La differenza tra fare un favore e farsi prendere per il culo

E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
(Mt 5, 41)

Oggi, alla fine del lavoro, un collega mi ha chiesto se lo accompagnavo con la macchina in un posto. Aveva gli occhiali da sole e si capiva benissimo che aveva fumato.
Naturalmente non ha fatto lo stesso lavoro che ho fatto io durante la giornata, ossia il corriere. Fumato comʼera, tuttʼal più avrà lavorato un poʼ in magazzino.
È una mia supposizione. In realtà è probabile che stesse bazzicando in magazzino, allʼora del mio rientro, perché abita lì.
Il magazzino che fa da base alla mia azienda ha gli uffici al piano terra e un appartamento al primo piano. Questo collega è in affitto nellʼappartamento al primo piano.
Possiede solo un motorino. A quanto pare il posto dove doveva andare non è che non fosse raggiungibile in motorino, però bisognava arrivarci per tempo. Da quello che sono riuscito a capire, aveva un appuntamento con un dottore, credo uno psicologo o uno psichiatra.
In macchina non continuava a far altro che dire che era nervoso per questo appuntamento e che presto avrebbe rimesso in sesto la sua vita, e cose di questo genere. Inoltre mi ringraziava per il gran favore che gli facevo.

Arriviamo allʼAuchan di C. Mi dice di entrare nel parcheggio, che deve prelevare al bancomat. Scende dalla macchina e si dirige effettivamente verso il bancomat, intanto io parcheggio e mi metto ad aspettarlo.
Mi metto a leggere un poʼ di blog e a scrivere un paio di commenti, a leggere le notizie su Google News. Dopo una ventina di minuti mi rendo conto che non è ancora tornato.
Provo a telefonargli. Il telefono squilla dentro la macchina. Lʼha lasciato in una di quelle grosse buste per la spesa che ormai usano tutti anche per cose che non cʼentrano con la spesa, in cui ci sono anche altre cose sue.
Faccio passare unʼaltra decina di minuti, poi decido di scendere dalla macchina e di andare a cercarlo. Parto dal bancomat, guardo in giro, ma il supermercato è enorme e pieno di gente. Di lui, nessuna traccia.

Arrabbiato, chiamo in magazzino e chiedo se cʼè ancora qualcuno. La mia intenzione è andarmene, passare dal magazzino, lasciare giù la sua roba – cioè la grossa busta della spesa con dentro anche il telefono – e andare a casa. Dopotutto il collega abita sopra il magazzino.
In magazzino mi dicono che saranno lì ancora unʼoretta.
Parto. Dieci minuti e sono in magazzino. Lascio la sua roba in ufficio e sparisco.

Il collega quindi è rimasto, per quanto ne so, allʼAuchan di C., paese appena fuori dalla città in cui vivo, quindici minuti di macchina ma almeno unʼora e mezza di autobus per tornare a casa, senza telefono e chissà se con soldi.

Io sono troppo incazzato perché mi ha mollato lì senza dirmi dove andava, lasciando in macchina pure il telefono. In magazzino mi aveva detto che avrei dovuto semplicemente lasciarlo in un posto per un appuntamento con un dottore.

Ma adesso naturalmente al mio confessore toccherà sentir parlare di questa storia. Lʼho mollato là senza telefono.
(Ovviamente tutto questo rinforza lʼidea che sono una persona orribile).

In più, cʼè da aspettare e vedere la sua reazione. Chissà cosa mi dirà la prossima volta che ci vediamo in magazzino. Magari ci sarà una discussione, magari dovremo picchiarci.

Che razza di situazione. Vuoi fare un favore a qualcuno, questo qualcuno viene fuori che è un demente e un fattone. Alla fine sei tu che fai la figura del bastardo, perché magari potevi aspettare dieci minuti di più.
Ma uno non ha diritto di andarsene a casa dopo una giornata di lavoro? Ti faccio un favore, ma se tiri la corda, e mi tiri per il culo...

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