Parchi, biblioteche e psicanalisi

Mio padre diceva sempre che Manzoni non usava superlativi e che questo contribuisce a rendere la sua scrittura sotto le righe e delicata, equilibrata. Io ogni tanto i superlativi li uso. Esistono, perché non usarli? Hanno un preciso significato, se si vuole ottenere di trasmettere quel significato occorre usarli. Ho fatto per lo più mia, nella scrittura, la regola che mi ha insegnato mio padre parlando di Manzoni. Un romanzo lo vedo davvero al di sopra delle mie forze. Come, del resto, un racconto lungo. Non ho tempo. Il lavoro mi succhia davvero troppe energie. Non avrei tempo di mettermi a pensare a un romanzo e tenere nei pensieri costantemente la materia del romanzo. Perché è così che bisognerebbe fare. Il lavoro sarebbe così. Non si potrebbe pensare al romanzo solo quando ci si siede a scrivere. Oppure sì. Magari funzionerebbe. Però in questo secondo modo si procederebbe lentissimamente (ecco la necessità dell’uso di un superlativo). Dico così perché penso alle altre volte della mia vita in cui ho fatto un lavoro creativo (non sono tante). Ricordo che pensavo, pensavo, mettevo per iscritto qualche idea, poi uscivo, passeggiavo, prendevo il tram, e mentre pensavo, sul tram, mi veniva in mente un’idea su come procedere nel mettere insieme il materiale che avevo buttato giù. Era un lavoro di mente continuo. Pensavo solo a quello. Non avevo altri pensieri. Il mondo mi aveva fatto la grazia di non dover iniziare subito a lavorare perché mi manteneva mia madre, che ha sempre lavorato (santa donna). Dico: “il mondo” e non: “Dio” perché allora non credevo in Dio. E soprattutto perché non c’era nessuno, tra quelli che conoscevo, a cominciare dai famigliari per terminare con gli amici, che approvava il mio stile di vita. Semplicemente avevo lasciato l’università, avevo rotto in maniera dolorosa con l’unico amore della mia vita, mio padre era morto... come risultato mi ero chiuso in casa e per un paio di mesi non ero uscito. Al momento di uscire ho posto come condizione di fare psicanalisi. Mi sentivo davvero incapace di riprendere la vita senza quel tipo di supporto. Mia madre, che evidentemente non vedeva l’ora che iniziassi a vivere e lavorare, vedendomi in reale difficoltà, anche perché mi aveva visto scosso e abbattuto in conseguenza della morte di mio padre, dopo che per quattro anni ogni volta che andavo a visitarlo in casa di riposo tornavo distrutto (insomma la storia della morte di mio padre è un po’ complicata, basti dire che il litigio tra me, mia sorella e mio fratello su chi doveva occuparsene ha creato la situazione, voluta e condivisa da mio padre stesso, che morisse anticipatamente; insomma lui voleva andarsene, noi tutti non lo volevamo più tra i piedi, è stata una storia brutta), sostenne in pieno la mia richiesta di fare psicanalisi. Così, con la scusa di andare dal dottore iniziai a uscire di casa. Dopo poco mi fu di nuovo facile farlo. La prima visita dallo psicanalista mi sbloccò. Bastò il suo totale silenzio e la sua disposizione ad ascoltare. Partii cercando di spiegare le ragioni del mio bisogno di psicanalisi. (In realtà erano anni che volevo fare psicanalisi, da quando il professore di filosofia che era il mio mito disse: “Consiglio a tutti di fare un po’ di psicanalisi nella vita, come modo per conoscere se stessi”). Credevo di essere accolto come pazzo, folle, inguaribile e grave. Mi credevo un caso disperato; come tutti quelli che hanno problemi e pensano di essere gli unici ad averli, che i loro problemi siano irrisolvibili. I miei discorsi furono invece, sin dall’inizio, accolti con un sorrisino, una piccola flessione della bocca. Come se lo psicanalista stesse involontariamente comunicando: “Ne ho viste di ben peggiori”. Infatti poi, a conclusione del primo incontro, disse: “Non mi sembra lei abbia gravi patologie. Solo, dato che in questi ultimi anni ha vissuto varie situazioni dolorose, ha bisogno di sistemare un po’ i dati della sua vita, che al momento sono nella sua testa in forma confusa”. Bastò questo a sbloccarmi. Non dico che quattro anni di psicanalisi siano stati superflui, però ricordo proprio che questo primo incontro mi lasciò alleggerito, nuovo. In quei quattro anni, dai 26 ai 30, il mondo, come ho detto, nella fattispecie mia madre, mi ha permesso di vivere avendo come occupazione principale la psicanalisi. Finito l’incontro con lo psicanalista, continuavo a pensarci su, ne scrivevo ed elaboravo e mi preparavo per il successivo. (Che poi, per quanto potessi prepararmi, decine di volte, dopo essermi seduto, ho parlato di tutt’altro rispetto a ciò che avevo preparato). Quando uscire di casa non fu più un problema, iniziai ad andare a correre tutte le mattine. Rubavo letteralmente la macchina a mia madre, che ne aveva bisogno per il lavoro, e andavo a farmi una corsa prima delle nove. Poi riportavo la macchina. Tornavo a casa, facevo un’ampia colazione e mi mettevo a leggere o studiare. Andavo anche nei parchi. Anche nelle biblioteche. In quegli anni ho girato a piedi Milano in lungo e in largo. Siccome mi vergognavo di me stesso perché a 26 anni avevo lasciato l’università e non avevo un lavoro, evitavo le frequentazioni con quelli che all’epoca erano stati gli amici. Loro erano tutti andati avanti, col tempo si laureavano, iniziavano a lavorare, si sposavano, avevano figli. Ero fermo, un “bum” (come dicono gli americani). Avevo smesso di uscire con gli amici dopo che, nel 2005, morto mio padre, la sera stessa, come terapia, mi portarono in discoteca. Mi sembrò una cosa talmente idiota (mi aggiravo depresso tra le persone che ballavano), che per un po’ ebbi il rigetto degli amici. Ma poi, appunto, come ho detto, la vergogna di me stesso mi portava a evitare contatti umani. Ero solo, direi che è stato in quel periodo che è iniziata la mistica della solitudine. Andavo a correre, andavo nei parchi e iniziai a frequentare biblioteche. Dico: “biblioteche” perché, per mantenere l’anonimato, ne frequentavo più d’una. Appena mi accorgevo che iniziavo a diventare famigliare, iniziavano a riconoscermi, cambiavo. La principale era la Sormani, biblioteca importante, di livello nazionale, dove trovavo la maggior parte dei testi che mi servivano. Poi c’erano le biblioteche rionali, a Milano ce n’è una per zona. Le zone di Milano sono nove. Le biblioteche rionali servivano da appoggio per leggere e studiare. Lì facevo poca ricerca, naturalmente il materiale era più scarso, però sfruttavo i tavoli per studiare e di tanto in tanto facevo un giro tra gli scaffali leggiucchiando qua e là in funzione distensiva. Leggevo di tutto ma mi interessava soprattutto ciò che aveva a che fare col sacro. All’inizio, essendo famigliare con quel tipo di testo per via dei corsi universitari che avevo seguito, leggevo antropologia ed etnografia sui primi fenomeni di sacro nelle società tribali. Per dire che arrivai a leggere roba come Mircea Eliade e affini. Riti di passaggio, iniziazione. Quella roba lì. Verso i 27 finii sulla filosofia antica, quindi su Platone, da Platone, mediante il primo verso del Siracide (“Tutta la sapienza viene da Dio, / e rimane sempre con lui”) alla Bibbia, ecc. Lo psicanalista era ateo. Mentre facevo psicanalisi, diventai credente. Iniziai a pregare. Entravo nelle chiese e pregavo. A 30 anni contattai un monastero certosino (Certosa di Farneta, provincia di Lucca), lasciai la psicanalisi e feci la mia prima esperienza vocazionale. I monaci trovarono che ero un po’ a digiuno di vita ecclesiale, dissero: “Se proprio vuoi, ti prendiamo come sei; ma ti consigliamo di tornare a Milano e fare un percorso di discernimento con un direttore spirituale”. Mi consigliarono un padre carmelitano che stava a Monza, convento di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, il quale mi consigliò (meglio dire: “comandò”) di trovare lavoro e farlo per almeno due anni, durante i quali capire se la vocazione era autentica. Non trovavo lavoro, iniziai a lavorare con mio fratello che fa l’amministratore condominiale, ma non volevo lavorare con mio fratello. Mi misi a fare volontariato presso una onlus che si occupava di aiuto a famiglie di rifugiati politici. Conobbi la G., donna religiosa che mi condusse da don Galli a Orzivecchi, un santo sacerdote da cui molti si recavano per una buona parola o un consiglio. Era anziano, curvo e in sedia a rotelle (morì poi l’anno successivo). Come entrai nella stanza dove faceva le visite, iniziò a dire un’Ave Maria e subito mi venne da piangere. Gli esposi brevemente il problema. Nel frattempo, coi carmelitani, ero stato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid (2011), dove avevo conosciuto p. J., americano, superiore di una comunità chiamata Fratelli Francescani Missionari del Cuore di Gesù e di Maria Immacolata, ispirata a San Massimiliano Kolbe e a Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Dissi a don Galli che avevo la vocazione, che ero pronto a partire ma il mio direttore spirituale voleva che trovassi lavoro. Disse: “Vai!”. Il 15 luglio 2012 andai nelle Marche, presso i Fratelli Francescani Missionari del Cuore di Gesù e di Maria Immacolata, per una settimana di corso biblico, alla fine della settimana mi fu proposto di andare nel Lazio a parlare con la madre fondatrice, madre M. E. P. Avevo già il biglietto del treno per tornare a Milano. Andai, parlai con lei, mi propose di iniziare il postulandato. Non usai il biglietto e mi fermai nelle Marche.

15 commenti:

  1. Ammetto che postulandato l'ho googolato, e presumo sia andato bene, finchè non li hai mollati. Anzi, mollatissimi.

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    1. Il postulandato fu bellissimo. Una vera luna di miele. Poi arrivarono gli attacchi del nemico, invidioso della mia felicità.

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  2. Anch'io vivo con mia madre...che ovviamente fa sempre pressione perché mi trovi un lavoro e mi faccia "una vita mia"... I miei sono divorziati da anni, mio padre sta per conto suo, ha una compagna, ogni tanto ci vado, mi invitano a cena...
    Una volta ho fatto anche una seduta da uno psichiatra per volontà di mia madre, non ne cavammo granché, lo psichiatra mi assegnò delle gocce che però mia madre poi non volle comprarmi, dunque mai prese...
    Secondo me ci fu un grosso errore da parte dei miei, si concentravano su di me pensando che fossi io quello con dei problemi perché non mi atti(va)vo a cercarmi un lavoro, invece di badare a mia sorella che, nonostante lavorasse e fosse più intraprendente di me, i suoi problemi li aveva eccome!
    Mi scoccia pure stare a parlarne e comunque non voglio riaprire certe ferite...

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    1. Non voglio farti riaprire le ferite. Il divorzio dei genitori ha conseguenze sui figli che, per quanto nascoste possano essere perché uno magari è adulto e non le manifesta, agiscono subdolamente, rendendo la vita più difficile.
      Ho sempre evitato la psichiatria e i farmaci. Anche ai tempi, feci un primo colloquio con uno psichiatra che propose subito dei farmaci ma non ne volevo sapere. Optai poi per lo psicanalista strettamente freudiano. Anche lui aveva i suoi limiti naturalmente, psicoterapia non è la panacea per tutto, ma un percorso di conoscenza di me e un dialogo con una figura amica era ciò di cui avevo bisogno.

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  3. PS.... Certo che andare in biblioteca e non sentirsi nemmeno lì liberi e tranquilli per paura di farsi riconoscere, non deve essere per niente piacevole 😞
    ovviamente inutile dire che anch'io, nella mia situazione, mi ritrovo ad avere pochissimi amici... Ci sono persone (sia tu che io apparteniamo alla categoria, evidentemente...) che riescono a creare amicizie solo all'interno di un contesto ben preciso, che in genere si rivela essere il posto di lavoro...altrimenti nisba, né domani né mai🤨(citando sempre Manzoni...)
    Attualmente c'è un mio vecchio amico d'infanzia con il quale mi vedo di tanto in tanto, ormai lui è sposato comunque ogni tanto mi invita a casa sua, a passare una serata insieme... Poi un'altra famiglia che ho conosciuto tramite il cimitero, ci frequentiamo e mi trovo bene con loro...

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    1. Purtroppo le mie patologie e chiusure sono numerose e piuttosto gravi, negli anni delle biblioteche davvero mi sentivo ai margini della società e non riuscivo a relazionarmi con nessuno.

      Trovare un amico è trovare un tesoro. Difficilissimo. Io ne ho trovato uno nel 2018, un anziano frate francescano col quale, finché stava a Brescia, uscivamo a cena una volta a settimana e poi cinema. Ora l’hanno trasferito a Torino. Ma da quattro anni facciamo le ferie insieme in Liguria. Ci vogliamo proprio bene e penso sia stata la Provvidenza a farci incontrare, me solo a Brescia, lui appena stato trasferito a Brescia quell’anno.

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  4. Direi che aveva ragione lo psicologo: hai avuto diversi eventi dolorosi in gioventù, era inevitabile che lasciassero il segno.
    Capisco che il tuo lavoro attuale rende difficile la gestazione di un testo lungo come un romanzo, però su quelli brevi penso che puoi dire la tua. Se può esserti di ispirazione, una volta lessi una poesia di Piero Jahier in cui esprimeva liricamente il diverso approccio che lui ha avuto verso la poesia durante gli anni in cui lavorava in un ufficio dove ciò che viene scritto "domani può essere cassato" e negli anni in cui lavorava in fabbrica assordato dal suono delle "cinghie" delle catena di produzione, e di come nel secondo caso il non poter minimamente avere in testa versi e parole durante l'orario di lavoro perché doveva concentrarsi in modo assoluto sulle sue mansioni senza distrazioni di alcun genere, rendeva poi più feroce e potente la sua composizione poetica quando, finalmente a casa, poteva prendere carta e penna e dare sfogo ai suoi slanci lirici.

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    1. Grazie Ariano, mi hai sempre incoraggiato e posso dire che se finora ho fatto qualche tentativo di micronarrativa, chiamiamola così, è merito tuo. Bellissimo l’esempio di Piero Jahier. Ricordo di averlo apprezzato ai tempi della scuola. Il processo creativo che descrivi è interessante, non avevo mai pensato che potesse esserci questa dinamica compressione-esplosione e ora lo terrò in considerazione. Cercherò magari anche un suo libro di poesie.

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  5. se Eva non avesse staccato quella meletta staremmo di certo sempre in estasi, estasi celestiale s'intende, infatti non ho mai capito quel gesto dello stacco della costola ad un maschio per dare vita ad un corpo così diverso e non necessario all'estasi celestiale

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    1. Ora che mi ci fai pensare non lo capisco neanch’io. Nel senso che anche in molti filoni spirituali si consiglia la solitudine e la ricerca della unica compagnia di Dio.
      Se devo dare una risposta posso dire due cose. Una è che l’amore tra il Padre e l’Unigenito (generato senza bisogno di accoppiamento) era già perfetto. Ma è proprio da questo accoppiamento tra Padre e Figlio che probabilmente ha assunto importanza l’ente ‘accoppiamento’. Pensiamo agli animali entrati nell’arca di Noè, sono tutti a coppie. Per questo Dio ha fatto l’uomo in due generi, perché potesse godere anche sulla terra di quella beatitudine che avviene in cielo, che è un eterno scambio d’amore.
      In secondo luogo, anche se non so connettere bene il discorso, direi che la più perfetta di tutte le creature del creato, superiore al sole, alla luna, al cielo, a tutti gli angeli, è una donna, Maria. Non sto parlando di Dio, Gesù è Dio ed è un altro discorso. Ma per quanto riguarda le creature, qual è la più vicina a Dio? Sua madre. Quindi Dio si è certamente compiaciuto nella donna.

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  6. Vedo che, nella tua vita hai fatto un pò di tutto, bravo !!Però, perchè , in biblioteca, temevi di essere riconosciuto ? Forse era l'occasione per fare amicizia. Però anch'io ho pochissimi amici e abitano pure lontano ! Credo che, parlare con uno psicologo faccia bene, anche solo per fare chiarezza dentro di noi. Ciao Filippo, buona settimana-.

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    1. Carissima, ma sì, diciamo così, ho fatto un po’ di tutto. I meandri della mia mente sono contorti. Proprio non avevo voglia al tempo della frequentazione delle biblioteche di lasciare che si sapesse com’era davvero la mia vita in quel periodo. Per lo più erano frequentate da studenti che avevano tre, quattro, cinque o più anni meno di me. Loro studiavano all’università, io ero una specie di fuori corso vecchio che studiava senza un obiettivo. Anche coi famigliari, li evitavo perché evitavo si mettesse in discussione la vita che facevo. Insomma, è stato un periodo da un lato bello, per la libertà, ma difficile. Ciao!

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  7. Forse più che uno psicologo ti ci vorrebbe un motivatore. Io per esempio, in biblioteca, non vedo il problema se ti riconoscevano.

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  8. Beh ho capito. Forse avevi bisogno di persone migliori accanto a te.

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  9. Ciao Filippo, buon week end !

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