Art. 42 ovvero la cena coi colleghi

Nei confronti di Amazon, tra le conquiste del sindacato dei Trasportatori (fondamentalmente è stata la Cgil) nella primavera del 2017 c’è stata l’introduzione del cosiddetto art. 42. Non so di che legge fa parte, so solo che lo chiamano art. 42.
Amazon sta cercando di crearsi una propria logistica per staccarsi dai tradizionali corrieri trovati nei vari Paesi dove è arrivata – in Italia Bartolini, GLS, DHL, SDA e Poste Italiane – e lo fa appaltando a piccoli corrieri sconosciuti, addirittura appena nati apposta per lavorare con il gigante di Seattle. Le ditte sono infinite. I nomi nessuno li conosce. Presso il centro di smistamento di Castegnato (BS), dove lavoro io, ad esempio, ci sono 5 corrieri: Arcobaleno, Global Post, M2, Professional Solution, Sidetra (la mia).
Quando si ordina un pacco su Amazon, nei dettagli della spedizione si può vedere il corriere che consegnerà il pacco. Amazon si serve ancora di Bartolini e compagnia, per cui si può vedere la dicitura: “BRT”, “DHL”, ecc. Nel caso in cui si acquisti con Prime, e il peso del pacco non superi i 15 Kg, lo consegniamo noi. Sotto la dicitura: “Amazon Logistics” rientrano appunto tutte le piccole ditte che ho detto, nate apposta per consegnare Amazon e che consegnano di solito solo Amazon.
Non ho lavorato sempre con Sidetra. Quando ho iniziato (novembre 2017) lavoravo per Rpost, azienda ormai fallita e chiusa. Amazon ha scoperto che facevano magheggi a livello amministrativo e che non pagavano tutte le ore, così ha tolto l’appalto. Amazon su queste cose è molto americana e seria. Non tollera illeciti, italianate, diciamo. Nel giugno 2020 sono passato a Gotaway. Proprio qui c’entra l’art. 42.

Se Amazon toglie l’appalto a una ditta deve per forza inserire tutti i lavoratori in un’altra ditta. Altrimenti potrebbe usare lo strumento del togliere l’appalto per licenziare senza giusta causa. 

Gotaway dopo un po’ ha scoperto che il gioco non valeva la candela, cioè che lavorare con Amazon non fa guadagnare abbastanza. Nel luglio 2021 ha rinunciato all’appalto. Al suo posto è subentrata Sidetra, una ditta veronese che ha iniziato a distribuire giornali e che ora ha anche tre appalti con centri di smistamento Amazon, Castegnato (BS), Burago di Molgora (MB) e Origgio (VA).
Grazie all’art. 42 tutti gli autisti che hanno lavorato con Rpost e Gotaway, il 12 luglio 2021 sono stati assorbiti in Sidetra e hanno continuato a lavorare esattamente come prima facendo persino le stesse zone, dalla città di Brescia al Lago di Garda. È cambiato solo il datore di lavoro, la ditta appaltata, che di fatto è una specie di mediatore tra il lavoratore e Amazon.

L’obbiettivo è che un giorno abbia luogo la cosiddetta internalizzazione e siamo assunti direttamente dal gigante di Seattle. Amazon Logistics sarà l'unico e vero corriere di Amazon. Non vedo l’ora di essere a servizio diretto del simbolo del consumismo...

Il sindacato, nel nostro caso, è entrato in campo anche per ottenere che Rpost (la prima ditta con cui ho lavorato) risarcisse i lavoratori gabbati. Avvocati si sono messi al lavoro. Abbiamo scoperto che Rpost ci doveva circa 3.000 euro a testa. A una quindicina di noi. Dopo lunghe contrattazioni siamo giunti a ottenere, dei 3.000 euro iniziali, 1.500 euro. C’è da piangere per i 1.500 che ci spettavano e non ci hanno dato (e chissà dove sono finiti), ma c’è da ridere per i 1.500 euro puliti che ci sono arrivati via bonifico, dal nulla. 

Abbiamo deciso di festeggiare. Sabato 20 novembre siamo andati fuori a cena.
Anche se sono un fobico sociale, a una cena coi colleghi cerco di non mancare. Penso faccia parte dell’essere un buon collega il fatto di mantenere buone relazioni, anche solo a livello superficiale, con tutti. In quattro anni di lavoro non ho trovato, sul lavoro, amici da dire: “Vediamoci fuori dal lavoro”. Però sono in buoni rapporti con tutti (mi chiamano: “il bonaccione”, o “il gigante buono” ma con fare un po’ dispregiativo, come a dire: “Uno che non ha i coglioni”; ma tutti sanno che sono stato frate), con due o tre in particolare, e quando, due o tre volte l’anno, si fa la cena coi colleghi, cerco di non mancare. In questo caso non potevo assolutamente mancare.
Ho mentito. Con un collega, un certo D., un paio di volte siamo andati a bere una birra dopo il lavoro. È ecuadoriano e ha studiato un po’ di psicologia prima di trasferirsi in Italia a fare mille lavori da operaio. Ma tutti i suoi fratelli e sorelle sono qui, e i genitori non ci sono più. Lo interesso perché dal punto di vista psicologico sono un caso. Vuole che sia felice. Questa settimana gli ho fatto anche il favore di usare la mia carta di credito per prenotargli un’auto a noleggio, perché lui non ha la carta di credito e deve portare a Malpensa la sua compagna ma non si fida della propria auto, un po’ vecchiotta.
Un altro collega, F., palermitano, siccome spesso lo porto a casa, varie volte mi ha invitato a cena. È sposato e ha due figli. In casa hanno una sola auto, che serve per lo più alla moglie. Pur essendo casalinga, deve occuparsi di figli, spesa, visite mediche e commissioni varie. Quindi F. chiede spesso a me se gli do un passaggio. Prima lo facevo più volentieri, perché abitavamo abbastanza vicini. Adesso che ho cambiato casa, la cosa mi costa 20 minuti in più di viaggio. Ma in nome della carità e dell’amicizia lo faccio volentieri. Anche perché F., essendo palermitano, si lega le cose al dito e dà molta importanza all’onore e, per il semplice fatto che gli do passaggi nel momento del bisogno, mi mette su un piedistallo e ormai si è affezionato a me. Pur essendo uno dei destinatari dei 1.500 euro, non è venuto alla cena coi colleghi, non voleva lasciare sola la famiglia. Sul suo profilo Whatsapp, sotto la foto dei figli, c’è la scritta: “La mia famiglia è tutta la mia vita”. Ha la terza media ma è un uomo (o ragazzo, ha 38 anni) di sanissimi e fermissimi principi, persona davvero integerrima, come poche ne ho conosciute.

Siamo andati al ristorante brasiliano. Carne in quantità. Ho cercato di fare la mia parte. Ho sorriso a tutti. Mi sono seduto a tavola. Ho riso alle battute. Mi sono trovato di fronte R., uno dei più anziani di noi (ha tutti i capelli bianchi) e persona che rispetto immensamente. Avevamo due argomenti di conversazione e li abbiamo esauriti tempo che è arrivata la roba da bere. A sinistra avevo il bestemmiatore milanista sindacalista A., uno dei due RSA della nostra ditta, colui che fondamentalmente si interfaccia col sindacato e che ha contribuito a ottenerci i 1.500 euro. Lui la cena non l’ha pagata. A destra avevo M., giovane ragazzo rumeno, bravissimo driver, silenzioso; con lui ho scambiato due parole contate sulle dita. Per fortuna c’era chi sa fare baldoria e che aveva voglia di divertirsi. La mia silenziosità non è stata troppo d’impaccio. E io che avevo persino paura di rovinare la festa. Ma non ho tali poteri. Ho ordinato un mojito come aperitivo, e con la carne ho bevuto vino rosso, che ci portavano fresco in caraffe. La paura di essere fermati dalla polizia e di avere la patente ritirata, che per un corriere significa non poter più lavorare, non ha frenato nessuno. Per quanto ne so, non è poi successo nulla. Sono tutti tornati a casa sani e salvi e ubriachi.
In questo ristorante fanno il giro carne. Finché lasci il cartellino di cartone girato con la parte verde verso l’alto, si fermano da te con spiedi, tagliano un pezzo di carne e lo mettono nel piatto, o tu lo afferri con una pinza in dotazione mentre loro tagliano. Quando giri il cartellino dalla parte rossa significa che ne hai abbastanza e non si fermano più.
Non sono riuscito a parlare molto. Ho soprattutto ascoltato. Le battute mi fanno ridere. Però non so fare battute. Non so perché, proprio non mi vengono. Sarà che sto talmente tanto da solo che non sono abituato alla comunicazione con la gente e le mie battute magari nella mia testa sono divertenti ma quando le dico suonano scemissime, come quelle di un bambino, prive di arguzia. 
Mi ha fatto dispiacere che alcuni colleghi, arrivati in ritardo e che si sono messi dall’altra parte della tavolata, nemmeno mi hanno salutato. In particolare una colleghessa 46enne tutta in tiro. No, a dire la verità lei almeno mi ha salutato. Però poi non mi ha rivolto più la parola. E dire che quando facevamo le stesse zone ci sentivamo tutti i giorni. A quanto pare ho gradito solo io. Un altro, che mi sta molto simpatico e verso il quale cerco di rivolgere sempre qualche battuta delle mie quando ci incontriamo la mattina prima di partire e la sera al rientro, non mi ha cagato neanche di striscio.
Bisogna dire che questo collega, giovane, si chiama come me, F., ma il suo vero nome sarebbe G., un nome femminile. Di fatto è una donna, ma ha scelto di diventare uomo. Da quello che mi hanno raccontato, so che starebbe raccogliendo i soldi per fare l’operazione. Non so in cosa possa consistere un’operazione di questo genere, cioè per cambiare sesso da donna a uomo, ma è ciò che ho sentito. La sera della cena coi colleghi F. è venuto con la moglie, una giovane ragazza della stessa età. Sul lavoro di solito F. scherza con me, quella sera non mi ha neanche cagato. Credo che la ragione sia proprio che era con la moglie. Siccome sa che sono un ex frate, sa anche che se ci addentrassimo in questioni di principio saremmo in disaccordo. Quando si presentò a me la prima volta, quattro anni fa, mi disse solo: “Mi chiamo F., sono della Val Trompia, mi sono trasferito a Brescia con mia moglie per trovare lavoro”. Sono altri che mi hanno parlato della sua identità sessuale. Quindi io e lui (lei) in questioni di principio non ci siamo mai addentrati. Comunque è strasimpatico e mi è dispiaciuto che non mi abbia salutato.

C’era il Piano Bar. Facevano canzoni italiane in portoghese. Che tristezza. Lo dico sapendo di essere un giudicatore e di non dovermela prendere con la gente che vuole divertirsi. Alle 10,00 la gente ha iniziato ad alzarsi dai tavoli e a ballare in uno spazio ristretto di fronte alla pianola. I miei colleghi dicevano: “Andiamo anche noi! Andiamo a ballare!”. Alle 11,00 me ne sono andato (ma se n’era appena andato anche un altro collega che abita a Lumezzane e che non si stava divertendo troppo, pur essendo un tipo dalla loquacità acuta). Ho saputo poi che si sono messi a ballare, anche sui tavoli. Ma quello che ha ballato sul tavolo aveva pippato. Di fatto questo qui, di nome F., è un grande. Ha convertito una lesbica e adesso sono una coppia.

Ho camminato fino alla macchina. Non mi ha fermato nessuno. Sono andato a casa e mi sono messo a dormire. La mattina dopo mi sono svegliato appesantito, triste, consapevole di aver fatto il mio dovere e sempre di più di non essere una persona da tavolata, da divertimento, da rispetto.


Società disgraziata

Che io sia una persona dalle qualità ridotte è risaputo. Almeno, io lo so bene, mi scontro quotidianamente coi miei limiti.
Forse la cosa che mi fa più soffrire di me stesso è la mancanza di amore verso gli altri. Non sono una persona che ama le persone in modo naturale. In me l’amore verso gli altri non è una cosa spontanea.
C’è voluto Cristo. Me l’hanno dovuto insegnare quelli che sono di Cristo.
Il fatto è che ci sono due amori, amore umano e amore divino.
È questo, secondo me, il fulcro della spiritualità del Sacro Cuore di Gesù. Gesù amava sia in modo divino sia in modo umano.
L’amore divino è ovvio. È facile da capire per tutti. Dio è perfetto. In lui non manca nulla, non c’è nessun errore, nessun difetto. Dio è il bene. In lui non c’è nulla di male. La sua perfezione equivale al suo essere il bene. Essere il bene non significa starsene lì e godere di se stesso. Dio ha voluto fare il creato. È un atto di volontà divina la nostra creazione. Come si può non essere felici con tale consapevolezza? Dio ha voluto me. Il sommo bene, la cui intelligenza supera tutte le intelligenze, la cui capacità di fare il bene supera quella di chiunque altro, la cui abilità di scelta e di attuazione della propria volontà è perfetta, ha scelto di fare me. Impazzisco di gioia.
L’amore divino è inoltre infinito. La sua perfezione contiene tutte le perfezioni, e fra queste c’è anche l’infinitezza. L’amore divino è un flusso continuo, senza fine, senza macchia, senza esitazioni, senza cedimenti.
Il fatto è che Gesù, per una dote di natura o per come è stato educato, amava anche di amore umano. Il Sacro Cuore di Gesù è un cuore umano che ama gli uomini di amore umano. Cioè, lui in mezzo alle persone ci stava bene proprio, ci sguazzava. A lui piacevano le persone. E non solo perché era Dio. Ma anche come uomo.

Io ad esempio ho dovuto imparare ad amare il prossimo invocando l’amore divino, in modo che, passando attraverso di me, usi me per amare il prossimo. È stato rendendomi povero, inutile, privo di qualità e di virtù che mi sono fatto destinatario privilegiato dell’amore di Dio, e una volta ricevuto questo amore, questa gioia nel cuore, ho potuto imparare a trasmetterla agli altri. Ma la gioia, quando la si ha, si trasmette da sola. Basta vedere una persona gioiosa per subirne l’effetto e diventare un po’ più gioiosi a nostra volta.
Mi è capitato una volta di vedere un gruppetto di zingare che giravano per Milano a chiedere l’elemosina, salendo sui tram a sbafo, comprandosi un filoncino di pane e una busta di affettati al supermercato e poi mangiandoseli a mezzogiorno, prive di tutto, sporche, non belle, ma gioiose e allegre nel conversare nella loro lingua. Mi è sempre rimasto impresso. La gioia di chi non ha nulla. Quella gioia è Dio. Avere quella gioia nel cuore quando non si ha null’altro significa avere Dio nel cuore. Perché lo Spirito Santo è “pace e gioia” (Rm 14, 17; Gl 5, 22).
Quando ero frate avevo imparato ad attingere alla gioia divina mediante la preghiera per poi trasmetterla ad altri. Ricordo sveglie mattutine alle cinque, sgattaiolare nel bosco del convento con ancora il buio, senza il permesso di nessuno (e qui certamente sbagliavo), pregare per più di un’ora un rosario intercalato da preghiera spontanea, risalire dal bosco col cuore pieno di gioia e la luce negli occhi. A volte notavo l’invidia di alcuni confratelli più anziani che non ce la facevano a svegliarsi presto come me e fare, prima della sveglia ufficiale, una preghiera così prolungata. Allora pensavo: “A quello la gioia non la voglio donare, non sarò affabile con lui”. Vendicativo, anche appena immerso nella grazia di Cristo. Questo riuscivo a essere.
Ma d’altronde anch’io ero invidioso delle zingare, io che, giovane e baldo milanese pieno di belle speranze, mi aggiravo per la città depresso e pavido.
La gioia divina mi hanno insegnato ad attingerla, ma poi hanno dovuto anche insegnarmi a trasmetterla. Perché io tendevo a tenermela tutta per me.
Dal punto di vista umano sono proprio una merda. Sarà perché sono cresciuto come un figlio unico da solo con la madre. Sarà per questo che sono così egoista e solitario. Sono abituato ad avere tutto per me e a non condividere con nessuno.
Oggi sorrido di più, sono più affabile, cerco di non giudicare, mi presto all’ascolto.
Ma la cosa che faccio di più è pregare per l’altro. È il metodo che per me risulta il più efficace per passare la palla della grazia divina, quando la si ha, all’altro. Se uno è pieno di gioia divina (di Dio stesso) perché ha pregato e si è abbeverato alla fonte o perché qualcuno ha pregato per lui (il risultato è lo stesso), se prega intensamente, con fede e sinceramente per un’altra persona sente proprio l’effetto della gioia dentro di sé che diminuisce. È chiaro, bisogna avere una grande sensibilità per i moti dell’anima. Ma una cosa bella della gioia divina è che, se si entra in contatto con qualcuno, questa si trasmette automaticamente da uno all’altro. Chi è invidioso e ti guarda o tratta male quando sei in quello stato, come facevo io con le zingare o come facevano i miei confratelli appena svegli con me quando io ero appena stato a pregare per più di un’ora, non fa altro che rubare, in certo qual modo, quella grazia. Chi fa un torto ruba grazia. Chi giudica cerca di prendersi qualcosa per sé togliendolo all’altro. Che tristezza, quando vediamo un essere pieno di grazia divina e non riusciamo a rallegrarcene ma piuttosto siamo invidiosi. La grazia divina non è qualcosa di cui essere invidiosi. È qualcosa di gratuito, non viene data in base al merito. Viene semplicemente elargita, come un dono. Godiamo quando vediamo una persona santa, destinata al Paradiso, rallegriamoci per lei, e non auguriamo a nessuno l’inferno.

L’amore umano, contrariamente a quello divino, non è infinito ma finito. Uno può anche avere una dote naturale e amare spontaneamente gli esseri umani, o anche gli animali e perfino il creato, ma questo amore, con la stanchezza, diminuisce e viene a mancare. Siamo come una cisterna che si svuota. Quante volte mi è capitato, a sera, di non riuscire più a mettermi ad ascoltare o a sorridere. L’amore umano si era esaurito. In me si esaurisce tanto facilmente che è stato un vero dono della Provvidenza imparare a svuotarmi per potermi riempire della grazia di Dio. Me l’hanno insegnato i cristiani, quelli veri. Un po’ di amore umano ce l’ho anch’io, ma si esaurisce facilmente. Quando si esaurisce l’amore umano, ecco che entra in gioco la Provvidenza, il cui meccanismo vuole che entri in gioco all’ultimo. Finché hai ancora qualcosa di umano, finché hai cibo in dispensa, o qualche soldo da parte, la Provvidenza non viene da te ma privilegia chi non ha nulla. Dopo, specialmente se l’hai chiesto, viene anche da te. Ma siccome sulla terra, diversamente dal cielo, vige l’economia della materia, ci sono questioni logistiche da risolvere. Se ho due pacchi da consegnare in due luoghi diversi, devo scegliere in quale andare per primo, e nella dimensione del tempo ci saranno per forza un prima e un dopo.

Nelle ultime settimane mi sono trovato spesso a giudicare. Il giudizio, purtroppo, rende infelici. Se si giudica tutto, a un certo punto ci si guarda attorno e ci si trova circondati da persone cattive, cose difettate, animali feroci, insomma un mondo infernale. È brutto giudicare tutto e tutti, ed è brutto soprattutto per colui che giudica. Giudico i macchinoni, giudico come la gente guida per strada, giudico le cassiere lente, giudico chi non sorride, giudico chi compra su Amazon, giudico chi lavora per Amazon, giudico ferocemente chi bestemmia, giudico la mia macchina vecchia e scassata, giudico chi la giudica e implicitamente mi tratta come un autista di serie B, giudico chi giudica i corrieri, giudico chi giudica chi guida un furgone a noleggio, assumendo implicitamente che non sia bravo a guidare, giudico chi mi passa davanti col carrello al supermercato, giudico chi non mi ascolta, giudico chi parla solo di macchine o di calcio, giudico gli stranieri, insomma… Non se ne può più. Il mio amore umano è scarso, quasi nullo.

Quando sono abbastanza vigile, quando mi succede di giudicare qualcosa o qualcuno nei modi che ho detto e anche in altri, dico a me stesso: “Prega per lui (o per lei)”, “Prega per quella situazione che non ti piace. Chiedi al Signore di metterci una pezza”. Se lui riterrà cosa buona e giusta cambiarla, la cambierà. Se no, sarò io che dovrò imparare a cambiare me stesso e a non giudicare. Per stare tranquillo, per stare buono, per stare in pace e per non far male, giudicando, agli altri. Perché un giudizio è una pietra scagliata (cf. Gv 8, 1-11).
La preghiera, in questi casi, non è sentita, non sgorga dal cuore, è solo una formulazione a parole. Però è mia profonda convinzione che ciò che formuliamo a parole, come la goccia che scava la roccia, se ripetuto con insistenza ha il potere di trasformare il cuore. Deo gratias.

Del mio lavoro

Eccomi qua. A scrivere. Non che sappia cosa scrivere. Sono completamente piatto. Non ho nulla in mente. Non ho alcun argomento da trattare.

La verità è che sono sfinito. Vorrei dormire un mese. Ieri ho letteralmente dormito tutto il giorno. Che uno pensa: “Dopo avere dormito tre ore di fila, il pomeriggio, farai fatica a riaddormentarti, la sera”. Invece no. Ho mangiato qualcosa, sono andato a letto e mi sono riaddormentato subito. E ho dormito tutta la notte, 11 ore di fila.

Mi sa che soffro di depressione. Dicono che la stanchezza cronica è segno di depressione clinica.

Per la prima volta, dopo settimane, ho due giorni liberi attaccati. Per la prima volta, dopo settimane, ho deciso di usarli per riposarmi completamente. Ho declinato un invito gradito (amici da cui vado spesso a pranzo, la domenica).

L’unico motivo per cui uscirò di casa oggi sarà per andare a messa. Al ritorno farò due spese. Poi basta, di nuovo a poltrire.

Non ho argomenti perché il mio lavoro impedisce di pensare. Come ebbi a dire molte volte, è un lavoro che assorbe completamente. Quando ho fatto il giardiniere, prima di fare questo, lavoravo sei ore al giorno e il tempo non passava mai. L’ho fatto per otto mesi che sono sembrati otto anni.

Facendo il consegnatore per Amazon, quattro anni sono volati in un niente. Da un lato c’è la strada, a cui devi stare costantemente attento. Tra l’altro, non puoi permetterti di andare troppo piano, perché le consegne sono tante e la pressione mette fretta. Dall’altro c’è da pensare alla singola consegna. La maggior parte delle volte hai il furgone parcheggiato in divieto di sosta, o in doppia fila, quindi metà cervello è lì. Poi c’è il cliente, il condominio, devi trovare il citofono, il cliente ci sarà? C’è, ma risponde mezz’ora dopo perché è al telefono o in bagno o fa i turni e sta dormendo. C’è, ma è una signora anziana pensionata a cui i nipoti o figli fanno arrivare la roba a casa; i suoi movimenti sono rallentati, ti dice: “Scendo!”, e allora ciaaao! Interminabili secondi passati a fissare il numerello dell’ascensore, “2”, “3”, “4”, “5”, “4”, “3”, “2”, “1”, “0”, (aaah!), “Buongiorno, la signora Barigazzi? Ecco a lei!”.

E lei (o lui) che si lamenta: “I miei figli comprano sempre!". “Ancora mia moglie, ma quanto compra?”. E io, con un piede già fuori dalla porta: “Eh, sa, ormai Amazon è una moda ecc.”.

A parte gli scherzi… quante stronzate si comprano su Amazon, quante cagate consegno. Pacchettini che pesano 10 grammi. Gadget, auricolari bluetooth da 12 euro a go-go, cover per smartphone...

Libri, scorte di pannolini, scorte di cartaigienica, scorte di Asciugoni Regina, microonde, aspirapolveri, televisori, monitor, carta da ufficio, pesi per palestra, stendibiacheria, aaaaaaaaah! Bastaaaaaaaaa!

Non ne posso più, pacchi su pacchi su pacchi su pacchi! Pacchi che non finiscono mai!

Cala il sole, il traffico aumenta e tu hai ancora roba da consegnare. Arrivi sotto casa, il cliente non è ancora tornato dal lavoro! Ma allora che c**** ordini! Fatti arrivare la roba a un Punto di ritiro, no?

La pressione che ti mettono addosso fa letteralmente uscire di testa. C’è un bollettino settimanale mandato via Whatsapp coi migliori 10 driver della station...! Chi è stato più veloce, chi ha consegnato più pacchi... americanate! Robe che servono solo a farti uscire di testa. Ieri ho incontrato un ex collega per strada, ha detto: “Mi avevano fatto il contratto a tempo indeterminato ma ho voluto lasciare io, non ce la facevo più, stavo uscendo di testa!”. Un lavoratore bravissimo! Uno dei migliori! Ma un altro che non ce la faceva a non farsi trascinare dal meccanismo della competizione. Quelli che restano sono quelli che se ne fregano. Vanno piano, riportano indietro i pacchi, si fanno venire ad aiutare… da loro sto cercando di imparare. Anche se l’ansia gioca sempre brutti scherzi… specialmente con tutto il caffè che bevo.

Per tutto l’inverno faccio il centro storico della città, traffico, assenza di parcheggi, le corse per trovare uffici e negozi aperti… insomma, un delirio. Arriva l’estate, ci tolgono le zone cittadine per darle ad altri. Mi danno Peschiera del Garda. In pieno luglio. Luglio, agosto e settembre a Peschiera del Garda. Invece di riposarmi, finalmente, nella città estivamente deserta, sbattutto così, sul lago, dove si fa prima-seconda a causa dei lungolaghi intasati di turisti. E vabbè. Ringrazio comunque il cielo. Dico: “Passata la stagione turistica, sul lago sarà comunque una pacchia!”.

Invece no! Ci hanno ridato tre rotte cittadine! E una a chi la danno, dato che è sempre stato abituato a fare la città? A me, no? Tra l’altro coi carichi di lavoro aumentati! Non è possibile fare la città in questo periodo con più di un certo numero di consegne. È matematicamente impossibile. Corro, sudo, impazzisco e allo stesso tempo non ce la faccio, rischio si sforare gli orari, di non chiudere la rotta!

Mandatemi fuori, mandatemi sul lago, mandatemi in campagna!

Sono un fobico sociale! Non l’avete ancora capito?

Sempre in mezzo alla gente, al casino, alle turbe!

Ho bisogno di tranquillità, pace, strade libere, affabile e rilassata gente di campagna!

(Tra l’altro è proprio agli inizi di ottobre, quando lavoravo nella campagna antistante Peschiera del Garda, che ho avuto un incidente e due sinistri, per la troppa rilassatezza accendevo la radio e, diminuita la tensione, calava l’attenzione...).