Vivere di carità

Siccome non ho qualità, non suscito ammirazione. Si ammira ciò che è ammirabile, si ama ciò che è amabile.

Non ho queste cose. Intendo le amabili. Almeno, ne ho poche. Al momento non me ne viene in mente neanche una.
Siccome non ho nessuna cosa amabile, sono costretto a vivere di compassione.

La compassione è una forma di carità. La compassione a molti dà fastidio, come, appunto, la carità.

Ricevere carità significa che si è in basso. Nella fattispecie, se ricevo carità da qualcuno significa che quel qualcuno è più in alto.
L’esempio più banale… se ricevo un euro di elemosina significa che il qualcuno che lo dà è in partenza più in alto di me, avendo l’euro, mentre io sono più in basso, non avendolo.

Quante volte mi è capitato di ricevere negazioni anche solo mentre provavo a dire una parola buona a qualcuno che aveva subito un fatto brutto. Ad esempio un collega rientrato dal lavoro che aveva fatto un danno al furgone, o un incidente. Ho un collega che ha addirittura fatto un grosso incidente, restando ferito ed essendo stato portato in ospedale con l’elisoccorso, ed è rimasto a casa più di un mese, che da quando è tornato a momenti non parla con nessuno per non dover ricevere atti di compassione. Se si parla con lui, non si sfiora nemmeno l’argomento.

La carità non viene accolta. Eppure quanto è bello ricevere carità. La carità è il modo di agire principale di Dio. Carità significa dare. Ammettere carità significa ammettere di ricevere significa ammettere di non avere.

Ho imparato a vivere di carità. Se si è peccatori, poveri, deboli, vivere di carità significa anche vivere di misericordia.
Una persona può darci fastidio per i suoi difetti. Con essa, per superare il fastidio per i suoi difetti, possiamo usare misericordia.

Nel famoso episodio del lebbroso San Francesco dice che all’inizio aveva ripugnanza ad avvicinarsi al lebbroso. Poi però “usò misericordia” e imparò ad avvicinarsi.

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo. (Testamento, 110)

Non è colpa del lebbroso essere lebbroso, però spesso viviamo i difetti degli altri come qualcosa che ci dà fastidio, come l’avessero fatto apposta. È per questo che usare misericordia può essere un trucco per superare il fastidio. Perdonare un difetto, anche se non è una colpa.

Il mio confratello fa sempre il rumore di schiarirsi la gola mentre tira su col naso mentre preghiamo insieme… uso misericordia, lo perdono. Perdonare significa subire, tenersi il torto subito. Poi però ci si sente liberi, vengono eliminati rancore e risentimento. Ecco perché il giogo di Gesù è soave (Mt 11, 30). Farsi fare le cose, anche se sembra che gli altri ne approfittino. Lasciarsi fare le cose e lasciar correre… vera libertà. Si è in pace con gli altri e con se stessi. Si è liberi da sentimenti cattivi, odio e giudizio.

Oggi, solennità dell’Immacolata Concezione, è il compleanno di Alipietto, finisce 10 anni. Gli ho comprato La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl. Mi aveva chiesto una lavatrice in miniatura, ma pensavo di non essere in grado di trovarla. (Proprio ora, mentre scrivo, sono andato su internet e ho scoperto che su Amazon ne vendono una di 18 cm di altezza, prezzo 44 euro, l’ho comprata, gliela darò a Santa Lucia o Natale).

Non so se Alipio, nonno di Alipietto, sarà felice che gli darò la lavatrice in miniatura. Già ritiene sbagliato che Alipietto abbia la fissazione per le lavatrici.
Inoltre potrebbe considerarlo uno spreco di soldi. Alipio, da giovane, voleva entrare nella vita religiosa. Ha fatto esperienze alla Certosa di Farneta (LU), coi comboniani ed è persino stato in Francia, coi Piccoli Fratelli di Gesù fondati da Charles de Foucauld. Dopo un po’ che stava via subentrava in lui una sorta di tristezza, così gli è stato consigliato di tornare a casa e farsi una famiglia. Così ha fatto. Ha avuto sei figli. Il primo è il padre di Alipietto. Alipio ha lavorato tutta la vita come insegnante di Italiano alle medie. Quando è andato in pensione si è messo a fare le pulizie di tre condomini con un paio di pakistani. Oggi, che ha 78 anni, va in bicicletta come un missile.
Ammiro Alipio come poche altre persone e penso sia un santo.

Dopo le esperienze nella vita religiosa e dopo essere tornato a casa, aveva un gran desiderio di vivere una vita di carità. Voleva aiutare gli stranieri che arrivavano in Italia. Ha parlato di questo desiderio a un vescovo e ha ricevuto la benedizione: “Fa’ come ti ispira il cuore”.

Da qui nasce il dilemma di come vive Alipio, specialmente nei riguardi della propria famiglia. Ha fatto talmente tante opere di carità – e continua a farle, coi soldi della pensione – che tiene la famiglia in uno stato di indigenza. In casa con sé ha ancora tre figli. Due sono invalidi civili (psichiatrici) e godono di una piccola pensione di invalidità. Il terzo faceva il camionista ma non lavora da quattro anni.

Al di là dei figli invalidi… verso i quali diciamo la responsabilità è ridotta, ma verso la moglie? Il suo caso mi fa venire in mente quello di Lev Nikolaevič Tolstoj. Ricordo di aver letto il diario della moglie Sofja. Tolstoj da vecchio voleva donare, non ricordo a chi, forse allo stato, i diritti d’autore ricavati dalle sue opere. La moglie Sofja voleva opporsi, perché già erano poveri, e in più c’erano i figli da mantenere dopo la morte dello scrittore. Era contraria a queste forme di carità esagerata.

La moglie di Alipio una volta mi ha preso da parte e mi ha chiesto di parlare con Alipio per convincerlo a smettere di dare soldi a stranieri, in particolare a un rom che secondo lei approfitta.
La moglie di Alipio è anziana e non cammina, è mezza cieca per via delle cataratte, ha bisogno di cure ma deve sempre aspettare mesi perché non hanno abbastanza soldi per fare le visite a pagamento.

La vita di Alipio per me è un dilemma. Capisco la volontà di vivere di carità, nel senso di farla. Capisco la volontà di santificarsi dando. Però credo anche che, se ti sei fatto una famiglia, abbia responsabilità anche verso essa. Anzi, hai responsabilità innanzitutto verso la famiglia, già ciò che fai per loro è una forma di carità, perché è un dare senza contraccambio. Poi, se vuoi, se avanza qualcosa, puoi dare anche ad altri. Ma tenere la famiglia in stato di indigenza per dare ad altri, non lo trovo giusto, ed è un dilemma. La vita di Alipio per me è un dilemma, come lo è quella di Tolstoj.
E sì che ammiro Alipio come poche altre persone e penso sia un santo.

13 commenti:

  1. É un concetto poco romantico, ma che da pragmatico quale sono condivido in pieno. Nel momento in cui ti prendi la responsabilità di avere una famiglia, chi ne fa parte deve venire prima degli altri. Se la cosa ti sembra egoistica, se vuoi dare a tutti allo stesso modo, allora è meglio che tu non ti crei una famiglia e fai volontariato e carità verso il tuo prossimo, magari anche a tuo stesso discapito poiché se devi rendere conto solo a te stesso puoi fare come credi. Ma se ci sono di mezzo un coniuge e dei figli non è più la stessa cosa. Quanto meno dovresti chiedere la loro opinione, e se ti dicono di "no" devi fare come ti chiedono, perché il loro non è egoismo, è la legittima richiesta di chi non ha chiesto di venire al mondo ma ci si trova per tua scelta o comunque per tua responsabilità.

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    1. La penso esattamente come te.
      Si dice che la famiglia sia il primo luogo in cui viene praticata la carità, poiché i piccoli, non avendo nulla e non essendo capaci di nulla, sono costretti a dipendere da qualcun altro senza essere in grado di restituire.
      È vero che c’è chi dice: “Restituiranno in futuro, quando i genitori saranno vecchi”. Ma la realtà è che nessuno conosce il futuro, e persino le migliori intenzioni possono andare in fumo.
      Dico ciò per dire che, appunto, se ti sei formato una famiglia hai già un luogo dove praticare la carità e, se hai tanti figli, dove praticarla in abbondanza.
      È per questo che ammiro Alipio, ma penso possa aver fatto delle scelte sbagliate ogni tanto. Di fatto, è stato rimproverato dal suo direttore spirituale e da vari sacerdoti, ma lui ha sempre tenuto duro sulla sua linea.

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  2. bèh, certo, oggi è una grande responsabilità mettere al mondo altri esseri umani ed è per questo che i morti di fame nei bobboli più progrediti non figliano, ma preferiscono svagarsi o sniffare. Per fortuna che poi ci sono i bobboli non progrediti a fornirci le braccia, altrimenti come faremmo NOI acculturati a sopportare questo bieco passaggio terreno

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    1. Se proprio dobbiamo essere cinici, la carne è debole e uno degli svaghi preferiti di morti di fame è quello di guzzare, da cui risulta come è logico il figliare. Altrettanto non fanno gli acculturati, ai quali il sesso dà noia, quindi la popolazione mondiale sarà sempre meno dotata di cultura, mancando gli acculturati.

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  3. Alipio dovrebbe essere affiancato dai servizi sociali, per evitare che le risorse dei suoi figli, sicuramente avranno una pensioncina-ina, vengano gestite da lui e finiscano nel calderone dell'aiuto agli stranieri.

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    1. Per quanto ne so Alipio non tocca la pensione dei figli, però quando la moglie mi prese da parte per chiedermi di intervenire fu perché aveva paura che attingesse alla sua pensione per dare al rom, la cui moglie era finita in prigione e bisognava tirarla fuori. Alipio si fa abbindolare, sostiene la moglie.

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  4. Dubito fortemente che tu non abbia qualità.
    Magari non le sai vedere ;) o le nascondi troppo bene.

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    1. No no guarda, è proprio una situazione drammatica. Le mie povertà sono qualcosa di raramente visto. Conosco la parabola dei talenti, quindi so che i talenti vanno fatti fruttare e non nascosti. È proprio che i miei non li trovo. Terribile. È vero che ci sono tanti palloni gonfiati in giro, ma il confronto con gli altri è per me quotidianamente fonte di verità amare su me stesso.

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  5. "Al di là dei figli invalidi… verso i quali diciamo la responsabilità è ridotta". Non l'ho capita. Semmai dovrebbe essere moltiplicata. Comunque se fossi la moglie, lo farei interdire, altro che santo..

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    1. I figli invalidi, psichiatrici, sono adulti e ormai a carico dello stato con le loro pensioncine. Credo sia questo, almeno, il suo modo di vedere. La moglie in effetti è ormai anziana e piuttosto impotente. Ma credo che in passato abbia acconsentito.

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  6. Ho sempre pensato di operare prima a beneficio della mia famiglia e poi dedicarmi agli ALTRI, per i quali non provo compassione ma tenerezza. Io ho una figlia e per averla messa al mondo mi sentirò responsabile fino alla fine della mia vita! Buona settimana, un caro saluto. Angela

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  7. beh, trovarsi di fronte ad un lebbroso non deve essere un'esperienza piacevolissima, lo posso capire San Francesco che in un primo momento tentennava...😄

    PS... Ho 2 bibbie a casa e mi sono accorto, per caso, di una differenza... il libro di Ecclesiastico in una edizione ha più di 50 capitoli, nell'altra ne ha molti di meno... 😯 com'è possibile?

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    1. ...ho trovato la risposta alla mia domanda, vediamo se posso farci un video per il mio canale YouTube...ciao 👍

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