Art. 42 ovvero la cena coi colleghi

Nei confronti di Amazon, tra le conquiste del sindacato dei Trasportatori (fondamentalmente è stata la Cgil) nella primavera del 2017 c’è stata l’introduzione del cosiddetto art. 42. Non so di che legge fa parte, so solo che lo chiamano art. 42.
Amazon sta cercando di crearsi una propria logistica per staccarsi dai tradizionali corrieri trovati nei vari Paesi dove è arrivata – in Italia Bartolini, GLS, DHL, SDA e Poste Italiane – e lo fa appaltando a piccoli corrieri sconosciuti, addirittura appena nati apposta per lavorare con il gigante di Seattle. Le ditte sono infinite. I nomi nessuno li conosce. Presso il centro di smistamento di Castegnato (BS), dove lavoro io, ad esempio, ci sono 5 corrieri: Arcobaleno, Global Post, M2, Professional Solution, Sidetra (la mia).
Quando si ordina un pacco su Amazon, nei dettagli della spedizione si può vedere il corriere che consegnerà il pacco. Amazon si serve ancora di Bartolini e compagnia, per cui si può vedere la dicitura: “BRT”, “DHL”, ecc. Nel caso in cui si acquisti con Prime, e il peso del pacco non superi i 15 Kg, lo consegniamo noi. Sotto la dicitura: “Amazon Logistics” rientrano appunto tutte le piccole ditte che ho detto, nate apposta per consegnare Amazon e che consegnano di solito solo Amazon.
Non ho lavorato sempre con Sidetra. Quando ho iniziato (novembre 2017) lavoravo per Rpost, azienda ormai fallita e chiusa. Amazon ha scoperto che facevano magheggi a livello amministrativo e che non pagavano tutte le ore, così ha tolto l’appalto. Amazon su queste cose è molto americana e seria. Non tollera illeciti, italianate, diciamo. Nel giugno 2020 sono passato a Gotaway. Proprio qui c’entra l’art. 42.

Se Amazon toglie l’appalto a una ditta deve per forza inserire tutti i lavoratori in un’altra ditta. Altrimenti potrebbe usare lo strumento del togliere l’appalto per licenziare senza giusta causa. 

Gotaway dopo un po’ ha scoperto che il gioco non valeva la candela, cioè che lavorare con Amazon non fa guadagnare abbastanza. Nel luglio 2021 ha rinunciato all’appalto. Al suo posto è subentrata Sidetra, una ditta veronese che ha iniziato a distribuire giornali e che ora ha anche tre appalti con centri di smistamento Amazon, Castegnato (BS), Burago di Molgora (MB) e Origgio (VA).
Grazie all’art. 42 tutti gli autisti che hanno lavorato con Rpost e Gotaway, il 12 luglio 2021 sono stati assorbiti in Sidetra e hanno continuato a lavorare esattamente come prima facendo persino le stesse zone, dalla città di Brescia al Lago di Garda. È cambiato solo il datore di lavoro, la ditta appaltata, che di fatto è una specie di mediatore tra il lavoratore e Amazon.

L’obbiettivo è che un giorno abbia luogo la cosiddetta internalizzazione e siamo assunti direttamente dal gigante di Seattle. Amazon Logistics sarà l'unico e vero corriere di Amazon. Non vedo l’ora di essere a servizio diretto del simbolo del consumismo...

Il sindacato, nel nostro caso, è entrato in campo anche per ottenere che Rpost (la prima ditta con cui ho lavorato) risarcisse i lavoratori gabbati. Avvocati si sono messi al lavoro. Abbiamo scoperto che Rpost ci doveva circa 3.000 euro a testa. A una quindicina di noi. Dopo lunghe contrattazioni siamo giunti a ottenere, dei 3.000 euro iniziali, 1.500 euro. C’è da piangere per i 1.500 che ci spettavano e non ci hanno dato (e chissà dove sono finiti), ma c’è da ridere per i 1.500 euro puliti che ci sono arrivati via bonifico, dal nulla. 

Abbiamo deciso di festeggiare. Sabato 20 novembre siamo andati fuori a cena.
Anche se sono un fobico sociale, a una cena coi colleghi cerco di non mancare. Penso faccia parte dell’essere un buon collega il fatto di mantenere buone relazioni, anche solo a livello superficiale, con tutti. In quattro anni di lavoro non ho trovato, sul lavoro, amici da dire: “Vediamoci fuori dal lavoro”. Però sono in buoni rapporti con tutti (mi chiamano: “il bonaccione”, o “il gigante buono” ma con fare un po’ dispregiativo, come a dire: “Uno che non ha i coglioni”; ma tutti sanno che sono stato frate), con due o tre in particolare, e quando, due o tre volte l’anno, si fa la cena coi colleghi, cerco di non mancare. In questo caso non potevo assolutamente mancare.
Ho mentito. Con un collega, un certo D., un paio di volte siamo andati a bere una birra dopo il lavoro. È ecuadoriano e ha studiato un po’ di psicologia prima di trasferirsi in Italia a fare mille lavori da operaio. Ma tutti i suoi fratelli e sorelle sono qui, e i genitori non ci sono più. Lo interesso perché dal punto di vista psicologico sono un caso. Vuole che sia felice. Questa settimana gli ho fatto anche il favore di usare la mia carta di credito per prenotargli un’auto a noleggio, perché lui non ha la carta di credito e deve portare a Malpensa la sua compagna ma non si fida della propria auto, un po’ vecchiotta.
Un altro collega, F., palermitano, siccome spesso lo porto a casa, varie volte mi ha invitato a cena. È sposato e ha due figli. In casa hanno una sola auto, che serve per lo più alla moglie. Pur essendo casalinga, deve occuparsi di figli, spesa, visite mediche e commissioni varie. Quindi F. chiede spesso a me se gli do un passaggio. Prima lo facevo più volentieri, perché abitavamo abbastanza vicini. Adesso che ho cambiato casa, la cosa mi costa 20 minuti in più di viaggio. Ma in nome della carità e dell’amicizia lo faccio volentieri. Anche perché F., essendo palermitano, si lega le cose al dito e dà molta importanza all’onore e, per il semplice fatto che gli do passaggi nel momento del bisogno, mi mette su un piedistallo e ormai si è affezionato a me. Pur essendo uno dei destinatari dei 1.500 euro, non è venuto alla cena coi colleghi, non voleva lasciare sola la famiglia. Sul suo profilo Whatsapp, sotto la foto dei figli, c’è la scritta: “La mia famiglia è tutta la mia vita”. Ha la terza media ma è un uomo (o ragazzo, ha 38 anni) di sanissimi e fermissimi principi, persona davvero integerrima, come poche ne ho conosciute.

Siamo andati al ristorante brasiliano. Carne in quantità. Ho cercato di fare la mia parte. Ho sorriso a tutti. Mi sono seduto a tavola. Ho riso alle battute. Mi sono trovato di fronte R., uno dei più anziani di noi (ha tutti i capelli bianchi) e persona che rispetto immensamente. Avevamo due argomenti di conversazione e li abbiamo esauriti tempo che è arrivata la roba da bere. A sinistra avevo il bestemmiatore milanista sindacalista A., uno dei due RSA della nostra ditta, colui che fondamentalmente si interfaccia col sindacato e che ha contribuito a ottenerci i 1.500 euro. Lui la cena non l’ha pagata. A destra avevo M., giovane ragazzo rumeno, bravissimo driver, silenzioso; con lui ho scambiato due parole contate sulle dita. Per fortuna c’era chi sa fare baldoria e che aveva voglia di divertirsi. La mia silenziosità non è stata troppo d’impaccio. E io che avevo persino paura di rovinare la festa. Ma non ho tali poteri. Ho ordinato un mojito come aperitivo, e con la carne ho bevuto vino rosso, che ci portavano fresco in caraffe. La paura di essere fermati dalla polizia e di avere la patente ritirata, che per un corriere significa non poter più lavorare, non ha frenato nessuno. Per quanto ne so, non è poi successo nulla. Sono tutti tornati a casa sani e salvi e ubriachi.
In questo ristorante fanno il giro carne. Finché lasci il cartellino di cartone girato con la parte verde verso l’alto, si fermano da te con spiedi, tagliano un pezzo di carne e lo mettono nel piatto, o tu lo afferri con una pinza in dotazione mentre loro tagliano. Quando giri il cartellino dalla parte rossa significa che ne hai abbastanza e non si fermano più.
Non sono riuscito a parlare molto. Ho soprattutto ascoltato. Le battute mi fanno ridere. Però non so fare battute. Non so perché, proprio non mi vengono. Sarà che sto talmente tanto da solo che non sono abituato alla comunicazione con la gente e le mie battute magari nella mia testa sono divertenti ma quando le dico suonano scemissime, come quelle di un bambino, prive di arguzia. 
Mi ha fatto dispiacere che alcuni colleghi, arrivati in ritardo e che si sono messi dall’altra parte della tavolata, nemmeno mi hanno salutato. In particolare una colleghessa 46enne tutta in tiro. No, a dire la verità lei almeno mi ha salutato. Però poi non mi ha rivolto più la parola. E dire che quando facevamo le stesse zone ci sentivamo tutti i giorni. A quanto pare ho gradito solo io. Un altro, che mi sta molto simpatico e verso il quale cerco di rivolgere sempre qualche battuta delle mie quando ci incontriamo la mattina prima di partire e la sera al rientro, non mi ha cagato neanche di striscio.
Bisogna dire che questo collega, giovane, si chiama come me, F., ma il suo vero nome sarebbe G., un nome femminile. Di fatto è una donna, ma ha scelto di diventare uomo. Da quello che mi hanno raccontato, so che starebbe raccogliendo i soldi per fare l’operazione. Non so in cosa possa consistere un’operazione di questo genere, cioè per cambiare sesso da donna a uomo, ma è ciò che ho sentito. La sera della cena coi colleghi F. è venuto con la moglie, una giovane ragazza della stessa età. Sul lavoro di solito F. scherza con me, quella sera non mi ha neanche cagato. Credo che la ragione sia proprio che era con la moglie. Siccome sa che sono un ex frate, sa anche che se ci addentrassimo in questioni di principio saremmo in disaccordo. Quando si presentò a me la prima volta, quattro anni fa, mi disse solo: “Mi chiamo F., sono della Val Trompia, mi sono trasferito a Brescia con mia moglie per trovare lavoro”. Sono altri che mi hanno parlato della sua identità sessuale. Quindi io e lui (lei) in questioni di principio non ci siamo mai addentrati. Comunque è strasimpatico e mi è dispiaciuto che non mi abbia salutato.

C’era il Piano Bar. Facevano canzoni italiane in portoghese. Che tristezza. Lo dico sapendo di essere un giudicatore e di non dovermela prendere con la gente che vuole divertirsi. Alle 10,00 la gente ha iniziato ad alzarsi dai tavoli e a ballare in uno spazio ristretto di fronte alla pianola. I miei colleghi dicevano: “Andiamo anche noi! Andiamo a ballare!”. Alle 11,00 me ne sono andato (ma se n’era appena andato anche un altro collega che abita a Lumezzane e che non si stava divertendo troppo, pur essendo un tipo dalla loquacità acuta). Ho saputo poi che si sono messi a ballare, anche sui tavoli. Ma quello che ha ballato sul tavolo aveva pippato. Di fatto questo qui, di nome F., è un grande. Ha convertito una lesbica e adesso sono una coppia.

Ho camminato fino alla macchina. Non mi ha fermato nessuno. Sono andato a casa e mi sono messo a dormire. La mattina dopo mi sono svegliato appesantito, triste, consapevole di aver fatto il mio dovere e sempre di più di non essere una persona da tavolata, da divertimento, da rispetto.


18 commenti:

  1. Beh, capisco cosa intendi dire, però penso che non debba sentirti in colpa. Non siamo tutti uguali, ognuno ha il suo modo di essere. Neppure io gradisco granché le cene con tanti invitati. Anch'io ci vado per "dovere", ma ho scoperto che anche altri non ci andrebbero e però ci vanno perché sarebbe "maleducazione" non andare. Non la considerano ipocrisia o inadeguatezza, ma semplice diversità caratteriale. In fondo credo che sia proprio così.

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    1. In effetti dopo la cena ho avuto riscontri positivi, specialmente dalle persone alle quali già piacevo. Probabilmente hanno notato che ce l’ho messa tutta e che le mie ‘stranezze’ sono caratteriali, e non magari dis-piaceri nei loro confronti.
      Quelli che mi snobbano più o meno mi snobbano ancora, ma tant’è, dovrò farci il callo. Come disse il saggio, non possiamo piacere a tutti.
      Comunque noto anche, riferendomi a ciò che dici tu, che tutti apprezzano quando qualcuno fa qualcosa per ‘educazione’ e senso del dovere, sforzandosi magari nel farlo. È una cosa in genere gradita da tutti.

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  3. si dice che tutto il mondo è paese, però credo che sia una mentalità tipicamente italiana quella di lodare chi ha un carattere più grintoso, ma trattare un po' così alla buona i cosiddetti "bonaccioni", ne so qualcosa anch'io...😐

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    1. Potrebbe essere una caratteristica italiana, come la bestemmia...
      La bontà dovrebbe essere un valore, non il contrario.

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  4. Nuvola30/11/21

    Mi è piaciuto questo post. Un affresco di un mondo.
    Io anche cerco di partecipare nelle uscite con i colleghi (io lavoro all'università) ma a volte preferirei starmene a casa... ma, appunto, si fa per stare insieme e ritrovarsi ogni tanto.
    Contenta per te, per i 1500 EUR.
    :)

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    1. Grazie Nuvola. Non so perché mi è venuto di raccontare i retroscena del mio mondo lavorativo... ma serviva per introdurre la descrizione della cena. Ho osservato alcune caratteristiche della condizione umana e volevo descriverle. Non so se ci sono riuscito, dopo la lunga introduzione sono arrivato alla cena spompato... qualcosa poveramente ho fatto.
      Stai bene.

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  5. ai miei tempi si facevano le cene con i colleghi e qualche volta erano offerte dalla direzione e non me ne perdevo una.
    Oggi, dopo le migliaia di leggi scritte dagli avvocati sconsiglio sempre di andarci a chi non ha un accompagnatore astemio.
    Ho sempre presente le vicende di un caro ragazzo, fermato a 20 metri da casa con ritiro patente per una biretta bevuta mangiando una pizza con gli amici.
    Ritiro patente e perdita del lavoro.
    Poi arriva il vairus, gli uffici statali chiudono, il caro ragazzo sta ancora aspettando di sapere che cazzo deve fare per riavere la sua patente

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    1. Addirittura pagate dalla direzione! Tanta roba!
      Dico solo che c’era un collega che cinque anni fa lavorava in DHL e che una sera ha fatto baldoria e che era talmente ciocco che non solo gli hanno ritirato la patente per un anno, ma gli hanno anche confiscato la macchina. Noncurante di tutto quella sera ha bevuto forse più di tutti...

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  6. Ho lavorato fino a 67 anni e non ho mai partecipato alle cene aziendali. E già dura sopportare certi colleghi, nulla facenti durante le ore lavorative, per cui l'idea di mettere i piedi sotto un tavolo in loro compagnia, mi faceva venire i brividi. Ciao.

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    1. Lavorare a stretto contatto coi colleghi non è il mio caso, il mio è un lavoro solitario. Considerando il tipo che sono, non so come farei a convivere per così tanto tempo nella stessa stanza con qualcuno che non mi piace.
      Quando ero frate c’era più o meno questa situazione, ma i tempi dell’agonia erano ridotti a preghiera e messa comune, pranzo, cena, ricreazione. Oppure se toccava fare un lavoro insieme o fare un viaggio. Ciao

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    2. "Quando ero frate" potrebbe essere un buon titolo per una biografia...o un profilo in cui raccontare quella specifica esperienza... :-)

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  7. Io valuterei un'assicurazione sulla patente tipo "guida in stato di ebbrezza", credo che ci sia.

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  8. Interessante la descrizione dei tuoi colleghi.
    Non mi farei un problema se non sei un tipo da cena coi colleghi.
    A volte dipende anche dai colleghi (io, per esempio, sono molto aperto e di compagnia se mi trovo bene, al contrario mi chiudo se non mi sento a mio agio).
    Il problema dei subappalti è un problema serio in ogni settore.
    Per quanto difficile, è buono che ci si organizzi fra lavoratori e si ricorra al sindacato.
    Quello che si è ottenuto nei decenni scorsi è frutto delle lotte di lavoratori che avevano poco o nulla (purtroppo siamo in una fase di reflusso, dove il precariato
    porta a perdere diritti acquisiti nel passato).

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  9. Mi piacerebbe sapere, se non sono indiscreta, a quale ordine di frati appartenevi. Il tuo scrivere... quando ero frate, mi ha incuriosito! Ciao serena settimana.
    Angela

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    1. Si chiamano Fratelli Francescani Missionari del Cuore di Gesù e di Maria Immacolata. È una comunità fondata nell'83 (le suore) e nel '96 (i frati) da madre Maria Elisabetta Patrizi, deceduta il 12 luglio 2020. La fondazione è ispirata a San Massimiliano Kolbe. Le suore ormai non ci sono più, i frati sono 8 di cui 7 sacerdoti e operano a Civitanova Marche, Fermo, Tivoli.

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  10. Ti ringrazio e ti saluto nel giorno dell'Immacolata Concezione.

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