Società disgraziata

Che io sia una persona dalle qualità ridotte è risaputo. Almeno, io lo so bene, mi scontro quotidianamente coi miei limiti.
Forse la cosa che mi fa più soffrire di me stesso è la mancanza di amore verso gli altri. Non sono una persona che ama le persone in modo naturale. In me l’amore verso gli altri non è una cosa spontanea.
C’è voluto Cristo. Me l’hanno dovuto insegnare quelli che sono di Cristo.
Il fatto è che ci sono due amori, amore umano e amore divino.
È questo, secondo me, il fulcro della spiritualità del Sacro Cuore di Gesù. Gesù amava sia in modo divino sia in modo umano.
L’amore divino è ovvio. È facile da capire per tutti. Dio è perfetto. In lui non manca nulla, non c’è nessun errore, nessun difetto. Dio è il bene. In lui non c’è nulla di male. La sua perfezione equivale al suo essere il bene. Essere il bene non significa starsene lì e godere di se stesso. Dio ha voluto fare il creato. È un atto di volontà divina la nostra creazione. Come si può non essere felici con tale consapevolezza? Dio ha voluto me. Il sommo bene, la cui intelligenza supera tutte le intelligenze, la cui capacità di fare il bene supera quella di chiunque altro, la cui abilità di scelta e di attuazione della propria volontà è perfetta, ha scelto di fare me. Impazzisco di gioia.
L’amore divino è inoltre infinito. La sua perfezione contiene tutte le perfezioni, e fra queste c’è anche l’infinitezza. L’amore divino è un flusso continuo, senza fine, senza macchia, senza esitazioni, senza cedimenti.
Il fatto è che Gesù, per una dote di natura o per come è stato educato, amava anche di amore umano. Il Sacro Cuore di Gesù è un cuore umano che ama gli uomini di amore umano. Cioè, lui in mezzo alle persone ci stava bene proprio, ci sguazzava. A lui piacevano le persone. E non solo perché era Dio. Ma anche come uomo.

Io ad esempio ho dovuto imparare ad amare il prossimo invocando l’amore divino, in modo che, passando attraverso di me, usi me per amare il prossimo. È stato rendendomi povero, inutile, privo di qualità e di virtù che mi sono fatto destinatario privilegiato dell’amore di Dio, e una volta ricevuto questo amore, questa gioia nel cuore, ho potuto imparare a trasmetterla agli altri. Ma la gioia, quando la si ha, si trasmette da sola. Basta vedere una persona gioiosa per subirne l’effetto e diventare un po’ più gioiosi a nostra volta.
Mi è capitato una volta di vedere un gruppetto di zingare che giravano per Milano a chiedere l’elemosina, salendo sui tram a sbafo, comprandosi un filoncino di pane e una busta di affettati al supermercato e poi mangiandoseli a mezzogiorno, prive di tutto, sporche, non belle, ma gioiose e allegre nel conversare nella loro lingua. Mi è sempre rimasto impresso. La gioia di chi non ha nulla. Quella gioia è Dio. Avere quella gioia nel cuore quando non si ha null’altro significa avere Dio nel cuore. Perché lo Spirito Santo è “pace e gioia” (Rm 14, 17; Gl 5, 22).
Quando ero frate avevo imparato ad attingere alla gioia divina mediante la preghiera per poi trasmetterla ad altri. Ricordo sveglie mattutine alle cinque, sgattaiolare nel bosco del convento con ancora il buio, senza il permesso di nessuno (e qui certamente sbagliavo), pregare per più di un’ora un rosario intercalato da preghiera spontanea, risalire dal bosco col cuore pieno di gioia e la luce negli occhi. A volte notavo l’invidia di alcuni confratelli più anziani che non ce la facevano a svegliarsi presto come me e fare, prima della sveglia ufficiale, una preghiera così prolungata. Allora pensavo: “A quello la gioia non la voglio donare, non sarò affabile con lui”. Vendicativo, anche appena immerso nella grazia di Cristo. Questo riuscivo a essere.
Ma d’altronde anch’io ero invidioso delle zingare, io che, giovane e baldo milanese pieno di belle speranze, mi aggiravo per la città depresso e pavido.
La gioia divina mi hanno insegnato ad attingerla, ma poi hanno dovuto anche insegnarmi a trasmetterla. Perché io tendevo a tenermela tutta per me.
Dal punto di vista umano sono proprio una merda. Sarà perché sono cresciuto come un figlio unico da solo con la madre. Sarà per questo che sono così egoista e solitario. Sono abituato ad avere tutto per me e a non condividere con nessuno.
Oggi sorrido di più, sono più affabile, cerco di non giudicare, mi presto all’ascolto.
Ma la cosa che faccio di più è pregare per l’altro. È il metodo che per me risulta il più efficace per passare la palla della grazia divina, quando la si ha, all’altro. Se uno è pieno di gioia divina (di Dio stesso) perché ha pregato e si è abbeverato alla fonte o perché qualcuno ha pregato per lui (il risultato è lo stesso), se prega intensamente, con fede e sinceramente per un’altra persona sente proprio l’effetto della gioia dentro di sé che diminuisce. È chiaro, bisogna avere una grande sensibilità per i moti dell’anima. Ma una cosa bella della gioia divina è che, se si entra in contatto con qualcuno, questa si trasmette automaticamente da uno all’altro. Chi è invidioso e ti guarda o tratta male quando sei in quello stato, come facevo io con le zingare o come facevano i miei confratelli appena svegli con me quando io ero appena stato a pregare per più di un’ora, non fa altro che rubare, in certo qual modo, quella grazia. Chi fa un torto ruba grazia. Chi giudica cerca di prendersi qualcosa per sé togliendolo all’altro. Che tristezza, quando vediamo un essere pieno di grazia divina e non riusciamo a rallegrarcene ma piuttosto siamo invidiosi. La grazia divina non è qualcosa di cui essere invidiosi. È qualcosa di gratuito, non viene data in base al merito. Viene semplicemente elargita, come un dono. Godiamo quando vediamo una persona santa, destinata al Paradiso, rallegriamoci per lei, e non auguriamo a nessuno l’inferno.

L’amore umano, contrariamente a quello divino, non è infinito ma finito. Uno può anche avere una dote naturale e amare spontaneamente gli esseri umani, o anche gli animali e perfino il creato, ma questo amore, con la stanchezza, diminuisce e viene a mancare. Siamo come una cisterna che si svuota. Quante volte mi è capitato, a sera, di non riuscire più a mettermi ad ascoltare o a sorridere. L’amore umano si era esaurito. In me si esaurisce tanto facilmente che è stato un vero dono della Provvidenza imparare a svuotarmi per potermi riempire della grazia di Dio. Me l’hanno insegnato i cristiani, quelli veri. Un po’ di amore umano ce l’ho anch’io, ma si esaurisce facilmente. Quando si esaurisce l’amore umano, ecco che entra in gioco la Provvidenza, il cui meccanismo vuole che entri in gioco all’ultimo. Finché hai ancora qualcosa di umano, finché hai cibo in dispensa, o qualche soldo da parte, la Provvidenza non viene da te ma privilegia chi non ha nulla. Dopo, specialmente se l’hai chiesto, viene anche da te. Ma siccome sulla terra, diversamente dal cielo, vige l’economia della materia, ci sono questioni logistiche da risolvere. Se ho due pacchi da consegnare in due luoghi diversi, devo scegliere in quale andare per primo, e nella dimensione del tempo ci saranno per forza un prima e un dopo.

Nelle ultime settimane mi sono trovato spesso a giudicare. Il giudizio, purtroppo, rende infelici. Se si giudica tutto, a un certo punto ci si guarda attorno e ci si trova circondati da persone cattive, cose difettate, animali feroci, insomma un mondo infernale. È brutto giudicare tutto e tutti, ed è brutto soprattutto per colui che giudica. Giudico i macchinoni, giudico come la gente guida per strada, giudico le cassiere lente, giudico chi non sorride, giudico chi compra su Amazon, giudico chi lavora per Amazon, giudico ferocemente chi bestemmia, giudico la mia macchina vecchia e scassata, giudico chi la giudica e implicitamente mi tratta come un autista di serie B, giudico chi giudica i corrieri, giudico chi giudica chi guida un furgone a noleggio, assumendo implicitamente che non sia bravo a guidare, giudico chi mi passa davanti col carrello al supermercato, giudico chi non mi ascolta, giudico chi parla solo di macchine o di calcio, giudico gli stranieri, insomma… Non se ne può più. Il mio amore umano è scarso, quasi nullo.

Quando sono abbastanza vigile, quando mi succede di giudicare qualcosa o qualcuno nei modi che ho detto e anche in altri, dico a me stesso: “Prega per lui (o per lei)”, “Prega per quella situazione che non ti piace. Chiedi al Signore di metterci una pezza”. Se lui riterrà cosa buona e giusta cambiarla, la cambierà. Se no, sarò io che dovrò imparare a cambiare me stesso e a non giudicare. Per stare tranquillo, per stare buono, per stare in pace e per non far male, giudicando, agli altri. Perché un giudizio è una pietra scagliata (cf. Gv 8, 1-11).
La preghiera, in questi casi, non è sentita, non sgorga dal cuore, è solo una formulazione a parole. Però è mia profonda convinzione che ciò che formuliamo a parole, come la goccia che scava la roccia, se ripetuto con insistenza ha il potere di trasformare il cuore. Deo gratias.

13 commenti:

  1. Ciao Filippo, oggi è il compleanno di Sant'Agostino. Concordo che giudicare sia un torto verso il prossimo che troppo spesso commettiamo, alimentando la parte peggiore di noi.

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    1. Ciao Sara! Un giorno mi spiegherai come fai a sapere tutte queste cose su Sant'Agostino!
      Purtroppo giudico prima ancora di rendermene conto e poi cerco di riparare pregando. Questo è il mio metodo... Per non giudicare del tutto bisogna purificare il cuore alla radice...

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  2. eppure lo sai che solo Lui è perfetto, quindi accontentati di quel poco che hai per poterlo imitare,
    niente niente te volessi sostituì a Lui?
    E poi mai e poi mai giudicare, non sei pagato per farlo e rischieresti di essere a tua volta giudicato nell'aldilà

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    1. Parli come l'apostolo Giacomo nella sua lettera...

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  3. A me pare pleonastico che si debba pregare per gli altri, e pregare per se stessi fa un po' ride. Si prega punto. Si ringrazia punto. E ci mancherebbe non giudicassimo. Mica siamo liane appese nella giungla. Ci scorre tutto dentro e accanto: vediamo, subiamo, doniamo, amiamo. Non giudicare impossibile, ma cominciamo anche a metterci una pezza. Sempre e comunque. E l'amore credo sia uno solo, quello umano Dio lo riconosce come anche suo, anche quello di chi ama solo se stesso. Almeno quello.

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    1. C'è una bella differenza tra pregare per sé o per altri. Nel primo caso si possono ricevere grazie, nel secondo ci si può trovare di fronte al sacrificio di se stessi.

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  4. Io, come saprai, ormai sono un po' "fuori" dai discorsi religiosi per motivi privati. Comunque, personalmente ho trovato un certo sollievo in un approccio alla vita improntato ai principii dello zen, ovvero in un approccio in cui tutto viene considerato in qualche modo "necessario", e in cui l'individuo deve sentirsi responsabile solo dei propri atti. Non voglio dire che debba mancare l'empatia e la compassione, ma che si debba "lavorare" esclusivamente su se stessi, arrivare cioé a non provare né invidia, né tanto meno odio per nessuno, neppure per chi si è comportato male, soprattutto tenendo presente che a fasi alterne noi stessi ci comportiamo male, spesso senza neppure accorgercene. Quindi niente preghiere, solo un ripetere a se stesso "Niente odio, niente invidia".

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    1. Trovo ottimo questo approccio.
      L'unica cosa che mi sento di dire è che, come tutti gli approcci in cui si lavora o si cerca di lavorare su se stessi, c'è la possibilità di non riuscire. È qui che cerco l'aiuto di qualcun altro, più potente di me, che riesce a farmi raggiungere obiettivi a cui da solo non arriverei.

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  5. Ti ammiro e invidio la tua FEDE. Io non prego ma agisco. Il tempo a nostra disposizione è poco, preferisco aiutare con i fatti.
    Ti saluto caramente.
    Angela

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    1. Sempre San Giacomo (cap. 2): "Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". Ciao Angela e grazie.

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  7. Riconoscere i propri limiti è già un primo passo... Ancora meglio riuscire ad accertarsi malgrado di limiti, perché alla fine non è che si debba cambiare per forza...
    Ho notato che usi spesso la parola "grazia" nei tuoi post, mi fai pensare alla compagna di mio padre, che usa molto pure lei questa parola... È una persona molto religiosa, evangelista per l'esattezza... Ieri mi raccontava che hanno dovuto cambiare sede per la loro chiesa, perché dove si trovavano finora non erano ben accetti dai vicini...

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    1. Mi dispiace per loro... non è bello ciò che gli sta succedendo... "grazia" è una parola che vale per dono, beneficio, favore... qualsiasi cosa che Dio dà, insomma. La parola più adatta è appunto "grazia" perché ciò che Dio dà è gratuito, non dipende dal merito. Pensa alla vita ad esempio, Dio, la dà gratuitamente a chi vuole lui, non è possibile meritarla perché come fai a fare qualcosa per meritare se non sei ancora vivo? La vita è la "grazia" principale che Dio dà.

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