La seconda lettura intende la catarsi in senso allopatico, come purificazione subita dalle passioni stesse, in quanto “bellamente” rappresentate e viste da lontano come passioni degli altri, attraverso lo sguardo freddo di uno spettatore che diventa occhio puro e disincarnato. (U. Eco, “La Poetica e noi”, in Sulla letteratura, 2002)
Da dove partire per scrivere quando non si ha niente da scrivere? Dallo scrivere che non si ha niente da scrivere.
Il tentativo di trovare qualcosa da scrivere dev’essere una specie di attesa (ispirazione) o una specie di ricerca?
C’era quell’insegnante di scrittura, un certo White, studiato nelle università americane, che in un libricino diceva che la scrittura è simile alla caccia. “Bisogna sparare a molti bersagli di cartapesta prima di cogliere un uccello in carne e ossa”.
È una mia parafrasi. Significa che lo scrittore non scrive solo quando ha l’ispirazione, scrive sempre. Quando l’ispirazione arriva, ci sarà quel fuoco, quel trascinamento, quella forza che porta avanti, quel fluire di idee, quello sciorinare parole come fiume.
A proposito di fiume. Un argomento che mi interessa. Il battesimo di San Giovanni Battista. Non è un caso che si dica, nella Scrittura, che Giovanni battezzava presso il fiume Giordano. Giovanni è il fiume Giordano. Il suo battesimo è un fiume di parole attraverso il quale si deve passare. Mai provato a leggere i Proverbi della Bibbia? O la Sapienza? O il Siracide? Sono serie di ammonimenti, liste di comportamenti... In molti di essi ci si ritrova, in molti no. Quelli in cui ci si ritrova, per così dire, toccano. Ad esempio, un comportamento condannato come negativo. Se trovo che lo commetto, subito mi tocca. Naturalmente bisogna riconoscere autorità alla Parola di Dio. Da dove ricavava Giovanni la sua autorità? Dalla sua vita austera e ascetica.
Prendiamo, ad esempio, per non far riferimento sempre alla Bibbia, qualcuno che parla di azioni riprovevoli. Cosa deve fare per avere autorità e far sentire in colpa al nominare una data azione? Deve non commetterla lui per primo. “Mangiate troppo”. Ma se è un panzone, l’accusa non avrà forza e nessuno vi darà peso. Se, invece, a dire: “Mangiate troppo” è Pannella dopo sei mesi di sciopero della fame, o Ghandi, allora il monito risuonerà nelle anime. “Non avrà mica ragione? Se lo fa lui, perché non posso farlo anch’io?”.
Ecco il cosiddetto: “battesimo di penitenza per la remissione dei peccati” di Giovanni (cf. Mc 1, 4). Ascoltare uno così, uno cioè che ha autorità, uno che per primo non fa le cose che condanna, è come fare la doccia. Le sue parole avranno forza. Le sue parole toccheranno.
Ho sperimentato spesso l’effetto purificatore dell’ascolto di una persona del genere. In più Giovanni era un fiume, aveva una capacità di parlare pari a migliaia di parole al secondo. Dico per dire, è un’iperbole. Si immagini uno che parla, parla, parla. E in più ha autorità. E in più conosce a memoria la Scrittura, quindi le leggi, i comportamenti, che propone e promulga; e che nel parlare ha fatto suo il modo di parlare della Scrittura, ad esempio le Lamentazioni, o le imprecazioni profetiche, o il linguaggio apocalittico. Ecco uno capace di scuotere le coscienze della gente. Ecco chi andavano a trovare, al fiume Giordano, gli israeliti.
Prendiamo il Vangelo di oggi. Dice: “Avete fatto tutto ciò che dovevate fare. Siete servi inutili”. Per dire: “Siete utili solo se fate qualcosa in più. Ma se fate semplicemente il vostro dovere, state semplicemente applicando la giustizia. Se non fate neanche il vostro dovere, quello è il problema grosso. Se fate il vostro dovere, siete servi inutili. Se fate qualcosa in più, oltre ad aver fatto il vostro dovere, state praticando la carità, siete cioè servi utili” (cf. Lc 17, 10).
All’ascoltare questo Vangelo, dico: “Il mio dovere è il mio lavoro, più tenere pulita la casa, più farmi da mangiare. Il lavoro lo svolgo ma non con gran voglia, la casa necessita di una passata ai pavimenti da settimane, che non riesco a trovare la voglia di fare, prepararmi da mangiare… be’, compro spesso roba pronta, formaggi, salumi, ecc.”. Ecco come una parola che ha autorità risuona nella vita. Fa pensare: “Ma io queste cose le faccio? Sono un servo inutile o utile?”. C’è da dire che qualche opera di carità l’ho fatta. E a causa di ciò giro su un’auto di vent’anni. Gesù dice che un gesto di carità sincero cancella molti peccati. Questo per dire che a volte uso l’utilità (fare la carità) per coprire la mia neanche-inutilità (il fatto che non arrivo nemmeno a compiere bene il mio dovere, che pecco).
Le parole sono acque. Le parole sono cibo, quindi sono anche bevanda. La bevanda non è forse un alimento? Se è alimento, è una forma di cibo. “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4).
Ascoltare uno come Giovanni Battista è come fare la doccia. Mi è capitato, dopo discorsi del genere, di sentirmi più leggero, purificato. Tutte le parole che toccano, in qualche modo rimuovono il peccato commesso. Mai provato a parlare con un amico, o con uno psicologo, di un problema che si ha, magari di un vizio che non si riesce a superare, e di sentirsi, alla fine, più leggeri? Secondo me ogni volta che si porta una problematica alla luce mediante la parola si fa il primo passo per rimuoverla.
Il problema che resta a questo punto è come distinguere questa remissione dei peccati da quella operata da Gesù.
In un caso abbiamo un uomo che, per quanto santo, è pur sempre uomo e non può perdonare i peccati.
L’unico che può perdonare i peccati è Dio. Perché? “Contro di te, contro te solo ho peccato” (Sal 51, 6). Se faccio male a un uomo faccio male a tutti gli uomini. Se faccio male a tutti gli uomini faccio male a tutte le creature. Se faccio male a tutte le creature faccio male al creato. Se faccio male al creato faccio male a qualcosa che ha fatto Dio. Se faccio male a qualcosa che ha fatto Dio faccio male a Dio. Non si può far male a Dio, però è certo che se parcheggio sul posto degli handicappati non faccio male solo all’handicappato che lì non potrà parcheggiare, né alla categoria degli handicappati presa nell’insieme, ma alla società intera, perché violo una legge. Violando una legge faccio male allo stato. Siccome il principio della legge viene da Dio, se violo la legge sto facendo qualcosa contro Dio. Il peccato, non importa contro chi lo commettiamo, è sempre contro Dio. Ecco perché Dio è anche l’unico che ha il diritto di perdonare.
Resta qualcosa di problematico. Dio è l’unico che ha il diritto di perdonare, o è l’unico che ha il potere di perdonare? Non mi riferisco al problema del Sacramento della Confessione affidato ai sacerdoti, i sacerdoti sono estensione di Gesù, agiscono: “In persona Christi”, sono Gesù quando danno l’assoluzione; mi riferisco al fatto che se un uomo commette un peccato contro un altro uomo e quest’ultimo lo perdona, secondo me, mi viene da dire, il peccato è perdonato e chi l’ha commesso non merita più il castigo. Ma questa è un’idea di cui parla Socrate in un dialogo, non ricordo quale. Forse alla fine di Fedone, dove c’è uno dei più importanti miti escatologici mai messi su carta, una rappresentazione dell’aldilà mediante immagini in cui, se non ricordo male, si dice che coloro che giacciono nelle parti più basse, a causa di un delitto commesso contro qualcuno, non possono risalire se quel qualcuno non li perdona.
Il Vangelo è chiaro su questo punto. Solo Dio può perdonare i peccati. Perché, perché, perché? Cosa faceva, allora, Giovanni Battista? Cosa credeva di fare?
Sono in aporia. Aiuto.