Commento a Cammino di perfezione, capp. 10-16

p. 58 (cap. 10): “chi perviene a questo grado”, “per belli che siano (…) dilettino la vista”.

S. Teresa riconosce che ci può essere bellezza nei corpi e il senso attraverso cui questa bellezza è percepita (vista). Riconosce poi che la bellezza delle cose create è: “motivo per lodare il Creatore”. Il creato, cioè, è bello nel complesso per il fatto di essere opera di Dio; inoltre, nel creato ci sono cose che partecipano della bellezza (bello in sé) più di altre. I corpi umani sono solo alcuni corpi, corpi particolari, ma qualsiasi oggetto della natura può essere ammirato dalla vista se dotato di bellezza (armonioso, proporzionato, ordinato, ecc.). S. Teresa mostra di essere consapevole, anche se non si sa quanto formalmente, dell’esistenza di una scala del bello, della quale i corpi materiali, terreni, creati, fisici, ecc. con la loro possibilità di essere belli non rappresentano che i gradini iniziali. Così come le cose spirituali sono più importanti di quelle materiali (l’anima del corpo), così i belli a esse relativi. Sulla scala del bello i posti più alti sono occupati da belli generali più che particolari e da belli relativi all’anima più che al corpo.

Così, un’anima bella è più amabile, ossia più degna di amore, di un corpo bello. S. Teresa passa poi a descrivere cosa significa avere un’anima bella, per mettere le monache in condizioni di riconoscere tale anima e sapere così come comportarsi con le persone, quali sono degne di un certo tipo di amore (devozionale) quali di altro (caritatevole).
Naturalmente le caratterizzazioni della santa sono tentativi di scienza in cui tutti possono e dovrebbero cimentarsi, in quanto la ricerca di ciò che è bello nel campo delle anime, delle azioni umane e dell’invisibile è l’impresa più ardua e allo stesso tempo più elevata. Passare tutta la vita a indagare sul bello, in tutte le sue forme, è la migliore delle occupazioni e una strada che porta a Dio, ossia a vedere (contemplare, perché “conoscere” è termine qui inappropriato) il bello in sé, il Creatore di tutti i belli, ciò che fa bella ciascuna cosa bella, Colui senza il quale niente di ciò che è bello è bello, ecc.

§2. Coloro che amano il bello terreno (dei corpi) sono spesso accusati di meschinità. Ma non vanno accusati superficialmente. L’impulso che li porta ad amare il bello è buono. È pur sempre: “il grande e astuto Eros” (Simposio). Tutte le persone sono amanti del bello. Quelle che lo sono in modo più intenso ne sono i più grandi seguaci e sono colmi di doti che dovranno portarli a grandi risultati, a cose felici e all’amore per Dio, il Bello per eccellenza. Con altra terminologia potremmo dire che i seguaci del bello sono cari agli dèi.
Il problema, però, sorge quando si fermano al bello materiale, terreno, corporeo, ecc. Bisogna educarli a salire sulla scala del bello, cosa che comporta imparare a riconoscere e ammirare il bello dell’anima e quindi innanzitutto le belle scienze e ciò che da esse discende, come le belle attività umane.
Coloro che sono portati al bello e tendono al bello sono infatti coloro che per natura sono dotati della condizione più favorevole per arrivare a contemplare, dopo un’adeguata e faticosa ricerca su tutte le forme di bello, materiali e spirituali, il bello in sé, che è Dio.
È errato quindi accusare categoricamente coloro che amano la bellezza dei corpi. Bisogna riconoscere che il loro amore per il bello ha radici più profonde e obiettivi più alti e che loro sono semplicemente, più o meno consapevolmente, a uno stadio precoce della contemplazione del bello. Semmai vanno commiserati e sollecitati a non fermarsi al bello percepibile, terreno, come uno, ad esempio, che intraprende la carriera di critico d’arte, ma a proseguire sulla scala e a spingersi nella ricerca e nella determinazione di altri belli. Istruiti in primo luogo sulla differenza tra anima e corpo e sulla preminenza di questa su quello, giungeranno a occuparsi soprattutto di belli spirituali.

p. 59, S. Teresa ha grande scienza e in ciò è davvero persona divina, lo si capisce quando dice cose come “vanno al di là del corpo”. Sa che ciò che è amabile nell’anima è più importante di ciò che è amabile nel corpo; capisce la predisposizione per il bello di coloro che “restano turbati” (Simposio) dalle bellezze terrene e invece di accusarli di meschinità li commisera e li esorta a concentrarsi su ciò che di amabile si può trovare nell’anima piuttosto che nel corpo e in base a ciò eleggere amici, favoriti e congiunti. Loda coloro che hanno capito ciò e, seguendo le tracce del bello, “vanno al di là del corpo”.
“scavando, troveranno oro”: quando si trova un’anima bella per natura, ovvero “non priva di doti” (Simposio), cosa può e deve fare colui che l’ha riconosciuta per incrementarla e migliorarla, per mettere a frutto le doti? Amare un’anima siffatta in modo degno consiste nel contribuire alla sua crescita, portando a compimento i beni di cui è dotata.

§3 (p. 59): “stabili”: carenza di S. Teresa (mi perdoni! E Dio mi aiuti a non dire empietà): chiama “stabili” le cose solide, cioè suppongo il termine “stabili” le venga proprio dalla consistenza concreta del mondo fisico, per cui si è anche portati a pensare che una cosa che si può toccare è certa e sicura (ad es. la bellezza di una persona, la ricchezza, ecc.). Ma la verità è che la realtà materiale, in quanto generata ha nascita e avendo nascita ha anche morte e tra nascita e morte ha corruzione, ossia degenerazione, ossia costante cambiamento. Il mondo fisico, fenomenico, materiale, terreno, ecc. è quello soggetto a divenire e pertanto instabile (e inconoscibile). Tutto ciò che si percepisce coi sensi non è in realtà né stabile né conoscibile. Solo ciò che è eterno può essere veramente bello sempre, e perfetto, quindi amabile e conoscibile. Qui S. Teresa usa il termine: “stabile” in modo, direi, filosoficamente non rigoroso. Vuole dire che si è illusi dalle cose che si toccano (“ciò che vedono (…), ciò che odono”) che proprio in quanto tali sembrano stabili perché più concrete e anche più evidenti, pertanto si tende ad attaccarsi a esse e si è portati ad amarle non sapendo che in realtà sono effimere, mentre le cose più degne d’amore sono quelle relative all’invisibile (che è fuori dalla presa della percezione).

Seconda parte di §3; §4: quando un’anima pur dotata non ha come obiettivo finale Dio. Discorso specificamente teresiano in quanto fatto a monache, le quali per la scelta che hanno fatto sono vincolate ad abbandonare un amore anche per un’anima molto cara se questa non mostra di avere come fine il loro stesso fine che è Dio. Qui S. Teresa dà una sorta di consiglio personale alle monache che trovano un’anima che seppur ben dotata non ha amore esclusivo per Dio. Con costoro, a meno che non si riesca a istigare in loro tale amore, suggerisce di non allacciare quel tipo di rapporto e di non perseverare, dato che i componenti di questo tipo di amore alla lunga: “dovranno andare in parti diverse”. In tali rapporti non si può arrivare all’amore perfetto.

Cap. 11, sottotitolo: “L’essere amati di tale amore è cosa sublime”; “tale amore”: l’amore perfetto, quello che innanzituto è passato dal corpo all’anima e che inoltre è per un’anima che ama Dio; “è cosa sublime”: per i beni che porta all’amato per via che coloro che amano in tal modo: “non tralasciano di far nulla per il profitto di chi amano; sarebbero pronte a sacrificare mille volte la vita per un minimo vantaggio dell’altra anima” (p. 59); in sostanza per tirar fuori quell’oro che si può tirar fuori scavando (§3).

[Ecco perché ultimamente mi viene da lasciar perdere amicizie e rapporti con coloro che magari ho amato o riconosco essere meritevoli quando vedo che non hanno passione per Dio. Non che voglia dimenticarle; verso di loro però mi viene da assumere un atteggiamento di distacco, non di amicizia devota, sottomessa; mi sento verso di loro benevolente ma in senso paterno. È probabilmente perché capisco che: “dovranno andare in parti diverse” e: “sanno di doverla abbandonare” (p. 59); “non ci si vuole attaccare a qualcosa che in un soffio sfugge di tra le mani senza che si possa trattenerla” (p. 60); ciò che capita quando l’amicizia non è fondata su Dio. Soprattutto pensando a quest’ultima frase, mi rendo conto che probabilmente ho sempre avuto questo atteggiamento verso coloro che chiamavo amici. Ciò è cambiato da quando ho conosciuto Dio, che è come dire che solo Dio permette di avere amici veri.]

Cap. 11, §1 (p. 60): fin qui, S. Teresa ha presentato tre tipi di amore:

1. amore cattivo (“Da questi ci liberi Dio”: §2).“disastrosi e insignificanti amoruzzi della terra”: indirizzati al corpo e: “alle cose del mondo, piaceri, delizie, onori, ricchezze, avrà qualche valore il fatto che uno sia ricco o possa offrire passatempi e distrazioni” (cap. 10, §4).
2. o a qualcuno che “non ama molto Dio” e da cui perciò ci si dovrà separare (cap. 10, §3).
3. amore perfetto: diretto a un’anima ricca di doti e che ama Dio sopra tutto e finalizzato alla crescita della stessa, al “vedere quell’anima ricca di beni celesti” (p. 60).

§2, amore cattivo: “temere che la persona amata muoia”. Egoistico. Si ha paura della mancanza che se ne avrebbe. (Ad es. amici di Socrate che il giorno dell’esecuzione piangono pensando sopratutto alla propria perdita e lui li rimprovera benevolmente; v. Fedone). Per questo ci si preoccupa delle sofferenze della persona.

Invece nell’amore perfetto, essendo la preoccupazione solo il raggiungimento della virtù da parte dell’altra anima, le sofferenze della persona si vedono come prove e pertanto non fanno soffrire, ma rallegrano perché le si sa cariche di frutti.
Le pene che ci si dà per il raggiungimento della virtù da parte dell’altra anima sono buone, vedi cap. 11, §1: “quante lacrime costa, quante penitenze e preghiere, quante [sollecitudini] nel raccomandare la persona amata a tutti coloro che si pensa possano giovarle. È una preoccupazione continua e un tormento assillante. Quando poi, nonostante sia parso di notare un miglioramento, la si vede tornare indietro, sembra che non si possa godere più di alcuna gioia in questa vita; non si mangia più né si dorme con questa preoccupazione”).

(19-10-2011)

19 commenti:

  1. Insomma, restiamocene da soli - sempre che abbiamo capito qual'è l'unico Amore cui rendere tempo e devozione - che tanto a tutti gli altri, un difetto glielo si trova, nell'amore o nel dolore.

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    1. Cammino di perfezione è un testo interno, a uso e consumo delle monache che entravano nei monasteri che Santa Teresa fondava e che ricevevano formazione. A costoro, il consiglio era lasciar perdere le amicizie cosiddette del mondo, che avevano prima di entrare in monastero e coltivare, invece, per lettera o in parlatorio, quelle dove anche l’altra persona aveva come fine Dio. A chi legge il testo e non è un monaco direi che le altre relazioni non sono certo da evitare, anzi, però si abbia verso esse un atteggiamento di carità, non di desiderio. Ovvio, inoltre, che chi ha famiglia mette i suoi prima degli altri. Chi si dà alla vita consacrata, invece, deve diminuire l’amore per il singolo al fine di aumentare l’amore verso tutti. Padre Pio, a chi andava a visitarlo e pretendeva rapporti esclusivi, diceva: “Padre Pio non è di nessuno, poiché è di tutti”.

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  2. Credo che l'amore sincero, anche se non proprio perfetto e spirituale, anche se carnale oltre che sentimentale, sia salvifico per gli esseri umani. Non che mi permetta di criticare Santa Teresa, ci mancherebbe, ma non penso che esista la perfezione in amore, solo diversi tipi di imperfezioni che però rendono la vita più piena.

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    1. È significativo ciò che dici, spesso come esempio di umanità di Gesù si cita il cosiddetto passo della samaritana, dove Gesù al pozzo chiede acqua; anche lui aveva bisogni carnali e anche lui chiedeva quando aveva bisogno. Credo che in ogni relazione tra umani ci sia un misto di amore che chiede e amore che dà, in alternanza. Credo che Santa Teresa voglia insegnare il distacco, virtù necessaria per non essere dominati dalle passioni. Il termine: “amore perfetto” è coniato da lei, credo significhi non tanto che è perfetto, semplicemente il più alto in un’ipotetica gerarchia. È non un desiderio egoistico ma la volontà di far raggiungere all’altro la massima felicità.

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  3. questi e tanti altri scritti comunque andrebbero aggiornati, perchè gli anni passano ed i bobboli evolvono, pensa le sofferenze odierne, i media, i follower, i pargoli col cellulare, i gender, etc

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    1. Ho ascoltato più volte discussioni sul tema: “Come reagirebbe Santa Teresa al mondo d’oggi?”. Anche al suo tempo c’erano guerre in corso e soprattutto l’Inquisizione e Lutero, problemi interni alla Chiesa. Ciò che posso fare io, dal monastero, diceva, è pregare e offrire la mia vita perché Dio cambi queste situazioni.

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  4. Passare tutta la vita a indagare sul bello, in tutte le sue forme, è la migliore delle occupazioni [...] :) concordo!

    Mi sono letta il post e lo sto "digerendo"... ci sono molti spunti.

    Però di base mi viene da dire: l'anima di un'altra persona non la potrai mai conoscere. La puoi intuire, ma visto che è "invisibile" non puoi averne una "esperienza" diretta. Tramite la conoscenza reciproca e continuativa dell'altra persona, puoi intuire come possa essere la sua anima, ma non potrai mai avere una conoscenza "completa". Forse, non si può conoscere nemmeno la propria, di anima.

    Sempre interessante leggere i tuoi post!
    Buona serata!

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    1. Questa, direi, è proprio la cosa più difficile da far credere allo scienziato, abituato a osservare l’universo nella sua componente visibile.

      Il mondo fisico è conoscibile grazie agli strumenti di misurazione, non attraverso i sensi. L’uomo, da solo, non avrebbe capacità di produrre null’altro che opinione sul mondo fisico, poiché è molteplice e mutevole.

      Solo gli in sé (bello in sé, giustizia in sé, uomo in sé, albero in sé, legno in sé, ecc.) sono conoscibili, in quanto ciascuno è unico e immutabile.

      Il mondo fisico è percepibile e inconoscibile, il mondo degli in sé non è percepibile ma coglibile dall’intelletto, pensabile.

      Aristotele, in Metafisica, fa una gerarchia delle conoscenze in base alla precisione e dice che la filosofia prima, l’ontologia, praticabile tramite il logos o dialettica, che stabilisce cosa ciascun ente è in sé e rispetto agli altri enti, è la più precisa. Poi viene la matematica con geometria e stereometria (scienza dei solidi), poi la conoscenza del mondo fisico in sé, poi quella del mondo fisico attraverso l’applicazione della matematica, ossia della misurazione. Questa è l’empiria e per Aristotele ha solo un certo grado di precisione (penso al principio di indeterminazione e similari).

      L’anima è conoscibile proprio perché invisibile, non il contrario. Usando le parole si possono conoscere sia le singole anime (psicanalisi), sia cos’è l’anima in sé in rapporto agli altri enti dell’universo.

      Grazie come sempre, ciao!

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  5. Il mondo fisico è conoscibile grazie agli strumenti di misurazione, non attraverso i sensi. Vero, in quanto gli strumenti di misura ti danno un numero (e la relativa incertezza intrinseca nel processo di misura). Ma l'uomo, con i propri sensi, è testimone del fenomeno fisico (ok, quando è in scala macroscopica, o viene "portato" a scala macroscopica con strumenti appositi tipo lente di ingrandimento, microscopio etc). Però il "modello", la "teoria", è fatta dall'uomo. Senza modello le misure sono un'accozzaglia di dati senza senso intrinseco, è quando sono organizzati che "hanno un significato".

    In realtà, non esiste (come in informatica) l'oggetto "uomo" o "albero" etc etc, ma ne esistono varie "istanze" (ovvero, tutti i diversi individui uomini, tutti i diversi singoli alberi) e il fatto di "astrarre" al concetto "in sè" è qualcosa che l'uomo fa per "semplicità". Dentro di me, non credo che (fisicamente) esista il concetto di uomo, albero, etc. Sono definizioni/classificazioni che l'uomo ha creato.

    Riguardo la parola per conoscere l'anima: la parola è un veicolo ma è fallace. Mentre scriviamo e comunichiamo, sono sicura che capiamo la quasi totalità delle cose scritte, ma è possibile che certe cose non siano capite per il fatto che la lingua non è assolutamente fissa e universale (come, per esempio, un linguaggio di programmazione), ma è qualcosa di più fluido, soggetto a cambiamenti nel tempo, e soggetto a sottili ambiguità (volute o accidentali).
    Inoltre, bisogna sempre sperare che, in psicanalisi, le persone dicano "il vero". Ma anche lì ci si scontra con la natura e il funzionamento stesso (intrinseco) del cervello umano, che a volte "fabbrica" dettagli o ricordi (devo trovare un testo che spieghi questo bene).

    Comunque Aristotele era un signor fisico :) Il grado di precisione non è solo nel principio di indeterminazione (che è citato riferito alla meccanica quantistica) ma è intrinseco in ogni misura. Se misuri un chiodo con un metro con solo divisioni di un centimetro, puoi scrivere qualcosa come 2 cm (errore +- 1 cm, precisione: 50%).
    Se invece misuri con un righello con tacche da 1 mm, puoi scrivere per esempio 2,4 cm (errore 1 mm, precisione ~5%). Se invece hai un calibro che ti misura i decimi di millimetro, puoi scrivere 2,42 cm (errore 0.1 mm, precisione ~0.5%).
    Quindi: ogni strumento ha il suo "errore", e non puoi scendere sotto quell'errore nella singola misura. Questa è una base importantissima per la fisica, le scienze applicate in genere, e l'ingegneria. Tipo se fai i calcoli per costruire una casa devi essere sicuro di quanto devono essere i muri etc affinché non crolli. E i conti si fanno applicando la teoria degli errori (in aggiunta alle conoscenze specifiche del tema, tipo, non fai i muri di gelatina o altro, ma con mattoni o cemento)

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    1. Nonostante possa sembrare che all’inizio porre gli in sé sia prodotto umano, si è poi scoperto che l’intuizione era buona, non sono una produzione umana ma enti realmente esistenti, invisibili, pensabili e precedenti al mondo fisico. Le cose invisibili e intelligibili sono precedenti a quelle fisiche, queste sono generate da quelle.

      Il primo verso del Vangelo di Giovanni è: “In principio era il logos”. Possiamo tradurre logos, oltre che con ‘verbo’, anche con ‘ragione’. La stessa razionalità che sottende l’universo e che osservi con gli strumenti di misurazione è quella che sottende anche il linguaggio.

      So che i miei studi di Scienze della Comunicazione sono poco importanti e inoltre sono stati interrotti, ma con semiotica, filosofia del linguaggio, logica, linguistica e affini ho maturato una grande fede nelle proprietà del linguaggio.

      Per quanto riguarda la possibilità di mentire durante una seduta psicanalitica, trovo che non sia una prova della potenza di verità della parola. “Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (Lc 12, 2).

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  6. Nonostante la mia fede e la mia religiosità attiva, non riesco a penetrare nella scelta di una donna che vuole farsi suora (non parliamo di quelle di clausura). La vocazione è un dono talmente raro, difficile da trovare nelle vite dei giovani e la donna che rinuncia a tante belle esperienze, di relazione, di incontro, mi crea un sincero disagio. Eppure ci sono state grandi donne che hanno preso i voti e reso ancora più bella e tangibile la parola di Dio. Santa Teresa che citi è un esempio.
    Capisco anche ciò che dici a proposito delle amicizie che non condividono con te la fede in Dio: pensa io sono circondata da persone che non credono o hanno un modo diverso dal mio di credere. Rinunciare a loro significherebbe rimanere totalmente sola :)

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    1. Quando mi sono fatto frate avevo alle spalle una vocazione monacale e un paio di esperienze presso i certosini, praticamente gli unici (assieme ai trappisti) a vivere la clausura maschile. L’idea mi ha sempre fatto gola. A quei tempi, però, conoscevo poco il Vangelo. La mia è una vocazione tardiva, vengo da una famiglia non credente e non praticante. Volevo fare il salto diretto al monastero ma non avevo idea di cosa significa essere cristiano. Ho dovuto fare esperienza. L’Immacolata mi ha chiamato alla comunità kolbiana in cui poi sono stato. Il maestro dei novizi era un frate di sei o sette anni più giovane che, oltre a essere consacrato in quella comunità francescana, era (ed è tutt’oggi) membro, come giovane consacrato, del Movimento dei Focolari. Devo ammettere che nella pratica è stato lui a insegnarmi il Vangelo, quasi più di San Francesco con le sue ascesi e il lasciare il mondo. Ho anche visitato Loppiano. È stato il contatto col Movimento dei Focolari a farmi capire il significato della frase di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Chiara Lubich aveva anche qualche parola duretta verso la vita claustrale. Diceva: “la nostra clausura è il fratello” e invitava a: “morire per il fratello ogni giorno”.

      Siamo tutti in cammino e non possiamo mai dire di essere arrivati, c’è sempre possibilità di crescere nel cammino di perfezione, di divenire più santi. Ci sono tante vie; come diceva la stessa Chiara Lubich quando fondava il movimento, ciascuna realtà di vita consacrata è incarnazione di una parola del Vangelo; Madre Teresa la dedizione ai poveri; Don Bosco la vicinanza ai bambini; i monaci il deserto; i francescani la povertà; i focolarini l’unità; ecc. Chi sceglie una via, se questa è stata confermata dallo Spirito Santo col durare e essere feconda nella Chiesa, in quella via può santificarsi. Concedimi di dire che matrimonio e famiglia, mia modesta opinione, sono da sempre via sicura.

      In te vedo una persona che è stata cristiana tutta la vita e da cristiana ha vissuto. Non penso ci sia bisogno, per te, degli insegnamenti di Santa Teresa d’Avila. Per quanto riguarda gli amici, forse è proprio perché la mia fede è recente ho sempre avuto bisogno di circondarmi di persone che potessero aiutarmi a crescere in essa piuttosto che qualcuno che la contestava o metteva in dubbio. Oggi sono più saldo e ho meno bisogno di ciò; trovo comunque che fatico a trovare argomenti di conversazione con chi non ha Dio al primo posto, non so se sono stati gli scritti di Santa Teresa o se a un certo punto viene naturale...

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    2. Rimango sempre affascinata dalla tua esperienza in campo religioso. Se tu ne scrivessi un'autobiografia, io la leggerei :)

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  7. La prima cosa che notiamo, in una persona è la bellezza fisica ma, da sola, non basta. Ci vogliono anche la bellezza dell'anima , la dolcezza del carattere, la sincerità, l'onestà.., tante qualità che ci fanno amare le persone che incontriamo. La bellezza in generale, la bellezza della natura, di un paesaggio... sono ciò che cerco e che mi rallegrano l'animo. Ciao Filippo.

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    1. Ciao Mirtillo, so che sei amante della bellezza, sei sempre in giro alla sua ricerca e diletti sempre con le tue foto! Ti auguro di individuare nel tuo cuore gradi sempre maggiori di essa, fino alla contemplazione del bello in sé.

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  8. amo l'effimero che muta.
    e io con lui.
    ciao (non ne farei una questione di gradi, nel grande disegno della vita e dell'amore)

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    1. Un mio modello di costanza è il sole, divino essere che non delude mai ma che ogni giorno fa la grazia di sorgere su giusti e ingiusti; putroppo solo raramente riesco a imitarlo.

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    2. suggerisco una certa coerenza in luogo dell'ambiziosa costanza :)
      lieto giorno

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