Farsi valere o lasciarsi fare le cose

Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza. (Gc 5, 6)


È vero che la Parola di Dio rivela sempre nuovi significati. Bisogna avere pazienza. Basta aspettare. A volte possono volerci anni, ma pian piano viene a te qualcosa di nuovo. Può essere una folgorazione istantanea, come quando qualcuno, in un caso di condivisione, riesce a trasmettere nuove verità ai presenti (“Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio”; 2Pt 1, 20-21); può essere un significato che si forma lentamente in te dopo aver letto e vissuto.
Alla seconda categoria appartiene una cosa che ho capito solo ultimamente. È una cosa fondamentale per essere buoni cristiani. Eppure non lo sapevo. È proprio vero che la mia conversione è stata tardiva – 27 anni – e che sono ancora un novellino.
Sento di aver finalmente capito cosa intende il profeta Ezechiele quando, parlando in nome di Dio, dice: “toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. Credo di aver finalmente capito cos’è il cuore di carne. Genericamente, mi sembrava sempre di recepire il messaggio del passo. In realtà, mi sa che l’ho capito solo ora.

Il popolo di Israele è spesso accusato da Dio di avere un “cuore duro” (ad es.: Sal 4, 3; Lam 3, 65; Ez 2, 4; Mt 13, 15; Mc 6, 52; Mc 8, 17; Gv 12, 40). Cos’è il cuore duro? Per me il cuore duro è riassumibile in una frase trovata anni fa in Platone. Ora però non saprei recuperarla, vado a memoria. Socrate dice che è meglio subire ingiustizia che commetterla. Subito dopo, però, dice: “Ad ogni modo, bisogna anche evitare a tutti i costi che sia commessa ingiustizia contro di noi”. Potrebbe essere, quasi certamente, in Fedro o in Repubblica. Come ho detto, sto andando a memoria, perciò la frase potrebbe non essere esattamente così.

La convizione che bisogna evitare a tutti i costi di subire ingiustizia mi è rimasta dentro per anni. Trovarla in Platone è stato come trovare il sigillo verbale a qualcosa che già sentivo.
Di fatto, tutte le persone agiscono così, istintivamente. Nessuno vuole subire ingiustizia. Eppure tutti sanno che da quando esistono gli stati, ci sono le forze dell’ordine alle quali è demandato il compito di impedire le ingiustizie e raddrizzarle quando sono commesse. La gente, però, sebbene demandi alle forze dell’ordine, di fatto non fa altro che cercare di farsi giustizia da sola. Pensiamo a quante volte qualcuno ha provato a rubare il posto in coda. “Non posso permetterlo!”. Sono tanti i casi della vita in cui non possiamo permettere che qualcuno commetta un’ingiustizia, anche piccola, verso di noi.

È questo, credo, il cuore duro.

“Perché non subire piuttosto l’ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?”, dice San Paolo (1Cor 6, 7). L’intera vita di Gesù è incarnazione di questo messaggio. Eppure, per tanti anni, sono stato convinto che Gesù non avesse mai lasciato che qualcuno commettesse ingiustizia verso di lui. La sua condanna a morte non è forse il risultato di regolare processo? Gesù era talmente giusto che nessuno ha mai osato commettere ingiustizia verso di lui, mi dicevo. Ci sono volute le autorità statali, le quali, convinte di aver la giustizia dalla propria parte, sono state le uniche ad avere il diritto di agire contro Gesù.

Certi passi, invece, danno un’idea di quella che deve essere stata la vita pubblica di Gesù. Ad esempio il passo dell’emorroissa:

Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5, 25-34).

Ciò che trovo interessante, in questo passo, è la frase: “avvertita la potenza che era uscita da lui”. Gesù, guarendo, perdeva forza. Perdonando, perdeva forza. Esorcizzando, perdeva forza: “il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (At 10, 38).
Per dare del bene a qualcuno, bisogna avere del bene. Gesù aveva tanto bene. Essendo Dio, era la persona più sana sulla faccia della terra. Ora, la salute si può trasmettere. Ma quando la si dà, la si perde. Chi ha mai provato a fare volontariato ospedaliero senza sentirsi esausto a fine turno?

Credo che l’intera vita di Gesù sia stato un – a volte volontario, a volte involontario, come nel caso dell’emorroissalasciarsi fare cose. Lasciare che si prendesse liberamente la sua forza, la sua salute, la sua condizione di perfezione. Tale condizione non si conservava sempre intatta – vediamo Gesù al pieno della sua magnificenza nell’episodio della Trasfigurazione (Mt 17, 1-8) – ma, ogni volta che Gesù entrava in contatto con qualcuno che era nella condizione opposta alla sua, c’era un passaggio di forza, di salute, di perfezione. La persona da guarire era risanata, perdonata, esorcizzata, insomma passava da una condizione di male a una condizione di bene, ma Gesù, in quanto uomo, non restava intaccato.

Cos’è la croce se non un grande lasciarsi commettere ingiustizia contro? Ecco cosa vuol dire avere un cuore di carne. Smetterla di combattere per i propri diritti, per il proprio posto in coda, per conservare le proprie cose, ecc. Essere disposti a perdere tutto. 

14 commenti:

  1. Io credo che "avere un cuore di carne" significhi avere dei sentimenti di pietà, umanità, altruismo... al contrario, avere un cuore di pietra, significa essere insensibili, non provare sentimenti, farsi solo i propri interessi. Non so se sia giusto smettere di combattere per i propri diritti, magari lasciamo perdere se qualcuno ci frega il posto in fila ma ci sono cose più importanti e sulle quali non si può lasciar perdere, dipende da cosa ci capita; se è un fatto grave , non si deve proprio lasciar perdere !!! Ciao e buona domenica.

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    1. Sì, penso che la tua interpretazione sia corretta. Forse stavolta non ho centrato il bersaglio. Grazie!

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  2. Subire ingiustizie lo reputo errato in quanto fa sentire il prepotente legittimato nella propria prepotenza. Non dico che bisogna andare alle mani o cose del genere, ma quanto meno fargli capire che quel che sta facendo non è una cosa che gli è dovuta bensì un atto di prepotenza che non viene approvato da chi lo subisce. Poi magari se ne fregherà, però non si potrà dire che l'altro era d'accordo e consenziente.

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    1. Probabilmente essere consenziente è masochismo. Non parlo di questo. Mi sembra, però, che le ingiustizie di questo mondo non si raddrizzino con speculari atti di giustizia, sia perché l’ingiustizia è per così dire endemica a livello dell’universo creato, sia perché l’atto di giustizia è per così dire un altro atto di violenza. L’unico modo, indicato da Gesù, è la carità, cioè dire: “Mi hai rubato la macchina? Ok, te la lascio”. Non è questo il “rimettere i debiti”? Ed è meglio essere contenti, perché, come dice San Paolo: “Il Signore ama chi dona con gioia”. Questo non direi che è masochismo, ma il partecipare dell’amore divino.

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  3. altri tempi, altre storie, altri valori, allora era facile morire e addirittura in maniera legale:
    bastava dichiararsi figli di un dio di fronte ad un bobbolo eletto.
    Oggi c'è chi si dichiara dio in persona personalmente e tutto un bobbolo lo applaude

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    1. Questi uomini che si dichiarano, o si sentono, Dio ci sono sempre stati direi. Quanto a quelli che li applaudono, il termine tecnico è idolatria. Vale anche per l’uomo che adora se stesso e mette se stesso al centro dell’universo.

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  4. Ci sono dei diritti inviolabili per i quali credo sia giusto farsi rispettare. Non dico di usare la violenza, questo mai, però c'è bisogno che le persone vedano che non sei disposto a subire, le persone potrebbero avvertire questo cuore non di pietra come una debolezza e potrebbero fare sempre peggio. A tutto c'è un limite.

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    1. Sui diritti inviolabili sono totalmente d’accordo. Ciò che dico è che i diritti sono una questione di giustizia. La giustizia è importante, Dio stesso è giustizia. Ma la strada che Gesù ha indicato mi sembra qualcosa che va oltre la giustizia, è la strada della carità. Carità per me significa dare senza volere il contraccambio. Questo non è più giustizia, ma qualcosa che va oltre. Come se Dio dicesse a noi umani di lasciar perdere l’applicazione della giustizia, a quello ci penserà semmai lui. Anche perché, se ci pensi, per compiere atti di giustiza che riparino le ingiustizie, bisogna perpetrare altre violenze, è ciò che fanno le forze dell’ordine a cui è demandata l’applicazione umana della giustizia. Carità, dal punto di vista di chi la fa, significa sacrificio, dolore.

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  5. Anonimo27/10/22

    Ci ritorno:)
    Dai tuoi commenti ne esce questo collegamento,sempre tratto dalle scritture di Sant'Agostino:

    "L'ideale della nostra giustizia terrena.
    8. 18.

    Finché dunque, esuli e lontani dal Signore, cammineremo in stato di fede e non ancora di visione 52, per cui è scritto: Il giusto vivrà per la sua fede 53, la nostra giustizia durante lo stesso esilio consiste in questo: che alla perfezione e pienezza della giustizia, dove nella visione dello splendore di Dio sarà ormai piena e perfetta la carità, noi presentemente tendiamo con la dirittura e la perfezione dello stesso correre, cioè castigando il nostro corpo e costringendolo a servire 54, facendo lietamente e cordialmente le opere di misericordia, sia nel prodigare benefici, sia nel perdonare i peccati commessi contro di noi, e attendendo incessantemente alle orazioni 55, e compiendo tutto questo nella sana dottrina 56, sulla quale si basa l'edificio della fede retta, della speranza ferma, della carità pura. Questa è per adesso la nostra giustizia con la quale corriamo affamati e assetati verso la perfezione e la pienezza della giustizia per esserne poi saziati. Per questo il Signore, dopo che ebbe detto nel Vangelo: Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati 57, perché la nostra corsa non avesse per sua misura la gloria umana, nell'esporre le stesse opere buone non sottolineò se non queste tre soltanto: digiuno, elemosine, orazioni, significando con il digiuno tutta in genere la mortificazione del corpo, con le elemosine ogni benevolenza e ogni beneficenza o nel donare o nel perdonare, e insinuando con l'orazione tutte le regole per realizzare il desiderio della santità; Ecco alcune considerazioni da fare. Nella mortificazione del corpo si frena la concupiscenza che in quella perfezione di giustizia, dove non esisterà più assolutamente nessun peccato, non si dovrà frenare, ma dovrà sparire e sparirà del tutto: ebbene anche nell'uso di cose permesse e lecite la concupiscenza mostra spesso la sua smoderatezza. Difetti si commettono perfino nella vera beneficenza con la quale il giusto si prende cura del prossimo. Accade in essa di compiere certe azioni che recano nocumento invece del giovamento che si pensava, e talvolta subentra nella beneficenza la noia che appanna la gioia amata da Dio in chi dona 58. Ciò avviene per nostra debolezza o quando quello che si prodiga di bontà e di fatica non basta alle necessità degli altri o quando produce in loro poco progresso. La noia poi subentra in ciascuno tanto di più quanto meno egli ha progredito e subentra tanto di meno quanto più egli ha progredito. Per queste e simili considerazioni noi doverosamente diciamo nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori 59. Purché facciamo quello che diciamo: cioè giungiamo ad amare anche gli stessi nostri nemici; o se a tanto non arriva chi è ancora piccolo nel Cristo, tuttavia al suo nemico che si pente del peccato che ha commesso contro di lui e ne chiede perdono glielo conceda dall'intimo del cuore, se vuole che il Padre celeste esaudisca la sua orazione.


    Qualche post indietro ti chiedevi del perché nessuno voglia parlare di Dio:)...io sono fiduciosa sul fatto che tutti noi possediamo un cuore di carne,credenti e non ,il cuore è la nostra parte interna senza la quale non vivremmo,ci è stato dato a tutti ,ma proprio a tutti un cuore di carne.Quello che fa la differenza è l'uso che facciamo del dono del libero arbitrio,e senza Conoscenza
    non svilupperemmo coscienza.[ (“Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio”; 2Pt 1, 20-21). ]O può essere un significato che si forma lentamente in te, dopo aver letto e aver vissuto.

    Grazie a te

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  6. Ciao! Cerco di chiarire, come hai chiesto, cosa intendo per giustizia.

    Innanzitutto mi trovo ottimamente con la definizione di Ulpiano, a ciascuno il suo.

    Senza mettere da parte la definizione di Ulpiano, intendo per giustizia ciò che spetta a ciascuno in base alle azioni compiute. A ogni azione, nell’universo, corrisponde una reazione. Per ogni azione che compiamo meritiamo una retribuzione. La retribuzione è buona se l’azione è buona, cattiva se l’azione è cattiva. A 1 corrisponde 1, a 2 corrisponde 2 e via dicendo. La giustizia è un concetto facilmente capibile mediante il concetto matematico del ‘pari’.

    La carità, invece, è un concetto assimilabile al concetto matematico del dispari, in particolare se si tiene presente che la definizione di dispari data da Platone è “+1”. Se a qualsiasi numero pari aggiungo 1, diventa dispari. La carità secondo me è ‘+1’. È qualcosa che si fa ‘oltre’ la giustizia, data la giustizia.
    La carità si spiega bene anche mediante il concetto americano di “extra mile”. “To go the extra mile” significa fare un qualcosa di non richiesto, una volta fatto tutto ciò che dovevamo fare, fare qualcosa in più, gratuitamente.

    Se facciamo solo ciò che dobbiamo fare operiamo la giustizia, siamo servi inutili. Ricambiare un favore non apporta niente all’universo, riporta semplicemente l’universo allo stato in cui era prima.
    Se facciamo qualcosa ‘in più’ allora sì che stiamo operando la carità, stiamo facendo qualcosa che incide realmente e porta un reale cambiamento.

    Se non ti dispiace non entro nel merito dei testi di Sant’Agostino perché li trovo un po’ ostici. Vedo che hai una certa famigliarità con essi. Io, non avendola, fatico a comprendere un estratto fuori contesto.

    Grazie per le letture attente e per gli spunti di riflessione!

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  7. Anonimo27/10/22

    Scusami ,ho letto dopo il tuo commento 27 ottobre 01:19, evidentemente era già stato inviato il mio secondo.Concludo.


    Sai che anche io avevo quasi rinunciato alla lettura dei testi agostiniani,fin quando non ho compreso che avevano tutti un collegamento con l'Amore,da qui poi quel senso di famigliarità che intravedi.

    Quindi tranquillo,non mi dispiace,hai fatto benissimo a chiarire la tua posizione,anche se una piccolissima e ultima osservazione la lascio e non per farti un dispetto eh:)ma solo per rifarmi a Platone che tu citi .Rimanendo su un discorso di numeri pari e dispari,secondo te non fanno parte della stessa Unità?Pur restando in tema "matematica" ,secondo me , l'Eros di Platone e la carità di S.Agostino hanno un denominatore comune che è:l'Amore.Entrambi riconoscono la mancanza come spinta desiderosa al ricongiungimento con Dio.Un desiderio di "giustizia" spinto verso l'Alto con Amore - Eros,arrivando a conoscere i Misteri,come quello della Trinità (da te citato)

    "Se facciamo solo ciò che dobbiamo fare operiamo la giustizia, siamo servi inutili. Ricambiare un favore non apporta niente all’universo, riporta semplicemente l’universo allo stato in cui era prima.
    Se facciamo qualcosa ‘in più’ allora sì che stiamo operando la carità, stiamo facendo qualcosa che incide realmente e porta un reale cambiamento".

    A me sembra ovvio,Dio stesso è carità e amore, quindi quel di più a cui tu ti riferisci non è altro che un avvicinamento/ricongiungimento a Dio.Tra l'altro sono pienamente d'accordo con te,operando in questa proiezione apportiamo un cambiamento ,un evoluzione spirituale proiettata verso l'Alto.

    Grazie a te,buona serata Filippo:)













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  8. Si percepiscono pensieri scritti colla comprensione della carne, dell'anima.

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    1. Aggiungo una considerazione: abbiamo anche il dovere morale della educazione. Quindi è bene/doveroso usare la necessaria durezza affinché coloro che hanno ego ipertrofici e invadenti vengano ricondotti al giusto.
      Una certa durezza è MOLTO ecologica: evita che certe persone passino di male in peggio.

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    2. Lo capisco, ma se per una volta non si riesce a ottemperare a questo 'dovere' sociale, si può sperare nella misericordia divina, non solo ricevendola, ma dandola agli individui invadenti e ipertrofici.

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