Riprendendo in mano Repubblica

Sfrutto le ferie per prendere in mano Platone, a casa non riesco. Una singola frase di Platone già impegna troppo. Pur essendo libero, leggo un passo e lo capisco a fatica. Ho bisogno di tempo per meditarci. Lo faccio mentre nuoto o cammino, mentre sono a letto. Figuriamoci a casa, dove fatico a leggere anche la lieve narrativa.

Scopro con sollievo che Repubblica mi è familiare, lo skim (skim: n. ‘an act of reading something quickly or superficially’) riesce facilmente. All’inizio c’è il dialogo con Trasimaco, poi quello coi fratelli Adimanto e Glaucone sulla vita giusta e la vita ingiusta, per argomentare ciò si inizia la costruzione della città ideale, poi il discorso sulle donne al libro V... al libro VI il mito della caverna preceduto da un’introduzione sulle idee per arrivare a delineare l’idea del Bene.

Repubblica, da frate, lo visitai in lungo e in largo. Anche contravvenendo a doveri. Mi svegliavo alle cinque, all’insaputa di tutti, per studiarlo. Poi mi veniva il cocco durante la preghiera quotidiana. È un dialogo che per esser capito necessita come preparazione la lettura di quasi tutti gli altri dialoghi, è mastodontico, completo, tocca una caterva di argomenti.

Trovo, a 505b, accenno e veloce messa da parte del problema a cui è dedicato l’intero Filebo. Filebo inizia con Protarco che sostiene che il Bene coincide col piacere mentre Filebo sostiene che il Bene coincide con la conoscenza (in greco phronesis, ‘intelligenza’; in altri casi episteme, ‘conoscenza’). A quali delle due cose va dunque dedicata la vita? Quale delle due è la vita migliore? Socrate aiuta i ragazzi a discutere, durante il dialogo si farà garante di una terza posizione: la vita migliore è la vita mista.

Riporto il problema come è esposto in Repubblica.

Ma certo anche questo sai, che la maggioranza crede che il Bene sia il piacere, invece quelli che vogliono distinguersi credono sia la conoscenza.
Come no?
E che, o amico, coloro che pensano ciò non sanno dimostrare cosa sia la conoscenza, ma sono costretti a convenire che appare essere conoscenza del Bene.
E ciò è parecchio ridicolo, disse.
E come non lo sarebbe, dissi io, se rimproverandoci di non sapere cos’è il Bene parlano poi come se lo sapessimo? Dicono infatti che il Bene è conoscenza, come se noi capissimo ciò che dicono quando pronunciano il nome Bene.
Verissimo, disse.
E cosa dire di quelli che definiscono il Bene piacere? Sono forse meno pieni d’errore degli altri? O non sono anche loro costretti ad ammettere che esistono piaceri cattivi?
Certo.
Ne segue che costoro, mi sembra, ammettono che le stesse cose sono buone e cattive. Non è così?
Sì.
Non è dunque chiaro che su queste cose ci sono grandi e numerose controversie?
[...]
Ma tu, o Socrate, dici che il Bene sia la conoscenza o il piacere o qualcos’altro al di fuori di queste due cose?
[...]
Ma, o beati, lasciamo per ora stare cosa sia il Bene in sé. Mi sembra troppo, secondo il fondamento che ci è disponibile al momento, giungere all’opinione che ora me ne sono fatta. Ciò che appare essere figlio del Bene e simile al massimo grado a esso, voglio dirlo, se ci tenete, altrimenti fa niente.
Ma dì pure, disse. Un’altra volta, infatti, farai il discorso della dimostrazione del padre.

La questione in Repubblica è solo accennata. In Filebo entrambi i punti sono presi di petto. Sia il problema di coloro che sostengono che il Bene coincida col piacere, che sono costretti ad ammettere che esistono piaceri cattivi, sia il problema di coloro che sostengono che il Bene coincida con la conoscenza, i quali, quando gli viene chiesto: “Conoscenza di cosa?” rispondono: “Conoscenza del Bene” generando un discorso circolare, sono approfonditi con dialoghi serrati tra Socrate e i duellanti Protarco e Filebo.
In Filebo la soluzione del problema non sarà raggiunta, fra l’altro, se non dopo l’introduzione di peras, ‘limite’, e apeiron, ‘illimite’.

Questo è tutto ciò che ricordo, proseguo ora con la lettura sperando di capire anch’io cos’è il figlio del Bene di cui Socrate si propone di parlare.

9 commenti:

  1. Mamma mia che lettura complessa per un fine settimana estivo ...

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    1. Infatti come vedi sono riuscito a leggere solo un passo brevissimo, nonostante il riposo e l'assenza di impegni.

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  2. Il mio rapporto con la filosofia è destinato al fallimento. Sto provando a leggere un libriccino della Adelphi con alcuni appunti di Schopenhauer che tentano di definire i comportamenti saggi per essere felice (o meglio: dal punto di vista del pensatore tedesco l'obiettivo è piuttosto "non essere troppo infelice") e non mi intriga granché, mi pare che richieda al lettore di "disumanizzarsi", di non avere più certe emozioni e desideri che io reputo essere la pura normalità dell'essere umano, mi pare come se invitasse ad amputarsi una gamba non fisica del nostro spirito.

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  3. Caro Filippo,io , con questo caldo, non riesco a leggere neanche i romanzi più leggeri. Ti ammiro!! Ciao

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    1. Ciao Mirtillo, chissà in quale parte d’Italia o del mondo sei ora!

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  4. certo oggi che con google abbiamo tutta la cagnoscenza possibile ed immaginabile, tutti NOI matematici e del partito degli under 70.000 scegliamo il piacere.
    Invece ai loro tempi già il dimostrare con i sassi che 2 + 2 fa 4 riempiva di gioia i cervelli superiori

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    1. La conoscenza di cui si parla supera quella seppur nobile delle scienze matematiche (nobile perché tratta di enti eterni e immutabili). In Platone e nel discepolo Aristotele la filosofia prima è l’ontologia, ossia asseveramento degli enti primi. Questa può anche essere chiamata teologia, il suo possesso può ben valere qualche rinuncia sul piano carnale.

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  5. Platone è straordinario, mi sembra incredibile che una persona abbia potuto scrivere cose tanto grandi!

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    1. È perché non conosci la mia teoria dell’occasione e della registrazione, secondo cui i dialoghi sono tutti realmente accaduti, sono stati registrati mnemonicamente e pian piano messi per iscritto col metodo esposto all’inizio di ‘Menone’. Il vero individuo fuori dal comune non è Platone, ma Socrate, come spiegato da Alcibiade nel suo discorso alla fine di ‘Simposio’.

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