Lourdes

Racconto di J. B. Estrade, testimone oculare e storico delle apparizioni di Lourdes:

All’epoca delle apparizioni di Lourdes ero un impiegato dell’amministrazione delle imposte. Alle prime notizie provenienti dalla grotta di Massabielle rimasi completamente indifferente. Le ritenevo comuni favole, indegne perfino della mia attenzione.
Nel frattempo, tra la gente l’agitazione cresceva di giorno in giorno e, per così dire, di ora in ora. Gli abitanti di Lourdes, in particolare le donne, si raccoglievano in folla presso la grotta di Massabielle e in seguito raccontavano le loro impressioni con entusiasmo quasi delirante. La fede ingenua e l’esaltazione di queste buone persone suscitavano in me un senso di commiserazione, mi divertivano e le deridevo. E così, fino al giorno della settima apparizione, non intrapresi in quella direzione né la minima inchiesta né qualsiasi ricerca.
Quel giorno – oh, ricordo indimenticabile! – la Vergine Immacolata, in un modo inesplicabile, nel quale oggi riconosco la sua ineffabile tenerezza, mi attirò a sé, mi prese per mano e, come una madre premurosa che indirizza lungo la strada giusta il figlio traviato, mi condusse alla grotta. Lì vidi Bernadette in uno splendore di gioie sovraterrene, immersa nell’estasi!
Era una scena celeste, che è impossibile descrivere o raccontare... Vinto e abbagliato dalla realtà, piegai le ginocchia e mi avvicinai a quella misteriosa Signora celeste, di cui sentivo la presenza. Fu quello il primo omaggio della mia fede.
Giunto a quella roccia benedetta, mi mescolai tra la gente e manifestai la mia meraviglia e la mia fede. Quando i doveri del mio impiego mi imponevano di lasciare Lourdes, e ciò accadeva di tanto in tanto, mia sorella – la mia diletta sorella, che viveva in casa con me e osservava e giudicava i fatti della grotta di Massabielle da un punto di vista completamente religioso – alla sera dopo il mio ritorno a Lourdes mi riferiva accuratamente ciò che aveva visto e ascoltato nel corso della giornata. Così raccoglievamo insieme tutte le nostre osservazioni.
Per non perdere il minimo particolare, annotavo i fatti in ordine cronologico, così che, al termine della quindicesima apparizione, avevamo ormai un considerevole tesoro di appunti, per la verità staccati tra loro, ma autentici e sicuri, ai quali attribuivamo grande importanza.
Poiché i miei appunti erano incompleti, mi preoccupai di completarli al più presto. Ben presto una circostanza inattesa calmò le mie preoccupazioni e mi servì in modo eccellente per portare a compimento la mia intenzione. Mi spiego: dopo le estasi, Bernadette veniva spesso da mia sorella; era una piccola amica di casa. Avevo, perciò, tutto il tempo di interrogarla sui fatti di Massabielle. Chiedevamo a Bernadette tutte le spiegazioni possibili nel modo più preciso e dettagliato. Quella cara fanciulla rispondeva a tutto con quella naturale disinvoltura e semplicità, che erano sue personali caratteristiche.
In questo modo, tra migliaia di altre cose, raccolsi i particolari commoventi delle prime apparizioni, che aveva avuto, della Regina del cielo.

Bernadette racconta la prima apparizione (11 febbraio 1858) a J. B. Estrade:

Il giovedì grasso faceva freddo e il tempo era tetro. Ora di pranzo. La mamma ci disse che non aveva più legna in casa e che era preoccupata per questo. Per far piacere alla mamma, mia sorella Tonietta ed io ci offrimmo di andare a raccogliere rami secchi sulla sponda del fiume. La mamma ci rispose di no, poiché il tempo non era troppo buono e potevamo correre il rischio di cadere nel Gave. La nostra vicina e amica insieme, Giovanna Abadie, che stava sorvegliando il fratellino e che aveva una gran voglia di venire con noi, corse a casa sua e poco dopo tornò dicendoci che aveva il permesso di accompagnarci. Mia madre continuava a non cedere alle nostre preghiere, ma vedendo che eravamo in tre, ci permise di andare. Da principio ci avviammo lungo la strada che conduce al cimitero, presso il quale talvolta si trovano pezzi di legna. Quel giorno non trovammo nulla. Scendemmo, quindi, verso la riva che accompagna il corso del Gave e, mentre ci avvicinavamo al Ponte Vecchio, ci domandammo se sarebbe stato necessario salire verso l’alto o scendere in basso in riva al fiume. Decidemmo di dirigerci verso il basso e, prendendo la strada accanto al bosco, arrivammo a Merlasse. Là entrammo nel prato del signor de Lafitte, passando davanti al mulino del Lavy. All’estremità del prato, quasi di fronte alla grotta di Massabielle, ci arrestammo davanti al canale del mulino, presso il quale eravamo appena transitate. Nel canale l’acqua non era profonda, poiché il mulino era fermo, però era freddo. Quanto a me, avevo paura ad entrarvi. Giovanna Abadie e mia sorella, meno timorose di me, presero gli zoccoli in mano e attraversarono il ruscello. Non appena furono sull’altra riva, quelle birbone incominciarono a gridare per il freddo e si chinarono l’una sull’altra per riscaldarsi i piedi. Tutto questo accrebbe la mia paura e compresi che, se fossi entrata nell’acqua, l’asma mi avrebbe afferrato nuovamente. Allora supplicai Giovanna Abadie, che era più grande e più forte di me, di venire per trasportarmi sulle sue spalle.
“Oh, no davvero! – rispose Giovanna – mia cara rompiscatole! Se non sei capace di attraversare, rimani lì dove sei”.
Quelle birbone, dopo aver raccolto alcuni pezzi di legna sotto la grotta, si allontanarono lungo la riva del Gave. Appena rimasi sola, gettai alcune pietre nel letto del ruscello, per attraversarlo camminando su di esse. Ma invano. Perciò, dovetti decidermi a levarmi gli zoccoli e a passare a guado il canale, come avevano fatto Giovanna e mia sorella.
Mentre mi stavo togliendo la prima calza, udii improvvisamente un gran fragore, simile al fragore di un temporale. Guardai a destra, a sinistra e poi sugli alberi vicino al fiume. Nulla, però, si muoveva; forse, pensai, ero stata vittima di un’illusione. Terminai, perciò, di scalzarmi, quando tutto a un tratto si fece sentire un altro fragore, simile al primo. Allora fui presa dallo spavento e mi voltai verso destra. Volevo dire qualcosa, ma da sola non riuscivo a cavar fuori le parole. E non sapendo che cosa pensare di quel fatto, girai lo sguardo verso la sponda del fiume che si stende accanto alla grotta. Quando a un tratto notai, in una delle aperture della roccia, un cespuglio che, lui solo tra tutti, si agitava come se fosse sotto la pressione di un vento gagliardo. Quasi nello stesso istante uscì dall’interno della grotta una nube colore ore; subito dopo apparve, all’ingresso di quell’apertura, al di sopra del cespuglio, una Signora giovane e bella, soprattutto bella, come non avevo viste mai.
Non appena ella mi ebbe scorto, mi sorrise e mi fece segno di venire avanti, come se fosse stata mia madre. La paura era scomparsa e non sapevo più dove mi trovassi. Mi stropicciai gli occhi, li socchiusi e li aprii di nuovo; ma la Signora era sempre lì, che mi sorrideva e mi faceva capire che non mi stava ingannando. Non mi rendevo conto di quel che stessi facendo. Presi dalla tasca la mia corona del rosario e caddi in ginocchio. La Signora approvò con un cenno del capo e prese lei pure tra le dita la corona che teneva appesa al braccio destro. Stavo iniziando la recita del rosario e volevo portare la mano al capo, quando il mio braccio rimase quasi paralizzato. Questo fatto durò fino a che la Signora non ebbe fatto il segno della croce. Feci anch’io la stessa cosa. La Signora mi lasciò pregare da sola; faceva scorrere i grani della corona tra le dita, ma non diceva nulla. Solo al termine di ogni decina recitava insieme a me: “Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto”.
Quando la recita del rosario fu completata, la Signora tornò all’interno della roccia e la nube d’oro scomparve insieme a lei.

Accadeva raramente che gli interlocutori non interrompessero la veggente per interrogarla sui particolari del ritratto della misteriosa Signora. Ecco ciò che lei rispondeva:

La Signora ha l’aspetto di una ragazza di sedici o diciassette anni. È vestita di un abito bianco, con una fascia azzurra che le cinge i fianchi e le scende lungo l’abito. Sul capo porta un velo, pure bianco, che lascia appena scorgere i suoi capelli e che scende dalle spalle fin sotto l’abito. I suoi piedi sono nudi, leggermente coperti dalle pieghe dell’abito: sull’uno e sull’altro piede risplende una rosa gialla. Sul braccio destro tiene una corona del rosario con i grani bianchi, infilati su una catenella d’oro risplendente come le rose ai piedi.

Così Bernadette concludeva il suo racconto:

Scomparsa la Signora, Giovanna Abadie e mia sorella tornarono verso la grotta e mi trovarono inginocchiata nello stesso posto nel quale mi avevano lasciata. Si misero a deridermi, chiamandomi sciocchina e bigotta. Inoltre, mi fecero capire che in un modo o nell’altro dovevo andare di là insieme a loro. In quel momento non ebbi più la minima esitazione ad attraversare il torrente e sentii che l’acqua era tiepida, come fosse quella per lavare le stoviglie.
“Non avevate poi un gran motivo di gridare – dico a Giovanna e a Maria asciugandomi i piedi – perché l’acqua del canale non è così fredda come vi era sembrata!”
Sei davvero fortunata, Bernadette, se trovi che l’acqua di questo torrente non sia fredda; a noi ha fatto un’impressione totalmente diversa”.
Legammo in tre fasci i rami e i pezzi di legna che le mie compagne avevano portato; subito dopo ci arrampicammo sul pendio di Massabielle e ci incamminammo nuovamente lungo il sentiero che fiancheggia il bosco. Mentre ci dirigevamo in fretta verso la città, io chiesi a Giovanna e a Maria se non avessero notato nulla nella grotta.
“Nulla – risposero –. Ma perché ci fai questa domanda?”
“Oh, allora niente! – risposi loro con indifferenza.
Nonostante questo, però, prima di giungere a casa rivelai a mia sorella Maria le cose straordinarie che mi erano capitate a Massabielle. La pregai solo di mantenere il silenzio. Nel corso di tutta quella giornata l’immagine della Signora rimase profondamente impressa nella mia memoria.
La sera, mentre recitavamo le preghiere in famiglia, divenni triste e mi venne da piangere.
“Che cosa ti succede? – mi chiese la mamma.
Maria si affrettò a rispondere a nome mio e fui costretta a dare spiegazioni sull’avvenimento improvviso della giornata.
“Sono comuni allucinazioni – rispose la mamma –. Devi scacciar dalla testa questi pensieri al più presto possibile, e soprattutto non tornerai più alla grotta”.
Andammo a letto, ma io non riuscii ad addormentarmi. La figura della Signora, così buona e affascinante, mi tornava incessantemente alla memoria.
Mi ricordavo quel che la mamma mi aveva detto, ma non ero capace di convincermi di essere stata ingannata.
Ci tornai quella stessa domenica, sentendo come una chiamata interiore.
La signora mi parlò soltanto la terza volta. Mi chiese se volevo recarmi da lei per quindici giorni. Io risposi di sì.

Terza apparizione (18 febbraio 1858):

Accompagnavano Bernadette due donne, la signora Millet e la signorina Antonietta Peyret. Volevano essere testimoni di quel che sarebbe accaduto alla ragazzina, dopo i suoi racconti a proposito della: “bella Signora”.
Le tre donne sono in attesa e pregano. La fanciulla alza gli occhi e guarda: la Madre di Gesù si fa vedere per la terza volta.
In questa apparizione Bernadette ascolta, per la prima volta, tre parole della Vergine. Presenta carta e penna e chiede: “Volete avere la bontà di mettere il vostro nome per iscritto?”. La Madonna risponde: “Non è necessario”.
La seconda parola è un invito: “Volete avere la cortesia di venire qui per quindici giorni?”.
La terza è una frase che riguarda personalmente Bernadette: la promessa di una ricompensa, con l’avvertimento che dovrà soffrire: “Non prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro”.

Quindicesima apparizione:

Alla notizia che sarebbe stata l’ultima visita, la gente era venuta da tutte le parti sin dal giorno avanti. Tutti gli alberghi avevano il “tutto esaurito”; chi poteva dare alloggio aveva gente in ogni stanza disponibile; la grotta stessa era strapiena. I calcoli più prudenti dei testimoni e del Commissariato di Polizia dicono che, sulle due sponde del fiume, dovevano essere presenti ventimila persone. Tanto che le autorità avevano mobilitato le forze dell’ordine anche dalla città di Tarbes: guardie a piedi e a cavallo e militari.
Mamma Soubirous accompagnava la figlia, e con lei c’erano altri parenti, vicini di casa e conoscenti. Li accompagnava alcune guardie per difendere Bernadette da incontrollati entusiasmi della folla. Appena videro la fanciulla privilegiata, uno scroscio di applausi la salutò. Bernadette non dà segno di accorgersi: per lei c’è solo il desiderio di vedere la Signora.
Infatti, poco dopo iniziato il rosario, i suoi occhi sono attirati dall’interno della grotta, il volto sorride e le labbra parlano senza voce. L’estasi dura per lo spazio di una corona intera, coi quindici misteri, quasi un’ora. La visione si riflette su Bernadette, si alterna dalla gioia alla tristezza. La veggente lo ha spiegato: quando il viso della Signora era felice, la gioia le inondava l’animo. Ma quando la Vergine era triste e le raccomandava di pregare per i peccatori, come avrebbe fatto a non stare in pena anche lei?
Anche in quella visione, la fanciulla chiese alla Signora il suo nome: lo voleva sapere il parroco don Peyramale. Ma la Madonna rimase assolutamente silenziosa, e nessun miracolo fu visto. La gente si aspettava qualche cosa di straordinario, e quando vide che Bernadette si allontanava, rimase molto delusa. La sera Lourdes non aveva più nessun forestiero; era rimasta coi suoi cittadini.
Bernadette continuò, nei giorni successivi, a visitare la grotta e a rimanervi a lungo in preghiera. La Madonna non si fece più vedere. Attese la festa dell’Incarnazione del Signore e della sua Annunciazione, il 25 marzo 1858, per rivelare il suo nome, il segreto che dava peso a tutte le apparizioni.

Dopo i giorni benedetti della quindicina delle apparizioni, la piccola veggente era andata a inginocchiarsi più volte sotto la roccia benedetta. Cedendo all’ispirazione dell’anima, spesso levava alzava gli occhi verso la nicchia prediletta; ma ahimè, la nicchia restava  vuota e i raggi del cielo non venivano più a rischiararla.
Ciascuno può immaginare la gioia di Bernadette quando comprese che la divina Madre la chiamava a un nuovo incontro.
Accanto al focolare domestico, la vigilia, cioè il 24 marzo, Bernadette comunicò ai suoi genitori l’avviso interiore che aveva ricevuto e parlò, come di cosa certa, della felicità che l’attendeva, il giorno seguente, alla grotta.
Tutta presa da questo pensiero andò a dormire, ma il sonno non giunse. La notte le parve lunga e molte Ave Maria del rosario passarono sulle sue labbra! Appena apparvero le prime luci del giorno, lasciò il suo lettuccio, si vestì diligentemente e senza far attenzione all’asma che si destava nel suo piccolo petto, prese con passo agile il cammino di Massabielle. Quale confusione per lei! La nicchia era già illuminata e la Signora aspettava!

Sedicesima apparizione (25 marzo 1858):

Era là – diceva Bernadette – affabile, sorridente e guardava la folla come una madre affettuosa guarda i suoi figli.
Quando fui inginocchiata davanti alla Signora, le chiesi perdono del mio ritardo. Sempre buona con me, mi fece cenno con la testa che non occorreva scusarsi. Allora le manifestai tutto il mio affetto, tutta la mia devozione e la felicità che avevo nel rivederla. Dopo averle manifestato tutto ciò che mi passò nel cuore, presi il mio rosario. Mentre pregavo, il pensiero di chiederle il nome si presentò al mio spirito con una insistenza da farmi dimenticare tutti gli altri pensieri. Temevo di essere importuna, rinnovando una domanda rimasta sempre senza risposta, e tuttavia qualcosa mi spingeva a parlare. Infine, per un moto che non potei contenere, le parole uscirono dalla mia bocca e pregai la Signora di volermi dire chi era.
Come nelle volte precedenti, la Signora abbassò il capo, sorrise ma non rispose. Non so il perché, ma mi sentivo più coraggiosa e tornai a chiederle la grazia di farmi conoscere il suo nome.
Rinnovò il sorriso e il grazioso inchino, ma continuò a tacere.
Una terza volta, a mani giunte e riconoscendomi completamente indegna della grazia che domandavo, rinnovai la mia preghiera.

Giunta a questo punto del racconto, la fanciulla era vinta dall’emozione e proseguiva così:

In quel momento la Signora era in piedi sopra il cespuglio di rose selvatiche nello stesso atteggiamento in cui si mostra nella medaglia miracolosa. Alla terza richiesta il suo volto assunse un’espressione grave e allo stesso tempo di umiltà profonda... Congiungendo le mani come in preghiera, le sollevò fino all’altezza del petto... Guardò verso il cielo... Quindi, allargando lentamente le mani e inchinandosi verso di me, disse con una voce nella quale si poteva notare un leggero tremore: “Qué soy er’Immaculada Councepsiou”.

Pronunciando queste ultime parole, Bernadette abbassava la testa e riproduceva il gesto della Signora.

Quando Bernadette ebbe parlato, un trasporto indefinibile si impossessò di tutte le anime, e quelli che erano presenti caddero in ginocchio. Dopo aver reso questo primo atto di ossequio alla Vergine, spinti dall’entusiasmo, gli uni andavano a deporre i loro baci sulle pareti della roccia benedetta, gli altri andavano ad abbracciare, come fossero esseri animati o sacre reliquie, i rami del roseto selvatico che cadevano dalla nicchia. Dal mezzo della folla, dai massi del Gave, dall’alto della roccia, si alzava l’invocazione popolare: “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”.
Qualche momento dopo l’apparizione, tutta la città di Lourdes era informata della strepitosa notizia portata dalla giovane veggente.
Incontrandosi nelle strade, gli abitanti si stringevano la mano e si felicitavano a vicenda, come di un avvenimento fortunato accaduto a ciascuno di loro.
Quanto ai pellegrini forestieri, non sapevano più staccarsi dalla grotta; quando avevano finito di recitare un rosario, ne aggiungevano un altro, e dopo aver cantato, cantavano ancora. Infine, verso il tramonto, si dispersero in tutte le direzioni, proclamando dappertutto sul loro passaggio le parole della Vergine.

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