Identità e spersonalizzazione

Una cosa che succede sul posto di lavoro dove lavoro io è il chi parla con chi. Si formano gruppetti. Mi ricorda il cortile allʼintervallo di quando andavo alle superiori. Quelli con cui stavi, quelli con cui ti facevi vedere, era tutto ciò che contava. Oggi tutto si ripropone sul posto di lavoro. Quei tempi non sono finiti. Gli anni del liceo, che ho sempre considerato i più bui della mia vita, non sono finiti. Continuano anche oggi. E poi cʼè chi dice che non vuole liberarsi del passato.

Ma magari fossi senza passato, magari fossi senza identità. Magari fossi spersonalizzato. La spersonalizzazione è ciò a cui ho sempre puntato. Non essere io. Non avere gusti. Non avere preferenze. Le nostre preferenze, i nostri bisogni, fanno male alle altre persone.

Avere pensieri che siano sempre e solo eterni, e mai il frutto di una qualche percezione sensoriale legata alla persona.

Non so, è di certo dalla tradizione buddista – nella quale per un periodo mi sono immerso – che ricavo questo tipo di obbiettivo.

Nella tradizione cristiana i santi che sono in Paradiso sono le stesse persone che erano sulla terra. Eppure questa tradizione da dove deriva? Da Dante. Ce lʼho un poʼ su con Dante. Capisco lʼimpresa mastodontica, inarrivabile, che ha compiuto nella sua vita. Ma non mi piace il suo verseggiare incatenato e asfissiante.
Il vero verseggiare è quello dellʼIliade, dellʼOdissea. Esametri. Verseggiatura tonica, cioè basata sul numero degli accenti, non sul numero delle sillabe. Che prigione che è la Divina Commedia. Senza respiro. La libertà degli esametri, al posto di esasillabi è vera poesia. Sarà stato un grande studioso, ma Dante non è altro che un rimasticatore.

Io vedo il Paradiso come una liberazione dalla personalità, dallʼidentità. Da tutte quelle cose che rendono limitati, deboli, fallibili. Il viaggio verso il Paradiso è una purificazione, sicuramente lo vedo così perché ho letto Platone. Ciò che rimane di noi in Paradiso è il meglio, non il peggio. I gusti, le preferenze, ciò che ci rende limitati e umani li perdiamo, se andiamo in Paradiso. Resta solo ciò che è eterno. Quanti pensieri eterni siamo stati in grado di pensare? Quante opere eterne siamo stati in grado di produrre e lasciare? Sono queste che identificano in Paradiso. Quaggiù lasciamo tutto ciò che è terreno, transitorio, ciò che non entra in cielo.
La vita eterna è fatta sì della risurrezione del nostro corpo, ma come dice Gesù in Paradiso non si prende moglie né marito perché si è come angeli. Ciò significa che se il nostro corpo risorge in Paradiso non è certo uguale a quando è quaggiù. Quando siamo quaggiù siamo forse in Paradiso? No. E allora il nostro corpo, con tutte le sue limitazioni, non risorge uguale.

Non so. Al momento non mi sento in grado di portare avanti questo discorso.
Ciò che è certo è che vedo la personalizzazione come qualcosa di negativo. Mentre vedo la spersonalizzazione come qualcosa di positivo.

Eppure Dio è una persona. Con un corpo. Delle mani. Delle gambe. Avrà avuto dei gusti. Gli saranno piaciuti di più i cosciotti di agnello o i cosciotti di pollo? Il pane o il pesce?
Eppure il Risorto per me non dovrebbe più porsi questi problemi.
Il fatto è che secondo me lui non se li poneva nemmeno prima.

Se entriamo in Paradiso, siamo privi di paure, angosce e altre tentazioni. Resta di noi solo ciò che è immortale. Perdiamo tutto ciò che è mortale.
La carne che risorge non è più come quando era sulla terra.

Una cosa è certa. I santi in Paradiso sono persone ben precise. Si sono guadagnati il diritto di mantenere quella persona anche in cielo.

Ma se io disprezzo così tanto chi sono e come sono, come posso volere essere così anche in Paradiso?

Significa o che non andrò in cielo così come sono e che devo cambiare, o che ho unʼerronea concezione di me stesso. Magari fosse vera la seconda. Di certo, non posso sapere come mi vede Dio.

Una cosa certa che so è che i santi erano amati anche in vita, da tante persone. Io non sono amato da tante persone.

Tutte indicazioni che non adrò in Paradiso, magari non allʼinferno, però almeno in purgatorio.
Questioni come questa mi preoccupano assai. So che lʼobbiettivo della vita di ciascun uomo è andare in Paradiso. Per farlo bisogna fare la volontà di Dio. Oppure essere perdonati da lui allʼultimo, perché nulla è impossibile a Dio.

Mi chiedo come è in Paradiso il ladrone salvato in extremis da Gesù. Che identità ha? Di certo non sta nello stesso cielo di San Tommaso dʼAquino, o di chissà quale altro santo. È in un cielo inferiore.
Possiamo dire che il ladrone è entrato in Paradiso per il rotto della cuffia, e sta nelle parti più basse di esso? La sua vita è pur sempre stata quella di un criminale, con un pentimento finale.

Tutto questo discorso lʼho fatto perché credo che lʼentrata nella vita eterna sia come lʼentrata nel presente. Possiamo sperimentare su questa terra la vita eterna se riusciamo a sperimentare la vita nel presente. Nella vita nel presente non esistono né passato né futuro. Per questo la vedo come una spersonalizzazione. Tutto qua.

Secondo me è ragionevole dire – se tutto questo discorso ha senso – che è più in alto in Paradiso chi è riuscito a restare più anonimo. Cosa sappiamo dei tre angeli che si sono presentati alla tenda di Abramo? Nulla. Eppure probabilmente erano Michele, Gabriele e Raffaele, i tre più in alto tra le schiere angeliche. Questi tre angeli non si sono forse personificati in persone diverse nella Scrittura? (Questo è da verificare).
Può darsi anzi che il grande lavoro lasciato da San Tommaso dʼAquino lo appesantisca e lo faccia essere più in basso rispetto ad altre realtà angeliche. Perché il suo grande lavoro è una grande personalizzazione. Checché ne dica Dante e ovunque Dante abbia deciso di metterlo.

Chi riceve riconoscimenti sulla terra non ha già ricevuto la sua ricompensa?
Invece Lazzaro lʼappestato non sta forse accanto ad Abramo?

Tante questioni che non so risolvere.

8 commenti:

  1. In effetti, tante questioni che nessuno può risolvere..siamo nel puro campo delle illazioni; io ad esempio credo che il paradiso sia qui, e pure l'inferno. Potremmo morire e basta. Stop. Fine di tutto. E' la vita il regalo che ci spetta. E noi continuiamo a guardare oltre...

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    1. Ah be', in questo caso il nostro pensiero è abbastanza agli antipodi. Ho letto troppo la Bibbia e Platone per non credere in un aldilà, diverso in base a come abbiamo vissuto questa vita.

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  2. Io penso che la felicità sia sentirsi colmi, traboccanti e appagati di amore, pieni di Dio, indipendentemente dalla dimensione della tua brocca.Questo è il Paradiso.

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    1. Concordo che si possa fare esperienza del Paradiso sulla terra, e non mi sembra tanto diverso da ciò che hai descritto.
      Ma è pur sempre "caparra dello Spirito Santo" come si dice nel NT (non ricordo dove, in qualche lettera di Paolo), cioè prelevare un po' di quel tesoro che ci siamo costruiti nei cieli con le opere buone e con l'obbedienza a Dio, tesoro che riceveremo interamente solo dopo morti.

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  3. Siamo davvero opposti, mi sa.
    Io tengo molto all'identità. Al fatto di essere proprio Sara e non un qualunque altro essere umano nel mondo, magari centomila volte meglio, ma non me.
    Mi piace l'idea di essere un ricettacolo di gusti, preferenze, caratteristiche, vezzi, manie, stranezze...che ho solo io e nessun altro. O pochi altri.
    Accarezzo con gioia il pensiero di sapermi differente, in quel modo lì, proprio in quello. Che non siamo solo esseri con due gambe e due braccia, siamo molto di più. E quel di più va valorizzato, portato in alto come una bandiera.
    Secondo il mio punto di vista, chiaramente :D
    Buona giornata.

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    1. Credo proprio che questa faccenda della spersonalizzazione sia una mia fissazione che mi è entrata in testa tempo fa non ricordo come. Di certo la vedo come una liberazione. Ad esempio dalle preferenze. Se mi piace la vaniglia, tutte le volte che mi danno il pistacchio soffro. Essere liberati dall'identità significa essere liberati dal desiderio. Ecco perché dico che questa cosa deve essermi entrata in testa tramite qualche lettura buddista.
      Però è anche vero che ho scritto un post dove dicevo che pur ammirando gli altri e sentendomi inferiore a tutti non vorrei essere nessuno altro che io.

      Dopotutto, penso, le nostre limitazioni ci servono, altrimenti non potremmo soffrire. E se è la sofferenza a portarci in Paradiso, allora tutti i nostri vezzi hanno ben ragione a seguirci e a restare con noi anche là. Quindi altro che spersonalizzazione.

      Non so che dire. Ma spero si capisca anche dal post che sono un po' confuso...

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  4. L'eliminazione dei desideri...questa si che mi sembra una punizione divina. Come la si può vivere come una liberazione? :D
    Come ci si può sentire davvero vivi senza sentirli scorrere dentro di sé?

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    1. Non mi dire che non hai mai sentito parlare di dottrine che sostengono che il desiderio inappagato è sofferenza, e siccome la maggior parte dei desideri resta inappagata...

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