Stai attento a ciò che desideri!

Ho ascoltato la nuova canzone dei Red Hot Chili Peppers, Black summer, nella quale ho finalmente potuto sentire materiale nuovo di Frusciante, e il concerto n. 21 per pianoforte e orchestra di Mozart (K. 467), diretto da Muti e con Pollini come solista, un’ottima resa. Pollini, personalmente, l’ho trovato un po’ troppo interpretativo. Nel senso che ci ha messo troppo del suo, troppo di nuovo nella sua resa. Gli italiani ormai è da qualche decennio che fanno così. Visto che non sono in grado di fare le cose semplici (grandi), per cercare la grandezza si affidano alla ricerca del nuovo, del gesto inconsulto, dell’interpretazione fuori dal normale. Invece per rendere grande Mozart basterebbe interpretarlo alla lettera, come fa Karajan, perché Mozart è già grande. Non c’è bisogno che ci aggiungi del tuo. Certo, un interprete non può fare a meno di aggiungere del suo a un’opera che interpreta. Altrimenti non sarebbe un interprete. Il fatto è che quando sei un interprete non sei altro che un mediatore. Il lavoro del mediatore dovrebbe essere quello di farsi notare il meno possibile, di sparire. La mediazione non si dovrebbe sentire. Per godere di Mozart, ad esempio, la massima resa sarebbe quella del trapianto di cervello. Mettersi il cervello di Mozart nel cranio. Avere le stesse idee, pensare le stesse cose, concepire la stessa musica, capire la musica come faceva lui. Questo è l’ideale della trasmissione artistica. Lo stesso vale per Shakespeare. Ma lo stesso vale per qualsiasi artista. Già la messa su carta e per iscritto delle idee è un fallimento, una catastrofe, come dice Bernhard. “Di catastrofe in catastrofe” mi pare si intitoli un’intervista che gli hanno fatto, nella quale lo scrittore spiega quanto sia doloroso avere idee e vederle tramutate sulla carta in qualcosa di completamente diverso, di completamente insufficiente rispetto all’originale concepito nella mente. Woody Allen diceva, anche lui in un’intervista (a Truffaut o Godard!): “The best thing is when you get the idea. The rest is always a disappointment”. Parlava di quanto gli piaceva stare in casa a scrivere, di quanto gli piaceva quella parte dell’anno, in cui concepiva nella mente un film, e di quanto al contrario odiava il periodo dell’anno in cui usciva sulla strada a filmarlo. Scegliere gli attori, le location, i costumi, arrivare al montaggio… “You are out in the cold…”, diceva. E il film riesce sempre diverso da come l’hai pianificato, da come l’hai immaginato all’inizio. Woody Allen nella sua vita, in particolare nella parte finale, ha praticamente fatto un film all’anno. Sei mesi a scrivere, sei mesi a girare. Più o meno, poi non sarà esattamente così. Comunque il tutto, la creazione e la realizzazione, è sempre avvenuto, nel caso di questo artista, nell’arco di un anno circa. Poi lui è malato di disturbo ossessivo-compulsivo, come me, per cui è una persona estremamente abitudinaria.

Posso sopportare gli imprevisti solo nella scrittura. Ritengo solo la scrittura la mia vera attività, l’attività della mia vita. Il lavoro che ho è solo un modo per mantenermi, per portare a casa la fatidica pagnotta, per cui deve essere il più abitudinario possibile, il più esente da imprevisti possibile. Mi sveglio, compio una serie di operazioni sempre uguali, colazione, bagno, vestirsi, uscire, faccio le stesse strade, metto le mani sul volante alla stessa ora, nello stesso modo, sul lavoro, prima di partire, compio una serie di operazioni sempre uguali, e poi purtroppo è un lavoro che può dare imprevisti perché i clienti cambiano, il giro cambia ogni giorno, le strade cambiano e sono sempre diverse. Ma io cerco di minimizzare gli imprevisti e di rendere tutto sempre più abitudinario, sempre più uguale.
È il pensiero che deve essere pronto agli imprevisti. Il pensiero deve essere pronto ad accogliere l’idea, a elaborarla subito, a meditarla, a memorizzarla. Alla mia età gli imprevisti a livello di pensiero sono rari. Anche a leggere i classici, tutto è già stato detto, non c’è niente di nuovo. Leggere la Bibbia e interpretare un passo in modo diverso dal solito, farsi trasmettere una nuova verità sulla vita, questo sì che è un evento, questo è l’imprevisto che sono pronto ad accogliere. Scrivendo un romanzo, è così che vorrei trovarmi ad affrontare imprevisti. Far procedere la storia così o così? Come la vita, ogni azione è feconda di possibilità, preludio di sviluppi infiniti. Ma proprio per poter affrontare questo tipo di imprevisti, le difficoltà nel campo della scrittura e del pensiero, è per questo che voglio che ciò che faccio per vivere, il lavoro che mi dà da mangiare, dato che non ho mai avuto il coraggio di intraprendere l’attività di scrittore, un po’ perché non ne avevo la possibilità, economicamente parlando, un po’ perché non mi sono mai sentito capace, il lavoro che mi dà da mangiare deve essere come il mediatore, deve sparire, deve essere come se non ci fosse, non deve interferire con l’attività del pensiero dando ulteriori pensieri. Se no poi finisce che mi trovo a scrivere di lavoro, come di fatto a volte è successo. Se quella è l’unica roba che occupa la mente… mettiamo fuori quella. C’è solo quella!

Anche la preghiera non può essere ripetizione delle solite formule. “Canterò al Signore un canto nuovo!” (cf. Sal 33, 3; 96, 1; 149, 1; Is 42, 10), è questa l’essenza dell’orazione mentale. C’è da fare delle precisazioni per chi non conosce queste cose. C’è un problema di nomenclatura. Orazione mentale è contrapposto a orazione vocale. Solo che nella letteratura dedicata a queste cose la distinzione abbraccia uno spettro più ampio. Non si tratta solo di una differenza di organi usati, nella mentale si sta zitti, nella vocale si parla con la voce. Si tratta di una differenza di qualità. È invalso l’uso della nomenclatura in questo modo: per orazione mentale si intende quella non formularia, quella che si inventa di volta in volta, il dialogo a tu per tu con Dio. Per vocale si intende la preghiera formularia, il Padre nostro, l’Ave Maria, il Gloria al Padre, i Salmi e tutta la preghiera liturgica, e tutte le preghiere che sono state messe per iscritto e che uno può leggere, ripetere, recitare. Quest’ultima è la distinzione che si ritrova nei testi di Santa Teresa d’Avila, ad esempio, la quale la desumeva dai trattati sull’orazione del suo tempo che lei stessa leggeva. In realtà basta attenersi ai significati delle parole per ricavare che orazione mentale è quella fatta dicendo parole mentalmente, stando zitti con la bocca, sia che si dicano preghiere personali, inventate sul momento, dialogando con Dio, sia che si dicano preghiere già preparate. Mentre vocale è la preghiera, lo dice la parola, detta a voce, ancora una volta: sia che si dicano preghiere personali, inventate sul momento, dialogando con Dio, sia che si dicano preghiere già preparate.
Fatta questa distinzione, si capisce che la distinzione tra orazione mentale e vocale è minima. C’è poca differenza se uno pensa solo le parole o se le dice a voce.
La distinzione seria è quella tra preghiera formularia e dialogo con Dio. “Cantate al Signore un canto nuovo!”. Dio sa di cosa abbiamo bisogno e non vuole che sprechiamo parole, come dice Gesù nel Vangelo. Però vuole anche che di volta in volta gli presentiamo i bisogni, le ansie, le gioie, le domande, i ringraziamenti che si presentano a loro volta a noi di giorno in giorno. È vero, il Padre nostro riassume tutto, sia fatta la volontà di Dio anche sulla terra, possiamo avere il pane quotidiano, ci si possano perdonare i peccati, possiamo perdonare anche noi chi ci ha peccato contro, possiamo essere aiutati nella tentazione e possiamo essere liberati dal male. Sotto questo ombrello è racchiuso tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno. L’ha insegnato Cristo. E lui era uno che si ritirava spesso in disparte, magari su qualche altura, per stare giorni e notti in preghiera, e “nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime” (Eb 5, 7). 

L’anima cambia di giorno in giorno, e così come parlare con un amico può essere uno sfogo che libera da un peso, allo stesso modo parlare con Dio delle necessità così come si presentano quotidianamente è un modo per fare un lavoro chirurgico nell’anima e nella vita. Non sappiamo quali sono le preghiere che Dio ascolterà, ma intanto presentiamogliele. L’esaudimento e il non esaudimento sono il modo migliore per capire se una preghiera andava fatta o no. Perché Dio esaudisce solo ciò che ritiene un bene, non solo per la persona che chiede, ma nell’economia dell’universo intero.

È vero che esaudisce anche sotto insistenza, come dice il passo del Vangelo di Luca.

Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.

Perciò, come si dice in Platone (Alcibiade II), è bene stare attenti a ciò che si chiede.   

13 commenti:

  1. intanto accontentiamoci di ciò che passa il convento, anche se nel nostro eremo velletrano siamo abbastanza autosufficienti e ce ne possiamo fottere di quel che passa ora lui il Put a tutti i mortidifame che vivono su questa palla di merda

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    1. E se verrà il tempo in cui le bombe cadranno sull’Italia? Come reagiremo, lanciando sassi ai carrarmati? Sai cosa scrive Aleksader Dugin, l’ideologo di Put?

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  2. Chiediamo abbastanza, come accenno nel mio ultimo post? O dovremmo accontentarci? O scrivere quando ci garba, sfruttando i momenti liberi che ci andiamo ritagliando strada facendo, e leggere anche quando se ne ha voglia, lavorare di buona lena, impiegare tempo e risorse per cose che comunque appassionino, intrighino, interessino? Ma anche fermarci a godere di quel tramonto meraviglioso, ogni sera diverso, se solo te ne accorgi. Quindi cosa chiedere ora al Signore, se non che il mondo continui ad esistere?

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    1. "Quindi cosa chiedere ora al Signore, se non che il mondo continui ad esistere?”... questa è una bellissima preghiera. Un’attestazione della sua bontà e bravura.

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  3. Beh, accidenti...mi è piaciuto molto questo tuo post 🙂
    In effetti il lavoro non deve occupare la totalità del nostro essere, io ad esempio provo tanta tristezza quando sento la gente che parla sempre di lavoro, "eh, guarda che lavoro fa quello, guadagna tot e tot", mi è appena successo per l'ennesima volta proprio oggi, avrei voluto essere altrove...
    purtroppo questi discorsi sono la norma...😑
    Poi è anche vero che un'opera creativa cambia tanto da quando nasce nella testa alla sua effettiva realizzazione, me ne accorgo anch'io con i miei fumetti, ed anche questo è un aspetto che sarebbe meglio se la gente in generale lo capisse di più, invece poi si guarda solo l'opera finita, certe sfumature rimangono per pochi...

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    1. Naturalmente la cosa cambia quando hai la possibilità di fare un lavoro che è anche una passione. Credo che in quel caso non interessi neanche quanto si guadagna. Da un certo punto di vista, in effetti, ho sempre desiderato non prendere soldi per ciò che scrivo, lasciare l’intenzione pura e il prodotto un dono...

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  4. Io ora vorrei che desse all'odierno Erode ciò che merita.

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    1. Per me l’odierno Erode sono i politici europei, gente che occupa posti che non merita... mentre la Russia è l’impero romano che vuole estendersi fino a mettere l’Europa sotto il suo ‘protettorato’...

      Comunque ho capito cosa intendi. Ieri ho offerto la messa per Vladimir Putin, ho letteralmente pregato per lui, perché Dio lo illumini, si converta, vada in Paradiso, come faccio per le persone a me più care. Gesù insegna a pregare per i nemici.
      Inoltre il libro dei Proverbi (cap. 25):
      Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare,
      se ha sete, dagli acqua da bere;
      perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo.

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  5. Sì, mi riconosco parecchio in molti concetti che descrivi in questo post: la bellezza di concepire un'idea, il piacere di elaborarla, la difficoltà materiale di materializzarla, un certo disappunto quando, realizzata, la vedi diversa da come ti pareva mentre la elaboravi mentalmente. E ciononostante non riesco a smettere di scrivere e creare storie. Non serve a granché perché io sono un dilettante e lo faccio solo per hobby, però... la verità è che senza questo hobby la mia vita sarebbe più vuota.

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    1. Credo che chiunque incontri a un dato momento il disappunto del constatare la differenza tra potenza e atto. Il vero artista, quale credo tu sia, non si ferma e anzi sfrutta l'arte in atto come modo per scoprire cose nuove.

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  6. Io , in un'altra vita, ero un'insegnante di scuola primaria. Io non ho mai inteso il mio lavoro solo come un modo per portare a casa la pagnotta. Certo anche questo, però ci ho messo tanto impegno perché avevo a che fare con bambini e genitori. Soprattutto ai bambini, ho cercato di trasmettere i valori nei quali credevo, oltre che le nozioni , spero ,almeno in parte, di esserci riuscita. Però anch'io avevo ed ho i miei hobby, che mi danno delle soddisfazioni. Una volta, amavo dipingere, appena potevo tiravo fuori pennelli e colori, mi rilassata molto.La scrittura è una bella passione, a me piace leggere ma scrivere no, son negata !!Per quanto riguarda la preghiera, recito le preghiere solite ma cerco più una formula, tipo colloquio personale . Ciao

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    1. Mi sono rassegnato ad avere la scrittura come hobby. Però la considero una sconfitta. Non dico che mi sento scrittore, già questo incasellarsi secondo me rovinerebbe la pratica, però mi piacerebbe creare con la scrittura qualcosa di bello.

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    2. Anonimo22/11/22

      "...creare con la scrittura qualcosa di bello"

      In qualche modo credo che tu ci sia già dentro questa creazione... chissà se un po consapevole già lo sei:)

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