bambina alla stazione di Polizia. Madre e figlia si presentano in macchina. Braulio si fa trovare all’entrata. Mentre l’auto accosta, Braulio si avvicina e apre la portiera. La bambina è seduta dietro. Braulio si abbassa per sollevare lo schienale del sedile, ma ci ha già pensato la bambina. Premendo il pulsante lo fa scattare in avanti, questo colpisce in pieno Braulio sulla faccia. Braulio cade a terra. Ursmara, la madre, scende dall’auto, apre il bagagliaio e tira fuori una sedia a rotelle. Mentre Braulio è a terra e si palpa la faccia, Ursmara si accosta alla portiera aperta con la sedia, si infila, prende la bambina e la mette sopra. Entrambe si girano verso Braulio. “Ciao papà, pensi di stare lì ancora molto?”. Braulio si passa la mano sui capelli neri ricci… “N-no… ecco… io… non sapevo…”, “Cosa, che sono handicappata? Non preoccuparti, sono solo le gambe che non posso muovere, il cervello funziona bene”.

Galdina e Braulio passeranno tutti i pomeriggi insieme, alla stazione di Polizia. Lavoreranno spalla a spalla. Mentre Ursmara porterà avanti la cura per la sua malattia, l’intelligenza di Galdina aiuterà Braulio a risolvere numerosi casi difficili.

Oltre la grazia di stato

Tutto posso in colui che mi dà la forza (Fil 4, 13)


La Certosa di Farneta (LU) è una delle due uniche Certose italiane a ospitare ancora i certosini. L’altra è la quella di Serra San Bruno (VV), chiamata così perché fondata dallo stesso San Bruno, il fondatore dell’Ordine Certosino e della prima Certosa, la cosiddetta Grande Chartreuse (Grenoble). Le altre certose d’Italia o ospitano i cistercensi (ad esempio la Certosa di Pavia), o sono state demolite (a Milano resta in piedi solo la chiesa, in fondo a Viale Certosa), o sono diventate complesso monumentale ospitanti strutture come musei o scuole (Firenze, Pisa).

Nel 2010 e 2011 feci due esperienze vocazionali alla Certosa di Farneta, di due settimane la prima e di un mese la seconda. Fa parte della vita certosina il passeggio. Una volta a settimana si esce dal monastero per un’escursione. L’escursione è tutto fuorché un modo per lasciare i monaci a briglia sciolta. Si fa un percorso prestabilito e non ci si ferma mai. Si cammina in fila, a due a due, e ogni mezz’ora si cambia compagno. È uno dei due modi (l’altro è la ricreazione) per far conoscere tra loro monaci che, a parte Messa e Vespri conventuali, insieme nella chiesa del monastero, trascorrono la giornata in solitudine. È così che si costruisce la comunità.

Fu durante un passeggio che, dalla bocca di un prete bresciano, M., che dopo vent’anni di vita parrocchiale ha deciso di ritirarsi a vita monacale, udii per la prima volta il concetto di grazia di stato. Riassunto, suona più o meno così. Se Dio dà un incarico dà anche la grazia necessaria per svolgerlo. È da tener presente che nella vita religiosa la volontà di Dio passa attraverso l’obbedienza ai superiori. M. mi raccontò che quando era ancora giovane prete gli fu chiesto di tenere conferenze a preti di tutta la Diocesi, di tutte le età, su un determinato argomento sul quale dovevano essere formati. Mi spiegò che in quell’occasione fu capace di farlo solo perché intervenne la grazia di stato; ossia, in altre parole, perché fu aiutato da Dio a svolgere un compito per il quale era inadeguato.

Quando entrai nella vita religiosa, mi sentivo forte della consapevolezza di questo concetto della grazia di stato. “Non importa se sono impreparato”, dicevo, “sono convinto che sarò in grado di svolgere, grazie alla grazia di stato, qualsiasi incarico mi sarà affidato”.

La storia della mia vita parrocchiale ha dimostrato il contrario. Non ho mai svolto in modo adeguato i miei obblighi parrocchiali. Non mi piacevano, non mi ci applicavo e non riuscivo bene. Il confronto coi miei confratelli più dotati e più entusiasti è sempre stato un indicatore chiaro della mia inadeguatezza.

Da questa esperienza qualcosa ho ricavato. Ma è un’idea mia. L’ho maturata vivendola sulla pelle. Se Dio ti ama, non solo ti mette in condizioni di superare difficoltà e di riuscire anche quando sei fuori dalla comfort zone, come ha fatto molte volte col popolo di Israele, ad esempio, facendolo vincere contro nemici più numerosi e forti, o come quando ha fatto vincere Davide su Golia. Se Dio ti ama, ti mette in condizioni di vivere la Croce. Ti manda cioè allo sbaraglio in un luogo dove sarai sconfitto, dove morirai sul campo. Non è forse un onore morire sul campo? Significa che si è dato il massimo, che più di così non si poteva fare. Lui stesso quando si è incarnato ha mostrato di sé il volto della sconfitta, non quello della vittoria, perché l’umano ha un limite. Ma è attraverso la sconfitta che ha dimostrato la propria gloria. Come insegnano nei seminari, il primo nucleo dei Vangeli era il racconto non tanto della vita pubblica di Gesù, ossia dei miracoli e degli insegnamenti, ciò che prova che è Dio. Nei primi racconti non interessava provare che Gesù era Dio. Ciò era dato per così dire come assodato. Il nucleo principale dei primi Vangeli era il racconto della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù. Non si voleva tanto provare che Gesù è Dio, ma raccontare che Dio incarnato è andato in croce ed è risuscitato.

Non è da dimenticare che tutte le volte che Dio ha aiutato Israele a vincere, non è stato tanto perché ci teneva alla salvezza terrena del popolo da lui scelto, ma per manifestare la propria gloria. “Per riguardo a me, per riguardo a me lo faccio; come potrei lasciar profanare il mio nome? Non cederò ad altri la mia gloria” (Is 48, 11). A Dio non interessa salvare da morte una persona o un popolo particolare, gli interessa essere conosciuto da tutti in modo che tutti siano salvati da morte eterna. Tale è il suo zelo per le anime. Ha iniziato dal popolo di Israele perché da qualche parte doveva iniziare, e attraverso Israele doveva compiere opere che lo manifestassero, ma già ad Abramo aveva predetto che la sua discendenza sarebbe stata fatta di gente proveniente da tutte le genti, genti che sarebbero diventate sua discendenza mediante la fede. 


Honorable mention

Ho fatto questo sogno. È stato lungo e chiaro e l’ho ricordato tutto. Quando mi sono svegliato, mezzanotte, ero talmente riposato e lucido e sveglio che ho detto: “Questo devo appuntarlo”. Ci ho messo mezz’ora a ricordarlo nei dettagli e a scriverlo in Google Keep sul telefono. Poi sono tornato a dormire.

***

Eravamo in una specie di caserma, tutti insieme in uniforme. Per la precisione eravamo in un refettorio. Alla fine del pasto c’era una esercitazione.

Provavo paura come per un attacco vero e come se dovessimo partire.
Uscivamo a casaccio, dai vari punti del refettorio in cui ci trovavamo. In base al punto in cui uscivamo ci trovavamo in vari punti dello spazio all’aperto, anche in relazione all’astronave. L’astronave era vicino alla caserma, sembrava una componente amica ferma a bassa quota.

Il punto in cui ero uscito era lontano dall’astronave, in campo aperto. Da un punto imprecisato in lontananza arrivavano uova sparate, a livello terra-terra. Mi trovavo come i soldati mandati allo sbaraglio lontano dalla trincea senza vedere il nemico. Allora arretravo, mi spostavo da quel campo aperto dove arrivavano uova sparate, le quali potevano colpirti sì ma anche no, e andavo vicino, sotto l’astronave, dove c’era la gran massa di noi, e prendevo in pieno un carico di uova scaricate dall’alto.

Subito dopo c’era la premiazione. Prima venivano premiati gli Honorable mention, quelli come me. Ci davano un sacchettino azzurro di tela leggera con dei nastrini, tipo bomboniera. Somigliava a un piccolo finto paracadute al contrario. La premiazione avveniva così. Si camminava in fila fino a un palco dove erano seduti a sinistra un colonnello impettito e la faccia indurita nel premiare gli Honorable mention. Diceva: “Honorable mention” nel darci il sacchettino. In mezzo un trono vuoto. A destra la S. G., ex compagna di classe delle superiori che dalla quinta in poi è stata fidanzata col membro di una nota baby gang di Milano, che allora conoscevamo tutti per sentito dire. Era uomo di audacia, girava col coltello, una volta l’aveva salvata da una rapina fuori da un negozio proprio puntando il coltello allo sfigato che aveva afferrato i soldi che lei aveva in mano uscendo dal negozio. Un po’ tondetta e giudicata stupidetta dalla classe, con l’insegnamento del compagno mezzo malvivente è cresciuta gran figa, magra, determinata e decisa nella vita. Dava i sacchettini con volto deluso e disgustato. Dopo aver ricevuto il sacchettino ci sedevamo in posti assegnati, in alto, tribuna spettatori. Con me c’era K., amico delle elementari morto adolescente per aver fatto un incidente con la moto appena regalata, era figlio di un iraniano e un’italiana; M., mio grande amico dalla quinta superiore agli anni di università, un po’ sfigato; mio padre; e c’era anche Serafin, altro compagno di classe delle superiori. 

Guardavo giù, in platea. Noi stavamo ammassati. Eravamo di più. In platea avevano poltrone ben separate tra loro. Veniva loro dato un cestello marrone con dentro patatine tipo nachos col formaggio tipo quelle che fanno adesso da MacDonald’s. Alcuni erano coppie, cioè sia l’uomo sia la donna erano stati premiati, si scambiavano il premio, per così dire, cioè lui la imboccava con le patatine. Ridevano, erano orgogliosi, avevano tute militari da aviatore tipo Top Gun. Ogni loro poltrona aveva accanto un fiore tropicale.

Si guardava tutti verso un palco dove qualcuno avrebbe detto qualcosa. Di fatto nessuno diceva niente. 

Nell’andare via uno di quelli che erano sotto, forzutissimo, portava su di sé, con le braccia, numerosissimi altri, quasi per ridere, soprattutto donne. Qualcuno scaricava delle borse e noi, K. con me, ci passavamo accanto dicendo: “C'è qualcosa di nostro? No”, ce ne fregavamo e passavamo oltre. 

Non avevo più il mio premio, il mio sacchettino. Guardavo indietro e notavo che molti erano stati lasciati per terra, non considerati preziosi. Erano stati calpestati e si erano rotti. Sporchi, mancavano le bretelline del paracadute. Il mio doveva essere tra quelli.

***

Il sogno è venuto dopo che, da un paio di settimane, Amazon ha chiesto alla mia ditta quali zone preferivamo, e i miei capi hanno risposto che non volevamo più le tre o quattro zone cittadine che ci assegnavano da tempo, e che preferivamo cambiarle con altrettante nella bassa mantovana. I miei capi sono stati misericordiosi con noi, loro sottoposti. Non so se è questo, o se c’è dietro qualche calcolo. Di fatto, le zone cittadine sono più difficoltose ed è più facile per un corriere che le fa portare indietro pacchi non consegnati, dato che non si fa in tempo a fare i ripassi, piuttosto che in zone di provincia. Dopo tre anni di città quasi quotidiana sono finalmente stato assegnato alla bassa mantovana, Goito, Solferino, Medole, Castel Goffredo, Guidizzolo, Solarolo, Castiglione delle Stiviere. Il lavoro è cambiato da così a così, quasi un altro lavoro. Ho ringraziato ogni giorno Dio, convinto che le mie preghiere siano finalmente state ascoltate. Girando per la campagna, o al massimo nel centro storico di qualche paesino, sono molto più rilassato di quando facevo la città. Il lavoro è divenuto un problema non più assillante. Non sento più il bisogno di dormire tutto il tempo che resta per riprendermi. Ho addirittura iniziato ad andare a correre di mattina, dato che adesso ci presentiamo sul lavoro alle 9,30 e finiamo, di conseguenza, anche un’ora più tardi. Mi sono messo a correre anche perché il sogno mi ha spaventato. Non sarà che adesso ho una vita troppo facile? L’Honorable mention significa Purgatorio o un punto basso del Paradiso?
Nonostante la presenza di Serafin al mio fianco, sono solo belle domande alle quali non so rispondere, anche perché non so se a mandare il sogno sia stato Dio o il diavolo.