Lʼumiltà non si può fingere

Il premio Pulitzer del 1961 nella categoria fiction è Il buio oltre la siepe, pubblicato nel luglio 1960 negli Stati Uniti dallʼautrice Harper Lee. Il titolo originale è To kill a mockingbird, letteralmente: uccidere un usignolo. Il mockingbird è un uccellino (nome scientifico mimus polyglottos) diffuso in America, ma non in Italia. La traduzione, mancando un termine corrispondente, potrebbe variamente usare tordo, passero… usignolo.

Il riferimento è a un passo del romanzo. A Scout e Jem, i figli di Atticus Finch, protagonista, vengono regalati fucili ad aria compressa. Lui commenta:
“Preferirei che sparaste ai barattoli in cortile, ma so già che andrete dietro agli uccelli. Sparate fin che volete alle ghiandaie, se vi riesce di prenderle, ma ricordatevi che è peccato uccidere un passero [un mockingbird]”
Era la prima volta che udivo Atticus dire che era peccato fare una data cosa, così andai a informarmi da miss Maudie.
“Tuo padre ha ragione”, disse. “I passeri non fanno niente di speciale, ma fa piacere sentirli cinguettare. Non mangiano le sementi dei giardini, non fanno il nido nelle madie; non fanno proprio niente, solo cinguettano. Per questo è peccato uccidere un passero.”
Il passero, o usignolo (di nuovo, mockingbird) del romanzo è Tom Robinson, un innocuo bracciante nero ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca. Tom Robinson subisce tale accusa solo perché di colore. Atticus Finch è lʼavvocato che si incarica di difenderlo.

Ciò che mi interessa di Atticus Finch è il suo talento di tiratore, che emerge dal passo seguente.
Un sabato Jem e io decidemmo di andare in esplorazione con i nostri fucili ad aria compressa per vedere se riuscivamo a trovare un coniglio o uno scoiattolo. Avevamo oltrepassato Radley Place di quattro o cinquecento metri quando mi accorsi che Jem lanciava occhiate furtive a qualcosa in fondo alla strada. Aveva voltato la testa da una parte e guardava con la coda dellʼocchio.
“Cosa guardi?”
“Quel vecchio cane laggiù”, disse.
“È il vecchio Tim Johnson, no?”
“Già.”
Tim Johnson apparteneva al signor Harry Johnson, che guidava lʼautobus per Mobile e abitava alla periferia sud della città. Tim era un cane da caccia color fegato, il beniamino di Maycomb.
“Cosa fa?”
“Non so, Scout. Meglio andare a casa.”
“Uff, Jem, siamo in febbraio.”
“Non importa. Voglio dirlo a Cal.”
Corremmo a casa e ci precipitammo in cucina.
“Cal” disse Jem “puoi venire un momento con me in strada?”
“Per cosa, Jem? Non posso venire con te in strada ogni volta che me lo chiedi.”
“Quel vecchio cane laggiù ha qualcosa che non va.”
Calpurnia sospirò. “Adesso non ho tempo di fasciare le zampe ai cani. In bagno cʼè della garza, valla a prendere e fallo da te.”
Jen scosse il capo. “È ammalato, Cal. Ha qualcosa che non va.”
“Cosa fa, cerca di mordersi la coda?”
“No, fa così.”
Jem boccheggiò come un pesce, curvò le spalle e torse spasmodicamente il busto. “Fa così, ma non come se lo facesse apposta.”
“Mi stai raccontando una balla, Jem Finch?” La voce di Calpurnia si era indurita.
“No, Cal, te lo giuro.”
“Correva?”
“No, gironzolava, così lentamente che è difficile descriverlo. Sta venendo da questa parte.”
Calpurnia si sciacquò le mani e seguì Jem nel cortile. “Io non vedo nessun cane”, disse.
Ci seguì oltre Radley Place e guardò dove Jem puntava il dito. Tim Johnson era solo un puntino in lontananza, ma si era avvicinato. Camminava in modo imprevedibile, come se le zampe di destra fossero più corte di quelle di sinistra. Mi fece pensare a una macchina bloccata in un banco di sabbia.
“Adesso è tutto storto”, disse Jem.
Calpurnia sgranò gli occhi, poi ci prese per le spalle e ci spinse verso casa di corsa. Chiuse la porta, andò al telefono e gridò: “Datemi lʼufficio del signor Finch!”
“Signor Finch!” urlò. “Sono Cal. Giuro su Dio che a un pezzo di strada da qui cʼè un cane con la rabbia… Viene da questa parte, sissignore, è… signor Finch, sono sicura, è… il vecchio Tim Johnson, sissignore… sissignore… sì…”
Riattaccò e scosse il capo quando cercammo di sapere cosa le aveva detto Atticus. Spinse su e giù la forcella del telefono e disse: “Miss Eula May… ecco, signora, ho appena finito di parlare col signor Finch, tolga pure la comunicazione, la prego… Senta, Miss Eula May, può chiamare Miss Rachel e Miss Stephanie Crawford e tutti quelli di questa strada che hanno il telefono e avvertirli che sta arrivando un cane con la rabbia? La prego, signora!”
Calpurnia rimase in ascolto. “Lo so che siamo in febbraio, Miss Eula May, ma io lo riconosco un cane con la rabbia, quando lo vedo. La prego, signora, si sbrighi!”
Calpurnia chiese a Jem: “I Radley hanno il telefono?”
Jem guardò nellʼelenco e disse di no. “Tanto non usciranno, Cal.”
“Non importa, vado a dirglielo.”
Scese di corsa dalla veranda, con noi due alle calcagna. “State in casa, voi!” gridò.
Il messaggio di Calpurnia era stato ricevuto dai vicini. Ogni porta di legno nel nostro campo visivo era stata chiusa ermeticamente. Di Tim Johnson non cʼera più alcuna traccia. Seguimmo con lo sguardo Calpurnia che correva verso Radley Place, tenendosi la gonna e il grembiule sopra le ginocchia. Salì i gradini della veranda e bussò alla porta. Nessuno rispose, e lei gridò: “Signor Nathan, signor Arthur, sta arrivando un cane rabbioso! Sta arrivando un cane rabbioso!”
“Dovrebbe girare intorno alla casa ed entrare da dietro”, dissi io.
Jem scosse il capo. “Fa lo stesso, ormai”, disse.
Calpurnia bussava alla porta, ma invano. Nessuno raccolse il suo avvertimento; nessuno sembrava averlo sentito.
Mentre Calpurnia correva verso la veranda posteriore una Ford nera entrò nel vialetto. Ne scesero Atticus e il signor Heck Tate.
Il signor Heck Tate era lo sceriffo della contea di Maycomb. Era alto come Atticus, ma più magro. Aveva il naso lungo, portava stivali lucidi con occhielli metallici, pantaloni da cavallerizzo e una giacca da taglialegna. Sul cinturone era appiccicata una fila di proiettili. In mano aveva una pesante carabina. Quando lui e Atticus raggiunsero la veranda, Jem aprì la porta.
“Staʼ dentro, figliolo”, disse Atticus. “Dovʼè, Cal?”
“Ormai dovrebbe essere qui”, disse Calpurnia, indicando qualcosa in fondo alla strada.
“Non corre, eh?” chiese il signor Tate.
“Nossignore, è nel momento delle convulsioni, signor Heck.”
“Non dovremmo andargli incontro, Heck?” chiese Atticus.
“Meglio aspettare, signor Finch. Di solito procedono in linea retta, ma non si sa mai. Potrebbe seguire la curva... Speriamo che faccia così, altrimenti andrà dritto nel cortile dei Radley”, disse Atticus. “Lo fermerà la rete metallica. Probabilmente seguirà la strada…”
Io credevo che i cani con la rabbia avessero la bava alla bocca, galoppassero, saltassero e balzassero alla gola della gente, e credevo che lo facessero in agosto. Se Tim Johnson si fosse comportato così, avrei avuto meno paura.
Non cʼè nulla di più sinistro di una strada deserta in attesa. Gli alberi erano immobili, i tordi beffeggiatori tacevano, i carpentieri al lavoro nella casa di Miss Maudie erano spariti. Sentivo il signor Tate tirare su col naso, poi soffiarselo. Lo vidi poggiare il fucile nella piega del braccio. Vidi la faccia di Miss Stephanie incorniciata nel vetro della porta dʼingresso. Poi apparve anche Miss Maudie, che si fermò accanto a lei. Atticus mise il piede sul piolo di una sedia e si passò la mano lentamente sul lato della coscia.
“Eccolo”, disse piano.
Tim Johnson fece la sua comparsa, camminando con aria stordita nella parte interna della curva parallela alla casa dei Radley.
“Guardalo”, sussurrò Jem. “Il signor Heck dice che procedono in linea retta. Non è capace neanche di stare nella strada.”
“Più che altro sembra ammalato”, dissi io.
“Lascia che gli si pari davanti qualcosa e vi si avventerà sopra.”
Il signor Tate si portò una mano alla fronte e allungò il collo. “Ce lʼha eccome, signor Finch.”
Tim Johnson avanzava a passo di lumaca, ma non giocherellava col fogliame e non lo annusava, pareva totalmente concentrato sula rotta che seguiva e motivato da una forza invisibile che piano piano lo spingeva verso di noi. Lo vedevamo rabbrividire come un cavallo che scaccia le mosche, aprire e chiudere le mascelle; sbandava, ma era attratto gradualmente verso di noi.
“Sta cercando un posto dove morire”, disse Jem. 
Il signor Tate si voltò indietro. “È tuttʼaltro che moribondo, Jem, non ha ancora cominciato.”
Tim Johnson raggiunse la traversa che passava davanti a Radley Place, e ciò che restava della sua povera mente lo indusse a fermarsi e, in apparenza, a considerare quale strada prendere. Fece due o tre passi esitanti e si fermò di fronte al cancello dei Radley; poi cercò di voltarsi, ma faceva fatica.
Atticus disse: “È a tiro, Heck. Meglio beccarlo adesso prima che prosegua lungo la traversa… Dio sa chi cʼè dietro lʼangolo. Vaʼ dentro, Cal.”
Calpurnia aprì il telaio con la zanzariera, se lo chiuse ale spalle, poi lo riaprì e si tenne stretta al gancetto. Cercò di bloccare Jem e me col proprio corpo, ma noi guardavamo fuori da sotto le sue braccia.
“Tiri lei, signor Finch.” Il signor Tate porse il fucile ad Atticus; Jem e io per poco non svenimmo.
“Non perda tempo, Heck”, disse Atticus. “Avanti.”
“Signor Finch, questo è un lavoro da un colpo solo.”
Atticus scosse violentemente la testa: “Non stia lì impalato, Heck! Il cane non aspetterà tutto il giorno che lei…”
“Per amor di Dio, signor Finch, guardi dovʼè! Uno sbaglio, e la pallottola entra dritto nella casa dei Radley! Io non sparò così bene, e lei lo sa!”
“Io non prendo più in mano un fucile da trentʼanni…”
Il signor Tate quasi gettò la carabina ad Atticus. “Sarei molto più contento se ci pensasse lei”, disse.
Nella nebbia, Jem e io guardammo nostro padre prendere il fucile e andare a mettersi al centro della strada. Camminava rapidamente, ma io pensai che si muoveva come un nuotatore sottʼacqua: il tempo era diventato lento come una lumaca e mi dava la nausea.
Quando Atticus cominciò ad alzarsi gli occhiali Calpurnia mormorò: “Buon Gesù aiutalo tu”, e si portò le mani alle gote.
Atticus si alzò gli occhiali sulla fronte, ma quelli tornarono a scivolargli sul naso e allora li lasciò cadere in mezzo alla strada. Nel grande silenzio, sentii che si rompevano. Atticus si strofinò gli occhi e il mento; lo vedemmo battere ripetutamente le palpebre.
Davanti al cancello dei Radley, con quel poʼ che restava della sua mente, Tim Johnson aveva preso una decisione. Era riuscito finalmente a voltarsi, a riprendere il cammino originario lungo la nostra via. Fece due passi avanti, poi si fermò e alzò la testa. Vedemmo il suo corpo irrigidirsi.
Con movimenti così rapidi da sembrare simultanei, la mano di Atticus tirò una leva che finiva con un pallino mentre si portava il fucile alla spalla.
Il fucile sparò. Tim Johnson fece un balzo, ricadde e si afflosciò sul marciapiede in un mucchio bianco e marrone. Non seppe mai cosa lʼaveva colpito.
Il signor Tate saltò giù dalla veranda e corse a Radley Place. Si fermò davanti al cane, si accovacciò, si voltò indietro e con un dito si toccò la fronte sopra lʼocchio sinistro. “Lʼha colpito un poʼ a destra, signor Finch”, gridò.
“Ho sempre avuto questo difetto”, rispose Atticus. “Potendo scegliere, avrei preso un fucile da caccia.”
Si chinò a raccogliere gli occhiali, schiacciò col tacco le lenti rotte fino a ridurle in polvere, poi raggiunse il signor Tate e si fermò a guardare Tim Johnson.
Le porte delle case si aprirono una dopo lʼaltra e il quartiere tornò lentamente alla vita. Miss Maudie scese dalla veranda con Miss Stephanie Crawford.
Jem era paralizzato. Gli diedi un pizzicotto per svegliarlo, ma quando Atticus ci vide arrivare gridò: “Restate dove siete.”
Quando il signor Tate e Atticus tornarono indietro, il signor Tate sorrideva. “Avvertirò Zeebo di venirlo a prendere”, disse. “Non ha dimenticato come si spara, signor Finch. Dicono che la buona mira non si perde mai.”
Atticus non rispose.
“Atticus?” disse Jem.
“Sì?”
“Niente.”
“Ho visto, bel colpo!”
Atticus girò su se stesso per fronteggiare Miss Maudie. Si guardarono senza dire una parola, poi Atticus entrò nella macchina dello sceriffo. “Vieni qui”, disse a Jem. “Non avvicinatevi a quel cane, capito? Non avvicinatevi, da morto è pericoloso come da vivo.”
“Sissignore”, disse Jem. “Atticus…”
“Cosa, figliolo?”
“Niente.”
“Cosa cʼè, ragazzo, hai perso la lingua?” disse il signor Tate, guardando Jem con un sorriso. “Non sapevi che tuo padre…”
“Zitto, Heck”, disse Atticus, “torniamo in città.”
Quando furono lontani, Jem e io andammo a sederci sui gradini della veranda di Miss Stephanie e restammo ad aspettare lʼarrivo di Zeebo col camion della nettezza urbana.
Jem era ancora molto confuso, e Miss Stephanie disse: “Uh, uh, uh, chi avrebbe mai pensato a un cane rabbioso in febbraio? Forse non era rabbioso, forse era solo fuori di testa. Non vorrei proprio vedere la faccia di Harry Johnson quando arriverà da Mobile e scoprirà che Atticus Finch ha ucciso il suo cane. Forse era solo pieno di pulci che si sarà preso chissà dove…”
Miss Maudie disse che Miss Stephanie avrebbe cambiato musica se Tim Johnson fosse stato ancora là su marciapiede; e che presto avrebbero scoperto se era davvero rabbioso, perché la sua testa sarebbe stata spedita a Montgomery.
A questo punto Jem tornò a spiccicare qualche parola: “Ma lʼhai visto, Scout? Lʼhai visto, là in mezzo alla strada?… E tuttʼa un tratto era così rilassato che sembrava che il fucile fosse una parte del suo corpo… e ha agito così rapidamente, come… Io devo mirare per dieci minuti prima di colpire qualcosa…”
Miss Maudie mi guardò con un sorriso malizioso. “Allora, signorina Jean Louise”, disse, “credi ancora che tuo padre non sia capace di fare niente? Ti vergogni ancora di lui?”
“No”, dissi umilmente.
“Lʼaltro giorno ho dimenticato di dirti che, oltre a suonare lo scacciapensieri, ai suoi tempi Atticus Finch era il miglior tiratore della contea.”
“Il miglior tiratore…” le fece eco Jem.
“È quello che ho detto, Jem Finch. Credo che anche voi cambierete musica dʼora in poi. Che idea, non sapevate che quando era un ragazzo il suo nomignolo era Un-Colpo-Solo? Ma come, giù al Landing, quando risaliva, se aveva sparato quindici colpi e abbattuto quattordici colombi si lagnava di avere sprecato le munizioni.”
“Non ci ha mai detto niente”, borbottò Jem.
“Non ne ha mai parlato?”
“Nossignora.”
“Chissà perché non va più a caccia”, dissi.
“Forse te lo posso dire io”, disse Miss Maudie. “Se tuo padre ha una dote, è la grandezza dʼanimo. La buona mira è un dono di Dio, un talento… Oh, devi esercitarti per arrivare alla perfezione, ma sparare non è come suonare il piano o roba del genere. Io credo che forse attaccò il fucile al chiodo quando si rese conto che Dio gli aveva dato un ingiusto vantaggio sulla maggior parte degli esseri viventi. Credo che fu allora che decise di non sparare finché non vi fosse costretto, e oggi è andata proprio così.”
“Mi sa che dovrebbe esserne fiero”, dissi io.
Le persone con la testa a posto non si vantano mai dei loro talenti”, disse Miss Maudie.
Notammo che Zeebo stava arrivando. Prese un forcone dal camion della nettezza urbana e sollevò cautamente Tim Johnson. Buttò il cane sul camion, poi versò qualcosa da una brocca da un gallone nel punto dovʼera caduto Tim e tuttʼintorno. “Non venite più qui per un poʼ”, gridò.
Quando andammo a casa dissi a Jem che avremmo davvero avuto qualcosa da raccontare a scuola lunedì. Jem mi contraddisse immediatamente.
“Non ne parlare, Scout”, disse.
“Cosa? Certo che lo farò. Non tutti hanno un padre che è il miglior tiratore della contea.”
Jem disse: “Se avesse voluto che lo sapessimo ce lʼavrebbe detto, non ti pare? Se ne fosse andato orgoglioso, ce lʼavrebbe detto.”
“Forse gli era passato di mente”, dissi.
“No, Scout, è una cosa che tu non puoi capire. È vero che Atticus è vecchio, ma anche se non fosse capace di fare niente non me ne importerebbe… non me ne importerebbe neanche se non sapesse fare un fico secco.”
Raccolse un sasso e lo tirò, giubilante, contro il garage. Correndogli dietro, gridò: “Atticus è un gentiluomo, proprio come me!”
Un talento tenuto nascosto. Potrebbe falsamente essere interpretato come segno di umilità. Il problema è che lʼumiltà non si può fingere.
Per essere umili è necessario essere piccoli. Non si tratta di essere grandi e far finta di essere piccoli. La vera umiltà scaturisce dalla vera piccolezza. Si tratta proprio di non sapere fare nulla, di non sopportare nulla (caldo, freddo, fame, stanchezza, ecc.), di soffrire facilmente, per un nulla...
Santa Teresa di Lisieux è famosa per molte cose che ha scritto. Una di quelle che amo ricordare più frequentemente è il concetto di amore alla propria nullità. Santa Teresa di Lisieux ha capito bene che Dio viene per i piccoli. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11-25). “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2, 5). “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi“ (Lc 14, 21). “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella“ (Lc 7, 22). “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4, 18). “Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele” (Is 29, 19).
Se uno ha la dispensa piena, Dio non gli dice: “Ti do io da mangiare”. Gli dice, piuttosto: “Prima finisci il cibo che hai in dispensa, poi, quando non ne avrai più, se non hai altre risorse per procurartene, ci penserò io”.
Ci sono stati santi a cui cani (San Rocco) o corvi (padri del deserto) portavano da mangiare. È così che funziona la Provvidenza. Dove cʼè lʼautosufficienza non cʼè bisogno dellʼintervento divino.