Come chioccia

Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre (Sal 121, 5)

Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi allʼombra delle tue ali (Sal 17, 8)


Uno grande fa ombra, toglie il sole a uno che è più piccolo.
Come risultato il piccolo è privato di ciò che è fondamentale per la vita.

Le ricchezze non sono solo i soldi. Ci sono varie forme di ricchezza. Le doti con cui uno nasce possono essere considerate ricchezze. Intelligenza, facilità a raggiungere la virtù, salute e prestanza fisica, calma, una buona famiglia, ecc. Chi le ha date, se sono di nascita?
(Ovviamente cʼè differenza tra nascita ed educazione, coltivazione. Per non fare una lunga digressione, si può semplicemente dire che se Usain Bolt non si fosse allenato duramente sin da giovane, non avrebbe sviluppato le doti di natura al punto da portarle alle loro estreme conseguenze, e non sarebbe oggi detentore dei record mondiali di 9,58 nei 100 e di 19,19 nei 200 metri).

Le qualità, le ricchezze, le grandezze possono essere causa di freddo per un piccolo, proprio perché chi è grande può coprire il sole. Il piccolo è colui che ha meno qualità, meno doti, meno ricchezze, ecc.
Se andiamo a vedere la stessa meritocrazia, uno magari avanza grazie a doti di natura – coltivate con lʼeducazione – lasciando indietro chi doti non ha, o chi le aveva ma non poté coltivarle.
La meritocrazia è un fatto di giustizia.
Ora, Dio è giusto? Certo.
Ma è anche qualcosa di più. “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5, 20). Il di più che è Dio è la carità.

Dio è il più grande di tutti, ma non usa la sua ombra per fare freddo. Al contrario, come chioccia che riscalda i suoi nati sotto le ali, così Dio usa lʼombra delle sue ali, della sua grandezza, per scaldare al contrario di fare freddo. Come fa? È una specialità di Dio ed è tutta da capire.

I grandi hanno responsabilità. “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12, 48). Non è forse vero che quando vediamo un bambino grande farsi spavaldo e prendersela con un più piccolo, lo riprendiamo e gli diciamo: “Chi è grande ha il dovere di difendere i più piccoli, non di fare il prepotente”? Eppure in quanti casi della vita, ancora tra adulti, si ripropongono le dinamiche da parco giochi o le dinamiche degli anni della scuola? Quante volte un grande è visto depredare come rapace un piccolo? “Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare lʼinfermità dei deboli, senza compiacere noi stessi” (Rm 15, 1). Uno stato che funziona mette i più forti a difesa dei più deboli; si è esonerati dal servizio militare per mancanza di requisiti.

Come uso le mie qualità, le mie doti? Per prevaricare, superare, lasciare indietro, oppure per aiutare, sostenere, cedendo magari del mio – apparentemente ingiustizia – pur di permettere anche ai più piccoli di avanzare, respirare, vivere?
Come uso la mia grandezza, con lʼombra che inevitabilmente provoca? La uso per fare freddo e togliere vita, strozzando e soffocando gli altri, privando loro di ogni possibilità, o per fare caldo e dare vita, come chioccia che riscalda i suoi nati sotto le ali?

Lʼesempio da cui prendere, come sempre, almeno secondo me, è Dio. Dio è roccia di rifugio (cf. Sal 94, 22), un riparo. Non è forse sulle alture che si andava e si costruiva per mettersi al sicuro dagli attacchi dei nemici? Dio è un albero alla cui ombra semmai ci si ripara, d'estate, dallʼarsura (cf. Gion 4, 6). Dio non usa mai la sua potenza per fare male, ma sempre per proteggere, aiutare, custodire, guarire, salvare.

Incancrenirsi

Scalabrina era sposata da tanti anni e aveva tre figli bellissimi.
Scalabrina era stata cresciuta, assieme a una sorella e a due fratelli,
da una madre vedova, donna di ferro che purtroppo
qualche errore lʼavrà pure fatto... chi non sbaglia nella crescita dei figli?
Scalabrina anni dopo, pur essendo donna in carriera, nel campo
della vendita di farmaci imparò, dallʼamica Castrozza architetta,
ad andare in psicoterapia. Un difetto della psicoterapia,
se bisogna proprio trovarlo, è che, avendo come scopo
di scovare e catturare i traumi infantili, incoraggia rozzamente
a parlar male dei propri genitori. “E quella volta mi disse che non ero
a nulla buono”, “E unʼaltra volta mi diede uno schiaffone”, “E ancora
fece questo, questʼaltro, e mai io lo potrò, tale genitore,
infine perdonare”. È lʼerrore della psicoterapia, da cui
si esce a malapena, parlar male, incancrenendosi, dei propri genitori.
Successe anche a me, Filocamo, di Scalabrina cognatino,
quando anni e anni fa intrapresi un percorso di psicanalisi.
Mio padre era appena morto, e io ne approfittavo, per dirne tutto il male
che potevo. Figurarsi quante ne posso aver dette, dato che
di mio padre in casa mai si vide lʼombra, e semmai ero io
che andavo a trovarlo nei fine settimana a casa sua e di mia sorella.
Durante tutta la durata di tale psicanalisi sognavo amaramente
che mio padre, cattivo nei miei confronti, voleva buttarmi giù
dal balcone e altre cose di questo tipo che mi facevano svegliare con paura
di mio padre morto e adirato con me. Fino a quando un giorno
esauriti gli argomenti contro la persona di mio padre, poveretto,
iniziai a sottolineare gli aspetti positivi, ricevendo
gran sollievo e giovamento. Iniziai a fare sogni in cui
mio padre mi abbracciava, mi perdonava e mi rassicurava
della sua presenza e del suo conforto. Piangendo a dirotto
mi svegliavo da questi sogni di mio padre buono, che tale era diventato
dopo che avevo iniziato a parlarne bene, a ricordare
quanto lʼamavo, quanto era forte il legame che ci univa,
quante cose belle avevamo fatto insieme, e infine, soprattutto,
quanto lui mi amava, o quanto mi aveva insegnato.
Io, Filocamo, ho capito a un certo punto, lʼimportanza di parlar bene,
di benedire, e mentre facevo psicanalisi con un ateo
pian piano iniziai a capire Dio, la sua funzione
e la potenza del bene. Durante la psicanalisi
mi convertii, poi interruppi, poi mi feci frate,
considerando che lʼincontro con Dio fu una tale cosa, da avermi
cambiato la vita e lo sguardo sul mondo e dicendo al Padreterno
in preghiera: “Tutto ciò che è mio, è tuo. Faʼ di me ciò che vuoi”.
Scalabrina è incancrenita, tuttʼoggi non parla con lʼanziana madre.
“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. 
Conoscere la potenza di Cristo e di quanto bene si può fare dicendo
bene al posto che male... La potenza della parola benefica
è infinita e trasforma anche i morti. Con questo voglio dire che non bisogna
mai pensare che tutto sia perduto, ma che si può ancora fare del bene
alle persone alle quali non ne abbiamo fatto abbastanza quando in vita.

Staccarsi dal genere umano

Pierre apparteneva a quel genere di persone che sono forti solo quando si sentono assolutamente pure (L. N. Tolstoj, Guerra e pace, III, 2)

È da tanto che ho realizzato una cosa.
Quando pecco, è per allontanarmi dalle persone.
Il peccato ha questo effetto, farmi sentire lontano dalla comunità del genere umano che non pecca.

Chiarisco questo: "Non pecca" perché la chiave è nel come percepisco le persone.

So che siamo tutti peccatori, è la Bibbia che lo dice. “Non chiamare in giudizio il tuo servo: / nessun vivente davanti a te è giusto” (Sal 143); “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1Gv 1, 8). Però è anche vero che non posso supporre che la tale persona che incontro, la conosca o no, abbia peccato. Posso solo assumerlo a livello generale, appunto perché è verità biblica. Ma non posso supporlo, poi, nello specifico delle persone con cui ho a che fare. In quel caso starei giudicando. “A sospettare si invoca il demonio”, recita la sapienza popolare. Nessuno mi autorizza ad assumere che in qualche persona ci sia peccato.

Perciò per me la comunità umana è pura. Quando incontro qualcuno e ho peccato, sono io che abbasso gli occhi. Non penso: “Tanto anche questo è peccatore, perché lo dice la Bibbia, quindi posso stare davanti a lui a testa alta”.

Il peccato ha sempre avuto lʼeffetto di minare le relazioni.
Siccome suppongo che la persona davanti a me sia pura, o perlomeno migliore di me, o che perlomeno non abbia commesso il peccato commesso da me, avere un peccato sulla coscienza mi rende difficile relazionarmi con lei.
Quando ho un peccato sulla coscienza penso: “Chi sono io, miserabile peccatore, impuro, sporco, basso, immorale, per relazionarmi con costui o costei, che invece è moralmente anni luce più avanti di me?”. Non scherzo. Questo è più o meno ciò che penso quando ho un peccato sulla coscienza.

Quando mi sento così faccio addirittura fatica a parlare con la persona. Mi vien voglia di andarmene. Ho paura che si veda, che si senta che ho peccato. Ho paura di essere scoperto, di essere colto in fallo durante una conversazione, che da qualcosa che dico emerga la colpevolezza.

Ecco ciò che dicevo allʼinizio. Il peccato mi allontana dalle persone.
È possibile che addirittura abbia scoperto ciò inconsciamente e abbia iniziato a usare il peccato nei momenti in cui ho bisogno di sentirmi isolato dal mondo. Sono meccanismi psicologici sottili, difficili da individuare.

Ammettiamo che un giorno qualcuno mi abbia fatto qualcosa. Oppure sono talmente stanco da non poterne più di vedere gente, sentire rumori, avere contatti umani.
Ecco, quel giorno è probabile che, arrivato a casa la sera, commetta un peccato perché ciò mi fa sentire lontano dal genere umano. Subito prendo le distanze anche da ciò che mi ha fatto soffrire quel giorno, ammettiamo se qualcuno mi ha ferito commettendo un torto verso di me.
Perché è qui che nasce il bisogno di rinchiudersi, di essere soli, di separarsi dal mondo. Dalle ferite e dalla volontà di non subirne più.

Un peccato commesso può sortire questo effetto, perché i peccati rovinano, guastano le relazioni. Ci si sente più soli dopo un peccato. “Mi sono allontanato dalla comunità umana”.

La frase di Tolstoj, che sto leggendo, mi ha colpito per lʼassoluta profondità psicologica depositata in una frase di passaggio, nellʼimmenso mare di fatti e pensieri che caratterizzano Guerra e pace, immenso patrimonio di riflessioni sulla realtà, spesso centratissime. 

Rosengarda

Filocamo va allʼincontro di preghiera. Dire: “incontro di preghiera” è un modo per far capire il tipo di aggregazione. Per essere più specifici, si tratta di Esercizi Spirituali.

Gli Esercizi Spirituali, nelle intenzioni dellʼinventore, SantʼIgnazio di Loyola, fondatore, tra le altre cose, dellʼOrdine della Compagnia di Gesù, o Gesuiti, sono una forma di meditazione. Se uno parte dal significato dei termini, capisce che si tratta di fare esercizi con lo spirito. Se uno dice: “Pensa a Gesù mentre viene colpito da un flagello” e tu lo fai, stai facendo un esercizio spirituale. Se uno dice: “Pensa che la grandezza dellʼamore di Dio è infinita” e tu lo fai, stai facendo un esercizio spirituale. Se uno dice: “Pensa che la funzione y = f(x) è una funzione numerica quando X e Y sono insiemi di numeri reali” e tu lo fai, stai sempre facendo un esercizio spirituale. Da questi esempi si capisce che gli Esercizi Spirituali sono una forma di lezione, o conferenza, in cui qualcuno, parlando, dice a cosa pensare. Costui guida, per così dire, i pensieri di chi ascolta.

Agli incontri in cui si dà atto a Esercizi Spirituali si fanno, tra lʼaltro, altre cose, come pregare, prendere parte alla messa, vivere momenti di convivialità, condividere riflessioni personali.

Il momento di convivialità è il pranzo. Filocamo, in mezzo a vecchi, si sente attratto da una donna che, a dir così, su due piedi, è più vecchia di lui di poco. Filocamo cerca di avvicinarla e conoscerla, ma a malapena riesce a parlarle. Rosengarda lo evita.

Solo la terza volta che Filocamo prende parte agli Esercizi Spirituali, riesce Filocamo a parlare con Rosengarda. Le circostanze vogliono che per il pranzo i due siano fatti sedere davanti uno allʼaltra. Si fa sempre a giro e i posti non sono fissi, perché si cerca di fare in modo che i partecipanti si conoscano, alla fine, tutti tra loro. Filocamo riconosce dentro sé di sentirsi attratto da Rosengarda.

Finalmente dialogano. Rosengarda si dimostra affabile, cristiana. Rosengarda è zitella. Rosengarda è bigotta. Rosengarda prega il rosario tutti i giorni. Rosengarda fa un sacco di preghiere già scritte e novene. Rosengarda potrebbe anche essere vergine, per quanto ne sa Filocamo. 

Quando Rosengarda alza lo sguardo sul viso di Filocamo, si sente talmente attratta da lui che subito deve abbassarlo per il senso di colpa. Non vuole guardarlo, non vuole avvicinarlo. In cuor suo medita come formulare al confessore la colpa che ha commesso nel sentirsi attratta da Filocamo. Quando sono messi seduti davanti uno allʼaltra, a esaudimento delle speranze di Filocamo, almeno per un senso cristiano di rispetto della persona, per un senso di carità che non può non muovere la bigotta Rosengarda, Rosengarda si piega a discorrere con Filocamo. Si scambiano anche i numeri, ma solo perché tutti quelli che partecipano agli Esercizi Spirituali si scambiano i numeri, anche per essere aggiornati dallʼorganizzatore.

Rosengarda abita in un paese non lontano dalla città in cui si tengono gli incontri di preghiera, in cui vive Filocamo. Rosengarda, al suo paese, ha un negozio di toelettatura per animali. Rosengarda, pur sola, è una donna forte e indipendente, mentre Filocamo è un fifone e un pelandrone.

Siccome gli incontri di preghiera si tengono il sabato, e il sabato Rosengarda lavora, a un certo punto Rosengarda abbandona, con grande dispiacere di Filocamo, il progetto di partecipare regolarmente.

Un giorno gli Esercizi Spirituali si tengono via internet perché cʼè la quarantena. Durante la condivisione finale, Filocamo, tra le altre cose, fa accenno al fatto che tempo prima faceva il frate. La sera stessa Filocamo riceve un messaggio Whatsapp da Rosengarda. Gli dice che è stata entusiasta del suo intervento e che non sapeva che tempo prima faceva il frate. Rosengarda dice a Filocamo che, se vuole, gli può mandare ogni giorno degli audio con delle omelie del Papa o di preti famosi, e anche preghiere e novene. Filocamo accetta immediatamente.

Per quattro mesi Rosengarda manda messaggi a Filocamo con omelie e preghiere con lʼaggiunta di faccine a forma di cuori, baci e abbracci.

A Filocamo gira la testa.

Filocamo deve ammettere con se stesso di avere immaginato di far sesso con Rosengarda.

Filocamo si chiede se vuole solo far sesso con Rosengarda, o se questo potrebbe essere il rapporto di coppia tanto voluto da Dio che tirerebbe fuori Filocamo dal suo isolamento e dalla sua vita comoda.

Filocamo pensa che se dovesse davvero realizzarsi il rapporto di coppia chi ci rimetterebbe sarebbe solo Rosengarda, poverina.

Filocamo vuol capire cosa pensa Rosengarda. Con lʼaiuto del consiglio di amici, ha intenzione di chiederle, una domenica, quando entrambi non lavorano, di mostrargli il lago su cui si trova il paese in cui vive, dato che ha sentito dire che è bello ma che non ha mai avuto il piacere di visitarlo.

Filocamo nutre speranza, che è una cosa buona. Ma Rosengarda è una brava persona.

Pregando poi

Mi sveglio alle 4,30 e mi rendo conto che ho già dormito otto ore, data la mia abitudine di andare a dormire prestissimo. Solo che oggi non devo andare a lavorare. Goduria. Anzi, da domani sono in ferie. Tripudio di goduria. Una cosa che volevo mettere per iscritto è una considerazione sulla preghiera, che mi è venuta qualche tempo fa mentre pregavo. Pur essendo un grande estimatore di Maria e un suo consacrato (11 agosto 2012), e pur avendo fatto parte di una comunità kolbiana – San Massimiliano Kolbe, nei suoi innumerevoli scritti, dice sempre di far tutto: “attraverso lʼImmacolata” – è da un bel poʼ che ho deciso di rivolgermi direttamente a Gesù. Un poʼ sento che la grande apostasia del mondo cristiano, di cui parla sempre Padre Livio di Radio Maria, passa per una perdita di fede nella divinità di Gesù. Invece Gesù è proprio Dio – seconda persona della Santissima Trinità – ed è sempre vivo e presente. Non è difficile credere che un uomo possa essere anche Dio. Eppure se ne sentono di tutti i colori, tipo che era solo un grande illuminato, che, sì, era figlio di Dio, ma che siamo tutti figli di Dio, che nei Vangeli non ha mai detto: “Sono Dio” ma si è solo deifinito: “Figlio”, ecc.

Pur sapendo che Maria è vicinissima a Gesù – un padre della Chiesa, nel V secolo, la chiamava: “complementum sanctissimæ trinitatis” in quanto figlia del Padre, madre di Cristo, sposa dello Spirito Santo – e pur sapendo che la sua volontà aderisce perfettamente alla volontà di Dio – quasi ciascun santo è patrono di qualcosa (medici, studenti, mass-media, oculisti, ecc.) in base a ciò che ha vissuto; Maria è patrona del fare la volontà di Dio in quanto il passo biblico che la contraddistingue è lʼAnnunciazione, dove le parole della sua bocca sono: “Sia fatta in me la tua volontà”. Per questo San Massimiliano Kolbe afferma che si può tranquillamente pregare Maria, in quanto per tutta la sua vita la sua volontà non si è mai discostata di un millimetro dalla volontà di Dio. Quindi fare la volontà di Maria (dellʼImmacolata) è come fare la volontà di Dio.

Inoltre questi sono i cosiddetti tempi di Maria, ossia da quando Gesù è asceso al cielo, perché sono i tempi dello Spirito Santo, e Maria è sposa dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo si è unito a lei per far nascere Gesù. Chi più di lei è vicina allo Spirito Santo? Lei è la santa più santa di tutti i santi. Non solo, è la creatura più perfetta di tutte le creature, perché quale altra creatura del creato ha il privilegio di essere madre di Dio?

Ciò detto, come dicevo, preferisco, come dicono i protestanti, andare direttamente alla fonte, e pregare direttamente Gesù. È un periodo della mia vita in cui sento di fare così. Capisco le costanti apparizioni di Maria lungo la storia, e capisco che da 40 anni continua ad apparire a Medjugorje, però mi sento comunque di pregare Gesù. È lui il Pantocratore, il creatore dellʼuniverso, che: “sostiene tutto con la potenza della sua parola” (Eb 1, 3).

Insomma, un giorno stavo pregando Gesù. Stavo praticando la cosiddetta orazione teresiana (da Santa Teresa dʼAvila, che lʼha mezza inventata e divulgata coi suoi scritti), una sorta di misto tra meditazione e dialogo con Gesù. Si dovrebbe tendere a immaginare Gesù come uomo, quindi a meditare qualche episodio della sua vita, e poi a dialogare con lui il più possibile amorosamente, cioè scambiando con lui effusioni dʼamore. Ad esempio dicendogli: “Ti amo” o “Ti voglio bene” o “Sei tutto per me”, ecc., secondo lʼispirazione del momento (“ti canterò un canto nuovo”, Sal 144, 9).

Parlavo con Gesù e gli dicevo un sacco di cose. Quasi come fosse psicanalista. Lo inondavo di parole.

“E mi è successo questo, e mi è successo quello, e mi sento così a causa di questo che mi è successo, e vorrei che invece fosse così, e per favore faʼ che questa cosa vada in questo dato modo...”.

A un certo punto mi sono fermato. Di colpo me lo sono veramente, come forse non avevo mai fatto prima, immaginato come uomo. E mi sono detto: “Certo che, poverino, se davvero è un uomo qui presente accanto a me, lo sto praticamente stordendo di parole senza lasciargli la minima possibilità di ribattere”. Mi sono detto: “Con un amico mi comporterei così?”. Non sarebbe giusto. Un poʼ parlerei, un poʼ ascolterei. Di fatto, io di solito sono un poʼ lapidario in ciò che dico, e tendo più ad ascoltare che a parlare. Scrissi già, in un altro post, che penso che la mia tendenza a stare zitto sia mancanza di carità. Ma non divaghiamo. 

Insomma, mi sono detto che se davvero uno nella preghiera deve immaginarsi Gesù presente e parlargli come a un amico, deve anche cercare di far sì che questo parlare somigli il più possibile a una vera conversazione. Ho cominciato a parlare di meno, a formulare frasi e piccoli racconti come avrei fatto, appunto, con un amico col quale stavo parlando. Ho provato a mettermi in ascolto, dopo aver detto: “Parla pure, il tuo servo ti ascolta” (come dice il profeta-giudice Samuele nella Bibbia). Mettersi in ascolto significa realmente stare mentalmente in silenzio. Ciò comporta scacciare i pensieri man mano che si affacciano alla mente. È un esercizio non tanto semplice, ma a cui ci si può abituare con un poʼ di pratica, riuscendo a restare in silenzio mentale per sufficienti periodi di tempo.

Ciò che succede, se si riesce a far questo, è che viene in mente qualcosa che non si riesce a scacciare. Come se Dio forzasse il silenzio, facendo venire in mente unʼimmagine o più facilmente un ricordo. A certi santi mistici, come la citata Santa Teresa dʼAvila, Dio faceva venire in mente le cosiddette locuzioni, ovvero vere e proprie frasi. A un comune mortale è più facile che comunichi con un ricordo, il quale, mediante un percorso di associazioni di idee, fa capire cosa Dio ha detto. Trovo infatti che la comunicazione di Dio sia sempre da scrutare, analizzare, scomporre, studiare, intanto per capire se viene da Dio o dal diavolo, e poi per capire cosa Dio intende dire.

Oltre tutto questo, però, mi sono anche detto che Gesù ora è nella gloria, come era prima dellʼIncarnazione, è onnipresente e onnisciente, perciò può anche essere trattato da psicanalista. Conosce ogni singolo battito dʼali di mosca o starnuto di formica che avviene nellʼuniverso, figuriamoci se non sente ogni singola parola che uno dice, vocalmente o mentalmente, e se non è in grado di sopportarla.

Con ciò, è sempre bene ricordare che è Gesù stesso che dice: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole” (Mt 6, 7). Ma anche:

Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18, 1-8).