Avevamo vent’anni, eravamo innamorati. Facevamo sesso appena potevamo. Sua madre era catechista e, appena capite le mie intenzioni, smise di apprezzarmi. Mi trattava come il fallito che voleva entrare nelle mutande di sua figlia. A E. piacevo perché ero belloccio, avevo frequentato cattive compagnie e nel primo anno di università avevo sia studiato sia lavorato. Non avevo Dio e neanche lei. Aveva scelto di sua spontanea volontà di essere iscritta a un liceo statale, non al privato cattolico dove avrebbero voluto metterla i genitori. Era primogenita di tre sorelle, le altre due, poi, andarono al liceo privato. E. fu controcorrente in famiglia. Nel liceo statale in cui avevamo frequentato la stessa classe cinque anni consecutivi, avevamo imparato a essere atei grazie alla professoressa di Scienze, al professore di Filosofia e a tutto il contesto degli insegnamenti, solo che lei aveva una famiglia credente e praticante, io il contrario, per lei Dio era dilemma, lotta, per me non c’era questione. Dopo il primo anno di università qualcuno del liceo organizzò una rimpatriata, ci rincontrammo e ci innamorammo. Eravamo pere mature. Il suo essere di buona famiglia mi faceva sentire uno schifo, ma ero innamorato e il suo corpo mi attraeva, desideravo toccarla e vederla nuda in ogni momento. Penso che anche lei avesse la stessa attrazione verso di me, visto che si lasciava fare tutto.
Un giorno, verso Pasqua, trovammo il preservativo con un buco. Avevamo trascorso qualche giorno nella sua casa vuota perché i genitori erano andati con le figlie minori alla casa al lago. Non sapevamo cosa era passato e cosa no... l’unica soluzione era la pillola del giorno dopo. Ci furono pianti, perché era un possibile aborto. Le radici cristiane urlavano dentro lei. Aveva chiara l’idea di commettere un delitto – se l’inseminazione fosse effettivamente avvenuta – mentre io non me ne curavo, pensavo solo che la pillola fosse un metodo per risolvere velocemente e senza sforzi un potenziale problema di vita. Entrambi eravamo attaccati alla carriera universitaria, lei di più e a ragione, però, poiché era iscritta alla Bocconi e i genitori non pagavano poco. Era sul suo corpo che si compiva la violenza, non certo sul mio. Era la prima a volerlo fare, ma in qualche modo risultai io quello che pressava. Andammo a un Pronto Soccorso e una dottoressa, non senza paternale, conferì la magica cura. Ho ancora la sensazione di come E. si sentisse sola, senza il supporto degli amati genitori, come le toccava attraversare quella prova in segreto con, come solo supporto, me, lo scavezzacollo ateo un po’ scemo, a pensarci oggi, nel senso che lei aveva la testa sulle spalle ma aveva deviato, io proprio testa non ne avevo.
Tornati a casa, seduti sul divano, accarezzai la pancia ed ebbi, come un fulmine, questa concezione: “La pillola non ha ancora fatto effetto, può essere che in questo momento ci sia un esserino concepito in questo ventre, mio figlio” e provai una gioia immensa, ancorché istantanea, che non avevo mai provato e mai proverò nella vita. Capisco cosa prova un padre. Amavo E., avevamo già parlato dei nomi dei figli. Quella però fu una scossa, come perdere un figlio. La coppia, senza il supporto e gli insegnamenti di Dio, era già mal instradata, da lì in poi aumentarono i litigi, protraendosi fino a notte fonda e lasciando stremati, incapaci di fare il proprio dovere. La madre, ormai, mi odiava apertamente e me lo faceva capire. Finì che E. mi lasciò per un tranquillo figlio di imprenditore. Anni dopo dissi tutto in confessione e capii, dal peso che mi fu tolto dal petto, che forse reale aborto c’era stato, forse avevamo concepito...
Spero che Dio, oggi, ascolti le mie preghiere per E. e che lei sia felice.